Lo Zampino del Diavolo Queer a Sassari, Città dei Gremi. Benedetta De Vito

10 Ottobre 2024 Pubblicato da Lascia il tuo commento

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, la nostra Benedetta De Vito offre alla vostra attenzione queste riflessioni su un evento  sassarese, che forse sarebbe meglio se non avvenisse. Buona lettura e diffusione.

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A Sassari non sono mai andata e me ne dolgo. Vorrei andarci anche perché chi l’ha visitata, in gita giornaliera o restando più giorni o vivendoci, me ne ha parlato come di una città piena zeppa di devozione. La Piera, che lì ha studiato biblioteconomia, mi assicura che i Santuari mariani sassaresi sono sempre stracolmi e tutti partecipano con gioia alla Santa Messa, come accadeva anche qui, in Gallura, tanti anni fa. Il 14 agosto poi, vigilia dell’Assunta, a Sassari è festa grandissima per la discesa dei candelieri (La “Faradda di li candereri”), che sono gli emblemi lignei delle corporazioni di arti e mestieri della Sardegna. Macellai, falegnami, contadini, undici in tutto: ognuno ha il suo “gremio” (alto più di tre metri) da portare in spalla, da piazza Castello alla chiesa di Santa Maria di Betlem, per rinnovare il voto fatto alla Santa Vergine che liberò Sassari, cinquecento e più anni orsono, da una tremenda epidemia di peste e…

E sì, sì, pensate che la festa è tanto sentita, forte e ben cucita nel cuore dei sassaresi che, quest’anno, per la caduta rovinosa del gremio dei falegnami (proprio quello caro a San Giuseppe) “a Sassari si è pianto per tre giorni”, mi ha detto Gavino che ha il banco della frutta e verdura del Logudoro qui in Gallura. Mi ha detto anche che un bimbo di dodici anni, un tamburino sardo, come ritagliato dal libro Cuore, si disperava: “Non è giusto, non è giusto, papà!”, e piangeva lui pure per il gremio caduto e spezzato, che per fortuna si riparerà.

Ecco qui, ebbene proprio a Sassari, in questo scrigno sardo dove ancora vive, palpita e respira con immutata intensità, la sacralità del nostro stupendo cattolicesimo, l’Università ha organizzato un corso sulle teorie queer, tenuto da un certo dottor Zappino e, voilà, ci ha messo lo “za(m)pino il bruttissimo per portare il suo caos transumano proprio nella città dei gremi, dove forte è ancora la vita religiosa e dove splende una intensa vocazione mariana.

E così, pluffete, ecco lo “zam-pino” peloso del procuratore generale di caos e di infelicità arrivare nel cuore santo del Logudoro, la terra della Regina Adelasia di Torres. Tra i libri di testo del corso, udite udite, ce ne sarebbe anche uno tratto dalle opere di un noto omosessuale che chiedeva a gran voce che la pedofilia fosse sdoganata, considerata una normale pulsione sessuale e che i bambini dovessero essere liberati dalla morale e dai legacci della cultura patriarcale.

Oh che cosine interessanti, degne del primo tomo scritto dal mostro verde, roba da far venire il voltastomaco a Ciacco! E il dottor Za(m)pino intenderà di certo insegnarle, insieme ad altre strampalerie che servono a tenere il mondo a capo in giù e persino appozzato nell’acqua alta. Come dire, ad esempio, che bisogna smettere di dividere, nello sport, i maschi dalle femmine e che bisogna piuttosto seguire altri schemi. Quali, di grazia? Naturalmente, per il prof prof, il pugile algerino che ha combattuto contro una donna è un eroe…

Leggo, inoltre, che il “professore” di roba queer sarebbe anche antispecista (mi pare di averlo capito dalla sua prosa buona per l’Azzeccagarbugli dei capponi di Renzo e che francamente preferisco lasciare ai suoi studenti…). Va bene, alle prossime olimpiadi gareggerò con il gatto Tigre nella scalata degli alberi e vediamo chi vince. Vuole saperlo, caro Zappino?  E mentre scrivo tutto questo mi sovviene che anche la compianta scrittrice Michela Murgia (che ho letto poco), regina del queer, era sarda, di Cabras, che è un paesino vicino a Oristano (dove sono stata). La Sardegna, così antica, ancora ferma nelle sue tante tradizioni religiose – ogni paesino, ancora oggi, fa festa al suo Santo Patrono con Funzioni e gran mangiate (gratuite per i pellegrini) – fa gola al bruttissimo che la vuole annientare.

E ha cominciato anni orsono. Da qui, da Nuoro (dove sono stata) infatti, che è partita anche Grazia Deledda, scrittrice che amo, la quale fu premiata con il Nobel anche, credo, per aver criticato la cultura del padre-padrone isolana. Ma, poveri giurati che non avete letto tutta l’opera di Grazia, era solo la superficie! Sotto sotto batteva ancora, e forte, il cuore sardo di Grazia! Nelle pagine della Deledda (che leggo ogni sera nei due e ripeto due volumoni da circa 500 pagine l’uno  fitti di novelle) vive l’antica Sardegna, devota, innamorata di Maria, “mama e su nie” (mamma della neve), rappresentata, per me e per la Deledda (che ha scritto il racconto bellissimo “Il dono”), dalla famigliola poverissima, in tasca solo ragnatele, che torna a casa dopo la Messa di Mezzanotte per trovare il “dono” di Natale: un neonato, la vita! Ciao Nobel!

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