Vaticano II: la Primavera non c’è Stata. Urgente e Necessario un’Esame Critico. Marian Eleganti.

12 Settembre 2025 Pubblicato da 3 Commenti

  
  

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, Marian Eleganti, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste lucide e severe riflessioni su ciò che è seguito al Concilio Vaticano II. Buona lettura e condivisione.

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Vaticano II: la primavera annunciata non c’è stata

Sono nato nel 1955 e da bambino ero un chierichetto entusiasta. All’inizio, servivo secondo il Rito Antico, sempre un po’ nervoso all’idea di sbagliare le risposte latine; poi, nel bel mezzo dell’azione, sono stato riqualificato alla cosiddetta Nuova Messa. Da bambino, ho assistito all’iconoclastia nella venerabile Kreuzkirche (Chiesa della Santa Croce) della mia città natale. Gli altari gotici scolpiti furono abbattuti sotto i miei occhi infantili. Rimase solo l’altare del popolo, il coro vuoto; la croce nell’arco del presbiterio, Maria e Giovanni a sinistra e a destra su pareti bianche spoglie: nuove, espressive vetrate, inondate dal sole che sorgeva a est.

  
  

Nient’altro: fu un taglio netto senza precedenti. Noi bambini pensavamo che tutto fosse normale e appropriato e risparmiavamo diligentemente per il nuovo pavimento in pietra, contribuendo così alla riforma e al restauro della chiesa. L’euforia che circondava il Concilio era portata ovunque dai sacerdoti, e furono convocati sinodi, ai quali io stesso, da giovane adolescente, partecipai. Non capivo assolutamente cosa stesse succedendo. A vent’anni, ero un novizio e sperimentai in prima persona e dolorosamente le tensioni liturgiche tra i tradizionalisti e i progressisti riformatori. Furono introdotte nuove vocazioni ecclesiastiche, come quella degli assistenti pastorali sposati. Ricordo le mie osservazioni critiche su questi argomenti; le tensioni e i problemi che lentamente emergevano tra il ministero ordinato e quello non ordinato erano prevedibili fin dall’inizio. Il crollo del numero di candidati al sacerdozio era prevedibile e divenne presto evidente. Da giovane, avevo un atteggiamento senza riserve nei confronti del Concilio, e in seguito ne studiai i documenti con fedele fiducia. Tuttavia, fin dai miei vent’anni, diverse cose hanno attirato la mia attenzione: la desacralizzazione del coro, del sacerdozio e della Santa Eucaristia, così come la ricezione della Comunione, e l’ambiguità di alcuni passaggi nei documenti conciliari: mi sono reso conto rapidamente di tutto questo, da giovane laico ancora privo di istruzione teologica. Sebbene il sacerdozio sia stata l’opzione più forte nel mio cuore fin dall’infanzia, non sono stato ordinato sacerdote fino ai quarant’anni. Sono cresciuto con il Concilio, sono cresciuto e ne ho assistito all’impatto fin dal suo inizio. Oggi ho 70 anni e sono vescovo.

Col senno di poi, devo dire: la primavera della Chiesa non si è materializzata; ciò che è sopraggiunto è un declino indescrivibile nella pratica e nella conoscenza della fede, una diffusa informalità e arbitrarietà liturgica (a cui io stesso ho in parte contribuito, senza rendermene conto).

Da una prospettiva odierna, vedo tutto con crescente scetticismo, incluso il Concilio, i cui testi la maggior parte delle persone ha già abbandonato, invocandone sempre lo spirito. Negli ultimi 60 anni, cosa non è stato confuso con lo Spirito Santo e attribuito a Lui? Ciò che è stato chiamato “vita” e che non ha portato vita, ma piuttosto l’ha distrutta.

Volevano ripensare il rapporto della Chiesa con il mondo, riorganizzare la sua liturgia e rivalutare le posizioni morali. Sono ancora in fase di elaborazione. Il segno distintivo della loro riforma è la fluidità nella dottrina, nella morale e nella liturgia, l’allineamento con gli standard secolari e la spietata rottura postconciliare di tutto ciò che è accaduto prima. Per loro, la Chiesa è stata principalmente fondata a partire dal 1969 (Editio Typica Ordo Missae, Cardinale Benno Gut). Ciò che è venuto prima può essere trascurato o è già stato rivisto. Non si può tornare indietro. I più rivoluzionari tra i riformatori erano sempre consapevoli dei loro atti rivoluzionari. Ma la loro riforma postconciliare, i loro processi, sono falliti – su tutta la linea. Non sono stati ispirati.

L’Altare del Popolo non è un’invenzione dei Padri Conciliari.

Io stesso celebro la Santa Messa nel Nuovo Rito, anche privatamente. Tuttavia, grazie al mio lavoro apostolico, ho riscoperto l’antica liturgia della mia infanzia e ne noto le differenze, soprattutto nelle preghiere e nelle posture, e naturalmente anche nell’orientamento. Col senno di poi, l’intervento postconciliare sulla forma liturgica, vecchia di quasi duemila anni e molto costante, mi sembra una ricostruzione piuttosto violenta, quasi commissariale, della Santa Messa negli anni successivi alla conclusione del Concilio, associata a grandi perdite che devono essere affrontate. Ciò è stato fatto anche per ragioni ecumeniche. Molte forze, comprese quelle protestanti, sono state direttamente coinvolte nell’allineamento della liturgia tradizionale con l’Eucaristia protestante e forse anche con la liturgia ebraica del Sabato. Ciò fu fatto in modo elitario, dirompente e spietato dalla Commissione Liturgica Romana e imposto all’intera Chiesa da Paolo VI, non senza provocare gravi fratture e crepe nel Corpo Mistico di Cristo, che permangono ancora oggi.

Una cosa mi è chiara: se si può giudicare l’albero dai suoi frutti, è urgente una rivalutazione spietata e veritiera della riforma postconciliare: storicamente onesta e meticolosa, non ideologica e aperta, come la nuova generazione di giovani credenti che non conoscono né leggono i testi del Concilio. Né hanno un problema di nostalgia perché conoscono la Chiesa solo nella sua forma attuale. Sono semplicemente troppo giovani per essere tradizionalisti. Tuttavia, hanno sperimentato come funzionano le parrocchie oggi, come celebrano la liturgia e ciò che rimane della loro socializzazione religiosa attraverso la parrocchia: poco! Per questo motivo, non sono progressisti. Il cattolicesimo liberale, o meglio, il progressismo, a partire dagli anni Settanta, da ultimo sotto le spoglie del Cammino Sinodale, ha, dalla prospettiva odierna, fatto il suo tempo e ha spinto la Chiesa contro un muro, conducendola in un vicolo cieco. La frustrazione è di conseguenza grande. La possiamo vedere ovunque. Le funzioni domenicali e feriali sono frequentate per lo più da persone anziane. I giovani mancano, tranne che in alcuni punti caldi della chiesa, che sono rari e distanti tra loro. La riforma si sta autogestendo perché nessuno ci va più o legge i risultati: è una legge ferrea.

Come possiamo ancora oggi considerare la riforma postconciliare in modo così acritico e ristretto, misurata in base ai suoi frutti? Perché un confronto onesto con la tradizione e la nostra storia (ecclesiale) non è ancora possibile? Perché ci si rifiuta di vedere che siamo a un bivio e che dovremmo ripassare i libri, soprattutto liturgicamente? L’essere o il non essere della fede e della vita ecclesiale si decide sulla base della liturgia. Qui vive o muore il corpo mistico di Cristo. Tradizionalisti e progressisti hanno correttamente valutato questo aspetto fin dal 1965. Allora perché la tradizione è in aumento tra i giovani? Cosa la rende così attraente per i giovani? Rifletteteci un attimo! I piedi votano, non i concili. Forse dovremmo semplicemente cambiare direzione! Capito?

 

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3 commenti

  • Don Pietro Paolo ha detto:

    Certamente, da un benedettino, anche se vescovo e per di più in una nazione altamente secolarizzata, non vivendo in prima linea la pastorale parrocchiale quotidiana e popolare, con tutte le sue luci e ombre, non ci si può aspettare considerazioni diverse.

    Considerando le vicende del postconcilio, sembra che alcuni giudizi non colgano pienamente la complessità della realtà. Il Vaticano II non può essere ridotto al solo declino numerico delle pratiche religiose o delle vocazioni. La cosiddetta “primavera” c’è stata davvero: basti pensare alla nascita delle comunità di base, dei nuovi movimenti, delle associazioni e delle comunità ecclesiali che hanno dato linfa alla vita della Chiesa e che ancora oggi la sostengono. Per non parlare della riscoperta della Parola di Dio nella lingua del popolo, della nuova centralità della partecipazione comunitaria e della rinnovata coscienza del laicato come parte viva della Chiesa. Certo, questa primavera è durata poco, anche a causa di interpretazioni distorte o riduttive, ma non se ne può negare l’esistenza.

    Anche sul piano liturgico, non è stata la riforma in sé a risultare perniciosa. La costituzione Sacrosanctum Concilium non ha mai chiesto demolizioni di altari o rivoluzioni radicali, né la rottura con la tradizione, ma un rinnovamento volto a favorire la partecipazione consapevole e attiva dei fedeli. I problemi sono venuti soprattutto dagli abusi e dagli straabusi di alcuni (non bisogna mai generalizzare): banalizzazione, creatività senza misura, improvvisazioni che hanno talvolta portato alla vera e propria dissacrazione.

    La questione decisiva resta come si partecipa alla celebrazione. Ciò che conta è che i fedeli – soprattutto i giovani – scoprano nella Messa, in qualunque forma celebrata, la presenza reale del Signore che parla, nutre, salva e invia.

    Il decoro e la bellezza del rito sono certamente importanti, ma non sufficienti. Ciò che più conta, a mio parere, è la partecipazione interiore e reale, sia del sacerdote che celebra sia del laico che partecipa. Si può anche assistere a una Messa in Vetus Ordo ed esserne profondamente toccati dalla bellezza estetica, senza però lasciarsi convertire dall’incontro con Cristo. La liturgia è vita sacramentale, non semplice contemplazione estetica. La vera questione, ripeto di nuovo, non è l’estetica, ma l’esperienza viva della presenza del Signore che parla, nutre e trasforma. E il Signore parla, nutre e trasforma in ogni Messa, qualunque sia il rito in cui viene celebrata.

    I frutti del Concilio non si leggono solo nelle cifre, ma anche nella fioritura di vocazioni missionarie, nella nascita di nuove comunità di vita consacrata, di nuove società di vita apostolica, di nuovi istituti secolari: tutte nuove forme di comunità cristiana che hanno saputo incarnare il Vangelo in un mondo secolarizzato. La crisi, più che dal Concilio, deriva dalle sue interpretazioni parziali e dagli abusi che ne hanno snaturato lo spirito.

    Alla luce di ciò, il Vaticano II resta un dono dello Spirito, che chiede ancora di essere accolto nella sua pienezza e vissuto con fedeltà e creatività, senza nostalgie né cedimenti.

  • Angelo ha detto:

    “L’essere o il non essere della fede e della vita ecclesiale si decide sulla base della liturgia. Qui vive o muore il corpo mistico di Cristo.”
    Cioè, lex orandi lex credendi. Non pochi lo hanno predicato da quel 1969, molti ridotti a predicare nel deserto, sospesi a divinis, o scomunicati. E ancora vengono accusati d’essersi resi scismatici. Altro che primavera, “da qualche fessura è entrato il fumo di Satana”. Chi ha seminato vento raccoglie tempesta. Altro che “esame critico”, a mio parere, se si indaga su quella fessura salterà il Concilio stesso.

  • Dino Brighenti ha detto:

    Padre Figlio Spirito Santo e Maria Santissima AIUTO!!!

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