Gaza, Iran, Tel Aviv. Per i Media Occidentali – e Italiani – Ci Sono Morti di Serie A, B, e C.

20 Giugno 2025 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione qualche elemento di giudizio sugli orrori perpetrati in Medio Oriente dall’Occidente e dai suoi uomini di mano, come si direbbe in linguaggio mafioso. Che è il più adatto a descrivere  ciò che sta succedendo. Partiamo dall’ospedale in Israele.

Il primo elemento è questo post di Inside Over:

Il Ministro della Difesa israeliano Katz – cioè uno dei responsabili dell’aggressione non provocata all’Iran – ha avuto parole durissime verso Khamenei. Posso dire che il sig. Katz – e i suoi propagandisti in Italia – non conoscono vergogna? leggete qua sotto e capirete perché. 

Israele ha distrutto, bombardato o danneggiato 38 ospedali a Gaza dal 7 ottobre, rendendoli completamente non funzionanti.

Ha anche spazzato via 81 principali centri sanitari e 164 altre strutture come cliniche e laboratori.

Sono 283 siti sanitari presi di mira, uno smantellamento sistematico del sistema sanitario di Gaza.

Fonte: Istituto per gli studi sulla Palestina, maggio 2025

La mattina di giovedì 19 giugno, diversi post su X hanno riportato la notizia che l’Iran avrebbe colpito direttamente l’ospedale Soroka di Be’er Sheva, in Israele.

Molti quotidiani nazionali hanno rilanciato la notizia senza però fornire alcuna verifica geolocalizzata né un’analisi approfondita delle immagini disponibili. Un articolo pubblicato da una testata italiana mostra varie fotografie di un bombardamento, raccolte sotto il titolo: “Israele, missili iraniani su un ospedale”.

Tuttavia, attraverso strumenti di analisi OSINT come Google Maps, Google Earth e fotografie Open Source, è stato possibile determinare che gli edifici mostrati non appartengono all’ospedale Soroka. Si tratta invece di palazzi situati in un quartiere residenziale poco distante.

Un’altra immagine circolata online è indicata da diversi account come prova dell’attacco al Soroka. La fotografia mostra una colonna di fumo che apparentemente sale dall’ospedale. In realtà, non c’è alcuna evidenza che il fumo provenga dall’ospedale e le immagini visionate dalla redazione mostrano civili che filmano vetri esplosi ma senza prova alcuna di un detonamento all’interno della struttura. L’obiettivo dichiarato dall’Iran sarebbe stato il Negev High-Tech Park, sede della cyber-intelligence israeliana, situato proprio dietro l’ospedale, obiettivo questo militare, non civile.

Un terzo video, diventato virale su X e su altre piattaforme, mostra un’esplosione descritta come un attacco all’ospedale Soroka. Anche in questo caso, l’analisi geolocalizzata delle immagini mostra che il luogo colpito è in realtà la zona di Ramat Gan, a oltre 100 km di distanza da Be’er Sheva.

In totale, le analisi OSINT effettuate dimostrano che almeno tre differenti luoghi sono stati erroneamente attribuiti all’ospedale Soroka, ma nessuno di questi coincide con l’ospedale stesso.

Il nostro approfondimento mostra come, durante un conflitto come quello tra Israele e Iran, la disinformazione giochi un ruolo cruciale.

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Ma attenzione! Vediamo questo post su Instagram (e cliccate per il video) e scoprirete alcune cose che i media e la propaganda israeliana, in Italie e all’estero, non dicono.

L’edificio colpito? E è Una struttura chirurgica secondaria, evacuata da tempo.
L’ospedale non è stato colpito direttamente, né distrutto , ha avuto un po’ di danni collaterali.
L’obiettivo era militare – lo confermano anche fonti locali dell’occupazione

Uriel Buso, ministro della Salute israeliano, grida:
“È un crimine di guerra! Un atto terroristico!”
Maaaah
Chi mette strutture militari tra i civili?
Secondo la propaganda: Hama$.
Secondo l’Occidente: Hezboll@h.

Ma la realtà oggi ci dice: che gli alleati dell’occidente che lo fanno , sono gli izrahelliani.
Solo che ha la stampa come sappiamo già da MOLTO TEMPO è complice con la propaganda dell’occupazione .

Quando Israele parla di ospedali bombardati, non sta denunciando: 👉SI STA CONFESSANDO👈

Ogni loro accusa è un’ammissione involontaria.
Uno specchio rotto che riflette le proprie colpe.
Dal cielo, dopo l’attacco, arriva una dedica
E pesa come piombo:
“Questo è per i tuoi occhi, Gaza.”
Un’espressione araba che significa:
👀 che Ti vediamo, ti difendiamo. Questo gesto è per te.
Non è una minaccia. È un giuramento.
@vincenzo_fullone_2

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E ancora di più grazie a questo post:

 

Il canale russo RT ha condiviso una mappa sul suo account X, affermando che i mi$siles iraniani hanno preso di mira esattamente i siti militari e di intelligence isr@eli durante gli scioperi di giovedì.

Secondo RT, i mi$siles hanno colpito direttamente le posizioni delle Forze di occupazione Isr@eli (/IOF), non il Soroka Hospital. Tuttavia, le onde d’urto degli scioperi hanno causato d@mage all’ospedale, che è la più grande struttura medica del sud Isr@el.

#DialoguePakistan #Russian #state #map #Iran

 

E infine questo commento di Lavinia Marchetti, che ringraziamo di cuore. 

 

GAZA, IRAN E IL SENTIRE DI PARTE: IL CORDOGLIO COME MECCANISMO DI POTERE E NARRAZIONE GEOPOLITICA. TELECAMERE FISSE SU TEL AVIV.
di Lavinia Marchetti
Ho letto i bollettini. Ho guardato le immagini. E poi ho spento tutto. Mi sono chiesta se fossi io a essere disallineata, o se il mondo intero avesse deciso di ritagliare selettivamente la sensibilità collettiva, distinguendo i morti accettabili da quelli irrilevanti. Perché il lutto è stato recintato in una scala di prestigio emotivo, e il cordoglio convertito in metrica di sistema. Questo testo nasce così, come cronaca anomala di un tempo deformato, in cui la morte vale solo quando somiglia a noi. O ai nostri interessi geopolitici.
Il 15 e il 16 giugno (oggi) 2025, mentre le homepage di Repubblica e Corriere aprivano con sei morti israeliani nel sobborgo di Bat Yam, in Iran si contavano, secondo Repubblica del 16 giugno, oltre 1400 vittime tra morti e feriti in soli tre giorni, con attacchi aerei e autobombe che hanno colpito anche palazzi del potere nella capitale.
Le cifre ufficiali del ministero della Salute parlano di 224 morti, oltre il 90% civili, ma diverse fonti indipendenti e internazionali – tra cui WSJ e Politico – indicano oltre 400 morti accertati, e più di 1200 feriti complessivi, in una carneficina che coinvolge civili, tecnici e personale sanitario.
Al Jazeera racconta di Roya, 62 anni, svegliata dal boato e trovata con il cuore in gola davanti a un edificio sventrato due isolati più in là. La ragazza Najmeh, filmata inerme fra le macerie, è solo un frame in una memoria collettiva che non verrà archiviata. Eppure, a leggere i giornali occidentali, sembrerebbe che sia Teheran a prendere deliberatamente di mira i civili, mentre Israele colpirebbe con chirurgica etica solo obiettivi militari.
Ma neanche per sogno. Le immagini, i numeri, i corpi raccontano altro.
E chi continua a fingere che le bombe israeliane distinguano fra bambini e combattenti, fra ambulanze e arsenali, non ha più scuse: ha solo complicità.
Ma la stampa occidentale, quando riporta questi eventi, si rifugia nel linguaggio tecnico. Non troviamo storie, visi, dolori. Solo dati: “224 people killed in Iran, say officials”.
Titoli sobri, neutri, come se la morte fosse un dato geologico, statistiche da assicuratori. Al contrario, sei israeliani uccisi vengono raccontati con nome, età, passioni: Shem, 29 anni, dice alla Reuters: «People are losing their lives and homes». Il trauma è personale, commovente, individualizzato.
A Gaza, contemporaneamente, un blackout di rete totale (fonte ONU) ha isolato la popolazione.
Gli ospedali erano senza comunicazioni, gli aiuti impossibili da gestire. Il 15 giugno, 41 morti palestinesi: cinque erano in fila per il cibo vicino a un sito dell’ONG Humanitarian Foundation. A Nuseirat, 11 corpi in un’unica abitazione. Altri 27 a Khan Younis. Il caos era tale che la distribuzione degli aiuti si è trasformata in carneficina: centinaia pressavano disperati verso i camion, mentre proiettili cadevano tra le mani vuote. Munir al-Bursh, direttore del ministero della Sanità di Gaza, ha detto: «Aiuto distribuito sotto il fuoco non è aiuto, è umiliazione».
Ma quante immagini avete visto, nei tg europei, del volto sfigurato di Gaza? E quante, invece, di Tel Aviv?
Le guerre non si equivalgono. Questo lo sanno i soldati, i filosofi, e perfino i redattori di cronaca.
Ma è la rappresentazione a determinarne il valore simbolico.
Una morte israelo-occidentale è luttuosa, luttuabile. Una morte iraniana o palestinese è amministrativa, statistica, fondata su comunicati. Il trauma è un fatto culturale prima che biologico: si elabora ciò che si riconosce. E il nostro sguardo, oggi, riconosce solo ciò che è narrato nel formato previsto dall’empatia autorizzata.
Il 16 giugno la BBC riportava ancora dichiarazioni israeliane sui rischi di escalation, mentre su Gaza si pubblicavano “update” sporadici dagli uffici ONU.
Nessuna breaking news. Nessuna apertura. Nessun approfondimento visivo. La morte a oriente del cordoglio avviene fuori campo.
Questa non è solo disinformazione: è verticalità etica del sentire. Permettetemi la definizione di “colonizzazione mediatica del dolore”.
È il postumanesimo baby, che seleziona a chi concedere l’onore dell’umano.
Gaza scompare nel blackout, Teheran brucia fuori fuoco, e i titoli scorrono.
Dopo la pubblicità, la guerra diceva un articolo che ho condiviso ieri.
E poi crema idratante per la pelle sensibile. E poi ancora “breaking”: un razzo a Tel Aviv.
Intanto, Najmeh non respira più. Roya guarda il buio.
E un ragazzino palestinese raccoglie le scarpe insanguinate del padre senza sapere se avesse più paura dei proiettili o della fame.
Il mondo ha fatto del lutto una questione diplomatica.
E noi, in quale morte ci riconosciamo?
Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "NOVITA DALL'IRAN, DA GAZA, DA TEL AVIV DOPPI STANDARD INCLUSI E IMMANCABILI"

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