Prendere il Largo per una Nuova Antica Coscienza. Il Matto.
29 Aprile 2025
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il Matto, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni sul mare – spirituale – e sulla pesca che vi si può fruttuosamente esercitare. Buona lettura e meditazione.
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PRENDERE IL LARGO PER UNA NUOVA ANTICA COSCIENZA
Vincent van Gogh, Barche di pescatori sul mare.
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I pescatori sanno che il mare è pericoloso e la tempesta terribile, ma non hanno mai trovato questi pericoli, una ragione sufficiente per restare a riva.
Vincent van Gogh
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La vita è come il mare, o lo si guarda standosene a riva, o lo si naviga godendo delle sue immense bellezze, anche se così facendo, si rischia d’incappare in qualche burrasca.
Omar Falworth
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Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito.
Antoine de Saint-Exupéry
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[…] Le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi. L’uno si chiama litterale, […] L’altro si chiama allegorico, […] Lo terzo senso si chiama morale, […] Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si spone una scrittura, la quale ancora [sia vera] eziandio nel senso litterale, per le cose significate significa de le superne cose de l’etternal gloria […]
Dante
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«Duc in altum et laxate retia vestra».
«Prendete il largo e gettate le vostre reti per la pesca».
Di questo passo evangelico, ovviamente incappando nell’anatema dei dogmatici senza macchia, è possibile una lettura anagogica, posto che «anagogia dal gr. ANAGOGÈ vale elevazione, sublimazione, composto da ANÀ verso l’alto e ÀGO spingo, sollevo. L’elevarsi a cose sublimi; senso elevato e mistico di scritti sacri» (etimo.it), quindi scoprendo qualcosa in più del già stabilito istituzionale uguale o obbligatorio per tutti, ossia, come si dice, “del nero su bianco”, posto che mai il nero, cioè il finito, potrà riempire le pagine bianche dell’Infinito, costituendo questo il punto d’incaglio per le coscienze ferreamente formate, quindi esclusive, limitate (dacché ogni forma è un limite), inconsapevoli che la responsabiltà è personale e quindi la salvezza è individuale e non di gruppo. Come dire che non basta “stare tutti nella stessa barca” e credersi al sicuro.
Gli è che c’è anche un avventurarsi in mare, un «prendere il largo» ed un «gettare le reti» al singolare, per pescare … se stessi e ritrovarsi nel Principio. Ovvero: il primo e più importante libro da leggere è se stessi. Ed è solo dopo l’ultima pagina di se stessi che si trova la pagina bianca ove il se stessi muore ed è trasfigurato, attuandosi così il Mistico Incontro! E già: mai si troverà se stessi e l’Archè nelle pagine piene zeppe di parole per quanto ispirate e teologicamente organizzate, a ciò risultando illuminante quanto dice Giuseppe Ungaretti a proposito della Poesia che nasce appunto dall’ispirazione:
«Direi, con modestia, che la poesia è una combinazione di vocali e di consonanti; una combinazione, però, in cui è entrata una luce. Ed è dal grado di questa luce che si riconosce la verità della poesia. Quando la poesia è poesia, raggiunge l’irraggiungibile, mette a contatto le parvenze con la sola realtà che è la Realtà eterna».
Sicché si tratta di intravedere la Luce – che fa vedere ed è la Realtà Primaria – attraverso «le vocali e le consonanti». Luce che filtra tra le medesime poiché le trascende e perciò le ispira. Quindi la Luce non è una parola, un’idea, una formula, un catechismo, un codice. Per di più è UNA e nessuno può vantarne l’esclusiva, la Mistica essendo la prima a non appropriarsene pena il suo auto annullamento.
Preziosissimamente Giovanni di Dalyata (VII secolo):
«Beato colui che ti ha abbracciato, e giacendo con te ha aspirato il tuo fragrante profumo … beato chi, entrato in sé, ha visto te, visione sconcertante, ed è rimasto ammirato per la bellezza dei tuoi mirabili misteri che sgorgano dalla sua interiorità!».
Ritorna qui il motivo dell’entrare in sé in quanto condizione per contemplare la Bellezza misterica, di aspirarne il profumo che sgorga dall’interiorità; qui realizzandosi la fruizione cristica.
«Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, da dentro di lui (de ventre ejus) sgorgheranno (fluent) fiumi d’acqua viva (flumina aquae vivae)».
Agostino d’Ippona:
«Quante ricchezze ha l’uomo nell’intimo, eppure non scava».
Gandhi:
«L’uomo non deve annegare nel pozzo delle shástra (precetti, regole, istruzioni, decreti ndc), ma tuffarsi nel loro vasto oceano e trarne perle».
È in fondo al mare-libro interiore che si trova la Mistica Sorgente a cui ci si può abbeverare direttamente, dimenticando «vocali e consonanti», parole, idee e immagini (ma anche sentimenti e passioni) che ormai sono più di ostacolo che di aiuto.
Ecco pertanto che l’Anagogia e la Mistica possono eccedere la dottrina religiosa positiva, stabilita in una forma che a sua volta in-forma e quindi limita la coscienza, con ciò ponendosi il tema della diversità – non necessariamente conflittuale – tra religione e spiritualità.
Del resto, occorre dirlo, per essere la testimonianza dello Spirito Divino, ovvero quanto di più etereo e unificante possa immaginarsi, l’Istituzione è enormemente appesantita da una struttura giuridico-canonica-economica più che complessa e da una debordante documentazione prescrittiva obbligante, tanto che ci si potrebbe chiedere, incappando ancora nell’anatema dei dogmatici senza macchia, dove mai Cristo abbia stabilito che per predicare la Buona Novella sarebbe stata necessaria l’organizzazione mastodontica, tetragona, paludata, complicata e detentrice di un potere iperarticolato e tutt’altro che irreprensibile che attraverso i secoli ne hanno fatto gli addetti ai lavori. Ci sarebbe insomma da chiedersi che fine ha fatto il precetto:
«Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno. In qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino».
E vien da chiedersi anche, tenendo presente lo scompiglio indecoroso di cui è preda in questo inizio di terzo millennio, se tale organizzazione visibile, stanziale e possidente, piuttosto che itinerante e frugale, non sia che il simulacro dell’invisibile, mistica Sposa di Cristo, quindi non religiosa ma spirituale, e pertanto non esauribile nel granitico ed intransigente linguaggio dottrinale-canonico-istituzionale stabilito fino alla virgola per tutti … “se no vai all’inferno!”: minaccia che, palesissimamente, non attecchisce più.
Del resto la gigantesca sproporzione quantitativa tra il Vangelo e tutto ciò che di interpretativo – quindi di mediazione – ne è stato scritto e se ne scrive dovrebbe far riflettere:
che fine ha fatto il «guardate gli uccelli del cielo e i gigli del campo»?
«Visibilium omnium et invisibilium»: chi affermerà che il visibile esaurisce l’Invisibile? Chi affermerà che da una prospettiva si vede l’Intero? L’Invisibile non è oltre il visibile? L’Intero non è oltre la prospettiva? E perciò la Luce non è oltre «le vocali e le consonanti»?
Come risulta dal dizionario-latino.com, «altum» indica:
1 – altezza, cielo, luogo elevato sopra la terra;
2 – profondità, cavità, fondo, interno, abisso;
3 – alto mare;
4 – (poetico) lontananza.
Non è difficile constatare l’omologia reciproca – sub specie interiotitatis – dei termini, ognuno di essi indicando un distogliersi dalla propria “normalità”, ossia:
1 – dal rimanere ben ancorati in basso, sulla terra;
2 – dal sicuro in superficie;
3 – dal navigare lungo la costa;
4 – (dall’antipoetico) dove tutto non è troppo lontano da non poter essere sotto controllo.
In altri termini, dallo starsene il più possibile, come si dice oggi, “in sicurezza”, sicché l’avventura, che evidentemente non può limitarsi ad un “viaggio organizzato”, è bandita (e paventata), mentre l’ideale paradisiaco e lo spauracchio infernale – il premio o il castigo! – sdoppiano la coscienza e la ghiacciano su un futuro creduto-immaginato facendole obliare che l’unico Tempo Reale è il Presente, in cui, soltanto, si può “preparare il futuro” che “sarà” com’è … Qui ed Ora, , Adesso, il Non-tempo di IO SONO.
«In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno».
Dice che il momento è QUESTO … perciò non ce n’è un altro …
Breve ma folgorante (e cristianissimo) inciso nipponico:
Suzuki Shunryu Roshi:
«Quando fai qualcosa, dovresti bruciarti completemente, come un buon falò, senza lasciare traccia di te stesso».
Cui fa eco Joseph Conrad:
«Nella vita, capite, non c’è gran scelta. O marcire o ardere».
Questo costante bruciare comporta un costante rinascere, ed è espressa dal concetto molto antico e perciò sempre nuovo di saisei 再生, ove sai 再 significa “nuovo” e sei 生 significa “nascita”: nuova nascita, rinascita là dove s’eleva ed eleva il Fuoco.
«In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».
«In Principio era il Verbo»:
quell’«era» può essere fuorviante poiché evoca il tempo e designa un “passato” e quindi un “futuro” che non possono riguardare in nessun modo il Principio, cioè l’Attimo Eterno Presente nel quale tutto ha da raccogliersi – ed è già raccolto – «ut unum sint».
Perciò: In Principio È il Verbo! In Principio IO SONO!
D’altra parte, ognuno raccoglie ciò che semina, la semina e il raccolto potendo darsi soltanto in questo momento, che, è bene ripeterlo, è l’unico tempo reale. Non si può seminare “domani” e raccogliere in un tempo ancor più “futuro”. La Coscienza è un campo senza forma che fruisce intimamente dell’ESSERE – se non fosse addormentata potrebbe dire anch’essa IO SONO! – ed è quindi attualmente prolifica di frutti: proprio qui ed ora si raccoglie ciò che qui ed ora si semina. Il “destino” è adesso, e dipende dal grado di purezza della Coscienza, dal suo parziale o totale nitore, insomma dalla sua libertà – di origine sacra – condizionata o meno.
La lettura anagogica esorta appunto all’avventura proprio QUI ed ORA: a «prendere il largo» abbandonando la riva del tempo con tutti i suoi condizionanti contenuti, comprese, neanche a dirlo, le complicazioni a non finire tanto esegetiche quanto giuridico-canoniche, che nulla hanno a che vedere con lo Spirito Santo e che infine si rivelano come occasione/tentazione di comprensione e accaparramento individuali o di gruppo della Verità-in-Sé – della Luce! – che invece è radicalmente oltre. IO SONO non è una dottrina, un codice, un’esegesi: tutti i tentativi di ghermirlo “dicendone” sono falliti in partenza. Gli uccelli del cielo e i gigli del campo non sanno la dottrina! Proprio come i bambini:
«Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli».
Misticamente, la barca è un simbolo della Coscienza, che non è fatta per restare nel porto terreno del tempo ma per uscire nel mare aperto dell’Infinito da cui prende vita: il pescatore lascia la sicurezza del porto e si avventura nel mare aperto in cui, proprio adesso, può sopraggiungere di tutto, ciò non essendo, come osserva van Gogh, «una ragione sufficiente per restare a riva»; mentre, in sintonia, Falworth dice che la vita è un mare, seppur rischioso, che si naviga «per goderne le immense ricchezze».
Friedrich Hölderlin:
«Lì dov’è il pericolo c’è anche la via di salvezza».
Chiaro, pertanto, come l’avventura del pescatore si svolga nel qui ed ora del mare aperto, nel non-tempo – e non spazio – della Coscienza che è qualità e non quantità.
Di più, a ben vedere, la Coscienza è nel contempo la barca, il pescatore, il mare e ciò che viene pescato, ciò richiamando la Luce che trapela attraverso le «vocali e consonanti» di Emily Dickinson:
«Conosci tu la riva
dove non urlano i marosi
dove la tempesta è oltre?».
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Tag: coscienza, mare, matto, pescatori
Categoria: Generale
Bello, bello, caro Matto,
ma ” se non impari ad affrontare le tue ombre, continuerai a vederle negli altri, perchè il mondo che è fuori di te è solo un riflesso del mondo che è dentro di te. ” ( C.G. Jung ).
🙏
Jung, insomma, invita ad una nuova e antica coscienza.
Si’, nel senso di far riemergere la purezza, la genuinità di quella arcaica, tragicamente avvoltolata nel bozzolo dell’ intellettualismo, come la farfalla dal bozzolo.
Semplicemente stupendo.Ho dovuto fermarmi più volte nella lettura,troppa luce e altre volte dovrò rileggere .
Che DIO la benedica!
🙏
Lei non può sapere quanto il Suo “che DIO la benedica” mi abbia commosso.
Lei dice: “troppa luce e altre volte dovrò rileggere”: accade lo stesso a me che metto per iscritto le mie meditazioni e non so da che parte mettere un punto. D’altra parte (almeno) quando ci si immerge nel Silenzio, l’ombra personalistica scompare e la luce fa capolino. Ma soltanto capolino! 😊.
🌷
Grazie hic et nunc e quindi semper. Specie per la contrapposizione tra la moltitudine di parole dei canoni e della teologia e il silenzio eloquente nella profondità dei nostri “io”.
Grazie per ricordare :” se non sarete come bambin i….c on quel che segue., e con quel che se ne deduce anche in termini di accostamento fra esperienze di varie culture e religioni
Insomma ancora grazie!
🌺