Economia Europea. Guerrafondai – Perché – e Risiko Bancario. Vincenzo Fedele.

8 Febbraio 2025 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Vincenzo Fedele, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni sulla situazione che stiamo vivendo in Europa. Buona lettura e diffusione.

§§§

Economia europea – Guerrafondai e risiko bancario

Dopo aver visto gli aspetti politici dell’irrilevanza e delle assurdità delle scelte sia della UE nei suoi vertici che dei singoli Stati europei al loro interno, interessiamoci degli aspetti economici.

Ne avevo già parlato in un articolo del 28 settembre scorso (Vedi qui) prendendo spunto dalla mossa di Unicredit per acquisire la Commerzbank tedesca. Non ripeto qui le considerazioni geopolitiche a suo tempo esposte quindi, per chi voglia approfondire, è bene rileggerlo.

La situazione intanto si è evoluta e l’apparente complicazione può servire a fare un po’ di chiarezza.

Ancora una volta chiedo venia per il quadro che risulterà complicato ai non addetti ai lavori e chiedo ugualmente scusa per le esemplificazioni a volte eccessive per chi è addentro ai problemi esposti.

La guerra del risparmio che si è aperta nel frattempo, fa quasi pari con l’allarme che avevo indicato a settembre dello scorso anno. A qualcuno avevo chiarito, personalmente, come leggevo io l’evolversi della situazione. La mia salute ballerina non mi ha consentito di farlo qui e spero di recuperare adesso.

Il risiko bancario europeo è figlio della crisi economica e finanziaria che, nel silenzio mediatico, ha avvolto l’intero continente.

La Francia ha un deficit di oltre il 7% e si trova in forte difficoltà con: un governo nominato da Macron ma immobilizzato da veti incrociati; non può più attingere dal post-colonialismo africano con la stessa frequenza da bancomat con cui lo faceva prima; è fermata nelle sue risorse nucleari sia dal ridotto flusso di uranio africano che dai vertici UE che impongono penalizzazioni al nucleare francese. Altre difficoltà arrivano dal controverso accordo sottoscritto dalla Von der Pfitzer con i paesi sudamericani del Mercosur, che comporta forti penalizzazioni per gli agricoltori francesi, dal settore automobilistico con Stellantis in forte calo e dalla prospettiva del possibile incremento al 5% del PIL da dedicare alla difesa che farebbe saltare totalmente il bilancio francese.

La recessione è dietro le porte, ma la Francia non vuole neanche sentir parlare di toccare le pensioni o penalizzare i consumi, come a suo tempo è stata obbligata a fare l’Italia con Monti.

A Parigi ci sono in Parlamento coloro che finora hanno sponsorizzato le proteste contro la riforma delle pensioni, i gilet gialli, gli agricoltori che giustamente bloccavano le strade con il letame e fortemente criticato gli aiuti all’Ucraina.

Il sistema finanziario e creditizio francese è sull’orlo del collasso e solo la certezza che un cedimento, qualsiasi cedimento, anche di una banca provinciale, porterà ad un incontrollabile effetto domino, lo tiene fittiziamente integro anche se non proprio vitale. Il sistema, finora, non è crollato perché la sua debolezza lo rende talmente instabile che anche la minima crepa deve essere istantaneamente risanata per evitare il cedimento di tutta la baracca.

Chi regge questo gioco, finché reggerà, sono i vari fondi sovrani, i vari Black Rock e Vanguard e, non ultima, la Cina che da tale crisi vedrebbe chiusi i suoi canali di vendita di cui non può fare a meno.

La Germania, in ossequio alla proprio ossessione per il pareggio di bilancio non può, e soprattutto non vuole, intervenire per salvare i francesi e farli continuare a vivere sopra le proprie possibilità.

Il Regno Unito, per quanto fuori dall’UE, non è messo certo meglio e insieme danzano sull’orlo dell’abisso. Le ragioni del loro rimanere a galla le vedremo meglio parlando della City.

La situazione era già tragica nel passato. Il QE di Draghi non è servito solo a salvare l’Italia, che era nei guai ma in fondo se la cavava, quanto e soprattutto la Francia. Nel 2020 lo sfacelo è stato tamponato dalla creazione dell’emergenza COVID che tutto ha coperto, con la BCE che ha elargito infiniti fondi per tamponare la crisi generale e l’annullamento dei vincoli del patto di stabilità.

Adesso, per uscire dalla crisi acuta, solo un’altra emergenza conclamata può salvare la Francia e l’Inghilterra dal crollo.

Questa crisi, al momento, può essere solo uno stato di guerra conclamata.

E’ per questo che, contro ogni parvenza di buon senso, sia Parigi che Londra continuano ad appoggiare Zelensky ed a provocare Putin nell’attesa, speriamo vana, di una reazione russa che faccia precipitare gli avvenimenti e trasformi una guerra per procura in una guerra mondiale.

Il governo tedesco, in crisi da oltre due anni e perennemente sconfitto in ogni elezione regionale, è sopravvissuto finché ha continuato a fornire armi e tecnologia all’Ucraina, finché ha taciuto sui veri responsabili dello scoppio dei gasdotti Nord Stream. All’impuntarsi di Scholz nel non inviare a Kiev i missili Taurus, contro il parere di Pistorius, è caduto e si andrà al voto. Il prossimo cancelliere, Merz, si è già dichiarato favorevole all’invio dei Taurus a Zelensky.

La Polonia e gli Stati Baltici, che dettano la nostra politica estera, sono la punta di lancia dell’odio anti russo, ma sono aizzati, dal Regno Unito che, pur essendo fuori dall’UE, partecipa agli incontri per valutare come sostituire gli USA se realmente saranno fermati gli invii di armamenti in Ucraina per imporre una trattativa che porti alla pacificazione.

La pacificazione non se la possono permettere, e neanche la trattativa, perché farebbe approdare ad una situazione di normalità ed i guai verrebbero a galla, e senza salvagente.

Lo stravolgimento di Trump ed il cambio di gioco che ha imposto, sta lasciando molti con il cerino in mano e qualcuno si scotterà.

Le borse salgono o scendono già al solo ventilare la possibilità di dazi per i quali l’Europa non è stata finora neanche sfiorata. Ho già espresso il mio parere in merito, cioè Trump non imporrà dazi all’Europa, ma gli basterà rimanere fermo a vedere passare il nostro cadavere massacrato dagli alti costi energetici e dalle spese assurde per rispondere all’emergenza climatica inventata ed alle necessità di energia verde per ridurre la CO2, base della vita, e ridurre i peti delle mucche.

Intanto il bene rifugio torna ad essere l’oro fisico.

Nei mesi scorsi la Cina ne ha fatto incetta per centinaia di tonnellate in via ufficiale ed almeno altrettanto (qualcuno dice fino 10 volte tanto) per canali poco tracciabili. Negli ultimi due mesi, dopo la vittoria di Trump, gli stessi USA, che prima vendevano oro alla Cina, sono diventati acquirenti netti aumentando le loro riserve aurifere. Anche l’argento è tornato di nuovo in auge affiancando l’oro come riserva rifugio anche per le banche centrali.

Del resto tutto è in movimento e la stessa famiglia Trump, prima dell’insediamento del 20 gennaio, e sull’onda delle dichiarazioni del nuovo Presidente che magnificava le criptovalute, ha lanciato una propria valuta elettronica investendo 100 milioni di Dollari in unità da 10 centesimi di dollaro. Pochi giorni dopo il lancio questi nuovi coin (non li cito per non incrementare speculazione in perdita), hanno sforato i 10 Dollari, con un aumento di oltre 100 volte. Non ho i dati precisi, ma il fenomeno è questo. I gestori della famiglia Trump hanno venduto circa il 20% della somma emessa, guadagnando miliardi di Dollari e trattenendo l’80% che adesso, dopo poco più di due mesi, vale molto più di 100 volte 100 milioni di Dollari.

L’ammirazione per Trump non deve consentire a nessuno di tacere su singoli argomenti negativi. Che siano le valute o la pulizia etnica a Gaza, gli attacchi alla Corte Penale o altro.

Tranquilli: nessuno perseguiterà Trump o i suoi per insider trading.

Del resto poche settimane prima era stata emessa una nuova valuta elettronica (non cito neanche questa) con coin collegati ai peti (si proprio quelli) delle mucche, quindi al nulla, ma indorati di risvolti ecologici che li hanno fatti volare in aumento.

Alla prima notizia dei dazi che Trump avrebbe imposto ai prodotti messicani e canadesi, questi coin sono crollati, compresi i Bitcoin storici, mentre oro e argento hanno avuto una ulteriore impennata. Anche alla pazzia e alle mode c’è un limite e lentamente, troppo lentamente, si sta tornando ai valori concreti. Non è neanche un caso che i dazi ventilati da Trump per Messico e Canada erano del 25% mentre per la Cina, acerrimo nemico da combattere, erano solo del 10%. In realtà nessun dazio è stato finora attuato, ma Canada e Messico hanno dovuto trattare. Alla Cina è bastato fare l’elenco delle contromisure che avrebbe adottato e di dazi alla Cina non se ne parla più. Solo l’Europa, pur non essendo stata finora neanche sfiorata, continua a tremare ed a lanciare roboanti dichiarazioni basate sul nulla che tanto richiamano la famosa trasmissione di Radio 2 “Il ruggito del coniglio”. Le borse europee sono arretrate di brutto già al solo odore dei potenziali dazi e l’Euro è fortemente arretrato sul Dollaro. Gli aumenti di questi giorni non traggano in inganno.

I sommovimenti azionari delle banche, di cui siamo testimoni, e che una volta tanto vedono l’Italia protagonista, sono un pallido riflesso dei movimenti sotterranei che agitano tutto il sistema economico.

Il nostro sistema bancario è sano e può guardare con fiducia al futuro. Forse con troppa fiducia, visto che le fila del gioco le conducono altri come avevo già fatto notare elencando, ad esempio, chi sono i veri proprietari di Unicredit e Commerzbank..

Unicredit, stoppata dal governo tedesco, lungi dal ritirarsi dalla contesa per Commerzbank, l’aveva messa in attesa ed aveva rilanciato con un’offerta per la Banca Popolare di Milano – BPM.

Questa mossa a sorpresa era uno spariglio di carte inaspettato e controcorrente.

Non era infatti, e non è, una semplice operazione di ampliamento del perimetro Unicredit che, oltre ad ampliarsi in Europa acquisendo Commerzbank, vuole anche allargarsi in Italia incorporando la Popolare di Milano.

Da noi, infatti, si stava cercando di creare un terzo polo bancario, oltre San Paolo e Unicredit, per consolidare il nostro sistema creditizio che poteva avere benissimo tre solide gambe con attorno le piccole realtà locali da consolidare. Il terzo polo doveva ruotare attorno a BPM che stava per allearsi con MPS – Monte dei Paschi di Siena – risanata dopo le sinistre disavventure degli scorsi anni.

BPM aveva già acquisito il 15% di azioni MPS ed era affiancata dalle finanziarie dei gruppi Loxottica e Caltagirone oltre ad essere sponsorizzata dal Governo italiano che vuole monetizzare i miliardi investiti nel risanamento di MPS per uscire così dal suo salvataggio e rilancio e, nel contempo, creare questo terzo polo bancario solido e credibile anche come player internazionale.

L’offerta Unicredit di acquisire BPM, palesemente bassa, aveva solo la funzione, nell’immediato, di bloccare qualsiasi velleità di fusione tra BPM e MPS.

Per Legge, infatti, una banca soggetta a offerta d’acquisto, OPA o altro che sia, non può effettuare azioni straordinarie che potrebbero diluire o incrementare il proprio patrimonio o il proprio perimetro d’azione, quindi risulta bloccata su questi fronti.

Non potendosi muovere BPM si è mossa, ancora una volta a sorpresa, MPS che da potenziale fidanzata di BPM si è proposta come attrice principale ed ha lanciato un OPA su Mediobanca che, a sua volta, ha in pancia il controllo di Generali.

E’ proverbiale la filosofia di Mediobanca, già dai tempi di Enrico Cuccia, per cui “le azioni si pesano e non si contano”. I tempi sono cambiati e i trilioni che possono mettere sul piatto dei colossi come Black Rock o Vanguard dovrebbero far riflettere, ma intanto il Leone di Venezia ha cercato una via di fuga se le cose dovessero mettersi male.

L’amministratore delegato di Generali (francese) ha creato una nuova società con il gruppo (francese) Natixis che avrà quasi 2.000 miliardi di Euro da gestire e con controllo ai francesi nonostante i punti di forza pendano chiaramente a favore di Venezia. Nel CdA di Generali il benestare a questa creazione è stata vista come una forzatura eccessiva, ma è passata ugualmente giocando sulle maggioranze e con i “nemici” della nuova creatura che gridano vendetta.

Da questo scatta l’OPA di MPS su Mediobanca, con il benestare del Tesoro, che è il primo azionista di MPS con l’11,7%. Se l’operazione andrà in porto gli scalatori avrebbero in mano quasi il 30% di MPS-Mediobanca, quindi avrebbero la titolarità del 13,13% di Generali che, sommato al 9,7 di Luxottica ed al 6,2 di Caltagirone, sfiorerebbero il 30% del Leone alato.

Chiaramente questa azione, finora ben congegnata, ha un carattere politico prima ancora che economico, con il MEF che vuole lanciare un chiaro segnale all’Europa di difesa forte degli interessi nazionali, oltre a rientrare dei soldi spesi per il risanamento di MPS.

Non so, e penso che nessuno lo sappia, se l’operazione avrà esito positivo. Ci dovranno essere dei rilanci per l’adeguamento dei prezzi e c’è possibilità di interessati cavalieri bianchi o neri che potrebbero intervenire a fianco dell’uno o dell’altro, ma che tutto sia in movimento convulso è palese.

I tedeschi, dopo aver ceduto la quota governativa di Commerzbank a Unicredit, hanno cercato di bloccarne l’acquisizione per spirito nazionalistico e di bandiera senza comprendere che la debolezza di Commerzbank, già salvata dal disastro greco, ha bisogno di spalle forti per affrontare le tempeste che arriveranno, oltre quelle che già hanno distrutto la loro economia.

Il governo italiano sta cercando di tenersi lontano dal prevedibile crollo francese e differenziarsi quanto più possibile dalle criticità parigine. Anche la crisi tedesca, da molti ben vista, depone molto male anche per noi, se non altro perché la Germania è nostro partner in molti settori ed è il primo mercato di sbocco delle nostre merci in ambito europeo.

Come si vede non ci sono mai soluzioni semplici e univoche a problemi complessi.

Tutto sembra che sia tenuto in vita dalla debolezza stessa del sistema che avevo illustrato a settembre parlando del LIBOR e su cui ritorno.

Avevo ventilato la possibilità che la fine del LIBOR avrebbe portato al crollo di Francia e Regno Unito e, come termine di paragone, avevo ricordato il fallimento di Lehman Brother del 2008, che aveva coinvolto tutte le economie mondiali e, in positivo, il salvataggio svizzero di Credit Suisse, incorporata in UBS dopo che la Banca Nazionale Svizzera aveva concesso una linea speciale di credito per 100 miliardi di Franchi. Per essere autorizzata a fare questo la Svizzera aveva dovuto rinunciare al suo proverbiale segreto bancario.

Su questo punto in diversi mi hanno chiesto chiarimenti rispetto alla apparente stabilità finora vista.

Il LIBOR era un indice. Non può essere l’esistenza o sparizione di un indice a sconvolgere i sistemi.

E’ quello che c’è dietro ed i meccanismi a cui si fanno riferimento che li sconvolgono.

Avevo spiegato che i problemi del LIBOR erano di due tipi: la sua manipolazione a scopi speculativi e la creazione artificiale e fittizia di moneta dal nulla.

La manipolazione doveva essere bloccata utilizzando il SOFR, l’indice americano ormai utilizzato da 6 anni, ma la creatività dei soggetti interessati sta, come si dice, menando il can per l’aia.

Visto che era troppo semplice, e soprattutto poco manipolabile, utilizzare il SOFR, la fantasia dei gestori ha partorito una serie di nuovi indici che, spinti dalla pura forza mediatica, lottano per imporsi anche sulle banche centrali.

Nel Regno Unito hanno creato il SONIA, autocertificato a rischio zero e che dovrebbe basarsi sui medesimi meccanismi del LIBOR. Un cambio di nome per operare come prima. C’è un indice proposto da Bloomberg, il BSBY e molti altri che promuovono propri “Tassi Sensibili al Credito” (CSR) come l’Ameribor di AMX o il CRITS di HIS Market ecc.

Ancora la settimana scorsa ho ricevuto dalla mia banca una lettera di quattro pagine, da leggere con lente d’ingrandimento con “Proposta di variazione unilaterale del contratto” dove mi spiegano che utilizzano l’indice pubblicato da Reuters e in caso di mancata pubblicazione si prendono gli indici di quattro banche significative, ecc. ecc. Io ho un mutuo a tasso fisso, quindi non mi tocca personalmente, ma la variazione vale anche per i semplici conti correnti e, in ogni caso inviano la stessa lettera a tutti i clienti.

Stanno ancora cercando di aggirare i problemi creando indici manipolabili ad hoc e ripeto, per concludere, che il problema non è l’Indice in sé.

Fosse solo quello basterebbe adottare il SOFR degli USA, magari con correttivi per i differenziali di inflazione, e si avrebbe la garanzia di serietà e trasparenza. Si vuole fare ? Probabilmente NO.

Se il dito indica la luna è controproducente limitarsi a guardare il dito.

Rimane il fatto che la fine del LIBOR ha innescato, da molto prima del 30 settembre 2024, una fase di potenziale insolvenza di cui i maggiori indiziati da tenere d’occhio sono Francia e UK.

Questa potenziale insolvenza si intreccia, come visto, con i sottoboschi della politica e con l’instabilità degli stessi governi che molte volte rimangono in piedi proprio a causa della loro debolezza, che fa comodo a qualcuno, per arroganza, miopia o anche per decisioni dall’alto che, ad esempio, sono riusciti a bloccare per mesi la nascita di un nuovo governo in Austria, emarginare governi regolarmente eletti e nel pieno delle loro funzioni (Ungheria e Slovacchia) o addirittura annullare elezioni certificate regolari ma il cui esito non è gradito ai conducenti del vapore, come in Romania, dove sta sorgendo la nuova base avanzata della NATO alle porte della Russia, con porto, aeroporto e 10 – 20 mila militari fissi per lanciarsi contro l’orso russo e quindi, non essendo pensabile che un nuovo Presidente sia contrario a tale mirabile progetto, deve essere eliminato annullando le elezioni da parte della stessa Corte che le aveva certificate regolari il giorno prima.

Il fatto è, in breve, che non si vuole trasparenza e la serietà viene solo spacciata ma poco praticata.

Il problema è che la necessità di maggior trasparenza, se ricercata e applicata, ridurrà le manipolazioni delle banche esposte che dovranno rientrare mettendo in cassa Euro o Dollari che non hanno e, soprattutto, che viene posto uno stop alla creazione artificiale di moneta, oltre quella stampata a ciclo continuo dalla FED e dalla BCE secondo decisioni oscure.

Se non c’è trasparenza alla fonte come si fa a pretenderla a valle?

Finché i burattinai dietro le quinte, che muovono trilioni di dollari ogni giorno, avranno interesse a tamponare il sistema, per quanto fatiscente, l’atterraggio sarà morbido, ma ci sono molti segnali che questi tentativi di atterraggio morbido siano sempre più evanescenti con la FED e la BCE che si muovono in controtendenza una con l’altra, con il Giappone che opera in una direzione ancora diversa, con il dollaro che continua a perdere quota nelle percentuali degli scambi internazionali e con Russia, Cina e i BRICS a fare da battitori liberi con peso crescente e con valori reali da scambiare quali materie prime, energia, tecnologia avanzata e non fuffe di derivati di cartapesta. Sta forse insegnando qualcosa il crollo di azioni sopravalutate di aziende che si fregiano di titolarità dell’Intelligenza Artificiale che perdono oltre il 30% quando una aziendina cinese da 10 milioni di dollari distribuisce quasi gratuitamente un prodotto molto più avanzato, disponibile e con molto spazio di miglioramento? Nulla. Le azioni si stanno riprendendo perché la forza mediatica è più potente della realtà evidente.

Oltre tutto questo c’è la variabile altamente speculativa ed opportunista degli onnipresenti Black Rock et similia che, operando nell’ombra, regolano e sregolano i mercati a loro piacimento.

Dell’altra variabile, di cui avere ancor più paura, la City, ne parleremo al prossimo appuntamento.

Vincenzo Fedele

§§§

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Dopo aver visto gli aspetti politici dell’irrilevanza e delle assurdità delle scelte sia della UE nei suoi vertici che dei singoli Stati europei al loro interno, interessiamoci degli aspetti economici.

Ne avevo già parlato in un articolo del 28 settembre scorso (Vedi qui) prendendo spunto dalla mossa di Unicredit per acquisire la Commerzbank tedesca. Non ripeto qui le considerazioni geopolitiche a suo tempo esposte quindi, per chi voglia approfondire, è bene rileggerlo.

La situazione intanto si è evoluta e l’apparente complicazione può servire a fare un po’ di chiarezza.

Ancora una volta chiedo venia per il quadro che risulterà complicato ai non addetti ai lavori e chiedo ugualmente scusa per le esemplificazioni a volte eccessive per chi è addentro ai problemi esposti.

La guerra del risparmio che si è aperta nel frattempo, fa quasi pari con l’allarme che avevo indicato a settembre dello scorso anno. A qualcuno avevo chiarito, personalmente, come leggevo io l’evolversi della situazione. La mia salute ballerina non mi ha consentito di farlo qui e spero di recuperare adesso.

Il risiko bancario europeo è figlio della crisi economica e finanziaria che, nel silenzio mediatico, ha avvolto l’intero continente.

La Francia ha un deficit di oltre il 7% e si trova in forte difficoltà con: un governo nominato da Macron ma immobilizzato da veti incrociati; non può più attingere dal post-colonialismo africano con la stessa frequenza da bancomat con cui lo faceva prima; è fermata nelle sue risorse nucleari sia dal ridotto flusso di uranio africano che dai vertici UE che impongono penalizzazioni al nucleare francese. Altre difficoltà arrivano dal controverso accordo sottoscritto dalla Von der Pfitzer con i paesi sudamericani del Mercosur, che comporta forti penalizzazioni per gli agricoltori francesi, dal settore automobilistico con Stellantis in forte calo e dalla prospettiva del possibile incremento al 5% del PIL da dedicare alla difesa che farebbe saltare totalmente il bilancio francese.

La recessione è dietro le porte, ma la Francia non vuole neanche sentir parlare di toccare le pensioni o penalizzare i consumi, come a suo tempo è stata obbligata a fare l’Italia con Monti.

A Parigi ci sono in Parlamento coloro che finora hanno sponsorizzato le proteste contro la riforma delle pensioni, i gilet gialli, gli agricoltori che giustamente bloccavano le strade con il letame e fortemente criticato gli aiuti all’Ucraina.

Il sistema finanziario e creditizio francese è sull’orlo del collasso e solo la certezza che un cedimento, qualsiasi cedimento, anche di una banca provinciale, porterà ad un incontrollabile effetto domino, lo tiene fittiziamente integro anche se non proprio vitale. Il sistema, finora, non è crollato perché la sua debolezza lo rende talmente instabile che anche la minima crepa deve essere istantaneamente risanata per evitare il cedimento di tutta la baracca.

Chi regge questo gioco, finché reggerà, sono i vari fondi sovrani, i vari Black Rock e Vanguard e, non ultima, la Cina che da tale crisi vedrebbe chiusi i suoi canali di vendita di cui non può fare a meno.

La Germania, in ossequio alla proprio ossessione per il pareggio di bilancio non può, e soprattutto non vuole, intervenire per salvare i francesi e farli continuare a vivere sopra le proprie possibilità.

Il Regno Unito, per quanto fuori dall’UE, non è messo certo meglio e insieme danzano sull’orlo dell’abisso. Le ragioni del loro rimanere a galla le vedremo meglio parlando della City.

La situazione era già tragica nel passato. Il QE di Draghi non è servito solo a salvare l’Italia, che era nei guai ma in fondo se la cavava, quanto e soprattutto la Francia. Nel 2020 lo sfacelo è stato tamponato dalla creazione dell’emergenza COVID che tutto ha coperto, con la BCE che ha elargito infiniti fondi per tamponare la crisi generale e l’annullamento dei vincoli del patto di stabilità.

Adesso, per uscire dalla crisi acuta, solo un’altra emergenza conclamata può salvare la Francia e l’Inghilterra dal crollo.

Questa crisi, al momento, può essere solo uno stato di guerra conclamata.

E’ per questo che, contro ogni parvenza di buon senso, sia Parigi che Londra continuano ad appoggiare Zelensky ed a provocare Putin nell’attesa, speriamo vana, di una reazione russa che faccia precipitare gli avvenimenti e trasformi una guerra per procura in una guerra mondiale.

Il governo tedesco, in crisi da oltre due anni e perennemente sconfitto in ogni elezione regionale, è sopravvissuto finché ha continuato a fornire armi e tecnologia all’Ucraina, finché ha taciuto sui veri responsabili dello scoppio dei gasdotti Nord Stream. All’impuntarsi di Scholz nel non inviare a Kiev i missili Taurus, contro il parere di Pistorius, è caduto e si andrà al voto. Il prossimo cancelliere, Merz, si è già dichiarato favorevole all’invio dei Taurus a Zelensky.

La Polonia e gli Stati Baltici, che dettano la nostra politica estera, sono la punta di lancia dell’odio anti russo, ma sono aizzati dal Regno Unito che, pur essendo fuori dall’UE, partecipa agli incontri per valutare come sostituire gli USA se realmente saranno fermati gli invii di armamenti in Ucraina per imporre una trattativa che porti alla pacificazione.

La pacificazione non se la possono permettere, e neanche la trattativa, perché farebbe approdare ad una situazione di normalità ed i guai verrebbero a galla, e senza salvagente.

Lo stravolgimento di Trump ed il cambio di gioco che ha imposto, sta lasciando molti con il cerino in mano e qualcuno si scotterà.

Le borse salgono o scendono già al solo ventilare la possibilità di dazi per i quali l’Europa non è stata finora neanche sfiorata. Ho già espresso il mio parere in merito, cioè Trump non imporrà dazi all’Europa, ma gli basterà rimanere fermo a vedere passare il nostro cadavere massacrato dagli alti costi energetici e dalle spese assurde per rispondere all’emergenza climatica inventata ed alle necessità di energia verde per ridurre la CO2, base della vita, e ridurre i peti delle mucche.

Intanto il bene rifugio torna ad essere l’oro fisico.

Nei mesi scorsi la Cina ne ha fatto incetta per centinaia di tonnellate in via ufficiale ed almeno altrettanto (qualcuno dice fino 10 volte tanto) per canali poco tracciabili. Negli ultimi due mesi, dopo la vittoria di Trump, gli stessi USA, che prima vendevano oro alla Cina, sono diventati acquirenti netti aumentando le loro riserve aurifere. Anche l’argento è tornato di nuovo in auge affiancando l’oro come riserva rifugio anche per le banche centrali.

Del resto tutto è in movimento e la stessa famiglia Trump, prima dell’insediamento del 20 gennaio, e sull’onda delle dichiarazioni del nuovo Presidente che magnificava le criptovalute, ha lanciato una propria valuta elettronica investendo 100 milioni di Dollari in unità da 10 centesimi di dollaro. Pochi giorni dopo il lancio questi nuovi coin (non li cito per non incrementare speculazione in perdita), hanno sforato i 10 Dollari, con un aumento di oltre 100 volte. Non ho i dati precisi, ma il fenomeno è questo. I gestori della famiglia Trump hanno venduto circa il 20% della somma emessa, guadagnando miliardi di Dollari e trattenendo l’80% che adesso, dopo poco più di due mesi, vale molto più di 100 volte 100 milioni di Dollari.

L’ammirazione per Trump non deve consentire a nessuno di tacere su singoli argomenti negativi. Che siano le valute o la pulizia etnica a Gaza, gli attacchi alla Corte Penale o altro.

Tranquilli: nessuno perseguiterà Trump o i suoi per insider trading.

Del resto poche settimane prima era stata emessa una nuova valuta elettronica (non cito neanche questa) con coin collegati ai peti (si proprio quelli) delle mucche, quindi al nulla, ma indorati di risvolti ecologici che li hanno fatti volare in aumento.

Alla prima notizia dei dazi che Trump avrebbe imposto ai prodotti messicani e canadesi, questi coin sono crollati, compresi i Bitcoin storici, mentre oro e argento hanno avuto una ulteriore impennata. Anche alla pazzia e alle mode c’è un limite e lentamente, troppo lentamente, si sta tornando ai valori concreti. Non è neanche un caso che i dazi ventilati da Trump per Messico e Canada erano del 25% mentre per la Cina, acerrimo nemico da combattere, erano solo del 10%. In realtà nessun dazio è stato finora attuato, ma Canada e Messico hanno dovuto trattare. Alla Cina è bastato fare l’elenco delle contromisure che avrebbe adottato e di dazi alla Cina non se ne parla più. Solo l’Europa, pur non essendo stata finora neanche sfiorata, continua a tremare ed a lanciare roboanti dichiarazioni basate sul nulla che tanto richiamano la famosa trasmissione di Radio 2 “Il ruggito del coniglio”. Le borse europee sono arretrate di brutto già al solo odore dei potenziali dazi e l’Euro è fortemente arretrato sul Dollaro. Gli aumenti di questi giorni non traggano in inganno.

I sommovimenti azionari delle banche, di cui siamo testimoni, e che una volta tanto vedono l’Italia protagonista, sono un pallido riflesso dei movimenti sotterranei che agitano tutto il sistema economico.

Il nostro sistema bancario è sano e può guardare con fiducia al futuro. Forse con troppa fiducia, visto che le fila del gioco le conducono altri come avevo già fatto notare elencando, ad esempio, chi sono i veri proprietari di Unicredit e Commerzbank..

Unicredit, stoppata dal governo tedesco, lungi dal ritirarsi dalla contesa per Commerzbank, l’aveva messa in attesa ed aveva rilanciato con un’offerta per la Banca Popolare di Milano – BPM.

Questa mossa a sorpresa era uno spariglio di carte inaspettato e controcorrente.

Non era infatti, e non è, una semplice operazione di ampliamento del perimetro Unicredit che, oltre ad ampliarsi in Europa acquisendo Commerzbank, vuole anche allargarsi in Italia incorporando la Popolare di Milano.

Da noi, infatti, si stava cercando di creare un terzo polo bancario, oltre San Paolo e Unicredit, per consolidare il nostro sistema creditizio che poteva avere benissimo tre solide gambe con attorno le piccole realtà locali da consolidare. Il terzo polo doveva ruotare attorno a BPM che stava per allearsi con MPS – Monte dei Paschi di Siena – risanata dopo le sinistre disavventure degli scorsi anni.

BPM aveva già acquisito il 15% di azioni MPS ed era affiancata dalle finanziarie dei gruppi Loxottica e Caltagirone oltre ad essere sponsorizzata dal Governo italiano che vuole monetizzare i miliardi investiti nel risanamento di MPS per uscire così dal suo salvataggio e rilancio e, nel contempo, creare questo terzo polo bancario solido e credibile anche come player internazionale.

L’offerta Unicredit di acquisire BPM, palesemente bassa, aveva solo la funzione, nell’immediato, di bloccare qualsiasi velleità di fusione tra BPM e MPS.

Per Legge, infatti, una banca soggetta a offerta d’acquisto, OPA o altro che sia, non può effettuare azioni straordinarie che potrebbero diluire o incrementare il proprio patrimonio o il proprio perimetro d’azione, quindi risulta bloccata su questi fronti.

Non potendosi muovere BPM si è mossa, ancora una volta a sorpresa, MPS che da potenziale fidanzata di BPM si è proposta come attrice principale ed ha lanciato un OPA su Mediobanca che, a sua volta, ha in pancia il controllo di Generali.

E’ proverbiale la filosofia di Mediobanca, già dai tempi di Enrico Cuccia, per cui “le azioni si pesano e non si contano”. I tempi sono cambiati e i trilioni che possono mettere sul piatto dei colossi come Black Rock o Vanguard dovrebbero far riflettere, ma intanto il Leone di Venezia ha cercato una via di fuga se le cose dovessero mettersi male.

L’amministratore delegato di Generali (francese) ha creato una nuova società con il gruppo (francese) Natixis che avrà quasi 2.000 miliardi di Euro da gestire e con controllo ai francesi nonostante i punti di forza pendano chiaramente a favore di Venezia. Nel CdA di Generali il benestare a questa creazione è stata vista come una forzatura eccessiva, ma è passata ugualmente giocando sulle maggioranze e con i “nemici” della nuova creatura che gridano vendetta.

Da questo scatta l’OPA di MPS su Mediobanca, con il benestare del Tesoro, che è il primo azionista di MPS con l’11,7%. Se l’operazione andrà in porto gli scalatori avrebbero in mano quasi il 30% di MPS-Mediobanca, quindi avrebbero la titolarità del 13,13% di Generali che, sommato al 9,7 di Luxottica ed al 6,2 di Caltagirone, sfiorerebbero il 30% del Leone alato.

Chiaramente questa azione, finora ben congegnata, ha un carattere politico prima ancora che economico, con il MEF che vuole lanciare un chiaro segnale all’Europa di difesa forte degli interessi nazionali, oltre a rientrare dei soldi spesi per il risanamento di MPS.

Non so, e penso che nessuno lo sappia, se l’operazione avrà esito positivo. Ci dovranno essere dei rilanci per l’adeguamento dei prezzi e c’è possibilità di interessati cavalieri bianchi o neri che potrebbero intervenire a fianco dell’uno o dell’altro, ma che tutto sia in movimento convulso è palese.

I tedeschi, dopo aver ceduto la quota governativa di Commerzbank a Unicredit, hanno cercato di bloccarne l’acquisizione per spirito nazionalistico e di bandiera senza comprendere che la debolezza di Commerzbank, già salvata dal disastro greco, ha bisogno di spalle forti per affrontare le tempeste che arriveranno, oltre quelle che già hanno distrutto la loro economia.

Il governo italiano sta cercando di tenersi lontano dal prevedibile crollo francese e differenziarsi quanto più possibile dalle criticità parigine. Anche la crisi tedesca, da molti ben vista, depone molto male anche per noi, se non altro perché la Germania è nostro partner in molti settori ed è il primo mercato di sbocco delle nostre merci in ambito europeo.

Come si vede non ci sono mai soluzioni semplici e univoche a problemi complessi.

Tutto sembra che sia tenuto in vita dalla debolezza stessa del sistema che avevo illustrato a settembre parlando del LIBOR e su cui ritorno.

Avevo ventilato la possibilità che la fine del LIBOR avrebbe portato al crollo di Francia e Regno Unito e, come termine di paragone, avevo ricordato il fallimento di Lehman Brother del 2008, che aveva coinvolto tutte le economie mondiali e, in positivo, il salvataggio svizzero di Credit Suisse, incorporata in UBS dopo che la Banca Nazionale Svizzera aveva concesso una linea speciale di credito per 100 miliardi di Franchi. Per essere autorizzata a fare questo la Svizzera aveva dovuto rinunciare al suo proverbiale segreto bancario.

Su questo punto in diversi mi hanno chiesto chiarimenti rispetto alla apparente stabilità finora vista.

Il LIBOR era un indice. Non può essere l’esistenza o sparizione di un indice a sconvolgere i sistemi.

E’ quello che c’è dietro ed i meccanismi a cui si fanno riferimento che li sconvolgono.

Avevo spiegato che i problemi del LIBOR erano di due tipi: la sua manipolazione a scopi speculativi e la creazione artificiale e fittizia di moneta dal nulla.

La manipolazione doveva essere bloccata utilizzando il SOFR, l’indice americano ormai utilizzato da 6 anni, ma la creatività dei soggetti interessati sta, come si dice, menando il can per l’aia.

Visto che era troppo semplice, e soprattutto poco manipolabile, utilizzare il SOFR, la fantasia dei gestori ha partorito una serie di nuovi indici che, spinti dalla pura forza mediatica, lottano per imporsi anche sulle banche centrali.

Nel Regno Unito hanno creato il SONIA, autocertificato a rischio zero e che dovrebbe basarsi sui medesimi meccanismi del LIBOR. Un cambio di nome per operare come prima. C’è un indice proposto da Bloomberg, il BSBY e molti altri che promuovono propri “Tassi Sensibili al Credito” (CSR) come l’Ameribor di AMX o il CRITS di HIS Market ecc.

Ancora la settimana scorsa ho ricevuto dalla mia banca una lettera di quattro pagine, da leggere con lente d’ingrandimento con “Proposta di variazione unilaterale del contratto” dove mi spiegano che utilizzano l’indice pubblicato da Reuters e in caso di mancata pubblicazione si prendono gli indici di quattro banche significative, ecc. ecc. Io ho un mutuo a tasso fisso, quindi non mi tocca personalmente, ma la variazione vale anche per i semplici conti correnti e, in ogni caso inviano la stessa lettera a tutti i clienti.

Stanno ancora cercando di aggirare i problemi creando indici manipolabili ad hoc e ripeto, per concludere, che il problema non è l’Indice in sé.

Fosse solo quello basterebbe adottare il SOFR degli USA, magari con correttivi per i differenziali di inflazione, e si avrebbe la garanzia di serietà e trasparenza. Si vuole fare ? Probabilmente NO.

Se il dito indica la luna è controproducente limitarsi a guardare il dito.

Rimane il fatto che la fine del LIBOR ha innescato, da molto prima del 30 settembre 2024, una fase di potenziale insolvenza di cui i maggiori indiziati da tenere d’occhio sono Francia e UK.

Questa potenziale insolvenza si intreccia, come visto, con i sottoboschi della politica e con l’instabilità degli stessi governi che molte volte rimangono in piedi proprio a causa della loro debolezza, che fa comodo a qualcuno, per arroganza, miopia o anche per decisioni dall’alto che, ad esempio, sono riusciti a bloccare per mesi la nascita di un nuovo governo in Austria, emarginare governi regolarmente eletti e nel pieno delle loro funzioni (Ungheria e Slovacchia) o addirittura annullare elezioni certificate regolari ma il cui esito non è gradito ai conducenti del vapore, come in Romania, dove sta sorgendo la nuova base avanzata della NATO alle porte della Russia, con porto, aeroporto e 10 – 20 mila militari fissi per lanciarsi contro l’orso russo e quindi, non essendo pensabile che un nuovo Presidente sia contrario a tale mirabile progetto, deve essere eliminato annullando le elezioni da parte della stessa Corte che le aveva certificate regolari il giorno prima.

Il fatto è, in breve, che non si vuole trasparenza e la serietà viene solo spacciata ma poco praticata.

Il problema è che la necessità di maggior trasparenza, se ricercata e applicata, ridurrà le manipolazioni delle banche esposte che dovranno rientrare mettendo in cassa Euro o Dollari che non hanno e, soprattutto, che viene posto uno stop alla creazione artificiale di moneta, oltre quella stampata a ciclo continuo dalla FED e dalla BCE secondo decisioni oscure.

Se non c’è trasparenza alla fonte come si fa a pretenderla a valle?

Finchè i burattinai dietro le quinte, che muovono trilioni di Dollari ogni giorno, avranno interesse a tamponare il sistema, per quanto fatiscente, l’atterraggio sarà morbido, ma ci sono molti segnali che questi tentativi di atterraggio morbido siano sempre più evanescenti con la FED e la BCE che si muovono in controtendenza una con l’altra, con il Giappone che opera in una direzione ancora diversa, con il Dollaro che continua a perdere quota nelle percentuali degli scambi internazionali e con Russia, Cina e i BRICS a fare da battitori liberi con peso crescente e con valori reali da scambiare quali materie prime, energia, tecnologia avanzata e non fuffe di derivati di cartapesta. Sta forse insegnando qualcosa il crollo di azioni sopravalutate di aziende che si fregiano di titolarità dell’Intelligenza Artificiale che perdono oltre il 30% quando una aziendina cinese da 10 milioni di dollari distribuisce quasi gratuitamente un prodotto molto più avanzato, disponibile e con molto spazio di miglioramento? Nulla. Le azioni si stanno riprendendo perché la forza mediatica è più potente della realtà evidente.

Oltre tutto questo c’è la variabile altamente speculativa ed opportunista degli onnipresenti Black Rock et similia che, operando nell’ombra, regolano e sregolano i mercati a loro piacimento.

Dell’altra variabile, di cui avere ancor più paura, la City, ne parleremo al prossimo appuntamento.

Vincenzo Fedele

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