«Partire per fare». Questo è l’obiettivo della delegazione composta da 60 persone tra parlamentari, europarlamentari, rappresentanti delle ong e giornalisti che partirà per Rafah nei prossimi giorni.
La delegazione è composta da rappresentanti di Aoi, Arci, Assopace Palestina, 14 parlamentari dell’Intergruppo per la pace tra Israele e Palestina, 3 eurodeputati, 13 giornaliste e giornalisti (tra cui anche Domani), accademici ed esperte di diritto internazionale, raggiungere Rafah e Gaza. Alla conferenza stampa di lancio dell’iniziativa erano presenti diversi membri della delegazioni che hanno preso parola per raccontare cosa sta accadendo ora nella Striscia e il blocco umanitario più lungo dal 7 ottobre 2023.
«Già un anno fa il quadro che ci venne restituito era apocalittico. Oggi, le previsioni più catastrofiche si sono tragicamente avverate», ha detto Alfio Nicotra di Aoi. «Dal 2 marzo la Striscia è completamente sigillata: non entra nemmeno uno spillo. Le vittime per fame, sete e malattie aumentano ogni giorno in modo esponenziale. Voltarsi dall’altra parte, fingere di non vedere il genocidio in atto, è una forma di disumanità, una resa morale inaccettabile».
«Questa delegazione è un unicum. Abbiamo messo insieme l’Italia che non ci sta alla violenza, alla cancellazione del diritto internazionale, che non ci sta all’idea che un popolo possa essere sterminato», ha detto la deputata Laura Boldrini.
Nella conferenza stampa è stata letto anche una messaggio di Issam Younes, direttore del Centro per i diritti umani Al Mezan di Gaza, che ha ringraziato la delegazione e dopo aver raccontato cosa sta accadendo nella Striscia ha chiesto una presa di posizione netta da parte delle istituzioni italiane ed europee: «L’Italia e l’Unione Europea devono adottare sanzioni mirate contro funzionari e istituzioni israeliane responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale; rivedere e sospendere le relazioni diplomatiche ed economiche con Israele, incluso l’Accordo di Associazione UE-Israele; e imporre un embargo totale e bilaterale sulle armi per bloccare la fornitura di armamenti a Israele. I mandati di arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale devono essere eseguiti senza ritardi, eccezioni o pretesti».
«Sono appena rientrato dalla missione Occhi in Palestina in Cisgiordania, dove l’occupazione si è fatta ancora più violenta dopo il 7 ottobre», ha detto, invece, Marco Grimaldi, deputato di AVS. «Ora ripartiamo verso quei valichi che rappresentano oltre 580 giorni di crimini contro l’umanità. Vogliamo entrare a Gaza e non ci fermeranno. Il disegno di annessione e pulizia etnica è ormai evidente, anche attraverso gli sfollamenti forzati. Speriamo che quei varchi si aprano prima del nostro arrivo e che venga interrotto l’uso dell’ignobile arma letale del blocco degli aiuti».
A concludere la conferenza, è intervenuta l’europarlamentare Cecilia Strada, rilanciando l’allarme sull’inerzia dell’Europa di fronte alla catastrofe umanitaria: «Sotto le macerie di Gaza sta morendo anche l’Europa. I governi e le istituzioni europee che non fanno nulla per fermare Netanyahu rivelano tutta la loro ipocrisia. Così facendo, ci stanno consegnando ai libri di storia come complici di un genocidio».
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Il secondo è questo articolo de Il Fatto Quotidiano, che testimonia, se mai ce ne fosse bisogno, come Israele abbia nel mirino i giornalisti che documentano i suoi crimini, a cominciare da Shireen Abu Akleh nel 2022:
Più di 200 giornalisti uccisi, centinaia di colleghi feriti o arrestati, nessun accesso per i media internazionali. A Gaza gli attacchi e i raid di Israele hanno fin da subito preso di mira anche i cronisti, diventati bersagli militari, con l’obiettivo di oscurare quanto veniva commesso dall’esercito e dall’aviazione israeliana e la tragedia palestinese. “L’obiettivo era far restare agli atti solo la verità delle veline militari e dei giornalisti embedded. Una strage nella strage che è un attacco al diritto di informare e di essere informati, con il chiaro scopo di impedire un equilibrato dibattito pubblico che parta dai fatti. Una situazione che chiede la mobilitazione di tutta la nostra categoria”, è stato l’appello con cui l’Associazione Stampa Romana ha organizzato il convegno “Gaza: Guerra all’Informazione“. Un’iniziativa alla quale hanno preso parte anche Safwat Kahalut, giornalista di Al Jazeera rifugiato in Italia con moglie e quattro figli, ma rimasto a Gaza fino a marzo 2024, e – in collegamento da remoto – Wael Al-Dahdouh, capo della redazione della stessa emittente qatariota, che nella Striscia ha perso dodici familiari.
“Non era e non è semplice per noi sapere che quando mettiamo il giubbotto con la scritta “Press”, diventiamo obiettivi militari di Israele. Ma ci chiedevamo: qual è l’alternativa? Se avessimo mollato nessuno avrebbe raccontato quello che avviene a Gaza. Come me, altri colleghi hanno perso tante persone della propria famiglia. Abbiamo pagato e ancora paghiamo un caro prezzo. Perché il dolore continua: poco fa ho saputo che mio nipote, di 16 anni, è stato ucciso. Un dolore che non si ferma. Ma il giornalismo è un mestiere sacro. Per questo non ci ritiriamo e restiamo lì per raccontarvi la verità, quello che sta accadendo”, è il racconto di Wael Al-Dahdouh. Anche Safwat Kahalut spiega come il dramma di Gaza continui, di fronte alla chiusura dei valichi portata avanti da parte del governo israeliano di estrema destra di Benjamin Netanyahu, che da oltre 65 giorni impedisce l’ingresso di ogni aiuto umanitario. “Non entra nulla, né cibo, né medicine. Il genocidio non è finito. Israele ha superato ogni linea rossa, non soltanto con i raid contro i civili, ma usando la fame come arma. Oggi la situazione è peggiorata ancora di più. Mio padre mi chiama ogni giorno dicendomi che non ha più medicine, manca la farina”, racconta.
E ancora: “Lavorare senza corrente elettrica, senza internet, comprando al mercato nero il gasolio per i generatori, era quasi impossibile. Tutto mentre dovevi anche cercare di mettere in salvo le famiglie, mettersi in coda per l’acqua e per il pane. Purtroppo dalla comunità internazionale non c’è stato alcun passo, non è riuscita a frenare il governo israeliano. Ma per noi giornalisti palestinesi questa sfida enorme è diventata non soltanto un dovere professionale, ma anche nazionale“.
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Poi c’è questo post su Instagram, che fa riferimento a The Times of Israel:
Stiamo “distruggendo sempre più case” a Gaza, così i palestinesi “non hanno un posto dove tornare.”
Le dichiarazioni del premier Israeliano, riportate dal Times of Israel, non sono una sorpresa per chiunque negli ultimi mesi abbia letto un quotidiano.
Vogliono occupare, come già stanno facendo militarmente, la striscia di Gaza e deportare i civili. L’unico scoglio tra Israele e la cancellazione della Palestina è l’assenza di “paesi che li accolgano.”
Già oggi chi ha lasciato Gaza, come per esempio i bambini sottoposti a cure mediche al di fuori del Paese, non ha la garanzia di poter tornare a casa né di potersi ricongiungere con la propria famiglia.
A questo punto dell’invasione Israeliana anche le parole sono superflue. Bisogna davvero sottolineare quella che sarebbe l’ennesima violazione del Diritto internazionale umanitario? È necessario specificare che milioni di persone non possono essere trattate da oggetti inanimati da collocare in giro per il mondo a proprio piacimento?
Servono azioni concrete per – prima di tutto – salvare il popolo palestinese dalla fame causata dal blocco degli aiuti umanitari, e poi un intervento per impedire che le deportazioni avvengano.
Palestina libera, sempre.
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E poi c’è questo post agghiacciante di Inside Over:
Mohammed Bardawil era l’unico testimone sopravvissuto al massacro dei paramedici palestinesi a Gaza di marzo 2025. Mohammed aveva visto, coi suoi occhi, l’esercito israeliano giustiziare a sangue freddo 15 soccoritori e membri del personale delle Nazioni Unite a Rafah.
Mohammed aveva 12 anni.
Mohammed aveva testimoniato che alcuni dei paramedici erano stati colpiti a distanza ravvicinata, “da un metro di distanza”. È stato anche intervistato dal New York Times per l’indagine sul massacro, anche se le sue affermazioni più gravi sono state omesse dal rapporto finale della testata americana.
Mohammed avrebbe dovuto sottoporsi a un altro ciclo di testimonianze con gli investigatori, questa volta con la presenza di psicologi pediatrici.
Mohammed è stato ucciso poche ore fa a Mawasi, Gaza. Dall’esercito che aveva visto coi suoi occhi compiere il massacro.
Uccidere tutti i testimoni del genocidio è il baluardo dell’impunità.
#gazagenocide #getupreportnews #palestine #israel #idf
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C’è anche questo post su Instagram, che ricorda la fine Hind Rajab e della sua famiglia. Cliccate sul collegamento per vedere il video.
Il veicolo originale era stato colpito 335 volte dalle forze israeliane che sapevano che dentro c’era solo la piccola ancora viva mentre la famiglia e i due medici che hanno tentato di salvarla erano già stati uccisi.
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Ben Cohen e altr 6 manifestanti sono stati arrestati mentre il Segretario alla Salute degli Stati Uniti, Robert F. Kennedy Jr., stava rendendo testimonianza ai legislatori sul suo riassetto delle agenzie sanitarie federali.
“Il Congresso uccide i bambini di Gaza comprando bombe e tutto ciò viene pagato cacciando i bambini dal Medicaid negli Stati Uniti”, ha affermato Cohen mentre veniva portato via dalla polizia.
I sette sono stati arrestati con l’accusa di “affollamento, intralcio o disturbo”, aggressione a un agente di polizia o resistenza all’arresto, ha affermato la polizia del Campidoglio degli Stati Uniti in una nota.
L’ebreo Ben Cohen e l’altro cofondatore di Ben & Jerry’s, Jerry Greenfield, sono noti per il loro attivismo progressista in particolare a sostegno della popolazione di Gaza e della Cisgiordania occupata. Nel 2021, Ben & Jerry’s aveva annunciato che non avrebbe più consentito al suo licenziatario israeliano di vendere i suoi gelati in Cisgiordania e a Gaza, affermando che ciò è “incoerente con i nostri valori”.
All’inizio di maggio in un’intervista a Tucker Carlson, Cohen ha affermato che gli Stati Uniti avevano una “strana relazione” con Israele, che comportava che Washington “fornisse armi per il suo genocidio. In questo momento, essere americani significa essere il più grande esportatore di armi al mondo, avere l’esercito più grande del mondo e sostenere il massacro di persone a Gaza”, ha detto Cohen. E aveva aggiunto: “Se qualcuno protesta contro il massacro di persone a Gaza, lo arrestiamo. Cosa rappresenta il nostro Paese?”.
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Così si manifesta una società selvaggia e primitiva costituita da una umanità in attuale gara con lo scimmione di “Odissea nello spazio” che ha appena scoperto come una mascella di onagro possa costituire un’arma micidiale contro le diverse fiere affollate attorno alla comune sorgente d’acqua.
Afferrandola e sollevandola al cielo, sarà lui -in uno scenario indimenticabile- a dar origine a tutte le stragi spietate del futuro che “qui ed ora”, sembra essersi strettamente riallacciato- come un nastro di Moebius- al più lontano, disumano, feroce e primordiale passato, senza suscitare, peraltro, alcuna pietà negli ipocriti reggitori di questo “Uccidente” in sfacelo.