Roma Settecentesca, la Macchina del Tempo di Benedetta De Vito.

14 Aprile 2025 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Benedetta De Vito, che ringraziamo di tutto cuore, offre alla vostra attenzione questo acquarello in parole della Roma settecentesca…Buona lettura e condivisione.

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A beneficio di un lettore di Stilum Curiae  – e forse di altri che non hanno il mio indirizzo mail – scriverò qui, con pennellate svelte, la mia storia italiana (meglio di Roma) che poco, pochissimo, somiglia a quella ufficiale. E mentre scrivo un ricordo bussa alla mia porta ed ecco diventar vero il professor V.V., ordinario di Storia moderna alla Sapienza e ci sono io a fare il mio quarto esame al primo anno di corso. Lui: “Le darei 26, ma non voglio macchiare questo libretto pieno di cum laude, torni tra un mese”. Io, un mese dopo… di nuovo un 26. Poi, due mesi dopo, sempre la sottoscritta, in un bel negozio del centro di Roma dove sono pagata per fare i pacchettini di Natale. Siamo in tre in una specie di recinto, a un certo punto una voce nota. “Vorrei che il mio pacchetto lo facesse quella bella signorina lì”. Sì, era il professor V.V. Vabbè la chiudo qui per dire che come storica ufficiale valgo 26 trentesimi, ma salite a bordo della macchina del tempo con me ed eccoci a Roma a fine Settecento.

Oh quanto bel verde di giardini e orti nella Roma papalina! Non c’è Via Nazionale trafficata, ma villa Ludovisi ed è tutto un abitar di uccelletti. Tra Via del Corso e Piazza Barberini poco o nulla e così pure al Porto di Ripa Grande che ora  brulica dei caseggiati del Testaccio. In quella Roma lì, piena di campane a festa, ricca di processioni e feste religiose, si andava in pellegrinaggio alle tombe dei martiri e si facevano le Quarant’ore al venerdì santo. Ma sotto, sotto la coltre di devozione già bruciavano i dardi delle sette segrete che cospiravano per metter fine al potere temporale del Papa. Giungevano da Parigi le orride notizie della rivoluzione e del bagno di sangue francese, bei frutti dell’illuminismo. E il bello è che a scuola e all’università si celebrano i lumi e i suoi figlioli…

Per un secolo quasi, tra il Sette e l’Ottocento, la Roma dei Papi riuscì a resistere tra Repubbliche romane e sommosse. Solo nel 1870 la breccia di Porta Pia al grido garibaldino di “O Roma o morte” doveva metter fine al dolce governo del dolcissimo Cristo in terra. Raccontavano, gli invasori, cose turpi del potere temporale del Papa. Ma erano bugie, come le tante che seguitano ancora oggi a raccontare, impunemente. Di un omino basso di statura e sanguinario fecero un imperatore. Ed era così assetato di rivincita sociale, quel poveretto, da dare in sposa la sorella a un principe romano, uno dei principi che poco prima, se francese, sarebbero stati ghigliottinati…

Ecco in quei torbidi han vissuto Elisabetta Canori Mora, che salvò il marito dalle grinfie delle sette segrete e la piccola Maria Flaminia Chigi che non ebbe il tempo di far lo stesso con il suo balordo Sigismondo. A Roma visse anche una pittrice francese che amo Elisabetta Vigée le Brun, amatissima anche da Maria Antonietta, che era scappata in vestaglia (per dir così) da  Parigi appena in tempo e si era rifugiata con la sua figlioletta a Roma. Raccontava: “Le mie amiche parigine tranquille fino al giorno prima, il giorno successivo furono arrestate e ghigliottinate”. Ecco la rivoluzione francese. Ho finito, da una storica niente affatto da trenta e lode, un piccolo squarcio di verità nel tendone menzognero che ci hanno ammannito a scuola, all’università e per ogni dove.

Preghiamo e a tutti auguro una Settimana Santa orante e vera.

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