Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, Matteo castagna, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni su un nuovo orizzonte geopolitico. Buona lettura e diffusione.
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di Matteo Castagna
E’ in atto una crisi diplomatica tra Tokyo e Pechino dovuta alle recenti dichiarazioni sull’isola di Taiwan della nuova premier ultra-conservatrice, Takaichi Sanae, amica e probabile sponda politica, strategica ed economica del Presidente USA, Donald Trump. L’indipendenza di Taiwan è la questione internazionale più delicata ed esplosiva per il regime di Xi Jinping.
Non è abitudine del nostro Paese tenere in considerazione quanto accade molto lontano. Ma le ripercussioni di questa ingenuità, potrebbero essere subite all’improvviso, senza che l’opinione pubblica ne conosca i motivi. Perciò è bene conoscere la situazione geopolitica dell’estremo oriente, che potrebbe portarci dentro un nuovo conflitto. Il 7 novembre scorso Takaichi è stata messa in difficoltà da un deputato dell’opposizione in merito all’eventuale atteggiamento del Giappone in merito ad un blocco aeronavale di Taiwan, da parte della Cina.
The Japan News, che probabilmente nessuno conosce e pochi hanno nella rassegna stampa quotidiana, racconta l’episodio. La leader del Jimintō (Partito Liberal Democratico) ha risposto che «costituirebbe una situazione pericolosa per la sopravvivenza» del Giappone.
Takaichi ritiene probabile l’uso della forza da parte dell’Esercito Popolare di Liberazione (Epl) per impedire l’arrivo delle Forze armate statunitensi. Tale scenario secondo il Primo ministro giapponese, determinerebbe una «crisi esistenziale» per Tokyo, come stabilito dalla legislazione sulla sicurezza, e che il salvataggio dei cittadini giapponesi sarebbe la massima priorità.
La premier ha concluso il suo discorso, in maniera preoccupante: “dobbiamo essere preparati anche allo scenario peggiore”.
The Japan News, in un editoriale del 22 novembre ha aggiunto: “è lodevole che il governo stia stanziando 7,2 trilioni di yen in “investimenti strategici che migliorano la resilienza contro potenziali crisi” per facilitare gli investimenti attraverso la cooperazione pubblico-privato in settori come l’intelligenza artificiale, i semiconduttori e la cantieristica navale. Sarebbe ragionevole adottare misure come lo stanziamento di 1,7 trilioni di yen per le spese per la difesa in anticipo rispetto al previsto.
Il problema è che il pacchetto completo di stimolo economico include misure che sembrano lauti aiuti finanziari. Il governo non riesce a valutare a sufficienza l’efficacia delle misure e a determinare quali progetti debbano essere sostenuti. I bilanci supplementari prima della pandemia di COVID-19 ammontavano a diverse migliaia di miliardi di yen. La portata delle misure economiche globali è troppo eccessiva, nonostante il Paese non si trovi attualmente in uno stato di crisi economica”.
Tuttavia, la rivista italiana Aliseo racconta che il console cinese a Osaka, Xue Jian, in un post su X (poi rimosso) ha commentato come «non ci sarebbe altra scelta che tagliare quella testa sporca senza un attimo di esitazione». Il 9 novembre, il ministro dell’Educazione cinese ha chiesto di riconsiderare le proprie scelte ai giovani intenzionati ad andare a studiare in Giappone.
Il Ministero per gli Affari Esteri ha invitato i cinesi a evitare di visitare il Giappone, sostenendo come, nel Sol Levante, i crimini verso i propri connazionali siano in aumento.
The Japan News ricorda che il premier cinese Li Qiang ha rifiutato un incontro con Takaichi Sanae ai margini del prossimo vertice G20 di Johannesburg, perché rea, con i suoi commenti, di aver gravemente danneggiato le relazioni sino-giapponesi, come affermato anche dalla portavoce del ministero degli Esteri cinese Mao Ning.
Domenica 16 novembre, vascelli della Guardia Costiera cinese sono entrati nelle acque territoriali delle isole Senkaku, in un pattugliamento definito dalle autorità siniche come legittimo poiché svolto nella zona contigua alle Diaoyu (nome cinese dell’arcipelago).
Le Senkaku sono oggetto di 80 anni di liti tra Tokyo, Pechino e Taiwan (che le rivendica anch’essa col nome di Tiaoyutai). Le isole, fino al 2012 erano possedute da privati cittadini giapponesi. Tuttavia, nel settembre di quell’anno l’allora governo di Shinzō Abe decise di acquistarle e di nazionalizzarle. Una scelta, quella del defunto Primo ministro e mentore politico di Takaichi Sanae, che ha provocato un’escalation tra Pechino e Tokyo sul possesso dell’arcipelago.
Nel 2014 il governo Abe decide di intraprendere la strada della riforma costituzionale a fini difensivi. Inquadrata con una rigida impostazione pacifista, la carta costituzionale, frutto dell’occupazione militare americana dopo la Seconda guerra mondiale, viene parzialmente rivista, istituendo il concetto di “autodifesa collettiva”, allargata alla NATO e all’UE. Takaichi Sanae si è espressa in linea con questo concetto a fronte di una possibile escalation militare a Taiwan.
La nuova premier giapponese fa parte della corrente più a destra del Jimintō, ha iniziato subito il mandato, consolidando le relazioni con Donald Trump, da sempre amico del defunto ex Primo ministro. Il segretario di gabinetto, Minoru Kihara, in una conferenza stampa ha voluto riaffermare che la posizione del Giappone sulla questione taiwanese non è cambiata dal 1972, anno della dichiarazione congiunta sino-giapponese.
Il Giappone riconosceva la Repubblica Popolare Cinese come legittimo governo di quello che fu il “Celeste Impero”. Tokyo, inoltre, comprendeva le posizioni cinesi su Taiwan, auspicando una soluzione pacifica della controversia.
La Cina, però, è intenzionata a riprendersi l’ “isola ribelle” entro il 2049, che corrisponde al centenario della vittoria dei comunisti nella guerra civile, con l’inglobamento di Formosa come elemento necessario a suggellare la riunificazione nazionale e a cancellare il secolo delle umiliazioni.
Una doccia fredda per Tokyo, che nel 2024 ha ospitato sul territorio nazionale quasi 7 milioni di turisti cinesi che hanno portato nelle casse giapponesi 1,73 trilioni di Yen (circa 11 miliardi di dollari), posizionandosi al primo posto per contributo di spesa.
La caduta dell’isola metterebbe a rischio tutte le isole meridionali del Giappone. Povero di materie prime, il Giappone è costretto a ricorrere alle importazioni per soddisfare il proprio fabbisogno energetico e alimentare. Oggi acquista dall’estero circa il 60% delle derrate consumate nel Paese, risultando il terzo maggiore importatore al mondo per un valore di 67 miliardi di dollari nel 2023, provenienti in gran parte da Stati Uniti e Cina.
Parimenti vale per il settore energetico. Persino la sudditanza da combustibili fossili è divenuta una vulnerabilità critica in un contesto come quello indopacifico, fatto di instabilità geopolitica.
La rivista Aliseo insiste sul fatto che “oltre il 99% del petrolio, del Gas naturale liquefatto (Gnl) e del carbone sono importati via mare, rendendo il sistema energetico giapponese fortemente esposto sia agli shock dell’offerta globale di combustibili fossili, sia a possibili crisi che coinvolgono le rotte di approvvigionamento.
Dallo Stretto di Taiwan passa oggi circa il 32% delle merci dirette verso il Giappone e il 25% di quelle che Tokyo esporta all’estero. Un’eventuale presa dell’isola da parte di Pechino consentirebbe a quest’ultima di controllare l’omonimo stretto, regolandone i flussi commerciali a piacimento, anche solo per imporre una linea politica più conciliante ai Paesi rivieraschi come il Giappone”.
In tale contesto, per Tokyo diviene vitale preservare l’indipendenza di Taipei. Le recenti esternazioni di Takaichi Sanae, anche se non condurranno a un eccessivo inasprimento del già complesso rapporto tra Tokyo e Pechino rivelano un Giappone in difficoltà.
Ecco perché, se gli Stati Uniti intervenissero militarmente a Taiwan, Tokyo sarebbe il suo primo alleato, determinando un effetto domino di interventi che potrebbe seriamente costituire un ulteriore ambito critico. Ciò che le diplomazie stanno cercando di evitare è il rischio, piuttosto concreto, che a seguito di una sostanziale normalizzazione in Medio Oriente e Ucraina, l’Indo-Pacifico possa diventare la prossima miccia per un conflitto su larga scala, che va evitato perché potrebbe coinvolgere tutto il mondo.
Matteo Castagna
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