De Gasperi, la Politica come Missione. Incontro: Sopravvivere alla Malascuola. Eventi e Segnalazioni del prof. Lazzaretti.
22 Maggio 2025
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il prof. Giovanni Lazzaretti offre alla vostra attenzione questo elenco di iniziative ed eventi. Buona lettura e diffusione.
§§§
INIZIATIVE
[1] *OGGI* GIOVEDI’ 22 MAGGIO 2025, 20.30, REGGIO EMILIA, MARCO ODORIZZI, “ALCIDE DE GASPERI, LA POLITICA COME MISSIONE”
La conferenza odierna si inserisce nell’ambito della mostra su Alcide De Gasperi (Università, ex Seminario).
[2] SABATO 7 GIUGNO 2025, 10.00, REGGIO EMILIA, FREZZA-DAL BOSCO-MACCABIANI-LAZZARETTI, “SOPRAVVIVERE ALLA ‘MALASCUOLA'”
I venti minuti del mio intervento saranno dedicati alla nostra Scuola Materna Regina Pacis. Aperipranzo coi relatori.
TESTI, NOTE & CONTRIBUTI
[1] TAPPI E ACQUA
A San Martino e in tanti altri paesi si raccolgono tappi. I tappi di plastica, anche adesso che sono agganciati alla bottiglia, vengono staccati e conservati a parte, perchè sono di una plastica diversa. Raccolti e riciclati, generano ad esempio pozzi in Tanzania. Articolo e foto nel PDF allegato.
[2] BENVENUTA!
Rilancio l’intervento di Benvenuta Plazzotta all’XI Corso di Economia Distributista.
XI CORSO DI ECONOMIA DISTRIBUTISTA
Unione fra capitale e lavoro
In questo incontro non approfondirò tutti i valori fondanti del Distributismo, cioè che: – – – –
la persona, assieme alla famiglia, devono essere tutelate nella loro libertà educativa ed
economico-sociale
capitale e lavoro devono essere uniti
chi lavora deve partecipare alle decisioni della sua vita socio-lavorativa, attraverso un sistema
che non è partitico ma partecipativo in relazione all’ambito lavorativo
la proprietà della moneta deve essere dei popoli e degli Stati.
Premetto che la mia esperienza personale in questo studio inizia dalla Lettura della Rerum Novarum
di Leone XIII, quindi da una posizione religiosa, ma posso affermare senza ombra di dubbio, che i valori
che ho approfondito in quell’Enciclica, in tutta la Dottrina sociale della Chiesa, e nelle idee
economiche di Chesterton, Padre Mc Nabb e Belloc, sono quei valori NATURALI, che sono insiti
nell’uomo per giungere alla realizzazione di sé stesso e, attraverso questo, alla costruzione di una
società giusta e civile, oltre i dettami della religione.
Il cuore del distributismo quindi, ci mette a disposizione una visione che, se oggi ci sembrerà
“alternativa”, in realtà è basata sui principi elementari del buonsenso o, com’è meglio definire, è un
ritorno ai principi della retta ragione.
Non è la terza via fra social-comunismo e capitalismo, è l’unica via naturale.
Oggi, come è accaduto in passato, soprattutto in ambito cattolico, si cataloga questa teoria economica,
(senza neppure approfondirla), classificandola come pura teoria, anzi, come utopia irrealizzabile o
come un nuovo socialismo destinato a fallire, come già accaduto in passato.
Una presunzione ottusa impedisce l’analisi di una costruzione sociale che, oggi più che mai, in un
tempo in cui assistiamo, senza poterci opporre in alcun modo, alle angherie di un capitalismo
tentacolare e disumano, essa ci può offrire uno spiraglio di luce in fondo al tunnel.
Riprendo quindi da quello fra i valori fondanti che approfondirò specificatamente in questa relazione,
l’unione fra capitale e lavoro.
Valutiamo le posizioni delle due teorie economiche del secolo scorso, delle quali la dottrina
distributista, e soprattutto Papa Leone XIII, avevano già previsto le conseguenze negative.
Da una parte la teoria del social-comunismo, che abbiamo visto fallire in ogni sua accezione.
Dall’altra il liberal-capitalismo, in cui siamo immersi oggi, mentre consideriamo unanimemente questa
teoria come l’unica attuabile, l’unica possibile via da percorrere.
Ne siamo talmente immersi da usarne il linguaggio e le dinamiche, in una modalità inconscia.
I punti in comune delle due teorie, che apparirebbero opposte, sono invece molti.
Essenzialmente la tendenza a concentrare il potere nelle mani di pochi, allontanando il possesso dei
mezzi di produzione da chi lavora.
Il capitalismo concentra questi poteri nelle mani di pochi proprietari, perlopiù non appartenenti al
mondo della produzione ma piuttosto a quello dell’alta finanza, alleata con lo Stato, che viene “usato”
per far passare quelle leggi che consentono la progressiva aggregazione del capitale in poche mani.
Ecco come nasce il concetto di Stato servile, uno Stato servo, corrotto e ricattato.
Una realtà che possiamo sperimentare ogni giorno.
La persona nel pensiero capitalista è un numero, è merce con un prezzo, è una pedina intercambiabile,
è uno strumento che può essere reso inutile da un momento all’altro, sostituendolo con automazioni
o trasferendo in altri luoghi più convenienti le produzioni. Una teoria quella capitalista che si fonda
essenzialmente sull’avidità, sulla sete di potere, sulla mancanza di rispetto dell’ambiente.
Il socialcomunismo è l’altra faccia della stessa medaglia, sostiene che capitale e lavoro devono essere
separati per giustizia sociale, e che il capitale debba essere concentrato nelle mani dello Stato, asettica
f
igura che distribuisce equamente a tutti, in egual misura.
Di fatto, è una teoria basata sull’invidia sociale, sull’appiattimento della persona, sull’eliminazione
della competitività e della valorizzazione nel merito.
I frutti di questo pensiero li abbiamo visti concretizzati in tutte le repubbliche socialiste, con le
conseguenze che abbiamo registrato, ma in parte sono insiti anche nel nostro attuale pensiero
economico.
Nella teoria distributista invece lo Stato è uno degli attori, che ascolta le esigenze e le proposte che
provengono dai corpi intermedi, siano esse le famiglie, le corporazioni lavorative, ogni ente per la
sussidiarietà, che viene favorita in ogni modo. Lo Stato in questo percorso incentiva la proprietà
privata e di conseguenza la proprietà privata dei mezzi di produzione.
Eccoci arrivati a comprendere la logica dell’affermazione unione fra capitale e lavoro, ora
avviciniamola concretamente ai giorni nostri.
È necessario definire i termini.
Parto dalla nozione di lavoro, un concetto che pare sia destinato a scomparire, se nell’agenda 2030 si
afferma che senza lavoro saremo felici (secondo un concetto del lavoro vissuto come punizione e non
come privilegio, concetto prodotto da un’élite autoreferenziale e fondamentalmente classista) in un
percorso di transumanesimo molto chiaro.
Ci è evidente come tutto ciò non sia naturale, ma porti la persona ad una perdita di senso, ad una
perdita di identità, ed infine di dignità.
Nella Treccani il concetto di lavoro è: “l’applicazione delle facoltà fisiche e intellettuali dell’uomo rivolta
direttamente e coscientemente alla produzione di un bene, di una ricchezza, o comunque a ottenere
un prodotto di utilità individuale o generale”.
Non si parla di remunerazione, nello specifico.
Quindi l’uomo si realizza nel fare, che sia leggere, studiare, costruire, cucinare, prepararsi per
partecipare a questo incontro, qualsiasi cosa sia di compimento in qualche modo al suo spirito
interiore, alla sua naturale vocazione, al suo desiderio innato.
Il lavoro, questo concetto di lavoro, è quindi parte integrante dell’uomo. [2]
Il lavoro si realizza per molta parte nell’impresa, e l’impresa, nella sua accezione di luogo di
realizzazione dell’uomo, oggi va tutelata come ultima cellula di una vera umanità.
Oggi invece, l’impresa, (in particolare la piccola impresa, ed è questo il tema che vorrei approfondire),
è colpita in ogni modo al fine di eliminarla, proprio in coerenza con quel disegno globalista di cui
abbiamo chiaro il messaggio. E questo avviene senza che ce ne rendiamo razionalmente conto.
Infatti, è proprio la piccola impresa che può frenare quel processo di disintegrazione della società e di
disumanizzazione della persona, che il globalismo considera come già compiuto.
È nella piccola impresa che l’umano può esprimersi, laddove si comprendano i valori essenziali e non
ci si lasci inavvertitamente trascinare in una mentalità capitalistica, che porterebbe unicamente
all’autodistruzione dell’impresa stessa.
Quanto sta accadendo nella nostra società è stato progettato nel lunghissimo periodo, ed è
chiaramente distruttivo (ciò che vediamo va ben oltre la sete di ricchezza, ma travalica in una sete di
potere fine a sé stesso).
Siamo chiamati, forse per la prima volta nella nostra esistenza, a metterci davanti ai nostri valori (e a
dare delle priorità a questi), per prendere una posizione coraggiosa e impegnativa.
Se abbiamo ricevuto una vocazione, che sia quella di fare impresa o di insegnare, o di curare, non
possiamo nasconderci principi e valori, non possiamo sottrarci, in una sorta di rassegnazione e
sottomissione, alla realtà a cui siamo chiamati.
L’impresa intesa nell’ambito distributista ha caratteristiche essenziali: – la persona è al centro dell’impresa stessa e va considerata in base alle sue potenzialità, ai suoi
progetti, alle sue aspettative. – l’impresa ha una responsabilità sociale nei confronti del territorio in cui insiste, azione che
concretizza anche attraverso la sua partecipazione ai corpi intermedi. – Il capitale deve essere reinvestito nell’impresa stessa. – c’è un territorio ben definito in cui l’impresa opera, le dimensioni devono rimanere limitate.
Quindi ecco che:
1) il capitale è legato al lavoro: ogni risorsa guadagnata deve essere reinvestita per permettere il
miglioramento delle condizioni di lavoro e dell’impatto ambientale, per migliorare la formazione degli
addetti e la qualità del prodotto.
Questo in ossequio ai dettami della Dottrina della Chiesa ed in netta controtendenza con la scuola di
pensiero liberista. Il liberismo infatti reputa sottraibile dall’azienda il surplus, spesso per farlo fruttare
in ambito finanziario, condizione che nel lungo periodo, dagli anni 80, ha portato ad una progressiva
decadenza fisiologica delle imprese, ad una autodistruzione per miopia, fino alla crisi attuale.
Grande responsabilità in questo processo è da addebitare al sistema bancario e finanziario, in un
progetto premeditato che ora possiamo valutare storicamente.
Seconda caratteristica distintiva, in contrapposizione ai dettami del capitalismo, l’impresa deve
scegliere
2) una dimensione limitata, un raggio d’azione circoscritto. Nella dimensione limitata, c’è spazio per
altre imprese simili, che riescono a mantenere al loro interno rapporti umani equilibrati, in una scala
gerarchica limitata e con una dirigenza presente sul luogo in cui opera.
È un agire continuo con la Persona al centro, sia nel ruolo di decisore che in quello di collaboratore.
L’obiettivo di una crescita continua è tipicamente capitalista ed è fenomeno patologico, per tutte le
conseguenze che da queste scelte ne derivano.
3) il ruolo dell’imprenditore
Essenziale per chi conduce un’azienda secondo il pensiero distributista è comprendere che l’azienda
non è la “sua” azienda, ma è un bene della comunità, è la “nostra” azienda, è di tutti coloro che ci
lavorano. Questo è il passaggio essenziale da piccola impresa familiare a impresa organizzata, uno dei
passaggi più difficili da comprendere.
Esiste oggi una concezione “deviata” di piccola impresa, in particolare nell’ambito dell’impresa
familiare tipica del secolo scorso, dove si intendeva l’impresa come esclusiva proprietà della famiglia,
che ne aveva la completa disponibilità, non intendendola invece come ente produttore di economia
e di bene per l’intera comunità, nella visione di una responsabilità sociale sulle persone e sul territorio
in cui l’impresa insiste.
L’impresa distributista ideale è ancor meglio una cooperativa, all’interno della quale la maggior parte
dei lavoratori è proprietaria dei mezzi di produzione. La cooperativa Mondragon, nei paesi Baschi ne
è, fin dal 1956, un esempio concreto e positivo. Nonostante abbia raggiunto 70.000 addetti in 150
Paesi, mantiene i principi chiave del distributismo nella sua organizzazione aziendale (dimensione
limitata = nascono più imprese simili nella stessa cooperativa, lavoro e capitale sono uniti = in ogni
paese dove ha sede c’è una dirigenza locale, ecc). [3].
(Purtroppo, nel caso italiano delle gestioni cooperative è successo spesso che si siano stati perseguiti
valori capitalistici, argomento che meriterebbe un approfondimento a parte).
In ogni caso, sia nella piccola impresa come nella cooperativa, è indispensabile una figura di
riferimento, un coordinatore che ne sia responsabile, è colui che decide, ma nella teoria distributista
non è più solo a coordinare tutto.
È colui che ha doti di visione, organizzazione, forza interiore e costanza.
Ma non è un “uomo solo al comando”: una figura che, nel lungo termine, diventa autodistruttiva
perché si auto-sfrutta, non lasciando spazi alla vita personale.
Ha imparato a delegare quanto più possibile, individuando all’interno del team di lavoro le persone
che si sentono gratificate (non oppresse) da queste deleghe, ben sapendo che questa formazione
potrà portare alla nascita di nuove imprese.
Condivide conoscenze, per aiutare chi deve prendere le decisioni successive alla delega, condivide
esperienze per offrire una visione del futuro più nitida, condivide il passato, la storia, (anche quella
più difficile, fatta di errori) perché da questa condivisione tutti possano crescere, condivide un
patrimonio essenziale di valori. Se avrà saputo coltivare questi valori, l’impresa non morirà con lui,
superando quel grave nodo distruttivo che è stato in molte imprese il passaggio generazionale.
L’imprenditore percepisce la retribuzione più alta di ogni altro collaboratore, perché il suo tempo di
lavoro non è definito e poiché porta su di sé il peso del rischio.
D’altra parte, parte della sua remunerazione è anche l’avere il privilegio di decidere, di condurre, di
esprimere le sue doti di visione e di forza interiore.
4) il ruolo del collaboratore
I collaboratori nell’impresa sono indispensabili, qualsiasi imprenditore visionario può fare ben poco
se non è sostenuto da una squadra di collaboratori motivati.
Collaboratori motivati non sono un costo, ma diventano una risorsa, e debbono essere remunerati il
più possibile, gratificati degnamente anche reinvestendo le risorse eccedenti nell’impresa.
Nel rispetto delle esigenze e delle inclinazioni di ognuno, il compito dell’imprenditore è di individuare
il ruolo migliore per ognuno di loro ben sapendo che non tutti possono (o desiderano) diventare
imprenditori, ma che tutti i ruoli sono costruttivi nell’impresa, e tutti ne devono essere ben consci.
L’impresa coltiva la vita della famiglia, che è il luogo, assieme al lavoro, della realizzazione della
persona. Chi collabora all’impresa la vive, ma lo spazio per la sua vita deve essere rispettato.
Si può obiettare che ormai non esistono più collaboratori responsabili, che non ci sono più, che per
tutti il lavoro è ormai solo un peso.
Cambiati i termini, cambiate le condizioni e le prospettive, tutti desiderano un posto di lavoro che li
identifichi come persona. Non nascondiamoci che ci sono due mondi (quello di chi sa creare posti di
lavoro e quello di chi il lavoro lo compie) che si stanno cercando e che hanno necessità l’uno dell’altro.
Non sono tanti ma ci sono, ed è necessario farli incontrare.
5) i fornitori
È indispensabile creare un rapporto consolidato, di fiducia, con i fornitori; essi vanno scelti, per quanto
possibile, secondo valori etici condivisi.
Non è etico comprare al prezzo più basso possibile, per vendere prodotti di infima qualità, pagati il
più tardi possibile, al fine di ottenere il massimo ricavo. È la mentalità del mercato liberista. È
essenziale comprendere che in questa logica nel lungo periodo l’impresa viene comunque fagocitata
da un mercato molto più tentacolare di quanto possa immaginare. Conviene a tutti, anche ai fornitori,
una collaborazione nel lungo periodo su basi di fiducia reciproca.
E’ l’ottica della Gilda, che esporrò fra poco.
6) lo Stato.
Lo Stato servile sta depredando le risorse aziendali da reinvestire, impoverendo inesorabilmente il
tessuto sociale economico di piccola dimensione.
Mantenere un rapporto limpido con lo Stato (in rapporto ad una burocrazia caotica, con l’intento di
depredare in tutti modi) è complicato e faticoso, ma il pensiero distributista indica come un pericolo
il trasgredire alle leggi di uno Stato, seppur ingiusto.
Per l’azienda che vuole sopravvivere l’agire senza dover ricorrere a macchinosi “nascondimenti”, in un
clima malato di clandestinità, lascia la libertà di dedicarsi interamente alla gestione, di preservare le
necessarie energie per progettare il futuro.
Quelle tasse ingiustamente esose andranno abbassate quando sapremo creare dei corpi intermedi
che realmente possano essere indipendenti (le Gilde), in sostituzione di quei corpi sindacali purtroppo
asserviti ad uno Stato servile.
…
Riassumendo quanto sopra, l’impresa distributista concretamente realizzata appare ai nostri occhi,
ormai avvelenati dalla visione capitalistica, un’utopia.
Essa paga le tasse, rispetta i dipendenti, ha fornitori fidati, produce prodotti di qualità, non inquina,
genera reddito e si rinnova: in realtà non può esistere.
Ma è un’utopia che in innumerevoli esempi concreti funziona, ce ne sono di storie da raccontare sia
nella piccola impresa che in imprese di dimensioni più grandi presenti nel nostro tessuto sociale.
Soprattutto in Italia, dove è sopravvissuta molto meglio che in altri stati europei.
(Posso condividere volentieri con altri imprenditori l’esperienza dell’impresa di cui sono responsabile,
che è distributista, produce reddito e mi lascia il tempo per poter condividere con voi la mia
esperienza).
…
L’impresa distributista è fisiologicamente in continua evoluzione, non è mai statica.
Vive problemi quotidiani, spesso, nonostante tutto, nella conflittualità.
Quando un collaboratore non è responsabile, non entra nella impostazione del gruppo di lavoro e
rimane in una dinamica di scontro che gli è già stata inculcata in altri luoghi, o quando un fornitore
non è onesto come sembrava, o quando lo Stato compare all’improvviso con piglio accusatorio.
Contrattempi che fanno parte del percorso.
Sono utili per rendersi conto del valore del lavoro di gruppo, per apprezzare e sostenere i fornitori
onesti, per affrontare a testa alta uno Stato avido ed ingiusto.
Da ogni esperienza si cresce, si impara.
Per questo abbiamo ancora esempi di imprese non capitaliste.
Perché è “naturale” ci siano, nonostante ci convincano del contrario.
La difficoltà maggiore in questa utopia è che è indispensabile individuare un visionario coraggioso che
si assuma la responsabilità delle decisioni. Una persona che, come è accaduto a me, ha provato
l’emozione dell’esempio. L’emozione dell’adrenalina nel fare, che non si dimentica, proprio come
accade nello sport di squadra.
Materiale umano raro, scomparso una generazione fa.
Che va coltivato con la ricerca e l’entusiasmo, sono vocazioni che vanno individuate e fatte fiorire.
Questo è fare economia distributista. Si può fare.
Basta seguire il Retto Pensiero, il buonsenso, una coscienza naturale.
Il capitale può restare nell’azienda ed essere reinvestito per farla fiorire.
La persona può essere al centro, ed in ogni ruolo che viene occupato per ognuno è cercato il giusto
incarico e il giusto peso di responsabilità.
Ci può essere scientemente un concetto di limite di territorio nell’azienda, che va rispettato, lasciando
ad altre aziende lo spazio vitale.
Ci può essere la massimizzazione nell’utilizzo delle risorse, senza gli sprechi quotidiani della grande
distribuzione o della ristorazione di sistema, ed è naturale ci sia il rispetto per l’ambiente che è sempre
stato connaturato all’uomo.
In questo modo si crea lavoro per tutti, lasciando e rispettando lo spazio vitale di ognuno.
Quindi c’è ancora un modo per lavorare e dare lavoro senza essere travolti da un’ideologia, quella
capitalista, che lascia ben poco spazio all’imprenditoria?
Possiamo ricominciare seminando una vera rivoluzione mentale, una “pulizia” mentale.
Dobbiamo ricominciare, pulendoci la mente dalle verità assolute del liberismo, perché sono il
fallimento della nostra società, ed hanno modificato, inquinandola, la nostra vita sociale.
Hanno distrutto la famiglia (lavoro domenicale, meno bambini nascono meglio è per le aziende).
Hanno umiliato la persona (che non prova gratificazione ovunque lavori, nella scuola, alla posta, in
banca, nell’ospedale, vediamo quanta rassegnazione c’è in giro! Quanta perdita di senso! Gli psicologi
oggi ci marciano sulla perdita di senso della gente!), hanno distrutto l’ambiente ed hanno diffuso
povertà.
Ma come diffondere un cambiamento? Come pensare ad un futuro diverso, di rinascita, di riscoperta?
Come invertire la marcia per ricominciare su altri piani?
Partendo da prima. Prima di cosa? Prima che i corpi intermedi (enti locali, sindacati, associazioni di
categoria) fossero fagocitati e colonizzati dalla “partitica”.
Che non è la politica. Tornare a quella società che c’era prima della costituzione del sistema partitico,
al 1892, quando è stato fondato il primo partito italiano. [3].
Dobbiamo tornare a una vera partecipazione alla vita economica dello Stato, non attraverso i partiti,
ma attraverso quelle Gilde, quelle corporazioni (un termine che a molti risulta ostile) che si regolavano
da sole [1].
Autoregolandosi lasciavano lo Stato fuori dalla porta delle loro decisioni, ma indicavano allo Stato
quelle che erano le esigenze del settore.
Questa è la vera rivoluzione. Ma come si può fare se lo Stato ora, dall’alto, detta i percorsi, senza
conoscere realmente le dinamiche del settore? Se il sistema partitico ha infilato i tentacoli in ogni
organizzazione dei corpi intermedi, eliminando meritocrazia e vera professionalità?
Se decisioni prese con l’appoggio silenzioso delle associazioni di categoria, sembrano portare dritte
alla (neanche tanto rassegnata) chiusura delle aziende?
È una affermazione gravissima e ne prendo la totale responsabilità.
Le associazioni di categoria non vivono della nostra quota associativa, vivono bensì con quella
percentuale delle nostre imposte che viene loro destinata da una legge dello Stato, che in questo
modo le ricatta.
Siamo davanti ad uno Stato che ti rende servo con l’elemosina.
Devi obbedire, ed accettare regole che non hai deciso tu. Ecco il disegno globalista che si compie in
toto sulle imprese, attraverso quei corpi intermedi che dovrebbero essere i veri portavoce delle
istanze. L’abbiamo vissuto nei lockdown, l’ho visto sulla mia pelle, essendo parte di un consiglio
provinciale di categoria. Abbiamo subito le decisioni più assurde, inutili, controproducenti, senza
poter fiatare.
L’associazione sindacale (come attualmente tutte le associazioni sindacali) ha fatto da ente
“trasmettitore” fra quello che un governo non eletto decideva secondo un disegno insensato,
inviandoci quotidianamente traduzioni dal burocratese (come sempre caotico) della Gazzetta Ufficiale
al linguaggio logico delle imprese.
Senza proporre, senza, arrabbiarsi, senza battere i pugni. Per un bene comune irreale, che invece
massacrava energie che mancheranno in futuro.
Quindi una Gilda cos’è?
Immaginiamo le corporazioni di Arti e Mestieri che fin dall’età romana, e poi nel medioevo fino alla
nascita dei partiti, si autoregolamentavano.
Immaginiamo un’azienda moltiplicata per molte, immaginiamo un luogo dove collaboratori,
responsabili, fornitori ed acquirenti possono decidere assieme per l’ottimizzazione di ogni
procedimento e di ogni risorsa impiegata. Eliminando inutili conflittualità per il perseguimento di un
bene comune.
Immaginiamo un luogo dove si decide come sarà la formazione scolastica del settore e come si
regolerà l’accesso alla corporazione.
Immaginiamo un luogo dove si indicheranno allo Stato le infrastrutture necessarie, dove si daranno
indicazioni sull’utilizzo delle risorse che le imprese conferiscono in tasse per ricevere in cambio dei
servizi.
Tutto questo c’era, prima della servitù del capitalismo, e tutto questo non è utopia.
Quello che dobbiamo fare oggi, uscendo da qui, è raccontare questa terza via, non come ipotesi
illusoria o teoria filosocialista (come è identificata anche da quella parte di Chiesa che non ha
approfondito le encicliche economiche), ma come unica possibile via d’uscita dal globalismo.
A meno che qualcun altro abbia soluzioni migliori, ma non ne vedo altre, di fronte ad una progressiva
disumanizzazione e ad una nuova diffusa povertà (non solo materiale).
Nell’invitarvi ad approfondire questo affascinante progetto (si tratta di leggere un paio di Encicliche e
alcuni libri davvero avvincenti [4]), e a diffondere l’idea che possiamo venirne fuori applicando le
regole del buonsenso.
E a condividere la certezza che conviene davvero a tutti.
Vorrei concludere con un pensiero che ho incrociato nel prepararmi a quest’incontro. E’ un testo di
Plinio Corrêa de Oliveira, scritto nel febbraio 1958, prima che io nascessi, in tempi non sospetti.
Scrive: “Si direbbe che ci avviciniamo a quell’era, da tanti secoli sognata dagli illuministi, di un
naturalismo scientifico crudo e integrale, dominato dalla tecnica materialista; di una repubblica
universale ferocemente ugualitaria, di ispirazione più o meno filantropica e umanitaria, dal cui
ambiente viene eliminato ogni residuo di religione soprannaturale? (…) “È proprio così. Questo
pericolo incombe persino più di quanto immaginiamo. Ma nessuno prende in considerazione un fatto
di importanza primaria. Ed è che il mondo, mentre si dispone ad essere plasmato secondo questo
nefasto disegno, cade sempre più preda di un profondo, immenso, indescrivibile disagio.
È un malessere molte volte inconscio, che si presenta vago e indefinito persino quando se ne è
consapevoli, ma che nessuno oserebbe contestare.
Si direbbe che l’intera umanità stia subendo violenza, come se venisse sospinta in uno stampo
inadeguato alla sua misura, e che tutte le sue fibre sane si deformino e resistano. Vi è un’immensa
brama di qualcos’altro, che ancora non si sa cos’è. (…) L’esperienza ci mostra che da un simile
malcontento nascono le grandi sorprese della Storia. Man mano che le deformazioni si
accentueranno, si acuirà il malessere.
Chi mai potrà dire quali magnifici sussulti ne potranno scaturire?”
20 maggio 2025
Benvenuta Plazzotta
[3] COLTO IN FALLO
Colto in fallo. La volta scorsa ho mandato due volte lo stesso collegamento riferito a un video di Costanza Miriano e Chiara Curti. Me l’hanno segnalato (GRAZIE) e mando il collegamento giusto. Era riferito all’audio della scuola di preghiera di padre Serafino Tognetti.
https://youtube.com/watch?v=
[4] DON ALFREDO
Una lettera di don Alfredo Abbondi ad amici ed ex amici, con un unico intento: sforzarsi di cercare la verità nei media.
LA REALE INTELLIGENZA HA BISOGNO DELL’UMILTÀ
1 messaggio
Alfredo Abbondi <alfredo_abbondi_libero.it@send.mailvox.it>
Rispondi a: Alfredo Abbondi <alfredo_abbondi@libero.it>
A: “giovanni.maria.lazzaretti@gmail.com” <giovanni.maria.lazzaretti@gmail.com>
L’UMILTÀ SERVE PER VIVERE NELLA VERITÀ. CHE CI FARÀ LIBERI.
E QUESTA VERITÀ È CRISTO.
19 maggio 2025 alle ore 17:31
Carissimi, ormai potrebbe essere tempo – per alcuni, almeno – di far venire a galla e
gettare nella pattumiera la volontà di non guardare (per poter non vedere) la menzogna
che ci è continuamente rifilata dai potenti; i potenti di questo mondo, eh!
Un mondo – e un potere – a termine.
Il covid è stato un esperimento globale che ha mostrato quanto fragile sia il popolo.
Non è un’accusa, ma una constatazione (…) Non c’è da offendersi, perché questa
constatazione è fatta per amore, non per distruggere.
Col medico che ti legge le analisi e ti dice cosa non va e cosa dovresti fare e non fare per
stare meglio, non è che ti offendi.
Magari sei pure contento perché ne hai trovato uno che ci capisce. E paghi e poi, magari,
obbedisci.
Invece, sul tema covid (e pure sul tema guerra Russia-Ucraina, e Israele- Gaza) con
incredibile coerenza anche amici sinceri e intelligenti si ostinano a voler non guardare,
per non vedere e non dover capire. Il punto? Stare comodi, “in pace”, nella comfort
zone ad ogni costo. In attesa della morte.
Se non è questo il motivo suggerite voi: io altro non vedo.
“Lasciami in pace!!”.
Se tu stessi in pace davvero, non diresti questo, non con quei toni accesi che spesso
rispondono alle mie domande.
“Oh don, ancora co’ ‘sta storia dei vaccini!”
Non sto parlando di vaccini, né di guerra, ma sto segnalando il fatto che qualcuno si sta
ancora bevendo una marea di bugie, senza farsi venire dubbi o, peggio, senza avere il
coraggio di esprimere i dubbi che ogni tanto bussano alla porta della mente e della
coscienza.
1 di 4
20/05/2025, 19:21
Gmail – LA REALE INTELLIGENZA HA BISOGNO DELL’UMILTÀ
https://mail.google.com/mail/u/0/?ik=83159cb5dc&view=pt&search=a…
In apparenza sembrerebbero affari di ognuno, da non giudicare.
Ma sono anche affari miei, come sacerdote che deve educare sempre alla verità, deve
educare alla presenza di quel Cristo che ci vuole liberi nella verità.
Allora comprenderete che preferisco i rimbrotti e anche la triste distanza di vecchi amici,
piuttosto che i rimbrotti – e la distanza (che si chiama purgatorio) – di Gesù nel giorno del
Giudizio; rimbrotti per aver preferito la tranquillità, la fredda pacatezza di un’amicizia di
comodo e perciò falsa, rispetto ad un’amicizia vera, viva, nella verità.
Altrimenti, comprendetemi, pecco di omissione, con responsabilità più gravi delle vostre.
Non è masochismo il mio, non è rivendicazione di una posizione assunta per ottenere
ragione, è semplicemente cura.
Di amici ne ho persi tanti e mi dispiace; per me e pure per loro.
Per me, ritengo di averlo spiegato; mentre, per questi miei amici, mi dispiace tanto
possano pensare di aver fatto bene a liberarsi del prete, in quanto fastidioso e “fissato”, e
da questo possano rischiare di covare un sordo ma velenoso risentimento, che
inconsciamente rimane lì a distruggere, invece che far crescere nel Bene.
Questo mi dispiace.
Lo conosco bene questo veleno, perché ha alimentato per diverso tempo anche il mio
tentativo di chiarire, capire, dialogare.
Tutto inutile: affermavo una mia idea e non sopportavo di non essere accolto, capito,
ascoltato. Tutta roba che nasce da ferite dell’infanzia, il peccato originale che ci fa
soffrire.
Ora, per grazia e per amici (una grazia certi amici; un po’ fastidiosi, ma una grazia), la cosa
comincia ad essere diversa.
La Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento, profeti e Gesù, ci ammoniscono su
giustizia, verità, compassione, verità, ecc.
Pure il nuovo Leone promette niente male.
Perciò vi suggerisco di aprire gli occhi e perderci un po’ di tempo; non per dare ragione a
me, ma alla realtà.
Per superare la paura, perché di questo si tratta. Non dimentichiamo che nella Sacra
Scrittura è scritto per ben 365 volte [dicono certi sapienti]: “Non avere paura”, e quindi
diciamocelo: non dobbiamo temere davvero nulla, il Signore ha già vinto.
Vi invito a rivedere ne “Il senso religioso”, al cap. XIII, l’educazione alla libertà come
2 di 4
20/05/2025, 19:21
Gmail – LA REALE INTELLIGENZA HA BISOGNO DELL’UMILTÀ
https://mail.google.com/mail/u/0/?ik=83159cb5dc&view=pt&search=a…
responsabilità, come domanda, come accettazione del rischio, come curiosità e
accettazione.
Quindi apriamo gli occhi a vedere, e quindi a guardare e a giudicare, con intelligente
curiosità, accettando il rischio di cambiare opinione.
Ci sono tante fonti dove attingere notizie vere, sicure e pacate.
Capita spesso che siano – talvolta volutamente – inquinate da particolari falsi, inseriti ad
arte per delegittimare notizia e divulgatore, per far cestinare il tutto, perdendo il vero
senso.
Ma non sono mai notizie tanto menzognere quanto quelle degli informatori del main
stream, burattini pilotati per far credere alla gente quel che il potere vuole che la
gente creda.
E se questo non ci è ancora chiaro, basta ascoltare il discorso che il Papa ha fatto ai
giornalisti nei giorni scorsi: un chi va là, senza mezzi termini, sulle loro responsabilità in
passato ed in futuro.
Vi segnalo alcuni canali dove, sempre con spirito sanamente critico, potrete essere aiutati
ad aprire la mente.
“Ognuno lavora con le informazioni che ha” – mi disse tempo fa un amico.
Io vi dico: “Cercate le informazioni dai veri amici (della verità)”.
Vi lascio alcune piste da cui potrete sicuramente ampliare e spaziare lontano. Ce ne sono
altre di gente molto più nota, ma queste sono utili per cominciare.
Ogni bene.
don A.
INTERNET
https://www.vietatoparlare.it/discorso-di-jeffrey-sachs-al-parlamento-europeo-trascrizione-in
italiano
[5] LA SVENDITA DELL’ITALIA
Un buon riassunto di Fabio Sarzi Amadè da ascoltare. Sarebbe un video, ma è di scarsa qualità, con sfasature video-audio.
https://www.youtube.com/live/
[6] HO UN DEBITO
Ho un debito con Michela Lazzè. Per adesso vi propongo di “annusare” questi collegamenti. Poi (aDp) ne parleremo.
https://www.lucesveritatis.it/
https://www.lucesveritatis.it/
https://www.lucesveritatis.it/
Grazie per l’attenzione
Giovanni Lazzaretti
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