Gaza. Una Riviera Bagnata di Sangue. Esther Solomon, Haaretz. Matteo Castagna.
14 Febbraio 2025
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Matteo Castagna, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni sulla situazione a Gaza. Buona lettura e diffusione.
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Per molti lunghi mesi di guerra, il primo ministro Benjamin Netanyahu, ha atteso il momento giusto, scommettendo sul successo elettorale dell’attuale presidente degli Stati Uniti Donald Trump, contento di potersi liberare delle numerose suppliche delle famiglie degli ostaggi israeliani, tenuti in condizioni pazzesche, di abietta violenza e tortura.
Ma la “soluzione” proposta da Trump per i palestinesi di Gaza va oltre i sogni più sfrenati, autocratici e annessionisti di Netanyahu & Co., per i quali il presidente è stato celebrato come il “messaggero di Dio”, inviato a liberare Gaza dai suoi abitanti, per spianare la strada ai coloni israeliani.
Questo piano, non solo diffonde quella che era, in gran parte, un’idea di “trasferimento” riservata agli estremisti, ossia l’eufemismo israeliano per la pulizia etnica, mentre presenta Gaza come un “progetto immobiliare”, con cupole del piacere per investitori stranieri. Minaccia, anche, i duraturi “accordi di pace” tra Israele, Giordania ed Egitto, nonché l’intero accordo “ostaggi/cessate il fuoco”, da cui dipendono le vite degli ostaggi, e quelle di molti altri civili di Gaza.
Quando tre ostaggi, pallidi ed emaciati, sono stati rilasciati da Hamas, sabato scorso, c’è stato un sussulto quasi palpabile in tutto Israele: immediati paragoni coi sopravvissuti all’Olocausto. Mentre vengono rilasciati altri ostaggi, questi forniscono testimonianze sulle spaventose condizioni in cui Hamas e la Jihad islamica palestinese li hanno tenuti: fame, catene, soffocamento, abusi psicologici.
Può essere triste, ma non sorprende, che quelle immagini e storie, insieme ai ricordi ancora vivi del 7 ottobre e dei successivi 15 mesi di guerra, abbiano contribuito ad alimentare la ricettività degli israeliani al piano Trump.
Per un momento, Netanyahu ha probabilmente pensato che la tempestiva collisione del piano Trump e l’indignazione per i sopravvissuti smunti gli offrissero un perfetto piano di gioco politico. La sua priorità principale è quella di guadagnare tempo al potere, mantenendo l’estrema destra a bordo, rimanendo dalla parte giusta del presidente, mantenendo aperta l’opzione di riavviare la guerra.
Se l’opinione pubblica era già abbastanza radicalizzata da mostrare interesse per il “trasferimento”, allora forse l’aspetto angosciante degli ostaggi,e le spaventose scene delle masse a Gaza, al rilascio di una donna in ostaggio, Arbel Yehoud, la settimana prima, avrebbe estremizzato abbastanza l’opinione pubblica, da abbracciare un’altra guerra fino alla sempre sfuggente “vittoria totale” di Netanyahu.
Tuttavia, Netanyahu non può pianificare l’intero copione. Gli israeliani sono davvero più disgustati che mai da Hamas, ma vogliono che gli ostaggi tornino a casa. L’aspetto cupo degli ostaggi era un invito all’azione, non alla guerra, ma alla solidarietà umana: salvateli, ora, finché possiamo!
Durante la guerra, Netanyahu è stato insensibile alle proteste pubbliche e alla priorità data agli ostaggi. “Trump ha davanti a sé quattro anni di presidenza sempre più imperialista”, scrive la Solomon.
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