Israele e la Caccia ai Giornalisti. Oltre Duecento Uccisi, anche in Attacchi Mirati. Reporters Sans Frontieres, Vatican News.

27 Marzo 2025 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo ala vostra attenzione due elementi relativi alla caccia al giornalista praticata, ormai senza nessuna remora o ritegno, dall’esercito di quella che viene definita dai suoi difensori nostrani “l’unica democrazia del Medio Oriente”. Definizione forse accettabile, ma con non poche riserve; anche il Sud Africa dell’Apartheid era una democrazia, sui generis. Il primo elemento è un articolo di Vatican News, che ringraziamo per la cortesia, e che tratta dell’assassinio mirato di un giovane reporter ucciso con un drone a Gaza. Nell’articolo si parla anche di Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese-americana cristiana uccisa da un cecchino mentre svolgeva il suo lavoro nel 2020. Mi preme, questa citazione perché Stilum se ne occupò, all’epoca. E da un punto di vista personale quell’articolo segnò un momento di rottura con non pochi amici ebrei di Roma, seccati perché mettevo in cattiva luce l’esercito israeliano. Spero he almeno qualcuno di loro possa leggere queste righe, riflettere e ammettere che purtroppo tutto quello che è seguito non fa che confermare quanto si intuiva già allora: e cioè che i testimoni scomodi vengono uccisi, con cifre mai viste in nessuna guerra, dall’esercito “più morale del mondo”, secondo la definizione di un alto personaggio israeliano, che ahimè potrebbe suonare ridicola, se non fosse tragica. Da quelle persone non mi aspetto delle scuse – troppo difficile – ma almeno una riflessione su quanto accade. Buona lettura e condivisione.

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Hossam Shabat, il giovane reporter ucciso a Gaza

Roberto Cetera – Città del Vaticano

«Pensavo che fosse finita e che finalmente avrei potuto riposarmi, ma il genocidio è tornato di colpo, e mi trovo di nuovo sulla linea del fronte», scriveva tre giorni fa Hossam mostrandosi mentre indossava di nuovo elmetto e giubbotto antiproiettile blu con la scritta “Press”.  Hossam Shabat, 23 anni, è stato ucciso ieri mattina mentre era in macchina a Gaza nord documentando i bombardamenti della notte precedente.

Raccontava la guerra a Gaza

Hossam era un giovane giornalista che inviava i suoi articoli e video all’emittente al-Jazeera.  Uno di quei giovani che si sono trovati a fare giornalismo con la guerra, dentro la guerra.  Con la separazione imposta al corridoio di Netzarim e lo sfollamento  verso il sud della Striscia, i pochi media rimasti a riferire della guerra sul campo, si sono trovati privi di corrispondenti nel Nord e a Gaza city.  Così per i giovani come Hossam la tragedia del ritorno della guerra si è trasformata in un’ opportunità per far vedere le loro capacità e il loro coraggio.  Sperando che questi sarebbero potuti essere ricompensati con una carriera nel giornalismo alla fine della guerra. Hossam non si risparmiava, basta dare un’occhiata ai suoi profili Instagram, Facebook ed X. Il suo ultimo servizio di poche ore prima è la copertura dell’orribile bombardamento israeliano dell’ospedale Nasser a Khan Younis. Fa un pò impressione vederlo in cima ai suoi post, che poi improvvisamente si interrompono.

200 i giornalisti uccisi

Poche ore prima era stato ucciso un altro giovane giornalista Mohammad Mansour, insieme alla sua giovane moglie . Dall’inizio del mese di marzo sono già sette i giornalisti uccisi a Gaza, ma dall’inizio della guerra sono ormai più di 200.  Una strage. Passati dal dare notizie, ad essere loro stessi notizie.  Per loro non ci sarà giustizia, nessuna inchiesta individuerà i colpevoli del loro assassinio.  Come se — pur fosse vero nella giostra di bugie che ruota intorno a questa guerra — sia giustificabile ammazzare un giornalista solo perché palestinese.  Come non c’è stata giustizia per nessun giornalista ammazzato prima.  Come non c’è stata ancora oggi giustizia per Shireen Abu Akleh, la popolare giornalista cristiana, palestinese naturalizzata americana, uccisa con altissima probabilità dai soldati israeliani tre anni fa a Jenin.

L’unica informazione rimasta

Ma c’è un’ingiustizia più grande che grava sul sacrificio di questi giovani giornalisti. Da un anno e mezzo nelle redazioni nel mondo noi lavoriamo sulle notizie, le foto e i video che questi giovani ci fanno arrivare attraverso i social. Perché ai giornalisti occidentali Israele non consente di entrare a Gaza. Se in questi 18 mesi si è potuto conoscere in Occidente quanto accade a Gaza, lo dobbiamo soltanto a loro. E in qualche modo questo accadeva anche prima della guerra. I media internazionali sono in debito con questi giornalisti. Ma è un debito che non viene ripagato.  Raramente un trafiletto riferisce della loro morte. Può darsi che le loro parole, i loro commenti, avessero un carattere divisivo, che i loro pezzi non fossero propriamente degli inni alla pace, ma è anche vero che la pace non può prescindere dal racconto dei fatti, dalla giustizia e dalla verità.

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E poi c’è questo articolo pubblicato da Reporters sans Frontieres. Possiamo dire che il silenzio della Federazione Nazionale della Stampa, e dell?Ordine dei Giornalisti ci sembra assordante? Di chi e di che cosa hanno paura, di quali poteri forti nel mondo della comunicazione?

Palestina: si intensifica la repressione contro i giornalisti in Cisgiordania e Gerusalemme Est

La repressione dei giornalisti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est si è intensificata negli ultimi mesi nonostante il recente cessate il fuoco a Gaza, che è crollato quando Israele ha ripreso i suoi attacchi sulla striscia palestinese occidentale. Nei territori palestinesi orientali, le forze armate israeliane hanno sparato ai giornalisti, li hanno arrestati e hanno limitato i loro movimenti. Nel frattempo, l’Autorità Nazionale Palestinese, che governa la Cisgiordania e Gerusalemme Est, ha arrestato i giornalisti di Al Jazeera. Reporter Senza Frontiere (RSF) mette in guardia da una crescente repressione, che sta trasformando la regione in un deserto di notizie.

“Gli attacchi in corso dell’occupazione israeliana contro i giornalisti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est si sono moltiplicati negli ultimi mesi, al punto che ormai sono diventati un fatto comune. La normalizzazione di questa violenza deve finire. Da parte sua, l’Autorità Nazionale Palestinese ha anche arrestato e interrogato giornalisti associati al canale qatariota Al Jazeera , limitando ulteriormente la libertà di stampa in Palestina. Siamo profondamente preoccupati per la crescente violenza che questi giornalisti devono affrontare e per il suo impatto sul diritto del pubblico a informazioni affidabili. Ciò è ancora più allarmante in un contesto di rinnovati attacchi israeliani a Gaza, dove quasi 200 giornalisti sono stati uccisi dal 2023, di cui almeno 42 in servizio.

Jonathan Dagher

Responsabile del desk RSF per il Medio Oriente

Copertura delle notizie ostacolata

Il viaggio da Ramallah a Tulkarem dovrebbe durare 90 minuti, ma dal 7 ottobre 2023 i viaggiatori devono passare attraverso sette posti di blocco militari, trascorrendo spesso ore sulla strada. “La situazione è peggiorata dopo il cessate il fuoco a Gaza”, afferma la corrispondente di RSF in Cisgiordania Aziza Nofal. Oltre al traffico causato dai posti di blocco che vengono spesso chiusi, l’esercito israeliano ha installato decine di barriere stradali metalliche da gennaio 2024. “A volte tutto è bloccato ed è impossibile muoversi”, riferisce Aziza Nofal.

Queste restrizioni alla circolazione impediscono ai giornalisti di occuparsi della violenza commessa dalle forze israeliane nella Cisgiordania occupata. Come le città di Jenin e Nablus, Tulkarem ospita campi profughi che sono stati presi di mira dai raid israeliani per quasi due mesi, mentre le forze di occupazione israeliane affermano di condurre “operazioni antiterrorismo”. Tuttavia, dall’inizio del 2025, RSF ha documentato almeno 20 attacchi deliberati contro professionisti dei media nei pressi di questi campi.

Attacchi mirati contro i giornalisti

Il fotoreporter freelance Mohammad Atiq stava seguendo un raid in un campo profughi a Qabatiya, una città a sud di Jenin, per l’agenzia di stampa francese Agence France-Presse (AFP), quando un veicolo militare è avanzato verso di lui e altri nove reporter, chiaramente identificabili come giornalisti. I soldati nel veicolo hanno iniziato a sparare proiettili di gomma e granate lacrimogene nella loro direzione.

Ore dopo, vicino allo stesso campo, altri quattro giornalisti freelance sono stati molestati dalle forze israeliane. “Un’unità militare ci ha permesso di accedere all’area, ma un’altra ci ha ordinato di andarcene”, ha detto a RSF il giornalista Naser Ishtayeh . “Mentre ce ne andavamo, circa 25 soldati ci hanno intercettati, insultati, perquisito i nostri telefoni e confiscato i nostri hard disk. L’esercito li ha ancora oggi”.

La giornalista freelance Nagham al-Zayet stava filmando un raid a Tulkarem il 29 gennaio quando un soldato ha sparato un colpo a un palo d’acciaio a pochi centimetri da lei, apparentemente per intimidire la reporter. Le schegge dell’impatto le hanno ferito la mano.

Cinque giorni dopo, su una strada che porta a Jenin, ha avuto luogo un altro attacco mirato: tre jeep militari si sono dirette dritte verso il giornalista freelance Obadah Tahayneh. Temendo di essere investito, ha lasciato cadere la sua telecamera e l’attrezzatura di trasmissione per mettersi al riparo. I veicoli hanno poi deliberatamente investito la sua attrezzatura professionale, distruggendola completamente, ha raccontato a RSF.

I giornalisti che lavorano nei pressi dei campi profughi palestinesi vengono regolarmente perquisiti, interrogati e talvolta detenuti. Secondo RSF, 17 reporter arrestati in Cisgiordania dal 7 ottobre 2023 per il loro giornalismo si trovano ancora nei centri di detenzione israeliani. Più di recente, circa dieci giornalisti sono stati temporaneamente detenuti dalle forze israeliane dopo aver seguito l’arrivo dei fedeli palestinesi alla moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme durante il Ramadan.

Molestie da parte delle autorità palestinesi

Oltre ai raid israeliani, le forze di sicurezza palestinesi hanno anche lanciato una campagna di intimidazione contro i giornalisti nelle ultime settimane. Da gennaio, nove giornalisti sono stati convocati o temporaneamente detenuti dall’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania, secondo le informazioni di RSF. Tutti sono stati interrogati sui loro legami con Al Jazeera , che l’Autorità Nazionale Palestinese ha bandito il 1° gennaio. L’Autorità Nazionale Palestinese ha accusato l’agenzia di stampa del Qatar, che è anche presa di mira dal governo israeliano, di diffondere “incitamento”, “sedizione” e “disinformazione” e di “interferire negli affari interni palestinesi”.

L’8 gennaio, il giornalista Salah al-Din Abu al-Hassan è stato convocato e interrogato dalle forze palestinesi in Cisgiordania in merito alla sua copertura della chiusura della redazione di Al Jazeera , mentre il giornalista Mohammed Samarin è stato interrogato in merito al suo lavoro con l’emittente qatariota. Il giorno dopo, anche il corrispondente di Al Jazeera Laith Jaar è stato convocato e costretto a firmare un impegno a non apparire sul canale finché il divieto rimarrà in vigore.

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