Il Caso Pompei, l’Obbedienza e il prof. Trabucco. Un Commento dell’Arcivescovo Carlo Maria Viganò.

18 Settembre 2025 Pubblicato da 23 Commenti

  
  

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione  questo commento dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Buona lettura e condivisione.

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OBŒDIENTIA OBŒDIENTIBUS

  
  

Qualche breve appunto su due articoli del Prof. Daniele Trabucco

 

 

L’obbedienza servile è quella che segue la legge per paura,

senza la grazia interiore, e quindi “non giova a nulla

 se non è accompagnata dall’amore;

anzi, senza di esso, rende colpevole chi la pratica,

perché manca del fine ultimo che è Dio.

 

Sant’Agostino, De spiritu et littera

 

 

Il commento del prof. Daniele Trabucco alla vicenda di don Leonardo Maria Pompei, pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana lo scorso 9 Settembre (qui), ha suscitato alcune obiezioni, tra le quali una in particolare ha provocato un ulteriore intervento dello stesso Trabucco su Chiesa e Postconcilio (qui). Premetto che nutro la massima stima per l’illustre Professore, del quale ho sempre apprezzato il pensiero autenticamente cattolico e il rigore intellettuale. Credo tuttavia che questi suoi due ultimi articoli travisino gravemente il concetto di obbedienza all’autorità, fuorviando i lettori.

La tesi del primo intervento di Trabucco è che la santità – di ieri come di oggi – si esplicita anche nella fedeltà e nell’obbedienza umile all’Autorità legittima, perché nell’obbedire a ordini ingiusti l’anima si esercita nell’abnegazione di sé e così sublima l’obbedienza in virtù eroica.

L’obiezione dei lettori evidenzia il differente contesto storico ed ecclesiale in cui l’obbedienza eroica di Santi come Padre Pio o don Bosco a vere e proprie vessazioni dei Superiori legittimi li fece crescere nella santità. E che i casi odierni, come quello di don Leonardo Maria Pompei, non sono paragonabili con i primi.

Così Trabucco riassume l’obiezione dei suoi lettori:

 

Oggi la Chiesa è immersa in una crisi senza precedenti, il neomodernismo è penetrato nel cuore stesso della vita ecclesiale etc., per cui non sarebbe legittimo paragonare con la situazione presente di don Pompei, l’atteggiamento di figure come San Pio da Pietrelcina, Don Dolindo Ruotolo, San Giovanni Bosco e tanti altri santi, che obbedirono pur soffrendo. Allora – si dice – il contesto era diverso: non vi era questa dissoluzione dottrinale, non questa confusione universale, non questa apostasia silenziosa.

 

La risposta all’obiezione, che costituisce il secondo intervento di Trabucco, parte dall’assunto che non sia possibile “contestualizzare” la fedeltà e l’obbedienza dei Santi del passato. Scrive Trabucco:

 

La santità, infatti, non è mai un prodotto delle condizioni storiche, non è l’esito di un equilibrio contingente, ma è radicata nell’immutabilità della grazia e nella perenne costituzione divina della Chiesa.

 

Mi permetterei di dissentire sul fatto che la santità non dipenderebbe dalle condizioni storiche. Affermo al contrario che la Provvidenza suscita per ogni tempo i Santi, i cui carismi sono più utili in quel determinato contesto. San Giovanni Bosco non è diventato santo facendo l’eremita ma l’educatore, nell’Italia sabauda, anticlericale e massonica, che voleva estromettere la Chiesa dalla società.

 

Vi è però un equivoco che occorre chiarire: non è la santità che ha bisogno di essere “contestualizzata”, ma la modalità in cui si esplicita la virtù della vera Obbedienza (e di tutte le virtù in genere) in due contesti che sono diversi e addirittura antitetici. Perché il ragionamento del prof. Trabucco sia valido, tanto padre Pio quanto don Pompei dovrebbero essersi trovati ad obbedire a dei Superiori legittimi, ossia che esercitano la propria Autorità conformemente alla Legge di Dio, alla Verità rivelata, al Magistero immutabile della Chiesa. Finché l’Autorità rimane nell’alveo che le ha assegnato Nostro Signore, essa è legittima e coerente con la suprema Autorità di Cristo Capo del Corpo Mistico. Ma così non è: e non perché padre Pio e don Leonardo Maria abbiano agito difformemente, ma perché l’obbedienza richiesta a padre Pio da un Superiore autoritario è di ordine disciplinare, mentre quella richiesta a don Leonardo Maria da un Superiore dottrinalmente deviato è di ordine dottrinale.

 

L’Autorità è stata voluta dal Signore per governare la Chiesa secondo le finalità che le sono proprie, e non per demolirla e disperderne le membra. La virtù dell’Obbedienza è legata alla Giustizia: essa deve esercitarsi secondo una ben precisa gerarchia, che inizia in Dio, supremo Legislatore e somma Autorità, per poi articolarsi nell’obbedienza ai Suoi vicari temporali e spirituali, i quali a loro volta sono tenuti ad obbedire ai propri Superiori, e certamente anzitutto a Cristo Re e Pontefice. San Tommaso d’Aquino ci spiega che la virtù dell’obbedienza scaturisce dalla Carità e dalla volontà di conformarsi all’ordine divino: essa è la virtù morale che rende la volontà pronta ad eseguire i precetti dei Superiori (II-II, 104, 2, ad 3); l’obbedienza a Dio è assoluta, mentre l’obbedienza alle autorità umane è subordinata e condizionata alla sottomissione dell’autorità umana (e dell’ordine impartito) all’autorità di Dio (II-II, 104, 4). Il fondamento dell’obbedienza è infatti l’autorità del Superiore, ricevuta direttamente o indirettamente da Dio: è dunque a Dio che si obbedisce, nella persona del legittimo Superiore, dal momento che ogni potestà viene da Lui (Rom 13, 2).

 

Nell’ordine perfetto che ruota intorno al Verbo Incarnato, l’obbedienza al Padre è il motore stesso della Redenzione operata dal Figlio. Questa obbedienza si riverbera spontaneamente all’interno del corpo sociale ed ecclesiale, nel riconoscersi tutti – governanti e governati – sottoposti alla Signoria universale di Cristo, e quindi necessariamente a Lui obbedienti. In quest’ordine, la disobbedienza è uno dei più gravi peccati, perché scardina l’ordine cristocentrico del cosmo; e non è un caso se i veri disobbedienti finiscono col negare anzitutto la Signoria di Cristo, per poter orgogliosamente affermare la propria. Satana è il ribelle, il disobbediente per antonomasia, e colui che ci spinge con mille inganni a disobbedire a Dio.

 

Il prof. Trabucco ritiene, prendendo ad esempio il processo di Norimberga contro i crimini di guerra del Nazismo, che i subalterni non possano essere puniti per aver eseguito ordini ricevuti dai superiori militari. Al di là del fatto che tanto i Superiori quanto i sottoposti hanno la responsabilità morale delle proprie azioni – i primi per gli ordini impartiti, i secondi per l’obbedienza a quegli ordini –, mi pare che anche i giudici di Norimberga abbiano ritenuto colpevoli e condannato gli ufficiali nazisti, non accogliendo la loro difesa di “aver solo obbedito agli ordini”.

 

La disobbedienza dei Superiori a Cristo, del Quale usurpano l’autorità, rompe la coerenza della catena gerarchica, perché costringe i sudditi a disobbedire ai Superiori per non offendere Dio. L’obbedienza che si delinea invece nelle parole del prof. Trabucco sembra prescindere da questa necessaria coerenza dell’Autorità all’obbedienza che a sua volta esige, giungendo al paradosso di indicare come moralmente preferibile disobbedire a Dio per obbedienza servile a dei Superiori disobbedienti, all’obbedienza virtuosa a Dio disobbedendo ai Suoi indegni Vicari. E a chi obbietta che non sta al suddito giudicare il Superiore, rispondo che questo vale anche per del Superiore nei riguardi di Dio, dal quale egli si affranca per poter comandare senza alcun limite.

 

Non possiamo dimenticare che la decisione di resistere ai falsi pastori è per un sacerdote molto più sofferta e problematica che per un laico, anche solo per una questione di dipendenza economica dal Superiore. Ma proprio perché per un parroco è quasi una violenza dover disobbedire al proprio Vescovo o al Papa, il Vescovo e il Papa dovrebbero considerare la propria responsabilità morale nell’abusare della propria autorità per far compiere ai sudditi azioni contrarie alla volontà di Dio, che essi non compirebbero se non fossero minacciati da sanzioni canoniche.

La Gerarchia conciliare e sinodale ha deliberatamente infranto la coerenza nell’Obbedienza di duemila anni di vita della Chiesa Cattolica Romana. Essa si è sottratta all’Autorità di Dio e della Chiesa nel momento in cui, adulterando la Fede, si è “sinodalizzata” (ossia democratizzata), facendo risiedere nel “popolo di Dio” la sovranità strappata a Cristo. La sinodalità è disobbedienza quintessenziata, così come è sotto l’insegna della ribellione e dello scisma la “rilettura in chiave sinodale ed ecumenica” del Papato, che Cristo ha voluto monarchico. È dunque questa Gerarchia ad essere disobbediente a Cristo, pur continuando a rivendicarne l’autorità per farsi obbedire dal Clero e dai fedeli. La santa disobbedienza dei sudditi non scardina l’ordine voluto da Dio, ma coraggiosamente lo ripristina, mostrando i traditori e gli usurpatori per quello che sono. Inoltre, dinanzi ad un piano eversivo della Gerarchia che da oltre sessant’anni è la causa principale della crisi nella Chiesa Cattolica, la prudenza e il legittimo sospetto di malafede verso Superiori che continuano a promuovere il Vaticano II e le sue riforme è non solo lodevole, ma doveroso. Il fedele e il chierico che fingono di avere a che fare con Vescovi normali, quando è evidente che sono quinte colonne del nemico, costituisce una cooperazione al male che essi compiono o lasciano compiere.

 

Padre Pio o don Bosco avevano dei Superiori che si riconoscevano a propria volta sudditi di Dio, e ne temevano il Giudizio grazie alla formazione morale e spirituale ricevuta. Se avessero avuto come Superiori certi personaggi che oggi infestano le Diocesi e la Curia Romana, avrebbero compreso che prestare loro obbedienza non avrebbe costituito una meritoria immolazione della volontà, ma una vile complicità nel demolire la Chiesa e nel disobbedire a Dio.

 

Come si sarebbero comportati padre Pio e don Bosco, o don Dolindo Ruotolo e le migliaia di santi sacerdoti che nei secoli hanno ingoiato dai loro Superiori tanti amari bocconi, nel Clero secolare e in quello Regolare, meritando il Paradiso e spesso la stessa conversione dei loro mitrati aguzzini? Cosa avrebbero risposto al Vescovo di don Pompei? Come avrebbero giudicato gli errori del Vaticano II e gli orrori del Novus Ordo? E ancora: dinanzi alla evidenza che i Superiori della chiesa conciliare-sinodale vogliono distruggere la Chiesa Cattolica, il Papato, la Messa e il Sacerdozio, come avrebbero giudicato – da Confessori della Fede – il comportamento di chi per non subire ritorsioni illegittime tace dinanzi alla propagazione dell’eresia e dell’immoralità? Dubito che don Bosco avrebbe accettato di celebrare il rito montiniano, o ammesso alla Comunione i concubini, benedetto coppie di sodomiti, incoraggiato la transizione di genere, profanato la Santissima Eucaristia distribuendola sulla mano. Ciò significa forse che oggi don Bosco e padre Pio non potrebbero essere Santi perché non hanno obbedito ai Superiori? No: significa che oggi si sarebbero santificati come Confessori della Fede esercitando l’Obbedienza secondo la sua gerarchia interna. Significa che avrebbero obbedito a Dio piuttosto che a uomini che Gli disobbediscono. Tutto qui.

Risponde però Trabucco:

 

Proprio lì sta il punto: l’obbedienza che hanno incarnato non è riducibile a un fatto storico, dal momento che appartiene alla sostanza della santità, perché riconosce nell’istituzione visibile il sacramento dell’azione invisibile di Dio. []

 

È vero: l’Obbedienza appartiene alla sostanza della santità. Ma se la santità è la meta di ogni uomo e in particolare di ogni battezzato, come potrebbe l’obbedienza essere di ostacolo alla santità, dal momento che essa riconosce il primato a Dio e subordinatamente a coloro che Lo rappresentano? O dovremmo forse credere che, per il semplice fatto che affermano di essere nostri Superiori, essi possano rendere legittimi degli ordini che la ragione, la retta Fede e il Magistero perenne della Chiesa ci indicano come irricevibili? Dovremmo forse considerare legittima la loro autorità, quando Papi, Cardinali, Vescovi e chierici aderiscono ad un altro Vangelo (Gal 1, 6-7), un’altra religione, un altro credo, un altro papato, un altro sacerdozio, un’altra messa, sostenendo di appartenere a un’altra chiesa, che chiamano conciliare e sinodale. Non è posta in discussione l’autorità del Vescovo dai modi burberi o dalle decisioni opinabili: qui è messa in discussione l’obbedienza ad un’autorità usurpata, di cui si sono impadroniti degli eversori eretici e corrotti, per poter con più efficacia demolire la Chiesa dall’interno.

 

La nostra disobbedienza di oggi è l’unica forma moralmente doverosa di resistenza allo scandalo inaudito di una Gerarche che pretende di poter adulterare l’insegnamento di Nostro Signore, e allo stesso tempo ne rivendica l’Autorità. Deus non irridetur, non ci si prende gioco di Dio (Gal 6, 7). Obbedire a questi Pastori significa rendersi loro complici, ed essere in comunione con loro esclude l’essere in comunione con la Chiesa Cattolica Apostolica Romana: sono loro stessi ad affermare di essere la “nuova chiesa” rispetto a quella “preconciliare”.

 

Se conserviamo la visione trascendente dell’Obbedienza, ricordando che l’Incarnazione è stata possibile per l’obbedienza del Figlio al Padre, l’obbedienza di Maria Santissima al Signore e l’obbedienza di San Giuseppe all’Angelo, sapremo discernere con retta coscienza. Credo anzi che gli Ultimi Tempi ci daranno esempi eroici di santa Obbedienza a Dio e alla Chiesa, mentre la sua Gerarchia si distinguerà – come ai tempi della Passione – per il tradimento della Legge e dei Profeti e per la complicità con il potere politico.

 

Mi permetto di aggiungere un’ultima riflessione. Quando la Sacra Scrittura parla dei falsi pastori, falsi maestri o falsi profeti, usa questa espressione di proposito, per evidenziare l’inganno di chi si presenta per ciò che non è. Nel Nuovo Testamento questo monito è ancora più esplicito, come ad esempio nella seconda Epistola di San Pietro:

 

Fra voi vi saranno falsi maestri, i quali introdurranno eresie di perdizione e, rinnegando il Signore che li ha riscattati, attireranno su di sé una rapida rovina. […] Per cupidigia vi sfrutteranno con parole false (2Pt 2, 1-3).

 

Se dunque siamo stati avvertiti che sorgeranno falsi cristi e falsi profeti (Mt 24, 24), come possiamo pretendere che ad essi sia dovuta obbedienza, quando è proprio la Sacra Scrittura a metterci in guardia contro di loro, indicandoli come impostori e mentitori? Se obbedire a questi falsi maestri fosse sempre doveroso e non comportasse alcuna conseguenza, perché mai saremmo stati avvertiti dagli Evangelisti, da San Paolo, da San Pietro, da San Giuda Taddeo di non prestare loro ascolto, di fatto compiendo un atto di disobbedienza?

 

È proprio per questo che la vera Obbedienza è lo strumento principale mediante il quale quell’assistenza divina promessa alla Chiesa Cattolica si esplicita anche nel disobbedire virtuosamente ai falsi pastori e ai mercenari; perché essa, come giustamente ricorda il Prof. Trabucco, non dipende dalle circostanze politiche o ecclesiali, quanto dalla verità perenne che la Chiesa custodisce, anche nelle ore più oscure. Non perché chi è fedele presuma di essere migliore (cosa che invece sembra essere una convinzione dei Modernisti). Ma perché proprio perché la Chiesa non appartiene a noi ma a Cristo Signore, siamo tutti tenuti a impedire che i suoi nemici possano agire indisturbati e impuniti, pregiudicando la salvezza eterna di tante anime. Ed è questo che il Signore si aspetta da noi: non un comodo quietismo travestito da umiltà o da fatalismo.

 

 

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

 

17 Settembre MMXXV

Impressionis Stigmatum S. Francisci

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23 commenti

  • Don Pietro Paolo ha detto:

    Caro Mons. Viganò,
    rispondo con rispetto e franchezza “punto per punto”, cercando di restare nel solco della dottrina cattolica, del diritto della Chiesa e della retta teologia morale.

    1) Santità, “contestualizzazione” e obbedienza

    Lei obietta a chi distingue i contesti storici (Padre Pio/Don Bosco vs. oggi) sostenendo che la santità non dipende dalle condizioni storiche. È vero che la santità nasce dalla grazia e dalla risposta della libertà; tuttavia le modalità delle virtù (obbedienza inclusa) si esercitano in contesti concreti. Questo non relativizza la virtù; spiega semplicemente come si pratica. È esattamente ciò che fanno i santi: obbediscono alla legittima autorità in materie legittime, usando i mezzi della Chiesa quando ritengono di subire un’ingiustizia. È ciò che fecero Padre Pio e Don Bosco: non negarono l’autorità né parlarono di “altra chiesa”; obbedirono nelle cose legittime e usarono i rimedi ecclesiali nelle controversie disciplinari, senza ergersi a giudici della Chiesa.

    2) Che cos’è “autorità legittima”

    Lei afferma che l’autorità è legittima solo se esercitata “conformemente alla Legge di Dio e al Magistero”; altrimenti decadrebbe la legittimità. Questo però capovolge il principio cattolico.
    • La legittimità deriva anzitutto dall’ufficio ricevuto nella Chiesa (cf. can. 331–336; 375 CIC). La perdita dell’ufficio non avviene per giudizio privato, ma per atto della Chiesa.
    • Finché la Chiesa non dichiara la deposizione o la perdita dell’ufficio, il Vescovo è Superiore legittimo e il Papa è Papa.
    • Il fedele (e a maggior ragione il chierico) non può proclamare da sé che il proprio Superiore è “usurpatore” o “dottrinalmente deviato” al punto da non dovergli obbedienza. Questo è dottrina comune tra i teologi ed è riflesso nell’ordinamento canonico.

    3) Obbedienza a Dio e agli uomini (At 5,29)

    “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” si applica quando un comando è manifestamente contrario alla legge divina o naturale (ad es.: compiere un sacrilegio, negare una verità di fede).
    • Nelle materie disciplinari e prudenziali (spostamenti, stile pastorale, calendario, liturgia approvata), si deve obbedire, anche se costa.
    • Il confine non lo determina la preferenza personale ma la materia oggettiva del comando. Celebrare nel rito romano riformato o attenersi alle disposizioni liturgiche della diocesi non è peccato né negazione di fede: pertanto si obbedisce.
    • San Tommaso (II-II, q.104) insegna che l’obbedienza è virtù subordinata alla carità e alla giustizia, ma non legittima la sovversione dell’ordine ecclesiale per giudizio privato.

    4) “Disciplinare” vs “dottrinale”

    Lei contrappone: a Padre Pio imposero discipline; a don Pompei si chiederebbe obbedienza in materia dottrinale perché i Superiori sarebbero “deviati”. Ma:
    • Che un Superiore sia “deviato” non lo decide il suddito; lo accerta la Chiesa.
    • Anche l’insegnamento autentico, non definitorio del Papa e dei Vescovi in comunione con lui richiede la “religiosa sottomissione dell’intelletto e della volontà” (LG 25). Difficoltà gravi possono essere esposte con rispetto (can. 212 §3), non trasformate in dissenso sistematico o rifiuto dell’obbedienza.
    • Il documento Donum veritatis (CDF, 1990) insegna con precisione come comportarsi quando si hanno difficoltà: evitare i media come tribunale parallelo, mantenere rispetto e non presentare come definitive opinioni private.

    5) La catena dell’obbedienza e Rom 13

    Lei richiama Rom 13 e una “catena” che parte da Dio. Giusto: per questo la Chiesa insegna che l’obbedienza ai Pastori è vincolante nelle materie in cui essi hanno potestà, finché non ci sia un comando peccaminoso. Altrimenti, si rompe la catena dalla parte del suddito, non del Superiore. E lo si fa proprio in nome di Dio: è una contraddizione.

    6) Il paragone con Norimberga

    Il parallelo non regge. La Chiesa non chiede “obbedienza cieca a ordini criminali”; chiede obbedienza ecclesiale in cose ecclesiali. Se un Vescovo comandasse un male intrinseco, si dovrebbe disobbedire; ma chiedere di attenersi a leggi universali (p.es. liturgia approvata) non è male. In più, la Chiesa offre rimedi giuridici (ricorsi amministrativi: cann. 1732-1739) che i santi hanno usato.

    7) “Chiesa conciliare/sinodale”, “nuova chiesa”, “nuovo rito”

    Qui si tocca il punto più grave. Dire che il Vaticano II e la riforma liturgica abbiano prodotto “un’altra chiesa” equivale, di fatto, a negare l’indefettibilità della Chiesa e l’assistenza promessa da Cristo.
    • Un Concilio ecumenico validamente celebrato e approvato dal Papa non crea una “nuova religione”. Il suo insegnamento va interpretato nella ermeneutica della continuità; può essere criticato teologicamente in aspetti pastorali o lessicali, ma non denunciato come “apostasia”.
    • Il Novus Ordo è rito della Chiesa e, celebrato con fede e secondo i libri, è valido e fruttuoso. Sostenere che la Chiesa abbia imposto un rito dannoso alla fede contraddice una nota classica della teologia cattolica (la Chiesa non può promuovere una disciplina universale nociva alla salvezza delle anime).
    • La sinodalità, così come insegnata dal Magistero, è una forma della vita ecclesiale (dimensione consultiva, corresponsabilità), non una “democratizzazione” che spodesta Cristo.

    8) “Falsi profeti/pastori” e giudizio privato

    Le Scritture mettono in guardia dai falsi maestri (Mt 24; 2Pt 2). Ma chi sono, in concreto, non lo decide l’autocertificazione di un chierico o di un gruppo; lo discerne la Chiesa con i suoi organi. Il ricorso sistematico a questi testi per delegittimare l’ordine visibile e il Papa regnante produce scisma pratico: si crea una “chiesa dei puri” opposta alla Chiesa visibile.

    9) “Che cosa avrebbero fatto i santi oggi?”

    Attribuire ai santi del passato le nostre scelte è congetturale. Sappiamo però con certezza che:
    • Obbedirono in ciò che era lecito.
    • Non costruirono teorie di “doppia chiesa”.
    • Usarono i canali ecclesiali per correggere abusi.
    • Non ruppero la comunione con la Sede Apostolica.
    È ragionevole concludere che oggi farebbero lo stesso.

    10) Cosa deve fare un presbitero in difficoltà (anche don Pompei)

    La via cattolica è chiara:
    1. Obbedire al Vescovo e al Papa nelle cose legittime (can. 273).
    2. Se ritiene ingiusto un provvedimento, presentare ricorso nei modi previsti (cann. 1732-1739), senza fomentare pubblicamente la delegittimazione dell’autorità.
    3. Se gli si imponesse un peccato (p.es. negare un dogma, profanare deliberatamente i sacramenti), rifiutare quell’atto spiegandone i motivi e chiedendo tutela canonica.
    4. Evitare il dissenso organizzato e la retorica scismatica.
    5. Custodire la carità e l’unità, perché “salus animarum suprema lex” (can. 1752) non è lo slogan dei più polemici, ma la legge di chi rimane nella Chiesa anche soffrendo.

    11) Il vero errore di fondo

    La sua argomentazione presuppone (non dimostra) che i Pastori di oggi abbiano usurpato l’autorità e che esista una “chiesa conciliare” altra dalla Cattolica. Da questo presupposto fa discendere la liceità della disobbedienza. Ma proprio questo presupposto è antidottrinale: Cristo non ha abbandonato la sua Chiesa né le ha permesso di auto-distruggersi attraverso i suoi organi supremi. Se questo fosse possibile, crollerebbero nota ecclesiae come unità, apostolicità e indefettibilità.

    Conclusione

    Obbedire a Dio più che agli uomini è legge perenne. Ma nella Chiesa Dio si serve degli uomini costituiti Pastori; perciò l’obbedienza ecclesiale è norma, la disobbedienza è eccezione strettissima, limitata ai casi di comando intrinsecamente peccaminoso.
    Vaticano II, il Papa regnante e i Vescovi in comunione con lui non costituiscono una “nuova chiesa”. Parlare di “chiesa conciliare” e dedurne la disobbedienza sistematica non è “confessare la fede”: è minare l’unità che Cristo ha voluto e promesso. La via cattolica resta quella dei santi: fedeltà, obbedienza, franchezza rispettosa (can. 212 §3), uso dei rimedi canonici, e soprattutto comunione visibile con Pietro.
    È qui che, davvero, si obbedisce a Dio.

    • Crio ha detto:

      Buongiorno don Pietro, già che ha esposto punti su cui ciascuno dovrebbe riflettere prima di lanciarsi fuori dalla Chiesa convinti di amare zelantemente Dio disobbedendoGli e sfiduciandoLo (perché o mi fido o no ch Dio veglia e dirige sempre la sua Chiesa e se ne fuoriesco, indipendentemente da ciò che dico, non mi sto fidando), vorrei chiederle una cosa.
      Avevo letto in precedenza che per un cattolico non è lecito partecipare a quanto fa un sacerdote che sa essere scomunicato. Già quando uscì il comunicato dell’ordine di padre Farè veniva detto , in soldoni, di non partecipare a ciò che faceva sia eventualmente avesse continuato a esercitare il ministero,ma anche di evitare di stare a sentirlo. Quindi, ne avevo dedotto che al netto della conoscenza di qualche provvedimento, sarebbe meglio per il cattolico allontanarsi dalle azioni di quei sacerdoti che perseverano nella loro condotta non conforme. Viganò è ancora scomunicato. È lecito al cattolico andare dietro a Viganò e abbeverarsi alle sue acque discorsive? È lecito al mondo cattolico dare tanta risonanza alle parole di Viganò? O sarebbe meglio, pur pregando perché ritorni alla comunione con la Chiesa, tenersi alla larga onde evitare di finire fuori assieme a lui? E nel caso Viganò amministrasse nonostante il provvedimento i sacramenti (non lo so se lo fa ma potrebbe, come se non erro lo fa minutella) indebitamente, il fedele che conscio del provvedimento e magari proprio perché c’è quel provvedimento partecipa, come si trova rispetto alla Chiesa? Dentro o fuoriuscito, per quanto pensi di stare agendo bene?
      Chiedo, e forse sarà solo a mio beneficio, ma forse no. È bene sapere,penso, perché ogni azione ha delle conseguenze , qualunque siano le intenzioni che possono averle mosse; e uno potrebbe trovarsi dove mai penserebbe.

      Crio

      • Don Pietro Paolo ha detto:

        Caro Crio,

        la sua domanda è importante. Le rispondo secondo la dottrina della Chiesa.
        • Mons. Viganò è stato dichiarato scomunicato per scisma (can. 1364 CIC): il Dicastero per la Dottrina della Fede ha reso noto il 5 luglio 2024 l’esito del processo extra-giudiziale, dichiarando la scomunica per scisma da lui incorsa (can. 751; 1364). La revoca è riservata alla Sede Apostolica. Ciò significa che non è in comunione con il Papa e con la Chiesa.
        • Un fedele non deve partecipare alle celebrazioni o seguire regolarmente le prediche di un ministro scomunicato: sarebbe un incoraggiamento allo scisma e può portare a fuoriuscire dalla comunione ecclesiale (CCC 2089). Non esiste un canone che vieti in sé leggere o ascoltare; ma dare risonanza, promuovere o aderire pubblicamente a posizioni scismatiche è moralmente disordinato e può configurare cooperazione o adesione allo scisma (CCC 2089; can. 1364). Prudenza: non alimentare piattaforme che feriscono l’unità.
        • I sacramenti celebrati da chi è scomunicato sono illeciti. L’Eucaristia resterebbe valida (perché l’ordinazione è indelebile), ma riceverla in quel contesto è peccato grave. Confessione e Matrimonio invece sono invalide, salvo il caso di pericolo di morte per la Confessione (can. 976; 1335).

        E il fedele che, consapevole del provvedimento, partecipa proprio perché vuole seguire chi è scomunicato?
        In quel caso la sua posizione è molto seria:
        • Se aderisce in modo cosciente e ostinato, cade anch’egli nello scisma (can. 751; 1364).
        • Se lo fa per ignoranza o confusione, non si parla di scomunica latae sententiae, ma resta un atto gravemente illecito e spiritualmente pericoloso, che rischia di allontanarlo dalla comunione ecclesiale.

        Conclusione

        Il fedele che segue uno scomunicato si mette su un cammino che porta fuori dalla Chiesa, anche se pensa di agire per amore di Dio. È bene non illudersi: Cristo non si separa mai dalla sua Sposa. Restare dentro la comunione con il Papa e con i vescovi in comunione con lui è garanzia di verità e di grazia.

        Per questo il comportamento corretto è:
        1. Rimanere uniti al Papa e al Vescovo;
        2. Pregare per chi si è staccato;
        3. Evitare di dare risonanza a chi divide.

        Solo così si resta nella pace della Chiesa, che è il Corpo di Cristo.

    • Simone Torreggiani ha detto:

      Dal punto 4:
      • Anche l’insegnamento autentico, non definitorio del Papa e dei Vescovi in comunione con lui richiede la “religiosa sottomissione dell’intelletto e della volontà” (LG 25).

      C’è un errore: Lumen Gentium, al punto 25, parla di “assenso religioso della volontà e della intelligenza”, che è cosa ben diversa.

      https://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html#_ftnref83

      Attenzione, perché ‘sottomissione dell’intelletto’ implica una negazione, un annullamento di fatto della propria intelligenza a favore di quella della (presunta) autorità.
      Chi ‘non pensa più con la propria testa’ di fatto è privo di intelligenza propria e viaggia con il ‘pilota automatico’… e invece per dare un ‘assenso’ vero, per dire un ‘sì’ autentico, la propria intelligenza è indispensabile.

  • giampiero ha detto:

    un consiglio al prof.Trabucco,di cui ho grande stima,:si attenga a temi di natura giuridica perche’ rischia di incorrere in scivolate assai controproducenti.
    Tra l’altro non riesco proprio a capire come possa un conservatore,quale e’ il prof.,a tentare di mantenere intatta la Tradizione pur nell’accettazione di quel mostro tumorale che e’ il Conc.Vat 2°,massima espressione del modernismo.

    • OCCHI APERTI! ha detto:

      Quel che non riesce a capire sembra essere piuttosto la Chiesa Una Santa Cattolica Apostolica, di cui Trabucco – oggi più che mai – è fedele e coraggioso membro!

      “Se pensi come la maggioranza, il tuo pensiero diventa superfluo”, osò osservare Paul Valery, e sembra che le riflessioni di Trabucco confermino solo il coraggio – sapeva benissimo, da “conservatore”, per dirla alla sua maniera, le reazioni che avrebbe suscitato! – della sua fede e la linearità della sua acuta mente. La cultura, infatti, si dimostra sempre insufficiente quando si tratta di “intus legere”…

      Da ultimo, qual migliore auspicio se non quello di vederla seguire lo stesso consiglio dispensato al Trabucco? Stia nel suo ristretto recinto? Non sfori per non “incorrere in scivolate assai controproducenti”?
      Si taccia perché la parola va agli esperti di…obbedienza🤣?
      Mi pare siano piaciuti a tutti – mi si consenta di generalizzare – gli sforamenti di Mons. Viganò ai tempi della pandemenza! Ma le svariate competenze giuridiche di Trabucco lo dovrebbero silenziare quando si esprime da cattolico esemplare?!

      Quanta ipocrisia! Quanta incapacità di osservare, riflettere e riconoscere, anche in un “avversario” di pensiero, la verità!

      Le auguro un santo cammino e, di cuore, ogni bene!

  • Davide Scarano ha detto:

    Questa riflessione mi sembra una lezione magistrale sull’Obbedienza, anzi sui doveri di Fede e Carità, espressa con la consueta chiarezza, profondità e lucidità. In questo contesto ricordo anche al militare è concesso di rifiutare di eseguire l’ordine che reputi “manifestatamente illegittimo” se contrario alla Costituzione. Emerge quindi che negli ordinamenti sia religiosi civili che religiosi, l’obbedienza è subordinata ad un bene superiore: nel caso della Fede cattolica, il bene supremo è evidentemente la salvezza della propria anima.
    Preciso che non sono un fan di Don Milani e del suo “L’obbedienza non è più una virtù”, ritengo però che un cattolico debba obbedire anzitutto alla propria coscienza per ottenere la propria salvezza, pertanto ritengo che l’obbedienza
    sia un mezzo e non un fine. Ricordo infine che il cristiano, oltre alle richieste dell’autorità religiosa, fosse anche il papa, deve comunque rendere conto dei propri comportamenti prima al confessore e poi al Creatore, ricordando l’insegnamento dell’apostolo Pietro nella sua Epistola: “E’ meglio obbedire a Dio piuttosto che agli Uomini”. Queste considerazioni acquistano maggior significato alla luce di quanto emerge dai “segni dei tempi” in cui siamo quotidianamene immersi, dai richiami contenuti nelle visioni dei mistici ed infine dal Catechismo della Chiesa Cattolica.

  • Simone Torreggiani ha detto:

    La Chiesa — anche in tempi passati di confusione e usurpazione, in cui antipapi si contesero per diversi anni il primato petrino con ogni mezzo — restò sempre ‘la’ Chiesa: una, santa, cattolica e apostolica… in attesa del ripristino della piena legalità.
    È vero che — soprattutto in tempi di prolungato caos dottrinale e gerarchico come quelli attuali — è lecito, e in certi casi anche doveroso, rigettare EVENTUALI derive eretiche dei propri superiori e disobbedire a direttive e ordini palesemente discordi con il Deposito della Fede secondo coscienza, affrontando tutte le conseguenze del caso.
    Tuttavia fare di un’erba un fascio e approfittare della situazione di caos per rigettare il presunto ‘scandalo’ del Concilio Vaticano II, per giustificare quindi il proprio totale abbandono della Chiesa fedele al magistero dei Papi legittimi e infine presentandosi implicitamente come ‘alternativa legittima’, ‘vera Chiesa secondo la tradizione’, nell’attuale contesto è un inganno satanico.

    Questo ‘caos controllato’, a cui collaborano modernisti da una parte e falsi tradizionalisti dall’altra, riproduce la ben nota e perversa dinamica:
    PROBLEMA — REAZIONE — SOLUZIONE
    In questo contesto funziona così: i modernisti diffondono eresie nella Chiesa (creano il problema), suscitando una reazione di sdegno e sfiducia di molti fedeli nei confronti della Chiesa usurpata; poi, nel contesto di tale sfiducia diffusa, si inseriscono i falsi tradizionalisti (lupi in veste di agnelli) con la falsa soluzione della diserzione, finalizzata ad accaparrarsi il gregge deluso tramite uno scisma e farsi così la propria chiesa su misura a spese della Chiesa vera, piuttosto che impegnarsi per sanare le ferite della vituperata Sposa di Cristo, edificata sul legittimo successore di Pietro, quella ‘una, santa, cattolica e apostolica’, la sola contro cui le forze degli inferi non prevarranno, fino al ritorno del Re.

    Costa troppa fatica (e fedeltà…) aspettare pazientemente il manifestarsi del Vicario legittimo… quindi perché non farmi vicario io stesso, come han fatto con discreto successo tanti altri scismatici prima di me?
    Questo è il peccato (e il traviamento e il tradimento) di mons. Viganò.
    Tanto più che lo ‘scherzo da prete’ di Benedetto XVI è già stato divulgato molti mesi or sono, lo scorso 27 novembre per la precisione:

    https://sfero.me/article/-scherzo-prete-benedetto-xvi-nome

    con Viganò che fu uno dei primi a riceverne notifica. L’articolo in seguito è stato ampiamente approfondito e discusso in varie sedi ma soprattutto qui su questo blog, pubblicamente.
    Questo ‘fingere di non capire’, questo fingere che non vi sia più speranza per il riscatto della Chiesa, questa sfiducia implicita nel piano di salvezza predisposto da Papa Benedetto XVI alla luce di queste progressive rivelazioni non trovano quindi giustificazione alcuna. Una persona dell’intelligenza di mons. Viganò dispone di tutti i mezzi intellettuali e culturali per comprendere come stanno realmente le cose, ma ha smarrito l’integrità morale e l’umiltà dell’autentico servo di Cristo, che si esprime nella fedeltà, reverenza e obbedienza al suo legittimo Vicario in terra.
    Non resta quindi che diffidare delle parole ingannevoli dell’arcivescovo e pregare per la sua conversione.

  • Enrico Nippo ha detto:

    Ma … Trabucco deve tornare a studiare il Catechismo Angelo) oppure ha colto nel segno (Occhi aperti)?

  • Mario ha detto:

    Una risposta esaurientissima al prof. Trabucco. Ma carissimo Mons. Viganò, può essere così gentile da trarre da questa risposta una seconda versione un po’ più concisa? Forse sarebbe più efficace? C’è un punto in cui il pensiero un po’ si perde, affascinato dalla sua notevolissima abilità oratoria. Grazie di cuore.

  • Angelo ha detto:

    Penso, dopo questa lectio di Mons. Viganò, che il professore Trabucco debba ritornare al catechismo.

    • Mario ha detto:

      E soprattutto non arrampicarsi sugli specchi per convincersi e convincerci ad una falsa obbedienza a quelli che la sacra scrittura chiama “mercenari”.

    • Don Pietro Paolo ha detto:

      Caro Angelo,
      mi permetta una domanda: a quale catechismo pensa che Mons. Viganò si sia ispirato nella sua “lectio”? Non certo a quello della Chiesa cattolica, che parla chiaro sull’obbedienza, sull’indefettibilità e sull’assistenza dello Spirito Santo al Magistero. Forse a un catechismo “personale”, cucito su misura per confermare le proprie idee ma non per formare rettamente la coscienza dei fedeli?

      • Angelo ha detto:

        Non certamente al catechismo che ha sostituito le acquasantiere coi totem distributori d’amuchina.

        • Don Pietro Paolo ha detto:

          Caro Angelo,
          Sembra che lei abbia sceltol’amuchina per suo “catechismo”: bah! Contento lei…,; ma mi permetta, il suo è un catechismo che sembra più il bugiardino di un disinfettante che il Vangelo di Cristo. La prossima volta, però, invece di distribuire battute da cabaret, provi a leggere davvero il Catechismo della Chiesa cattolica: lì non troverà né totem né dispenser, ma la fede di duemila anni

  • Giovanni ha detto:

    I falsi pastori usano il ” non prevalebunt ” fino al punto d’ affermare temerariamente che proprio secondo questa promessa la Chiesa prosegue il percorso, in maniera indefettibile, per cui disobbedire al capo visibile significa disobbedire al Suo Capo Invisibile. Nulla di più falso e lontano dalla verità. Bene fa’ SER Vigano’ a confutare le deduzioni del Trabucco che sembrano utili solo pro domo ecclesia…….questa ecclesia.

    • Angelo ha detto:

      Hai centrato in pieno la questione. E ci minacciano pure con le fiamme dell’inferno: extra Eccliesiam nulla salus, mentre ruminano eresie a go go, filtrano i moscerini enello stesso tempo ingoiano i cammelli, permettendo l’inganno e la menzogna. Gli rido in faccia, a questi obbedienti.

      • Don Pietro Paolo ha detto:

        Caro Angelo,
        sappia che ridere in faccia all’obbedienza significa ridere in faccia alla Parola di Dio. È Cristo stesso a dire: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me» (Lc 10,16). E la Lettera agli Ebrei ammonisce: «Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi come chi deve renderne conto» (Eb 13,17). Questa non è una prova di libertà, ma di cecità . Se ride di questo, allora non ride dei preti “obbedienti”, ma del Signore che ha fondato la Chiesa sulla roccia dell’obbedienza. E non c’è nulla di più pericoloso che ridere del Vangelo: perché la risata si spegne presto, ma la Verità resta per sempre.

        • Adriana 1 ha detto:

          Mt. 10-16, fa dire a Jeshua qualcosa di ben diverso da ciò che gli viene messo in bocca da Luca. C’è da chiedersi- visto e considerato il tono esoterico impiegato dal Maestro nella versione di Matteo- se non siano stati piuttosto i teologi a “ridere” su quanto il Maestro avrebbe qui affermato. Inoltre…è proprio da quell’Infame diktat di Paolo che derivò l’esortazione di Lutero ai Signori tedeschi armati di far fuori “le scellerate ed empie bande di contadini” ( affamati di pane e di giustizia, bisogna aggiungere).

          • Don P.P. ha detto:

            Cara Adriana,

            nei Vangeli non c’è contraddizione: Matteo e Luca trasmettono lo stesso Cristo con accenti diversi. Non c’è nulla di “esoterico”, ma la sapienza dello Spirito che ha ispirato autori diversi per comunità diverse.

            Quanto al “ridere dei teologi”: la Chiesa non affida il Vangelo a teologi che ridono, ma al Magistero che custodisce seriamente la Tradizione. I Padri e i Dottori hanno pianto e dato la vita per la verità di Cristo, non riso di Lui.

            Infine, san Paolo non è responsabile delle strumentalizzazioni di Lutero: l’Apostolo resta colonna della fede e maestro della Chiesa. È l’abuso dei suoi testi ad essere colpevole, non lui.

            La fede cattolica è semplice: un solo Vangelo, un solo Signore, una sola Chiesa. Chi ride dell’obbedienza alla Parola, in realtà, ride di Cristo stesso.

  • OCCHI APERTI! ha detto:

    TRABUCCO carissimo,
    Lei ha perfettamente colto nel segno della verità e della logica, pertanto sta infastidendo il partito dei tradizionalisti che si ispirano alle devianze scismatiche di Lefebvre, il quale continua a sedurre tutti coloro che intendono giustificare la loro disobbedienza proponendola come coraggiosa, originale e necessaria forma di santità.

    Mentre Trabucco testimonia la bellezza del Cattolicesimo di sempre istradando all’UNITÀ, Viganò insiste a tentare le anime verso un percorso di divisione e infallibilmente scismatico!

    Caro Trabucco, grazie a nome di tutti i Cattolici che tali vogliono rimanere, nonostante mai come oggi la Chiesa abbia bisogno di purificazione e di tornare al Suo Signore e alla Sua Dottrina.

  • Dino Brighenti ha detto:

    Grazie Monsignore per la Fede che esprime e mi da tanto sollievo

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