Le Mele Acerbe del Tempo di Agostino Chigi, ora Pienamente Mature…Benedetta De Vito.

27 Marzo 2025 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, Benedetta De Vito, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni su tempi più lontani, e i nostri. Buona lettura e condivisione.

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Qualche giorno fa ho incontrato per la via delle pagine di un libro il principe Agostino Chigi, che non è il grande, anzi il Magnifico, banchiere dei Papi, vissuto nel Cinquecento, bensì un suo discendente che porta anche il cognome nobilissimo di Albani e la sua vita corre tra il Sette e l’Ottocento. A guardarlo nel ritratto che m’offre la rete, con il collo ben chiuso dalla cravatta bianca, i colletti della camicia sul mento, lo sguardo  attento, un leggero sorriso ironico sulle labbra, sembra un uomo schivo, ben protetto in sé e mi piacerebbe, sì, intervistarlo, per farmi raccontare di quei tempi romani quando tutto girava intorno al Pontefice e alla sua Corte che ancora abitava il Palazzo di Monte Cavallo, ossia del Quirinale.

Godibilissimi, caro signor Principe, gli direi sono i suoi diari che ci riportano ai tempi del Papa Re, con le minute notizie romane di arresti e divieti  carnevaleschi e con le tante staffette che giungevano nell’Urbe   recanti le brutte notizie provenienti da tutt’intorno a Roma. Rivolte, tumulti, sommosse nello Stato Pontificio. Le stesse, ora lo so, di cui scriveva la mia adorata Elisabetta Canori Mora, che visse lei pure, in croce come me oggi,  quegli anni che s’appressavano a far rovinare l’idea che il Papa dovesse avere una sua terra, un regno suo. Principio, per me, sacrosanto. Buttar giù le sacre mura un desiderio grande dei massoni e la prima breccia nella Chiesa…

Già allora, infatti, quando regnava da pochissimo Papa Gregorio XVI, cioè il cardinale Cappellari, le brighe carbonare, provenienti d’Oltre Alpe, recavano danni e crucci al Dolce Cristo in terra, che doveva poi, nel suo successore, Pio IX cedere alla forza. Leggo, caro Principe, che ci furono tentativi vivi di salvare Roma dalle mire dei senza Dio, ma che fu tutto vano. La storia incalza e mi fa salutare il nostro elegante Principe e con lui la mia dolcissima Elisabetta, per far dire a chi scrive che quei tempi lì, che erano solo le mele acerbe del peccato, pian pianino sono maturati facendoci arrivare a questi anni grami di punizione divina per aver l’uomo, anzi tutti o quasi gi uomini, mangiato di nuovo e con gran gusto la mela avvelenata del serpente, negando l’esistenza di Dio. Bestemmia e abominio.

Sì, mi dico, e più parlo con le persone della mia vita nel Signore, più m’accorgo che l’interesse loro scema quando dico loro che siamo qui non per fare la nostra volontà, ma quella del Signore. Che è la nostra felicità.

Mentre pronuncio queste parole vedo, in chi fino ad allora mi aveva seguito con interesse, un palpito di sdegno sulle labbra, uno sgomento si disegna sul naso e le pupille si stringono a punta di spillo. No, ci mancherebbe proprio, io voglio fare a modo mio, cara Benedetta!

E’ la risposta che ricevo, poi le spalle si voltano, la mela avvelenata già morsicata finisce nel cestino perché non serve più, ha fatto il suo dovere.

E quella mela, sul programma blob, l’ho ritrovata non a caso tra le mani di Wladimiro Guadagno in arte lo sapete chi è.

E la offriva a Francesco Storace (che non mi pare abbia approfittato).

Sì Wladimir, un uomo-donna che sotto le gonne fiorite di rose rosse desiderio nasconde la sua virilità.

Preghiamo.

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