Gaza, Bombe sulle Tende degli Sfollati. L’UNRWA: dove è la Comunità Internazionale? ONU, Tre Risoluzioni per la Pace.
5 Dicembre 2024
Lascia il tuo commentoMarco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione alcuni elementi interessanti sulla situazione in Medio Oriente. Il primo è questa foto del recente bombardamento compiuto dall’esercito israeliano sul campo di sfollati a Khan Younis- Al mawasi, una cosiddetta “zona sicura”. Donne e bambini bruciati vivi nelle tende. Ma no, non è un genocidio e neanche una pulizia etnica. Figuriamoci!
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Il secondo elemento è questo articolo de L’Indipendente, che ringraziamo per la cortesia.
Nel silenzio della maggior parte dei media occidentali, l’Assemblea generale dell’ONU ieri 3 dicembre ha adottato tre risoluzioni per promuovere la soluzione a due Stati in Palestina che, secondo il presidente dell’Assemblea, Philemon Yang (Camerun), rimane «l’unica via per una pace duratura» in Medio Oriente. Gli oratori hanno sollecitato a larga maggioranza un cessate il fuoco a Gaza e hanno fatto pressione su Israele affinché permetta la consegna di cibo e aiuti di prima necessità nell’enclave prima dei mesi invernali. In particolare, le risoluzioni approvate riguardano la risoluzione pacifica della questione palestinese, la questione della Divisione per i diritti dei palestinesi del Segretariato e l’occupazione illegittima da parte di Israele del Golan siriano.
La prima risoluzione intitolata “Risoluzione pacifica della questione palestinese” (documento A/79/L.23 ) ha sottolineato la necessità di impegnarsi urgentemente in un processo di pace in Medio Oriente, invitando Israele a rispettare il diritto internazionale, tra cui la cessazione di tutte le attività di insediamento e l’evacuazione dei coloni dal Territorio palestinese occupato. Il testo è stato approvato con 157 voti a favore, otto contrari (Argentina, Ungheria, Israele, Stati federati di Micronesia, Nauru, Palau, Papua Nuova Guinea, Stati Uniti) e sette astensioni (Camerun, Repubblica Ceca, Ecuador, Georgia, Paraguay, Ucraina, Uruguay). Con la seconda risoluzione, intitolata “Divisione per i diritti dei palestinesi del Segretariato” (documento A/79/L.24 ), l’Assemblea ha chiesto al Segretario generale di continuare a fornire risorse e di garantire che la Divisione continui a svolgere efficacemente il suo lavoro. Il documento è stato approvato con 101 voti a favore, 27 contrari e 42 astensioni. Infine, la terza risoluzione, adottata con 97 voti a favore, 8 contrari (Australia, Canada, Israele, Stati Federati di Micronesia, Palau, Papua Nuova Guinea, Regno Unito, Stati Uniti) e 64 astensioni, riguarda il “Golan siriano” (documento A/79/L.19 ). Il documento dichiara che Israele non ha rispettato la risoluzione 497 (1981) del Consiglio di sicurezza. “La decisione di Israele di imporre la propria giurisdizione sul Golan siriano occupato è nulla e non avvenuta”, dichiara il testo, invitando Israele a riprendere i colloqui su Siria e Libano e a ritirarsi da tutto il Golan siriano occupato.
A differenza delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quelle dell’Assemblea generale non sono vincolanti e la rappresentante di Israele all’ONU ha già dichiarato che la prossima settimana l’Assemblea convocherà tre riunioni per discutere del Medio Oriente e delle risoluzioni basate su quello che ha definito un «incosciente disprezzo per la verità». Se fossero «davvero interessati a portare soluzioni alla regione dilaniata dalla guerra, abbandonerebbero i loro sforzi ossessivi per delegittimare Israele», ha detto. Nonostante le dichiarazioni dei rappresentanti israeliani, sempre più rapporti e testimonianze dirette confermano che quello che si sta consumando a Gaza ha tutte le caratteristiche di un genocidio: “I civili sono stati indiscriminatamente e in modo sproporzionato uccisi in massa a Gaza, mentre nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme est, i coloni israeliani, il personale militare e di sicurezza hanno continuato impunemente a violare i diritti umani e il diritto umanitario”, conclude l’ultimo rapporto pubblicato dal Comitato speciale della Nazioni Unite per indagare sulle pratiche israeliane che incidono sui diritti umani, istituito nel dicembre del 1968.
Tra le nazioni che hanno votato contro alle risoluzioni spiccano gli Stati Uniti, contrari anche al testo che chiede il ritiro dal Golan occupato, a conferma di come le critiche di Washington verso lo Stato ebraico per il mancato rispetto dell’incolumità dei civili sia solo di facciata, cosa confermata peraltro dal continuo invio di armi a Tel Aviv. A riguardo, il portavoce del Venezuela ha anche condannato l’ultimo veto degli USA che, a suo dire, «rappresenta un’ulteriore complicità» con la politica e le pratiche di Israele nei Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est. Il portavoce della Giordania, invece, ha affermato che le azioni di Israele sono il risultato del fallimento della comunità internazionale nell’affrontare «l’arroganza israeliana». Alcuni oratori hanno espresso insoddisfazione nei confronti dell’ONU per il fatto che non sia riuscita a fare di più per combattere i crimini commessi contro il popolo palestinese, con il delegato della Malesia che ha sottolineato che l’Organizzazione non è riuscita a tradurre le parole in azioni. «Siamo rimasti impotenti mentre l’ingiustizia persiste», ha sottolineato.
Israele viola sistematicamente le risoluzioni dell’ONU, tra cui la 476 del 1980 che condanna l’annessione di Gerusalemme est da parte dello Stato ebraico, e la 497 del 1981 che ha dichiarato che la legge con cui Israele si è annessa le alture del Golan è da considerarsi “nulla e senza effetti legali internazionali”. Nonostante ciò, Israele continua a non rispettare le risoluzioni violando il diritto internazionale e accusando l’ONU di pregiudizi antisraeliani.
[di Giorgia Audiello]
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Il terzo elemento è questo articolo di Vatican News, che ringraziamo per la cortesia.
Gaza, l’Unrwa: dov’è la comunità internazionale?
Francesca Merlo – Città del Vaticano
La Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese si celebra il 29 novembre da quasi cinquant’anni. Sin dalla sua istituzione da parte delle Nazioni Unite nel 1977, la Giornata serve come promemoria globale dei diritti inalienabili del popolo palestinese, nonché della continua speranza di una risoluzione pacifica all’instabilità che perdura da decenni. Questa speranza include la possibilità della soluzione dei due Stati, per la quale anche Papa Francesco ha più volte ribadito il suo sostegno, anche di recente durante l’udienza generale del 22 novembre, in cui ha sottolineato l’importanza e l’urgenza del dialogo e del riconoscimento tra israeliani e palestinesi.
Con gli occhi su Gaza
Quest’anno in particolare, lo sguardo del mondo è puntato su Gaza, dove la devastazione è imperante dopo oltre un anno di offensive militari israeliane. Secondo le organizzazioni umanitarie, tra cui il “ministero della Salute” di Hamas a Gaza, oltre 44 mila persone sono state uccise negli attacchi, tra cui migliaia di bambini. Nel frattempo, nove abitanti di Gaza su dieci sono stati sfollati. I numeri incredibilmente alti valgono più di mille parole, dipingendo un’immagine terribile della situazione sul campo. Ma, in realtà, «abbiamo esaurito le parole per descrivere la situazione a Gaza», afferma in un’intervista ai media vaticani Marta Lorenzo, responsabile dell’Unrwa per l’Europa, ripetendo la parola che i suoi colleghi a Gaza usano da mesi per descrivere l’ambiente circostante: “catastrofico”.
Il dramma dei civili
Come se lo scenario non fosse abbastanza grave, l’arrivo di forti piogge e basse temperature sta peggiorando la situazione. «Immaginate cosa significhi per una famiglia con bambini piccoli, o per le persone con disabilità, o per i malati di cancro», osserva Lorenzo, ricordando che, sebbene la situazione sia disumana, queste sono vite molto reali, spesso già alle prese con difficoltà inimmaginabili. «Immaginate che le persone che si trovano in una situazione di grande vulnerabilità perdano tutto ciò che hanno», ripete la rappresentante di Unrwa, prima di aggiungere che «tutto ciò che hanno è il loro riparo di fortuna». Lo scorso mercoledì 7000 famiglie sono state colpite dalle forti piogge e ora, «oltre al rischio di essere uccise da un attacco, dobbiamo aggiungere il rischio di malattie». Sfortunatamente, spiega, quando piove le malattie si diffondono e a Gaza «non ci sono abbastanza forniture mediche o strutture mediche funzionanti».
La catastrofe umanitaria
«La gente sta già morendo di fame – sottolinea la funzionaria dell’Unrwa -. Vediamo carestia ogni giorno. I miei colleghi mi hanno detto che le madri non possono allattare i loro bambini». Nel nord di Gaza, dove stimiamo che ci siano tra 65 mila e 75 mila persone, «non ci sono cucine comunitarie o panetterie funzionanti». Purtroppo, l’intera operazione umanitaria è sottoposta a molto stress, «e le persone non hanno più resilienza». Questo, secondo Marta Lorenzo, «è ciò che intendiamo per ‘catastrofico». Decenni di sfollamento a Gaza e non solo. Ma le difficoltà del popolo palestinese vanno ancora oltre. «L’84% di Gaza è sotto ordine di evacuazione». Ciò significa circa 1,9 milioni di persone. E, avverte Lorenzo, «ogni volta che vieni sfollato, diventi più vulnerabile». Va detto, come si può dedurre anche dall’istituzione della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese (1977), «lo sfollamento non è una novità per i palestinesi». Lo sfollamento palestinese, infatti, risale al 1948 durante quella che i palestinesi chiamano la Nakba (o “catastrofe”), in cui oltre 700.000 palestinesi furono sfollati con la forza o costretti a fuggire dalle loro case durante la guerra arabo-israeliana scoppiata dopo la fondazione dello Stato di Israele.
Dov’è la Comunità internazionale?
Ancora oggi, molti di questi rifugiati, insieme alle loro famiglie, vivono nei campi in tutta la regione, senza patria e impossibilitati a tornare a casa. Da allora si sono verificati altri sfollamenti durante vari conflitti, ad esempio la Guerra dei sei giorni nel 1967, durante la quale 300 mila palestinesi sono stati sfollati. Tuttavia, dal 7 ottobre 2023, quando i militanti di Hamas hanno lanciato un attacco contro Israele, uccidendo 1.200 persone e prendendone in ostaggio altre 240, lo sfollamento ha assunto una nuova forma. Ora la portata e la forma dello sfollamento sono senza precedenti e Lorenzo chiarisce che non sta accadendo solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania e in Libano: «C’è un senso di disperazione e le persone si chiedono: quando finirà questo incubo? Dov’è la comunità internazionale?».
In tutto il mondo le persone avvertono la difficile situazione del popolo palestinese, e in particolare quella di Gaza. Mentre si trovano in questo incubo, quattordici mesi dopo, secondo Lorenzo «le persone che hanno perso tutto e hanno bisogno di tutto» non possono fare a meno di sentirsi abbandonate e di chiedersi dove è la comunità internazionale.
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Tag: gaza, israele, khan younis, unrwa
Categoria: Generale