La Chiesa Romana dell’Otium. Il Matto.
13 Febbraio 2025
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il nostro Matto, a cui va un grande grazie, offre alla vostra attenzione queste riflessioni sui possibili effetti negativi della mancanza di umiltà e di coscienza della propria povertà. Buona lettura e meditazione.
§§§
LA CHIESA ROMANA DELL’OTIUM
«Coloro che combattono, non per Dio in se stessi, ma contro il diavolo negli altri, non riescono mai a migliorare il mondo, ma lo lasciano com’era, o qualche volta peggiore di com’era prima che cominciasse la crociata».
Joseph Pieper
Aldous Huxley
Vista la situazione, occorre ammettere che è così. Al fine, la responsabilità non è dei peccatori bensì dei “santi”!
* * *
Dell’intenso e stupendo brano che segue, tratto da Joseph Pieper, Otium e culto, si propone una calma e reiterata considerazione, e non una mera ed evanescente “lettura”. Cicloni di vaniloqui conflittuali, veri e propri scempi della parola, spazzano la terra e travolgono anche la Chiesa, ragion per cui quella che verrà sarà una Chiesa Romana dell’Otium o non sarà. L’obsoleto giudeo-cristiano, farisaico scagliarsi verso gli errori degli altri, dando per scontata la propria indefettibilità – “noi non siamo come quelli là” –, ha fatto il suo tempo, e ciò che veramente conta è la vittoria su se stessi: intro-iettarsi più che pro-iettarsi. Più vincitori di se stessi ci saranno e più la convivenza ecclesiastica e sociale ne gioverà. Il catechismo ed i riti non bastano poiché possono facilmente dare adito ad un fondamentalismo tutto “giustizia” (le virgolette sono d’obbligo) e niente misericordia. Occorre anche la vittoria su se stessi, soltanto dalla quale può scaturire la «Luce degli uomini».
Con delicata e preziosa immagine, Henry Miller:
«Siamo tutti parte della creazione. Siamo tutti dei re, dei poeti, dei musicisti; e non resta che aprirsi come un loto per scoprire cosa si nasconde dentro di noi».
«Regnum Dei intra vos est».
* * * * * * *
L’otium è uno dei fondamenti della civiltà occidentale: così si legge nella “Metafisica” di Aristotele, al primo capitolo. E anche l’etimologia del termine ci riserva un insegnamento: otium in greco si dice scholè, passata in latino nella parola schola, in italiano scuola. Dunque il termine con cui vengono designate le sedi della cultura, anzi della formazione alla cultura, significa otium. Scuola non significa scuola, ma otium.
L’otium è uno stato dello spirito, un clima spirituale, atteggiamento di non attività, di riposo, del lasciar accadere, del silenzio. Configurazione di quel silenzioso raccoglimento che è un presupposto necessario alla percezione della realtà, stato della percezione recettiva, del concepimento intellettivo, dell’immersione intuitiva e contemplante della realtà.
Nell’otium è presente qualcosa della serenità del non-poter-capire, di quel riconoscere il carattere misterioso e insondabile dell’essere. C’è in esso l’ardimento del cuore che si affida senza calcolo al corso delle cose.
L’otium non è l’atteggiamento di chi assale, invade, ma di chi s’apre accogliente; non sta nel comportamento di chi stringe afferrando, ma di chi allenta, di chi si distende, abbandonandosi, quasi come si abbandona il dormiente (solo chi si abbandona si rilassa, può dormire). E infatti, come agitazione e insonnia appaiono termini correlativi, così l’uomo in otium è simile al dormiente.
Il diletto ristoratore che proviamo nella contemplazione di una rosa che sboccia, di un bambino che dorme, di un mistero divino, non è forse simile al diletto ricreatore che troviamo in un sonno profondo e tranquillo?
Nell’otium sono partecipate all’uomo le grandi, felici, irraggiungibili immagini e idee. L’otium è abbandono continuo della sfera propriamente umana, ed è possibile soltanto a questa condizione: che l’uomo non soltanto sia in armonia con se stesso, che aderisca al suo essere (mentre l’accidia prospera nel rifiuto di questa adesione), ma che entri in armonia con l’orientamento della realtà totale.
L’otium nasce dall’adesione. Non è pura e semplice inattività, non è simile alla quiete, e neppure alla quiete interiore. Ma è invece simile al silenzioso colloquio degli amanti che si nutre d’intimo accordo.
* * * * * * *
Dunque, si può perseguire l’entrare in otium attraverso
«l’abbandono continuo della sfera propriamente umana» (drammatico!),
fruendo della «serenità del non-poter-capire» (sublime!),
tale sereno abbandono coincidendo con l’apofasi, con la negazione di tutto ciò che l’umano può concepire, pensare e dire, fino a raggiungerne il limite che immette nell’Oltre, più precisamente il punto in cui inizia, irresistibile, l’attrazione diretta operata dall’Oltre, dal Principio, dal Verbo, laddove il bene e il male, come anche il piacere e il dolore, non esercitano più il loro potere dilaniante.
Ricordiamo che l’antitesi dell’otium (ozio) è il nec-otium (neg-ozio), vale a dire l’attivismo parossistico, il convulso agire che dà morte al cuore (giapp. isogashii) cui non basta mai il tempo per compiere veri o presunti doveri, un continuo neg-oziare che è il segnale di una Coscienza ancora divisa tra soggetto agente e dovere da compiere, quando invece l’otium, come risulta dal testo proposto, prevede:
1) «l’ardimento del cuore che si affida senza calcolo al corso delle cose», cioè lo spirito virile (giapp. kokorozashi);
2) l’«armonia con l’orientamento della realtà totale» (giapp. iawaseru):
due facoltà, la prima ignea e la seconda acquea, facili a descriversi ma che per attivarsi richiedono una non comune disciplina di sé per la “conciliazione del Fuoco con l’Acqua”, ovvero per l’equilibrio tra il Cerchio (il Celeste) e il Quadrato (il Terrestre), impresa paziente ed eroica che richiede la morte del vecchio uomo e quindi soltanto alla portata del MILES: uno su mille, modello ideale a cui si può e si deve tendere pro salute populi. Un nome per tutti: Parsifal: “valle chiara” in druidico, “fiore puro” in persiano, “puro folle” secondo l’etimologia wagneriana. Insomma l’Eletto, in linea con quanto è scritto: «pochi gli eletti». Eletti, è bene notare, non in senso giudeo-cristiano, ma romano, quindi universale, dacché l’universalità – da sempre – è proprietà esclusiva di Roma.
Ma anche Piercival: “colui che si apre un varco”, con la lancia della concentrazione senza oggetto, cioè «senza calcolo», ovvero senza spirito di profitto e senza scopo (giapp. mushotoku).
Chiaro, puro, folle, pugnace, disinteressato: questi i requisiti dello Jaculator, di colui che intraprende il tragitto apofatico lanciando la Coscienza attraverso l’umanamente conosciuto e normato per superarlo, giacché soltanto indicativo, relativo e quindi inabile a cogliere il Sovrumano, l’Assoluto.
L’uomo in otium non esiste alcun “dovere da compiere”, nessun comandamento e catechismo da rispettare; egli agisce perché agisce, secondo il sapiente motto latino “AGE QUOD AGIS”: FAI (BENE) CIÒ CHE STAI FACENDO. Ed anche secondo Plauto: “AGE SI QUID AGIS”: SE FAI QUALCOSA, FALLA.
Al riguardo, non si insisterà mai troppo sull’importanza dell’ATTIMO PRESENTE, del KAIROS: il momento opportuno, l’unico in cui si può fare quel che si deve fare o non fare. QUEST’ATTIMO, cioè il PRESENTE, è l’unico tempo reale: “prima” e “poi” non sono che concetti ed immaginazioni fuorvianti e condizionanti: col coagularsi sul pensiero concettuale e immaginativo, la Coscienza oblia il suo essere immortale e del tutto libera in quanto soltanto se stessa, cioè quale Contenente del tutto libero da qualsiasi contenuto che essa trascende senza afferrarlo e senza respingerlo.
L’uomo in otium è totalmente coinvolto (acqua) e totalmente distaccato (fuoco) in ogni situazione in cui venga a trovarsi e con la quale entra immediatamente in un «silenzioso colloquio» dal quale ogni dovere oggettivato è escluso, e ciò per la semplice ragione che nell’immediatezza è esclusa ogni mediazione.
E infatti i doveri, come i regolamenti, sono mediazioni, certamente necessarie per un iniziale orientamento, ma che la semplificazione (la neoplatonica aplosis) per astrazione (aphairesis), insomma l’addestramento apofatico, rende superflui grazie alla loro incarnazione: con la mente e con il corpo l’uomo in otium è già tutt’uno con ogni dovere ed ogni regola, quindi presente e correttamente adeguato ad ogni situazione (giapp. iai). L’agire risulta senza sforzo perché l’agente coincide con l’azione. Perciò è bene ribadire che:
«l’otium non è l’atteggiamento di chi assale, invade, ma di chi s’apre accogliente; non sta nel comportamento di chi stringe afferrando, ma di chi allenta».
E così, importatissimo:
«nell’otium sono partecipate all’uomo le grandi, felici, irraggiungibili immagini e idee»,
prime fra tutte, sono partecipate le Sette Virtù del … Bushido, che sono universali (come il romano ed omologo Mos Maiorum) e quindi nemmeno il Cattolico vorrà mettere in discussione. Virtù che nessuno può esercitare se non si è abbandonato apofaticamente alla Divinità:
Integrità (Gi), Cortesia (Rei), Coraggio (Yu), Onore (Meiyo), Compassione (Jin), Onestà e Sincerità (Makoto), Dovere e Lealtà (Chu).
Chi per apofasi realizza l’otium pratica immediatamente tali Sette Virtù poiché è direttamente sotto l’ala del Divino:
«Scapulis suis obumbrabit tibi, et sub pennis eius sperabis».
Tolstoj in Anna Karenina:
«I ragionamenti lo portavano a dubbi e gli impedivano di vedere che si doveva e quel che non si doveva fare. Quando invece non pensava, ma viveva, sentiva incessantemente nell’animo suo la presenza d’un giudice infallibile che decideva quale delle due azioni possibili fosse migliore e quale peggiore, e, appena agiva non come si doveva, lo sentiva immediatamente».
Non pensare, ma vivere: Otium!
Profondissimamente Lao Tze:
«Quando lascio andare quello che sono, divento ciò che potrei essere».
Ecco quindi l’indispensabile LASCIARE LA PRESA, ossia APRIRE LA MANO DEL PENSIERO (giapp. omoi no o tebanashi), processo per nulla scontato che richiede la reiterata fecondazione della terra della Teoria (giapp. Bun) col seme della Prassi (giapp. Bu). Uno + Due = Tre. Se manca l’Uno o il Due, il Tre non nasce. In fondo, si tratta di una coltivazione di sé (giapp. shugyo), che esige un preventivo e assiduo dissodamento del terreno, se la Spiga d’Oro deve germogliare (previa la morte-trasmutazione del seme). Qui, il vomere dell’Apofasi, dunque della Concentrazione e del Silenzio, è la Prassi.
Del resto la letteratura cavalleresca riferisce della terre gaste – la terra desolata – che ha da essere attraversata onde ritrovare il Castello del Graal, ovvero il «tesoro nascosto in un campo». Terra desolata, cioè “abbandonata” secondo l’etimologia, ma anche de-solata, cioè priva di Sole, di Luce, dell’Oltre, del Principio, del Verbo.
Si conclude con Clemente Alessandrino, che negli Stromata magistralmente riassume tanto l’impresa dello Jaculator quanto il tratto peculiare della Chiesa Romana dell’Otium:
«Ci precipitiamo (aporripsomen) nella grandezza (megethos) di Cristo. Se poi avanziamo per la Santità verso l’Abisso (bathos), avremo una certa conoscenza di Dio che tutto contiene (pantokratôr) conoscendo non ciò che egli è, ma ciò che non è (ouch ho estin, ho de mê estin gnôrisante)».
E l’Abisso non offre dove appigliarsi perché è vuoto.
Perciò la Santità è vuota.
E coincide con il perfetto Otium che «tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta».
§§§
IBAN: IT79N0 200805319000400690898
BIC/SWIFT: UNCRITM1E35
ATTENZIONE:
L’IBAN INDICATO NELLA FOTO A DESTRA E’ OBSOLETO.
QUELLO GIUSTO E’:
IBAN: IT79N0 200805319000400690898
Condividi i miei articoli:
Categoria: Generale
Caro il Matto,
se “otium” ha da esser sinonimo di soavi pensieri e di pace interiore, ad esso si adattano i versetti di Luca ( 6: 24 e sgg. ) Nei Vangeli, però, troviamo citazioni che sembrano (?) contraddire tali belle e “contemplative” citazioni. Mi limito a un succinto elenco:
Mr.(6: 7-11); Mt. (10: 11-15); Mr. (9:46-49); Mt. (1:34); Mt. (11:20-24); Mt. (21::33-41 e 43-44); Lc (17:26-37); L. (22: 36-38); Gv. ( 2: 13-15 ); Gv. (15: 5-6 ); Gv. ( 15: 12 e sgg. ).
Ognuno scelga chi preferisce.
🙏
Vado al colmare la mia lacuna.
Caro il Matto,
perchè, nonostante lo scoraggiamento dei pensatori taoisti, intrinseca all’uomo è la parola…e ancora non si sa se è la parola a costruire il giudizio, oppure il giudizio la parola.
Perciò qui aggiungo una breve considerazione di un Grande Saggio dell’antico Egitto sulla autenticità e il valore della Parola non mistificata:
” Nascosta è la parola, bella più della pietra verde, e può essere trovata essa nelle mani delle serve alle macine. ”
( Ptah-hotep: colui che soddisfa il dio creatore Ptah. 3000-2500 a.Ch. ) N.B. “Pietra verde: malachite, peridoto o feldspato”. Un linguaggio stupendo che, per es., definisce “il medico” ANK HOTEP, ossia: colui che soddisfa alla vita e anche alla Vita…trovarcene, oggi!
Splendido passo quello che hai citato.
“Nascosta è la parola”: e nascosta vuol dire celata, dunque ancora in-sonora in sé e a maggior ragione all’orecchio umano, insomma parola muta, e per questo “compressa” in tutta la sua possente energia creatrice.
E qui torniamo all’imprescindibilità del silenzio quale raccoglimento dalla dissipazione del parlare in continuazione, e indipendentemente dall’argomento di cui si parla.
Per parlare occorre prima diventare muti, perché soltanto il muto sa di cosa parla: ascesi ripugnante per chi pensa e parla a getto continuo.
“Può essere trovata essa nelle mani delle serve alle macine”: non sembra che in giro ci siano queste(i) ignoranti che la conoscono.
La “pietra verde” … il Santo Graal … e qui mi fermo.
Ero certa che ti sarebbe piaciuta…piace anche a me. ❤
Pensierino. Sto guardando Sanremo: quanto medica la dolcezza di splendidi e armoniosi mazzi di fiori alla fine di ogni sono
Solo due domande per capire caro “il Matto”. Quanto di quest’otiun coglie nella figura di Gesù di Nazareth? I 12 sono forse stati indirizzati verso l’otium dal loro Maestro? Certamente l’introiettarsi è ,o dovrebbe essere, prioritario, conditio sine qua non, rispetto al nostro proiettarsi. Ottimo viatico per un approccio più comprensivo di quell’ordinario, e troppo spesso distratto, aspetto del vivere che chiamiamo “la realtà fattuale” ; la quale realtà, in costante rischio di depauperamento cognitivo, potrebbe però rappresentare quell’elemento correttivo rispetto quegli stati di coscienza troppo in balia della della propria personale soggettività. Un cordiale saluto.
Rispondo alle sue due domande con un’unica soluzione:
«Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro […] Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».
Questo passo mi ha sempre affascinato e commosso, e, per quanto mi riguarda, il brano di Pieper ne è un magistrale commento delucidativo.
Se Gesù insegnava questo, certamente è perché lo incarnava in maniera eccelsa. Sottolineo “incarnava”, ovvero non era soltanto un ideale confinato nel cerebro-intelletto.
“Non affannatevi”: senza una profonda e reiterata introiezione è impossibile rendersi conto degli affanni che ci condizionano, molti dei quali sono inconsci e quindi richiedono un coraggioso scandaglio, che è parte integrante e indispensabile del metodo apofatico, teso a cercare prima di tutto il regno di Dio che non è nulla di ciò che possiamo pensare o immaginare, poiché si trova oltre il pensiero e l’immaginazione.
Lo Jaculator realizza pazientemente il suo otium.
Cordialmente.
L’OTIUM era il compito riservato agli intellettuali e (quindi) ai politici dell’antica Roma.
Coloro che siedevano nel Senato romano erano destinati all’OTIUM perchè totalmente dedicati alla politica. Così i SAGGI.
Coloro che , invece, erano destinati alle attività commerciali, militari, comunque attività sociali, erano destinati al NEGOTIUM.
Nel significato d’oggi il NEGOZIANTE è colui destinato appunto al NEGOTIUM
Mi sembra che l’esposizione di Pieper vada più in profondità e concerna un’orizzonte più vasto di persone rispetto alla pur corretta distinzione da lei ricordata.
L’attuale temperie planetaria, acutissimamente conflittuale, coinvolge ogni ceto sociale e religioso. Perciò l’otium si presenta come un’indispensabile medicina. Tanto più indispensabile quanto più ignorata!
Grazie e cordialità.
CERTAMENTE,
Io volevo solo aggiumgere un dettaglio che confermava il post.
Mi scusi se non sono stato abbastanza hiaro.
Forza MATTO sono (quasi) sempre dalla sua parte
La ringrazio.
Scuse accettate ma … non servivano 😊.
Quando se la sentirà, e se se la sentirà, una spiegazione del suo “quasi” mi farebbe molto piacere. Ascoltare ciò che dice l’altro sempre utile, specie se è … “quasi” Matto 😄
A me torna in mente la morte che può traghettar chi -teneramente addormentato- desidera il riposo. Senza sapere se sarà eterno o carico dei conflitti interiori che hanno accompagnato molteplici vite da altri uomini vissute sino alla fine. E, in alcuni casi, simili alla vita stancante e deludente come la propria….
Grazie per questo suo breve ma interessante contributo.
Mi sembra, mi corregga se sbaglio, che vi sia un riferimento al post-mortem in quanto paradisiaco (“riposo eterno”) o in quanto purgatorio (“carico di conflitti interiori etc.).
In quanto infernale speriamo di no!
Piccolo disguido tecnico nella pubblicazione:
La citazione iniziale è di Aldous Huxley, nella foto è Joseph Pieper 😊