Interesse Nazionale. Quali Strategie? Piero Laporta.

5 Maggio 2023 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, il generale Piero Laporta offre alla vostra attenzione la seconda parte del suo studio su Interesse Nazionale e le strategie che ad esso attengono. Buona lettura e diffusione.

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Nella precedente puntata  abbiamo definito l’«interesse nazionale», gestito con l’«azione di governo», i cui ambiti sono nella Costituzione. Nel processo di liberazione dai valori preindustriali, l’uomo è stato ridotto a irrilevante particella di sistemi trans e multinazionali, privi di stigma democratico. È paradossale che tale risultato sia conseguito per “liberarci” dalle dittature del secolo scorso: dalla padella delle dittature nazionali si può cadere nella brace d’una dittatura mondiale.

Ogni commentatore, autorevole o meno che sia, definisce “strategici” questi problemi, senza sapere perché essi lo siano e che cosa comportino.

Nel prolungarsi di tale incertezza, i poteri si caratterizzano per la loro capacità interdittiva, del tutto differente dalle libertà che inebriarono il secolo scorso. Chiudono le attività commerciali; chiudono le industrie; chiudono le aree urbane; chiudono gli ospedali; interdicono le spiagge, il mare e il cielo; proibiscono la libera discussione sulle decisioni concernenti la salute, il lavoro, la difesa; bollano chiunque dissenta dal neo autoritarismo.

È ingravescente il furto di libertà, il cui peso intuiamo sia strategico. Perché tale situazione è “strategica”?

Il Problema Strategico- Premessa

Per superare un problema occorre capire e sapere quanto più è possibile di esso. È la fase preliminare, l’analisi. Si stabilisce un ciclo continuo: acquisizione dei dati informativi; analisi ed elaborazione; infine tentativo di soluzione. Si acquisiscono ulteriori informazioni, si fanno nuove elaborazioni, finché si verifichi che il problema rimanga (ir)risolto e allora si passa a fronteggiarne un altro, il quale può conseguire alla (non) soluzione del precedente.

È quindi intuitivo che se due entità, A e B, hanno interessi contrapposti, quella delle due che ha il dominio delle informazioni parte con molte lunghezze di vantaggio.

La massa delle informazioni può essere taciuta da A al suo avversario B? Non nel presente (Potrà però esserlo in futuro, per ora non approfondiamo).

Oggi è impossibile perché i poteri devono creare “consenso” per legittimarsi, come abbiamo visto nella scorsa puntata. I poteri devono quindi apparire democratici (si osservi la Commissione UE) pur senza esserlo, perché necessitano di umani collaborativi e consenzienti. I poteri quindi preferiscono inondare di informazioni – p.e. miliardi di notizie ogni giorno – fra le quali è arduo distinguere il vero dal falso (A questo si aggiungono tecniche disinformative più raffinate, sulle quali per ora sorvoliamo).

Se due entità – A e B – si fronteggiano, presentando soluzioni mutuamente contrastanti, possiamo postulare che il loro problema è “strategico” se è in gioco la sopravvivenza dell’una o dell’altra ovvero d’ambedue.

La “sopravvivenza” è peculiare al problema strategico di un’entità, indipendentemente da altri soggetti nel suo intorno.

Due entità – Alfa e Beta – dotate d’autonoma capacità di scelta/decisione, entrando in contatto fra di loro, devono necessariamente operare una peculiare strategia ai fini della propria sopravvivenza. Il sistema bipolare Alfa-Beta è il più semplice modello, utile a intuire che cosa accade in un sistema multipolare, per consentirci una definizione di strategia.

Alfa e Beta, incidenti nello stesso spazio/tempo, con mutua azione cognitiva, mutua valutazione, generano un reciproco legame, risultante effettuale di tale interazione. Se fosse in gioco la sopravvivenza d’una o ambedue, sarebbe una “relazione strategica”.

Postulato: “A e B sono autoconservativi”. Se infatti uno o ambedue non lo fossero, il problema di scelta/decisione non si porrebbe. La mutua relazione fra A e B fa quindi perno proprio sulla volontà di sopravvivere, peculiare e distinta (quando non opposta) di A e di B: A con/contro B e viceversa.

In conclusione, A e B agiscono secondo due distinte strategie, per la propria sopravvivenza entro uno spazio/tempo. Il mutuo combinarsi delle due peculiari strategie, ripetiamolo, costituisce la “relazione strategica”.

Le due strategie – di Alfa e Beta – quand’anche simili, fino a essere simmetriche, sono tuttavia distinte e contrastanti perché recate da soggetti differenti. Gli scopi, uguali e/o opposti, non attenuano né accentuano la distinzione fra le due strategie, in quanto condotte da soggetti diversi. In altre parole, la strategia si differenzia per lo scopo ma ancor più per la distinzione dei soggetti cui è peculiare.

Proviamo a capire quali possano essere le possibili combinazioni delle strategie fra A e B. Il soggetto A e il soggetto B possono decidere di “esistere” senza tenere conto dell’altro. Oppure possono decidere di “coesistere”, cioè temperare le proprie decisioni di conserva alle contingenze generate dall’esistenza dell’altro. Infine possono decidere di prevalere l’uno sull’altro, indipendentemente oppure in reciproca ostilità.

A e B operano secondo la propria inclinazione strategica, indipendentemente quindi l’uno dall’altro, con peculiare processo cognitivo/decisionale, soggettivo, mutevole e indipendente.

Se chiamiamo “esistere”, “coesistere” e “prevalere” le tre possibili strategie, indicandole con le rispettive iniziali, allora le tre strategie di A sono Ae, Ac, Ap; analogamente quelle di B sono Be, Bc, Bp.

 

Con due soggetti strategici abbiamo nove possibili combinazioni strategiche; se i soggetti fossero tre, le combinazioni sarebbero 27; con 4 soggetti, le combinazioni strategiche diventano 64, cioè il numero dei soggetti strategici elevato alla potenza di 3.

Osserviamo inoltre che su nove relazioni strategiche, ben cinque sono conflittuali, tre in equilibrio, una pacifica.

Se prendessimo due villaggi di 100 e di 1000 abitanti, essi darebbero luogo rispettivamente a un milione e a un miliardo di combinazioni strategiche possibili, senza tener conto delle strategie dei gruppi e dei sottogruppi che si possono formare in una comunità quantunque molto ristretta. Chi dubiti, pensi alle ulteriori formazioni possibili come “famiglia”, “partiti”, “parrocchie”, “sindacati”, “associazioni”, ognuna delle quali moltiplica esponenzialmente le combinazioni strategiche.

È, questa, la ragione per la quale i poteri entrano pesantemente nelle organizzazioni sociale e familiare, fino a eliminare la fonte della strategia, l’uomo.

Il passaggio dal semplice modello teorico di due/tre persone al sistema a mano a mano più complesso, con strutture sociali composite, con aggregati umani (e corredi animali e materiali) più svariati, certifica la vocazione anarchica dell’umanità.

Il sotteso anarchico delle relazioni strategiche è importante per comprendere come sia sfruttato – strategicamente – per disarticolare i codici che legano i soggetti strategici d’un sistema complesso.

Le strategie sono determinate dai soggetti in conseguenza di peculiari valutazioni, (in)dipendenti dalle analoghe valutazioni dell’altro soggetto. Il sistema, applicato alle moltitudini, diventa complesso, con sviluppi magmatici del tutto indipendenti dalla volontà dei singoli.

Per tale ragione entrano in gioco i codici di comportamento, le regole interne dei vari aggregati che limitano la quantità di combinazioni strategiche possibili, imbrigliando l’iniziativa strategica, mutando i codici a vantaggio dei poteri, facendo perno proprio sulla vocazione anarchica.

A questo punto saremmo anche in grado di dare una definizione di strategia più generale di quella data in precedenza. Prima tuttavia esaminiamo altri importanti aspetti.

Che cos’è la “strategia”?

“Esistere” senza alcun’altra relazione è una condizione limite di un’entità ideale, immutabile e coesa. Essa non ha componenti disgreganti né concorrenti ostili. Se li avesse, ognuno recherebbe una propria strategia e sarebbe una strategia diversa – perché peculiare a un soggetto diverso, svuotando la strategia “esistere” del soggetto che la contiene, portandola inesorabilmente verso “coesistere” oppure al “prevalere”.

In altri termini un soggetto strategico composto ha in sé medesimo un principio di disgregazione che ne altera l’essenza prima ancora che la disgregazione si manifesti. E’ la ragione per la quale gli imperi crollano?

La strategia “esistere” è una condizione sublime, peculiare a un’entità immutabile, senza spazio né tempo, senza limiti che derivino dall’uno, dall’altro e dal suo interno medesimo. È Dio. Questo non è un trattato di teologia, eppure l’assoluto “Esistere” è la strategia dell’Assoluto, al di sotto non rimane che l’oscillazione fra “coesistere” e “prevalere”, fra “equilibrio” e “guerra”. Le possibili combinazioni, viste in precedenza, sono quindi solo otto non più nove. Di queste, tre possono assicurare l’equilibrio, ben cinque sono vocate alla guerra.

Tutti gli esseri viventi, di qualunque specie e dimensione, oscillano fra equilibrio (coesistenza con gli altri soggetti strategici) e conflitto (prevalere sugli altri soggetti strategici). Queste sono le relazioni strategiche entro i soggetti viventi.

L’esistenza d’ogni entità strategica, semplice come gli individui A e B, o apparentemente più semplice come un branco di pecore, si consuma sull’oscillazione fra equilibrio e conflitto.

In un “modello a due” (semplificazione estrema) i soggetti strategici possono facilmente diventare come due cani, legati ai capi della stessa catena, scorrevole in un anello fissato sul muro. Il padrone ha collocato due ciotole di cibo lungo il muro, a distanza una dall’altra, tale che ciascuno ne abbia certamente una.

Il conflitto comincia, benché ogni cane disponga d’una ciotola, quando l’uno tira affinché l’altro non raggiunga il cibo che gli apparterrebbe. E degenera quando l’uno, raggiunta e divorata la propria ciotola, mantiene il vantaggio della catena più lunga e, aggirando, raggiunge l’altra ciotola.

Se la ciotola fosse unica e collocata a distanza tale che solo uno dei due cani possa raggiungerla, la vicendevole scelta aggressiva è obbligata.

L’aggressività d’una strategia non consegue quindi alla volontà di aggredire ma piuttosto di difendersi. Al contrario, la strategia apparentemente pacifica è peculiare a chi abbia già il predominio e voglia mantenerlo.

Il cane che difende la sua porzione di cibo dall’altro prepotente deve necessariamente usare un’aggressività almeno pari a quella dell’altro. Decisa la strategia, pianificate le azioni, queste devono adattarsi al divenire.

La mutevolezza nel dominio, entro il quale la strategia si sviluppa, ha tre caratteristiche. Primo. La mutevolezza è certa. Secondo. I peculiari parametri della mutevolezza altrui non sono esattamente percepibili dai due soggetti. Terzo. La certezza di percepire interamente la mutevolezza è sempre fallace.

In altri termini, della mutevolezza si può avere una percezione prossima al vero, probabilistica, mai determinata, indipendentemente dal volume di informazioni acquisibili. Infatti, le combinazioni strategiche possibili, come abbiamo visto, tendono rapidamente all’infinito, poiché un soggetto strategico interagendo con un altro, modifica l’attitudine mutua d’entrambi.

Più soggetti strategici, composti da vari sottosistemi, quando entrano in reciproca relazione mutano imprevedibilmente le reciproche attitudini nel tempo e nello spazio, per il solo fatto di interagire, decidendo momento per momento come sopravvivere.

È possibile quindi una definizione operativa: ”Strategia è l’arte di serbare la libertà di decisione”.

(Continua-2)

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1 commento

  • miserere mei ha detto:

    Caro Generale, lei delizia il lettore e la riflessione.

    Attendo lo sviluppo del ragionamento e intanto condivido con lei qualche spunto suscitatomi dal tema.

    Dio (l’onnipotente, il tutto) si è fatto uomo per lasciarsi crocifiggere. Per farsi “via” (nonchè verità e vita) su questa strada umile è passato dall’umiltà dell’ancella del Signore.

    Ecco la sfida per la creatura: l’umiltà. Trovare forza nella piccolezza, ma fermandosi un attimo prima del nulla in cui ci precipiterebbe una superba grandezza.

    L’infinitamente piccolo (l’atomo) innanzitutto c’è, differenziandosi potentemente dal nulla e rendendosi disponibile (privo com’è di superbi orpelli) a che Dio vi operi con infinita potenza. Fino a vincere la morte!

    L’interesse di chicchessia dovrebbe essere ispirato a una piccolezza inossidabile al nichilismo, mentre ogni altro interesse, ispirato a glorie fatue, non può che precipitare nel nulla della dissoluzione.

    Siamo in una società angosciante: gli impauriti della morte assecondano ogni attacco alla vita da parte di poteri terreni che la morte la programmano e instillano il nichilismo a partire dalle giovani generazioni.
    Ci si gonfia di diritti e di averi, per afflosciarsi in un nulla privo della coscienza della grandezza estrema di un atomo che sa di essere nelle mani di Dio.

    Non vorrei arrivare a dire che io + Dio siamo già la maggioranza, però di fatto l’umiltà dell’ancella del Signore è più forte di tutti i poteri scatenati contro dal dragone e dai re del mondo.

    Possono stare insieme il piano spirituale della Città di Dio e i piani quinquennali delle schedulazioni degli architetti delle città dell’uomo? Quale può essere la cittadinanza dell’umile? Ne esiste una statuale, o può solo portarlo ad essere carne da cannone o un’identità su microchip da tracciare come animali in stalla?

    La guerra scatenata dagli eserciti con caccia, droni e cingolati non è meno cruenta di quella che si combatte tra gli spiriti contrari.

    Il male divora se stesso, lo sappiamo e lei lo ripete spesso. Dunque l’atomo di esistenza che si consegna al Bene è l’unica pace possibile, nell’interesse di tutti.

    Grazie ancora, di cuore.