La Pseudo-Tregua Usata da Netanyahu per la Pulizia Etnica in Cisgiordania. L’Indipendente, Affari Italiani.

23 Gennaio 2025 Pubblicato da 2 Commenti

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, offriamo alla vostra attenzione due articoli che ci sembra importante possano avere quanti più lettori possibile, perché testimoniano in diretta di una violenza storica che trova la sua giustificazione solo nella potenza di chi la compie, e nell’incapacità della comunità internazionale di provi dei freni. Il primo è un reportage de L’indipendente Online, che ringraziamo per la cortesia, da Jenin, il campo profughi aggredito dall’esercito di occupazione israeliano mentre iniziava la tregua di gaza, già violata da Israele con alcune uccisioni. Non si può che rendere omaggio alla collega autrice del reportage. 

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JENIN, CISGIORDANIA OCCUPATA – Al secondo giorno di assedio israeliano, la città è deserta. Le strade sono vuote, le case e i negozi serrati. Jenin sembra una città fantasma. I soli rumori che rompono questo silenzio assordante sono quelli della guerra: il costante ronzio dei tre droni che sorvolano incessantemente la città, assieme al fischio di proiettili ed esplosioni più rade che arrivano dal campo profughi, ormai sotto assedio in corso da quasi due giorni. L’Operazione Muro di Ferro ha già mietuto 12 vittime, quasi tutti civili uccisi dai cecchini israeliani nelle prime ore dell’incursione. Come Ahmed Shayeb Obeidi, ucciso mentre tornava a casa in macchina con sua moglie e i tre figli. Un video diventato virale mostra i suoi ultimi istanti di vita. Un altro video mostra un anziano che cammina mentre due proiettili lo mancano di pochi centimetri. Dall’inizio dell’operazione, i militari hanno voluto terrorizzare la popolazione per costringerla a chiudersi in casa, sparando contro i passanti, e spingere gli abitanti del campo profughi ad abbandonarlo. Ieri, infatti, i soldati hanno chiamato i residenti del campo attraverso altoparlanti per convincerli ad abbandonare le proprie case, annunciando anche un coprifuoco totale del campo profughi fino a lunedì 27 gennaio.

«Non si era mai visto un intervento così massiccio», dichiara F., una giornalista di Jenin a LIndipendente. «Di solito si contano 3-4 bulldozer, più jeep e furgoni militari. Oggi sono almeno 8». Davanti a noi, la schiera di mezzi corazzati fa impressione. Alcune jeep hanno mitra telecomandati montati sul tetto e le punte metalliche con cui aprono l’asfalto sono ben visibili sul retro dei D9. I militari sembrano divertirsi a disturbare il lavoro di noi giornalisti riuniti a documentarne le azioni, minacciandoci con le pale dei bulldozer con cui si avvicinano ripetutamente.

La gente ha paura: sono almeno 600 le persone che hanno abbandonato il campo, mentre i bulldozer israeliani hanno distrutto altre strade dentro la città e nel perimetro del campo profughi già devastato. L’area infatti è quasi «inabitabile», ha dichiarato Roland Friedrich, direttore di UNRWA. A causa delle ripetute operazioni di sabotaggio delle infrastrutture e di un assedio che ormai dura quasi ininterrottamente da inizio dicembre, quasi 2000 famiglie sono state sfollate in un mese e mezzo. Anche il sistema elettrico è stato nuovamente attaccato e una parte del campo si trova senza luce. Numerosi gli arresti: a pochi giorni dal rilascio dei 90 prigionieri, molti dei quali minorenni, sembra che Tel Aviv voglia riempire velocemente i posti appena lasciati vacanti. Oltre giovani uomini, anche alcune madri e parenti di martiri delle Brigate Jenin sono state arrestate dai militari d’Israele e pare che anche la polizia dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) si stia impegnando in una campagna di detenzioni. Alcuni video mostrano membri dell’Autorità Palestinese inseguire fuori dall’ospedale Al-Razi giovani forse appartenenti alle forze di resistenza, i cui gruppi denunciano tentativi di arresto – con conseguenti scontri – anche all’interno dell’ospedale da parte di poliziotti palestinesi in borghese. Nei pressi della struttura un ragazzino è stato ferito gravemente da un proiettile in testa: secondo Quds News, è stato sparato da soldati dell’ANP.

«Stiamo ricevendo molte chiamate dall’interno del campo», dichiara A. M., alla guida di una delle molte ambulanze che continuano a sfrecciarci davanti. «Molte famiglie. Ma non è possibile andare dentro il campo profughi, non possiamo raggiungerli». Gli ospedali di Al-Amal e l’ospedale governativo di Jenin sono al di là della linea invisibile che non possiamo attraversare, stretti nell’assedio israeliano. Varie jeep militari sono stazionate in mezzo alla strada e bloccano anche le ambulanze, costringendole a fermarsi e ad aprire le porte per effettuare controlli. Ma non possono comunque andare molto più in là, a causa delle strade distrutte e degli impedimenti dei militari. Gli stessi ospedali sono diventati una prigione per centinaia di persone che si sono ritrovate bloccate al loro interno quando è iniziato l’attacco. «La situazione dentro l’ospedale è molto pesante», dice una donna appena uscita dall’istituto con il marito malato. «Siamo rimasti bloccati più di 24 ore, senza cibo, nemmeno il pane… ci sono molti pazienti dentro la struttura, qualcuno è riuscito a uscire, molti sono ancora lì,» dice. Il primo giorno, forse dopo che anche tre dottori e due infermiere erano state ferite dai cecchini, in pochi hanno osato uscire per strada. Nel pomeriggio di ieri, invece, l’esercito ha detto alle persone di evacuare la struttura e in molti hanno iniziato a tornare a casa. Sono comunque numerosi i pazienti che hanno bisogno di cure che sono obbligati a restare. «Non c’è sicurezza dentro l’ospedale», dichiara il dottor Al Daqa, il figlio in braccio, mentre si allontana dalla struttura. «I bulldozer, l’esercito ci ha circondato. I cecchini sparavano intorno a noi… Non c’è sicurezza per trattare i pazienti. Alcuni di noi devono lasciare la struttura e altri stanno cercando di entrarci per continuare a seguire i pazienti».

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Dopo aver ripetutamente bombardato una casa e assediato almeno un’altra, nella notte violenti scontri sono scoppiati anche a Burquin, ad ovest di Jenin, in una operazione guidata dallo Shin Bet che ha portato alla morte di due altri palestinesi, portando a 12 il numero totale delle vittime. Scontri anche nel villaggio di Fahma. La campagna di arresti e violenze infatti non è limitata al campo profughi della città, ma – secondo le dichiarazioni dei ministri di Tel Aviv – il campo di Jenin non è che l’inizio di una operazione su vasta scala che coinvolgerà tutta il Nord della Cisgiordania.

[testo e immagini di Moira Amargi, inviata in Palestina]

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Il secondo elemento è un articolo-analisi di Affari Italiani, a cui va il nostro grazie.

 

La sinergia tra le offensive disegna un progetto unitario che lascia poco spazio a soluzioni pacifiche. Mentre l’Autorità Palestinese affonda in un’irrilevanza politica sempre più evidente.

Cisgiordania sotto assedio, Israele accelera verso l’annessione: ecco perché la tregua a Gaza è solo strategica

Il cessate il fuoco a Gaza appare come una pausa strategica, utile a Israele per consolidare il controllo sulla Cisgiordania e accelerare l’annessione…. L’analisi

Mentre il cessate il fuoco a Gaza, annunciato il 15 gennaio, ha portato un’apparente tregua nel devastante conflitto che ha segnato l’enclave negli ultimi quindici mesi, una nuova ondata di violenza si è abbattuta sulla Cisgiordania occupata. Gli eventi recenti suggeriscono un piano più ampio: un’accelerazione delle dinamiche di annessione, con un concomitante cruento aumento degli attacchi dei coloni e delle operazioni militari israeliane.

Dati allarmanti delineano un quadro di escalation: dal 7 ottobre 2023, oltre 856 palestinesi, inclusi donne e minori, sono stati uccisi in Cisgiordania, secondo l’OCHA, mentre migliaia sono stati arrestati. Solo nelle ultime 48 ore, più di 80 palestinesi sono stati fermati dalle forze israeliane. Questo incremento di violenze richiama il modus operandi già osservato a Gaza, dove oltre 47.100 palestinesi hanno perso la vita dall’inizio della guerra.

La strategia a Jenin: una fotocopia di Gaza

Secondo Shady Abdullah, giornalista e attivista per i diritti umani di Tulkarem, il timore diffuso tra i palestinesi è che la Cisgiordania possa seguire lo stesso tragico destino di Gaza. “Abbiamo assistito a un genocidio a Gaza per 15 mesi e nessuno ha mosso un dito. Qui temiamo che la situazione possa peggiorare molto presto”, ha dichiarato ad Al Jazeera. Le operazioni militari israeliane lanciate su larga scala, come i raid su Jenin, stanno già distruggendo infrastrutture essenziali e seguono un copione che è la fotocopia di quello che abbiamo visto mettere in atto a Gaza.

Oggi, come fossimo immersi in un loop, le Nazioni Unite hanno avvertito del rischio di ulteriori vittime civili e di un collasso totale dei servizi di base, esattamente come hanno fatto inutilmente per 15 mesi per la Striscia. Il portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite, Farhan Haq, ha descritto una situazione catastrofica: “Da ieri l’ospedale governativo di Jenin è stato scollegato dalla rete idrica ed elettrica. Si trova ora a operare grazie a riserve di emergenza che si stanno rapidamente esaurendo”. Inoltre, i raid israeliani hanno reso Jenin “quasi inabitabile” e hanno costretto all’evacuazione gli abitanti. Parole e scene che ricordano l’anno e mezzo di assedio, devastazione e morte a Gaza.

Resistenza e repressione

Le operazioni militari israeliane stanno incontrando una crescente resistenza da parte delle fazioni armate palestinesi. A Jenin, il battaglione delle Brigate al-Quds della Jihad Islamica ha riferito di scontri con l’esercito israeliano, mentre le Brigate Qassam di Hamas hanno ingaggiato combattimenti nei villaggi circostanti. Tuttavia, le rappresaglie israeliane si intensificano: case rase al suolo, infrastrutture annientate e un bilancio umano sempre più grave.

Organizzazioni come Medici Senza Frontiere denunciano ostacoli all’accesso alle cure mediche, con ambulanze e personale sanitario bloccati dalle forze israeliane. “Le persone vengono colpite durante le evacuazioni e i feriti non possono essere raggiunti”, ha dichiarato un paramedico che ha preferito restare anonimo.

L’ombra di Trump e i giochi geopolitici

Dietro questa nuova fase del conflitto si intravedono manovre politiche e interessi economici che, lungi dal trascendere il Medio Oriente, lo inglobano pienamente come teatro di ambizioni internazionali e locali. Sono tanti i donatori dell’élite ebraica che hanno contribuito alla campagna elettorale di Donald Trump. Molti di loro sostengono alla luce del sole anche lo sviluppo degli insediamenti in Cisgiordania. Una di loro è stata oggetto di attenzione di un articolo di Haaretz del 3 giugno 2024, nel quale, senza giri di parole, veniva riportato che Trump bramava “disperatamente” ai sui soldi.

Lei è Miriam Adelson, ricca vedova di Sheldon Adelson, ex CEO e presidente della società di casinò Las Vegas Sands, grande amico del Tycoon, scomparso all’età di 87 anni nel 2021. Da lui ha ereditato un’immensa fortuna che ne fa la 5ª donna più ricca del mondo, la prima in Israele, con un patrimonio netto stimato di 31,7 miliardi di dollari secondo Forbes. È stata la più grande donatrice di Trump. In cambio avrà avuto qualcosa. Magari la stessa chiesta da altri donatori: l’annessione israeliana della Cisgiordania e il riconoscimento da parte degli Stati Uniti della sovranità di Israele su tutte le regioni del Paese.

Questa dinamica non è isolata, ma si inserisce in un contesto più ampio, dove potenti lobby e influenti donatori americani, ebrei e non, sembrano aver esercitato una pressione significativa per spingere Trump e la sua amministrazione a sostenere gli interessi di Israele.

Analizzando sotto questa angolazione il drammatico quadro che si sta delineando in Cisgiordania, con demolizioni e espulsioni che s’intensificano, così come a Gerusalemme Est, dove l’esercito israeliano continua a demolire abitazioni palestinesi e a imporre restrizioni di movimento, esasperando ulteriormente le tensioni, è più facile comprendere quali possano essere gli obiettivi ufficiosi che si nascondono dietro l’operazione “Muro di ferro”, ufficialmente lanciata per eradicare Hamas e i terroristi.

Uno scenario senza speranza? 

Il cessate il fuoco a Gaza appare come una pausa strategica, utile a Israele per consolidare il controllo sulla Cisgiordania e accelerare l’annessione. La sinergia tra le offensive sui due fronti disegna un progetto unitario che lascia poco spazio a soluzioni pacifiche. Mentre l’Autorità Palestinese affonda in un’irrilevanza politica sempre più evidente, la “soluzione a due stati” — già un miraggio — sembra dissolversi definitivamente.

Eppure, la storia non è immutabile. L’umanità ha più volte trovato una via quando tutto sembrava perduto. Le proteste globali, la resilienza del popolo palestinese e una crescente consapevolezza internazionale potrebbero ancora invertire la rotta. Perché, come ricorda Mahmoud Darwish: “Siamo condannati alla speranza. Ciò che accade oggi non sarà la fine.”

Trump ha detto che farà “finire la guerra”. Ma a quale prezzo, e con quali promesse? Chissà cosa ha garantito ai potenti donatori e alle lobby che lo sostengono. Forse una pace costruita sulla sottomissione e sull’annessione?

La vera pace, però, non si ottiene attraverso compromessi unilaterali o giochi di potere. Si costruisce negoziando, fra nazioni e fra popoli, secondo regole condivise e nel rispetto della giustizia. Solo così potrà esserci una speranza reale di porre fine a questa lunga e devastante tragedia.

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2 commenti

  • giovanni ha detto:

    Il sionismo gode, consapevolmente, dell’ impunita’ concessa da impero e vassalli. Odia amalek e ne considera appartenenti tutti coloro che osano opporsi al suo sogno. Certo e’ che non amano rispettare alcun patto e considerare altra visione, se non la loro. Il futuro si presenta denso di incognite.

  • nuccioviglietti ha detto:

    Israele sempre più sublimazione di essenza stessa angloamericana… specializzata in sistematica violazione di qualunque patto trattato o intesa firmata… a volte addirittura prima di entrata in vigore degli stessi!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/

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