Veritas de Terra Orta Est, et Iustitia de Caelo Prospexit. Caliari.

26 Marzo 2023 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, Gian Pietro Caliari, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni sul tempo liturgico che stiamo vivendo. Buona lettura, meditazione e diffusione.

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Incontro dei ragazzi e delle famiglie “Fides et Ratio”

Brescia – Domenica 26 Marzo 2023

Salmo 85 – Giovanni 17, 1; 17-23 – Giovanni 18, 28-38

Veritas de terra orta est, et iustitia de caelo prospexit.

  

Care Mamme e cari Papà,

Carissimi amici, socii et comites,

oggi, un personaggio, apparentemente minore e persino insignificante nella grande storia dell’Impero Romano, attira la nostra attenzione e, con grandissima attualità, proprio quell’oscuro notabile imperiale può interrogarci e scuoterci.

  Il suo nome è Pilato, membro della famiglia equestre dei Ponzi, originaria probabilmente del territorio sannita, intorno a Benevento.

Dalle fonti storiche antiche, sappiamo che servì Roma sotto l’Imperatore Tiberio e che fu il quinto Prefetto della turbolenta provincia romana di Giudea, con giurisdizione anche in Samaria e Idumea, dall’anno 26 all’anno 37 dopo Cristo, quando fu richiamato a Roma. 

 

Il filosofo e storico ebreo, ma cittadino romano, Filone di Alessandria – vissuto dal 20 a. C. al 45 d. C. e, dunque, contemporaneo di Pilato – ne traccia, in verità, un ritratto non troppo lusinghiero.

 

Pilato – scrive, infatti, Filone – era noto per “la sua venalità; la sua violenza; i suoi furti; i suoi assalti; la sua condotta fuori legge; le frequenti esecuzioni di prigionieri, che non erano stati neppure giudicati; e la sua ferocia senza limiti” (De Legatione ad Caium, 302).

Di questo minore e, forse, insignificante personaggio della Storia – il cui ricordo è stato inizialmente tramandato dai Vangeli e dalla Prima Lettera di San Paolo a Timoteo (cfr. 6, 13) – abbiamo avuto una contemporanea prova della sua esistenza solo nel 1961. 

In quell’anno, una missione archeologica dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere di Milano, mentre si dedicava allo scavo di un teatro romano presso Cesarea Marittima, antica capitale romana della Giudea, girando una delle pietre che componevano la scalea, si accorse che portava incisa questa iscrizione: [DIS AUGUSTI]S TIBERIEUM [….PO]NTIUS PILATUS […PRAEF]ECTUS IUDA[EA]E [..FECIT D]E[DICAVIT] (Agli dei onorabili Augusto Tiberio … Ponzio Pilato … prefetto della Giudea … ha fatto e dedicato).

Dopo cinquantasette anni da quella prima scoperta, nel novembre del 2018, si è giunti poi finalmente a decifrare l’incisione di un sigillo ritrovato, anni prima, negli scavi effettuati nel complesso archeologico dell’Herodion, vicino a Betlemme. 

Quell’anello, sopra la raffigurazione di un’anfora di vino, porta inciso in lettere greche il nome Pilato. Secondo quanto affermato dall’archeologo israeliano, scopritore dell’anello, si tratterebbe di un di sigillo di uso giornaliero, riferibile senza dubbio al celebre Prefetto romano: “Quel nome era, infatti, raro nell’Israele ai tempi di Gesù. Non si conosce nessun altro Pilato di quel periodo e l’anello mostra che era una persona di rango e benestante” (Haaretz, 31 novembre 2018).

Dai quei giorni e da quegli eventi, ormai lontani, accaduti durante la Pasqua ebraica dell’anno 784 ab Urbe condita – dalla fondazione di Roma – di cui ci narrano i Vangeli, fino dunque al ben più recente 1961, dell’esistenza di Ponzio Pilato si poteva persino dubitare e considerarlo – come ha fatto un certa esegesi stracciona e una nefasta teologia ancora di moda – alla stregua di un “genere letterario” o persino “un’invenzione narrativa della primitiva comunità giudeo-cristiana post-pasquale”, di cui sarebbero infarciti i testi dei quattro Vangeli canonici.  

Pilato e la sua figura, in realtà – oltre ad essere reali e, dunque, storici – hanno goduto di un sorprendente interesse nella lettura contemporanea 

Lo testimonia il gran numero di “apocrifi moderni”, ossia riscritture dei Vangeli da parte di autori contemporanei: un genere sorprendentemente diffuso, nel quale la figura di Pilato gode di un particolare successo e di una preminente centralità.

Ci basti ricordare il capolavoro di Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita; il romanzo di Anatole France, Il Procuratore di Giudea; il testo di Roger Caillois, Ponzio Pilato; o quello di Friedrich Dürrenmatt, Pilato; o ancora quello di Karel Čape, Il Libro degli Apocrifi; e per finire, il dramma Il Vangelo secondo Pilato del drammaturgo francese Emmanuel Schmitt.

Anche alcuni importanti autori italiani si sono cimentati con la figura di Pilato: Elena Bono con il suo La moglie del Procuratore; Luigi Santucci col suo romanzo sulla vita di Cristo, intitolato, Volete andarvene anche voi?; Giorgio Linguaglossa, ancora con Ponzio Pilato; Quinto Pomilio con il suo celeberrimo Il quinto evangelio; Lino Cascioli con La Versione di Pilato; e infine Mario Soldati col suo romanzo dal sintetico titolo, Pilato . 

Ma, perché Pilato affascina tanto, e tanto ancor oggi? 

Certo è un personaggio sfuggente. Di lui non si sa quasi nulla e i Vangeli ce ne restituiscono un ritratto ambivalente. 

Proprio per questo, ogni epoca ha potuto reinterpretarlo nel modo ad essa più congeniale. 

Alcune caratteristiche di Pilato, poi, che proprio dai testi evangelici emergono, lo rendono particolarmente affine alla sensibilità contemporanea e al pensiero oggi dominante. 

Dal punto di vista sociale e politico, Pilato vive in un’epoca di crisi e disorientamento: l’Impero romano comincia ad avvertire chiaramente i sintomi del suo declino, mentre una nuova era si profila all’orizzonte.

“Noi non abbiamo più un regno di certezze!” – fa dire a Pilato uno degli autori citati – “Non abbiamo più un terreno solido su cui poggiare i piedi!”.

Anche i valori tradizionali sono messi in discussione e, persino, rigettati ai tempi di Pilato, così che egli commenta: “Distinguere il bene dal male diventa sempre più complesso”. 

Non stupisce, allora, l’equiparazione della Roma Imperiale di Pilato con i regimi totalitari del secolo scorso: quello nazista, come nel Quinto Evangelio di Pomilio, o quello stalinista, come nel Maestro e Margherita di Bulgakov. 

 

Ancor più interessante e attuale è il parallelo che Cascioli, nel suo La versione di Pilato, traccia tra la Roma Imperiale e gli Stati Uniti d’America odierni.

Roma come Washington, entrambi si propongono come civilizzatrici dell’Oriente ma, in realtà, mascherano solo il volto violento e prevaricatore di chi crede di possedere “un destino manifesto” di dominio del mondo e vede come sua “nuova frontiera” il compito d’imporre sataniche ideologie transumane, fabbricate nei suoi campus universitari; di ordinare esperimenti medicali di massa e di capillare controllo sociale, per far fruttare economicamente le ricerche condotte nei suoi bio-laboratori e nelle start-up della Silicon Valley; di fabbricare e dirigere “rivoluzioni colorate” per collocare governi fedeli e sudditi; per muovere guerre a piacimento, fino all’ultima goccia di sangue, di altri popoli, considerati dell’establishment statunitense alla stregua di carne da cannone.

E, ancora, di voler imporre il suo “nuovo ordine mondiale globalista” e il suo “governo globale”, con la sua strisciante e pervasiva propaganda mediatica, nel miglior dei casi, o con l’uso delle sue basi militari e della sua potenza di fuoco, quando serve, quando vuole e quando Washington comanda. 

Sì, anche Pilato si colloca in una zona grigia in cui la viltà sfuma nella necessità e il male diventa, come ha osservato Hannah Arendt, “banale”. 

Appunto! Quel mostro della Storia umana che è “la banalità del male”, che abbiamo certamente visto all’opera nel secolo scorso; ma che oggi vediamo nuovamente in azione e con incredibile virulenza nella “normalità del male”.

Sì, una “normalità del male” che viene accettata come imperativo etico per i costumi morali e per i comportamenti individuali e sociali, di chi vuole essere ritenuto e accettato come “al passo coi tempi” o “allineato” col mainstream dominante, e per non essere da questo dichiarato deviante dal politicamente corretto e moralmente corrotto.

Sì, perché per alcuni – come dicono – anche “la normalità del male” è diventata una “questione di civiltà”! Già, la “civiltà del male”!

Dal punto di vista religioso, poi, Pilato può facilmente rappresentare l’uomo contemporaneo. 

La sua epoca, infatti, è abituata a considerare la molteplicità degli dèi con una tolleranza indifferente e, sebbene sia percorsa da inquietudini religiose, ha sempre più difficoltà a credere in qualcosa e, soprattutto, in Qualcuno! 

Di conseguenza, l’atteggiamento di Pilato nei confronti di Gesù è ambivalente, oscillando fra ammirazione e scetticismo; e fra la constatazione che in Gesù “non vi era alcun colpa” e l’opportunismo politico per non essere sospettato, o persino accusato, “di non essere amico di Cesare”. 

  Pilato, negli autori che ho citato, è così un personaggio inquieto, nel quale si intrecciano ambiguamente bene e male, fede e dubbio, superstizione e pragmatismo, certezze e illusioni, nostalgia e rimorsi.

In ultima analisi: in Pilato verità e menzogna sono indistinguibili! 

È naturale perciò che gli scrittori contemporanei tendano a immedesimarsi in lui e si interroghino ancora sulla verità, a partire dalla prospettiva di Pilato.

“Che cos’è”, infatti, “la verità?”: così culmina e si conclude , nel testo del Santo Vangelo secondo l’Apostolo Giovanni, il breve interrogatorio cui il Prefetto di Giudea sottopone Gesù!

E che cosa è la verità per Pilato?

Secondo gli autori che di lui si sono occupati, anzitutto, la verità per Pilato ha una chiara impostazione razionalistica. 

Egli, infatti, dimostra “una notevole lucidezza intellettuale”,e vede in Roma “l’unica garanzia di ragione nel mondo”,mentre in Giudea il sonno della ragione “genera mostri”.

 

Il suo razionalismo si accompagna, poi, a un atteggiamento scettico verso la religione, vista come un “cedimento intellettuale”.

Da questa convinzione, tuttavia, prendono forma nel Pilato letterario due diverse conclusioni.

Da un lato, Pilato simboleggia la laicità come valore positivo: poiché la “verità sugli dèi” non si può conoscere; ela religione è una mera illusione.

Ciascuno, dunque, è libero di cercare conforto in essa,ma tale scelta deve restare limitata alla sfera privata,mentre a livello pubblico la libertà di pensiero, apparentemente, è il valore primario da difendere. 

Pilato si interessa, così, alla religione non in quanto portatrice della Verità, ma semmai in quanto strumento di ascesi interiore, a livello personale; e di controllo sociale, a livello politico.

Per lui, non vale la Verità, ma ciò che è valido e pratico dal punto di vista politico. Per lui non conta il Vero! Per lui conta l’utile! 

Dall’altro lato, invece, Pilato rappresenta l’intellettuale dubbioso, aggrappato alla ragione ma inquieto nei confronti del divino: “crede e non crede”,cerca di comprendere ma non può,vuole allontanare il pensiero di Gesù ma non ci riesce.

Egli, ha paura di quella “cosa enorme e assurda”che  è la Verità. Egli intuisce che c’è la Verità e, tuttavia, “non è in grado di capirla”.

France e Caillois ritraggono un Pilato razionalista che agisce strettamente in base alla logica, fino a esiti paradossali. 

Nel primo caso, Pilato considera la passione di Cristo come una faccenda di nessun conto e se ne dimentica; mentre nel secondo, libera il prigioniero, agendo coerentemente con le proprie convinzioni. 

Bulgakov, invece, è il capostipite di una genia di Pilati tormentati, divisi fra razionalità e inquietudini esistenziali. 

Infine, il dramma di Schmitt – che è all’origine dell’opera cinematografica L’Inchiesta e del suo remake televisivo del 2007 –   trasforma Pilato in un investigatore, che indaga sulla resurrezione di Gesù attraverso continue ipotesi e verifiche. 

Proprio questo rigore scientista, però,  lo conduce a quello che il filosofo francese Blaise Pascal considera l’estremo e ultimo  passo della ragione: “capire che ci sono infinite cose che superano la ragione stessa” (Pensées, 84). 

Proprio perché elaborata attraverso la sola ragione, la verità di Pilato non si colloca più nell’ambito della certezza, bensì in quello del dubbio e della ricerca. 

Non si tratta, cioè, di un possesso pacifico ma di un processo in continuo divenire. 

Ciò può avere una connotazione negativa, come nel Pilato di Soldati: l’assenza di punti di riferimento implica un’eterna indecisione, in cui si riflette la “difficoltà di comprendere e affidarsi a una fede”.

Anche il Pilato di Linguaglossa, benché molto più energico, rivela una mente irrequieta e spesso inconcludente, che “ama retrocedere, ama soffermarsi […] per poi avanzare con mossa fulminea senza una ragione plausibile, senza una utilità immediata”. 

“Pilato diviene, così, il primo eroe dell’annientamento di ogni rivelazione che pretenda di ergersi a verità. L’uomo, fattosi destino di sé stesso, non deve più aderire alla Verità, ma costruire la sua propria verità”(C. Ossola, Pontius, te souvient-il…?, in: AA.VV,  Pilato: storia di un mito, Roma, 2013, p. 96). 

Pilato, poi, pone un confine netto tra la propria concezione e quella di Gesù: “Per te c’è una verità assoluta, immutabile, eterna – dice Pilato a Gesù –  […] ma per me […] l’unica verità è che non esiste la Verità” (E. Caldirola, Verbale del processo di Gesù Nazareno, Parma, 1972, p. 158).

Cascioli amplia ulteriormente questa contrapposizione, facendone un fatto culturale prima che personale: “Noi sappiamo che la verità è relativa agli uomini, alle situazioni e alla storia. Ci sono, invece, civiltà che fermamente credono che esista una sola Verità, assoluta, incontestabile”

In effetti, per i Pilati letterari, una verità unica è inaccettabile!

Dal punto di vista teorico, è un’arbitraria semplificazione, nata dall’incapacità di “sopportare la complessità”;dal punto di vista pratico, poi, implica una prepotente e spesso violenta affermazione del proprio punto di vista.

Ironizza, ad esempio, il Pilato di Čapek: “Chiunque fabbrichi una verità, proibisce tutte le altre verità. Come se un falegname che facesse una nuova sedia, vietasse di sedersi su tutte le altre sedie che qualcuno ha fatto prima di lui”. 

Pilato, davanti a Gesù, scaglia allora in alto la sua domanda: Che cos’è la Verità?: ma, il Prefetto di Giudea non aspetta la risposta “perché, a suo modo di vedere, non ci poteva essere una risposta”.

 

Lui non crede nella Verità, e in fondo “nemmeno vorrebbe sapere cosa sia”.

 

In fin dei conti, il prefetto Pilato considera che: “soltanto un ebreo, e pazzo per giunta, può parlare della Verità a un passo dal supplizio della croce”.

 

Gli interessi di Pilato sono esclusivamente concentrati sulla sfera terrena, dove “tutto è reale”,e il reale è “l’unica cosa che conta!”. 

Perciò per Pilato, la Verità in senso assoluto è una pura “astrazione”, “un castello in aria”;è una mera parola, e “gli uomini non hanno bisogno di parole, ma di pane, di coperte, e di una casa”. 

E se anche, poi,  la verità fosse raggiungibile per l’uomo, probabilmente non sarebbe comunicabile alla gran maggioranza degli uomini! 

E se fosse anche comunicabile agli uomini, non sarebbe accettata dai più!

Ecco Pilato! 

Ecco ancor oggi Pilato, l’uomo del nostro tempo!  

Ecco Pilato fra noi! 

Ecco Pilato; l’uomo dei nostri giorni! 

L’uomo smarrito perché senza certezze. L’uomo in balia delle mode e delle sue voglie perché la verità è relativa. L’uomo incattivito perché il bene e il male per lui pari sono. L’uomo che sopravvive e non vive. L’uomo adagiato e, persino, asservito alla “normalità del male”.

L’uomo accecato e incapace di capire la realtà perché illuso da un razionalismo decadente, che impone menzogne mascherate da scienza. L’uomo impaurito e senza speranza, perché ha voluto chiudere la porta del cielo, sperando di costruire sulla terra il suo Paradiso. L’uomo senza futuro, perché come insegna la Storia, di una sola cosa questo tipo di uomo è capace: trasformare la terra in un inferno!

Carissimi amici,

quel venerdì mattina sul presto, nel giorno della Parasceve, che precedeva la sera della Pasqua ebraica dell’anno 784 ab Urbe condita, nel Pretorio di Gerusalemme, i presenti poterono assistere a uno scontro radicale ed epocale, e a un “mirabile duello” fra Pilato e Gesù di Nazareth.

“Allora Pilato gli disse: Dunque tu sei re?. Rispose Gesù: Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Giovanni 18, 37).

Sì, su di un lato del Pretorio di Gerusalemme è schierato Pilato, con l’autorità di un Impero, il potere delle sue leggi, la forza delle sue legioni, l’efficenza della sue istituzioni e della sua burocrazia, ma anche con lo sterminato numero delle sue guerre, delle sue stragi, dei suoi eccidi, dei suoi soprusi e delle sue violenze.

Sull’altro lato dello stesso Pretorio, se ne sta, invece, in piedi un re, indifeso e persino prigioniero, che così ha definito l’essenza della sua regalità:  “La mia regalità [il mio regno] non è di questo mondo; se la mia regalità [il mio regno] fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma la mia regalità [il mio regno] non è di quaggiù” (Giovanni 18, 36).

Sì, su di un lato del Pretorio, ancora, sta il Praefectus gladii iure, come era il titolo giuridico esatto del ruolo che il notabile Pilato ricopriva, vale a dire rivestito del supremo potere di usare il gladio – la spada romana – per mettere a morte qualcuno, come gli hanno ricordato – per altro, con goffa piaggeria – i Giudei: “A noi non é consentito mettere a morte nessuno” (Giovanni 18, 32).

 

Dall’altro lato, c’è un re disarmato, i cui servitori non combattono, ma che è lì impavido ἵνα μαρτυρήσω τῇ ἀληθείᾳ, per dare testimonianza alla verità, come abbiamo ascoltato nella traduzione italiana.

Nel riportare le parole di Gesù a Pilato, l’Evangelista Giovanni, nel testo originale greco, usa qui il verbo μαρτυρῶ, da cui deriva il nostro termine martire, ma fa di più! 

Per costruire la subordinata finale – per dare testimonianza – usa la prima persona singolare del congiuntivo aoristo greco – μαρτυρήσω, appunto – che è il classico uso dell’aoristo gnomico, vale a dire una modalità verbale del greco antico che si riferisce sia al passato sia al presente ma anche al futuro e indica un’azione nel suo puntuale svolgimento. 

Gesù non è al cospetto di Pilato per rendere una semplice μαρτυρία, cioè una mera testimonianza per cercare di sfuggire alla morte.

Il Sinedrio e i capi dei sacerdoti, infatti, l’avevano già condannato la notte precedente e l’avevano condotto da Pilato solo perché ratificasse la condanna alla crocifissione.

Al contrario, è lì davanti al potere costituito, per affermare e per rendere testimonianza che esiste un regno e un potere superiore ad ogni umano regno e potere.

Questo regno è retto ieri, oggi e sempre, da un solo potere e conta su una sola forza: la Verità! 

Che cos’è la Verità?, grida infastidito il Prefetto romano!

E Che cosa intende Gesù per: la Verità,? La Verità per la quale è lì a rendere la sua μαρτυρία, fino alle estreme conseguenze?  

San Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae scrive: “La Verità è nell’intelletto di Dio in senso vero e proprio e in primo luogo; nell’intelletto umano, invece, essa è in senso vero e proprio, ma derivato (Summa Theologiae, De Veritate,  Questio 1 a 4 c). 

Significa che sia in Dio sia nell’uomo la verità sta veramente e propriamente, ma in Dio come in origine e nell’uomo come derivata da Dio.

Dio stesso, dunque come afferma ancora San Tommaso, è “ipsa summa et prima Veritas”:  Dio stesso è la stessa somma e prima verità» (Summa Theologiae, I, Questio 16 a 5 c).

Molti secoli prima di San Tommaso, già Sant’Agostino scriveva: “Comprendi dunque, se lo puoi, o anima tanto appesantita da un corpo soggetto alla corruzione e aggravata da pensieri terrestri molteplici e vari; comprendi, se lo puoi, che Dio è Verità. È scritto infatti che Dio è luce (1Gv 1,5), non la luce che vedono i nostri occhi, ma quella che vede il cuore, quando sente dire: è la Verità. […] Resta, se puoi, nella chiarezza iniziale di questo rapido fulgore che ti abbaglia, quando si dice: Verità” (De Trinitate VIII,2).

Questa Verità di Dio abita nel più profondo dell’uomo e di ogni uomo, “in interiore hominis” – come insegna ancora Sant’Agostino – ma si rende evidente e si manifesta solo nella misura in cui l’uomo è capace di corrispondere alla Verità della sua natura; alla Verità della sua ragion d’essere; alla Verità del suo aprirsi a Dio, in cui solo l’uomo può trovare – perché da lui deriva – il senso vero del suo essere e del suo esistere. 

Ed, ecco perché Gesù conclude il suo interrogatorio come queste esatte parole: πᾶς ὁ ὢν ἐκ τῆς ἀληθείας ἀκούει μου τῆς φωνῆς: Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Giovanni 18, 37) – come abbiamo ascoltato nella traduzione corrente – ma che più esattamente dovremmo tradurre così: “colui che essendo tutto dalla Verità ascolta la voce di me”.

Sì, solo colui che è in grado di comprendere e di comprendersi pienamente come creatura che viene ἐκ τῆς ἀληθείας, dalla verità, da quella “ipsa summa et prima Veritas”, che è Dio stesso, allora può comprendere la voce e l’insegnamento di Cristo.

Solo allora, noi possiamo pienamente capire il senso e il contenuto di quella grande orazione che Gesù compie davanti agli Apostoli, essendo giunta la sua ora: “Padre […] consacrali nella verità. La tua parola é verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Giovanni 17, 17-18).   

In questo breve testo, il verbo greco ἁγιάζω, – che significa rendere santo, santificare, consacrare e anche separare, mettere a parte – ricorre tre volte: una volta riferita a Cristo stesso “per loro io consacro me stesso”; e per due volte riferita agli Apostoli e ai futuri credenti in Cristo, dunque anche a noi.

In queste due volte, la prima e la terza nel brano, è tuttavia sempre connessa alla parola Verità: ἁγίασον αὐτοὺς ἐν τῇ ⸀ἀληθείᾳ·, rendili santi nella Verità; ἵνα ⸂ὦσιν καὶ αὐτοὶ⸃ ἡγιασμένοι ἐν ἀληθείᾳ; affinché siano anch’essi siano resi santi nella Verità.

E l’ἀληθείᾳ, a cui si riferisce Gesù è ancora una volta ὁ λόγος ὁ σὸς ἀλήθειά ἐστιν: il logos di te è verità! Sì! La Tua Parola, il Tuo Logos, o Padre, é la Verità!

Sì, il logos di Dio stesso, che si è fatto carne, nell’Incarnazione, ora, “giunta la sua ora”, diventa al contempo sacerdote e vittima, nella Passione, sulla Croce e nella sua Morte per riconciliare tutto il cosmo e ogni uomo, e ogni uomo di ogni tempo a Dio Padre “ipsa summa et prima Veritas”: la stessa somma e prima Verità! Sì! La Tua Parola, il Tuo Logos, o Padre, é la Verità!

La “Redenzione” – che noi ci avviamo a celebrare e rivivere nei prossimi santi Misteri Pasquali – “nel senso pieno della parola può consistere solo nel fatto che la Verità diventi riconoscibile. Ed essa diventa riconoscibile, se Dio diventa riconoscibile. 

Egli diventa riconoscibile in Gesù Cristo. In Lui Dio è entrato nel mondo, ed ha con ciò innalzato il criterio della verità in mezzo alla storia” (Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Milano, 2011, p. 218).  

Al contrario, la “non-Redenzione del mondo consiste nella non decifrabilità della Verità” (Ibidem, p. 217).

Sì! Sulla Croce di Cristo, sulla Croce cui è appeso il Logos fatto carne, su quella Croce è stato innalzato – una volta e per sempre – il criterio ultimo della Verità, in mezzo alla storia degli uomini.

Dalla roccia del Golgota – come abbiamo letto e pregato nel Salmo 85 – “Veritas de terra orta est”: in Gesù la Verità si è levata dalla terra, perché tutti la possano incontrare!

Il sacrificio espiatorio di Gesù sulla Croce, nel quale Gesù stesso è sacerdote e vittima, ha riconciliato il cielo e  la terra, per questo “et iustitia de caelo prospexit”: anche la giustizia si è affacciata dal cielo”!

Da quel giorno della Parasceve dell’anno 784 ab urbe condita “Stat Crux dum volvitur orbis”; una croce, la Croce di Cristo, rimane salda lì sulla roccia del Calvario, sospesa tra terra e cielo, mentre ora come allora passa la scena di un mondo, che prosegue ignaro la sua corsa effimera, continuando a inseguire idoli e chimere. 

Quella Croce, la Croce di Cristo è l’eterna risposta ai tanti Pilati della Storia che, incessantemente, altezzosi chiedono: “Che cos’è la verità?”.

Con umiltà, ma anche con coraggio e chiarezza, noi conosciamo la risposta, non perché siamo migliori di altri, ma perché nella Fede e nella Chiesa abbiamo incontrato la Croce di Cristo!

Quella Croce è stata innalzata, una volta e per sempre, come il criterio ultimo della Verità. La Croce di Cristo  è per tutti i tempi, è per tutti gli uomini, è per tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo l’ultimo criterio della Verità!

D’innanzi alla Croce e alla Croce di Cristo, noi confessiamo che c’è una Verità universale, una Verità vincolante, una Verità valida nella storia stessa, che si compie nella persona di Gesù Cristo, nel suo offrirsi al mondo come Via, Verità e Vita!

Da questa stessa Verità, possono allora solo discendere gli altri due doni che Cristo alla vigilia della sua Passione invoca dal Padre per gli Apostoli e per tutti i futuri credenti: l’unità e l’amore.

“Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, […] siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Giovanni 17, 21; 23).

Sì, senza la Verità, non può che esservi discordia e divisione!

Solo la Verità riconcilia e unifica!

Sì, senza la Verità, non può che esservi odio e distruzione! 

Solo la Verità fa splendere l’amore e rende possibile l’edificazione di un mondo migliore!

Carissimi amici,

senza timore e senza paura, ma forti della Verità che Cristo stesso è, sappiamo che la Provvidenza ci ha posti a vivere non alla fine del Mondo, ma alla fine di un mondo; non alla fine del Tempo, ma alla fine di un tempo; non alla fine della Storia, ma alla fine di una storia.

Questo finire è drammaticamente segnato da un pensiero dominante – come ha notato Papa Benedetto XVI in uno dei suoi ultimi scritti – che non vuole più riconoscere la Verità dell’essere; ma vuole acquisire potere sull’essere. Vuole rifare il mondo secondo i propri bisogni e desideri, o peggio, secondo le proprie voglie e pulsioni. Questo orientamento non alla verità ma al potere è senza dubbio il vero problema del tempo presente (cfr. Benedetto XVI, Che cos’è il cristianesimo, Milano, 2023, p. 31). 

“Il moderno Stato occidentale – continuava Papa Benedetto – da un lato si considera come un grande potere di tolleranza, dall’altra mira alla radicale manipolazione dell’uomo e allo stravolgimento della natura umana”, vale a dire della Verità stessa dell’uomo e della Verità di Dio sull’uomo e per l’uomo (Ibidem, p. 33). 

“L’intolleranza di questa apparente modernità nei confronti della fede cristiana ancora non si è trasformata in aperta persecuzione e, tuttavia, si presenta in modo sempre più autoritario mirando a raggiungere, con una legislazione corrispondente, l’estinzione di tutto ciò che è essenzialmente cristiano” (Ibidem). 

Ciò è vero nelle contemporanee società europee, ma pare altrettanto vero anche all’interno stesso della nostra Santa Madre Chiesa.

Come faceva notare, infatti già anni fa, una illustre personalità religiosa “i cattolici sono chiamati a schierarsi, e a battersi per il futuro stesso del cristianesimo. E gli avversari non stanno più soltanto fuori; ma i più insidiosi si annidano anche dentro la Chiesa. Insomma, circola nella Chiesa un miscuglio di antiche eresie presentate da qualcuno come cose nuove […] Ciò che rimproveriamo a certa teologia è l’avere scelto di essere subalterna alla cultura laicista; di essersi fatta, e volontariamente, cortigiana e serva della mentalità egemone. E non si accorgono che quel laicismo che mette loro tanta soggezione e bisogno di riverirlo, è in agonia, assieme a tutta la modernità nata dall’illuminismo settecentesco” (Mons. Luigi Giussani, in: Vittorio Messori, Inchiesta sul Cristianesimo. Sei tu il Messia che deve venire, Torino, 1987, p. 57).

 

Tutto ciò, noi lo constatiamo con rigoroso ma sereno realismo, perché abbiamo una certezza ben maggiore: Stat Crux dum volvitur orbis! Salda rimane la Croce, mentre il mondo e i suoi presunti ed effimeri protagonisti, anche quelli di Chiesa oggi sono e domani non più! 

Care Mamme e Cari Papà,

Carissimi amici, socii et comites,

 “quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Giovanni 12, 32) aveva annunciato Gesù a un gruppo di Greci, giunti a Betsàida di Galilea “per vederlo” proprio all’avvicinarsi di quella Pasqua ebraica dell’anno 784 ab Urbe condita.

Lasciamoci attirare, dunque, anche noi da Gesù e da Gesù crocefisso! 

In questi prossimi giorni, con maggiore attenzione e con rinnovata pietà “volgiamo lo sguardo a Colui che è stato trafitto” (cfr. Zaccaria 12, 10). 

Ricordiamoci con maggiore intensità che “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15, 13).

E proprio per questo amore, come ha scritto Blaise Pascal “Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo” (Pensées 553), proprio perché il suo amore per i suoi amici, il suo amore per noi è senza limiti né fine. 

Chiediamoci anche, guardando la Croce di Cristo e guardando anche negli occhi i nostri amici: la mia amicizia, il mio amore per Cristo e per i miei amici è così vero, è così importante, è così grande che sono disposto a dare la vita per Cristo e per i miei amici.

Sì! Solo dopo aver contemplato la Croce di Cristo e Gesù crocefisso, allora i nostri occhi potranno cogliere il bagliore di quella luce che promana dalla Pasqua: una luce diversa, una luce divina, che ha per sempre squarciato le tenebre della morte e ha portato nel mondo lo splendore di Dio: lo splendore della Verità, lo splendore dell’Unità e lo splendore dell’Amore!  

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12 commenti

  • ex : ha detto:

    «Roma come Washington, entrambi si propongono come civilizzatrici dell’Oriente ma, in realtà, mascherano solo il volto violento e prevaricatore di chi crede di possedere “un destino manifesto” di dominio del mondo e vede come sua “nuova frontiera” il compito d’imporre sataniche ideologie transumane, fabbricate nei suoi campus universitari»

    Mah! Questa mi sembra grossa…

    Se qualche scampolo ancora ci resta di civiltà prima che sprofondiamo definitivamente nella barbarie, o ancor peggio nell’imbarbarimento, dei costumi, e nel totalitarismo più greve, veramente da «dominio del mondo», lo si deve proprio all’immenso patrimonio rilasciatoci da Roma; il quale patrimonio, passato successivamente alla Chiesa che l’ha arricchito e umanizzato, ha portato il mondo cosiddetto occidentale ad essere all’avanguardia nel progresso in tutti i campi nell’intero orbe terracqueo. Mi pare che «Washington» stia invece procedendo all’inverso.

    Per quanto riguarda il presunto «volto violento e prevaricatore» di Roma, che è un classico di ogni storia di Roma, non si tiene sufficientemente conto dalla situazione di quei secoli in cui i popoli o assoggettavano o venivano assoggettati, cioè finivano in schiavitù, cosa non solo usuale, ma addirittura ritenuta legittima a quei tempi. Roma si è trovata quasi sempre a dover affrontare quelle guerre, prima all’interno della Penisola (Etruschi, Sanniti, guerre tarantine ecc.), poi all’esterno, sempre per non scomparire come popolo. Ricordiamo le guerre puniche (esempio tipico ma non solo quelle), che se avessero avuto sorte diversa, la Storia di Roma sarebbe finita lì.

    Non mi sembra che Washington porti le guerre in tutto il mondo per non farsi assoggettare.

    L’atteggiamento poi di Roma nei confronti dei popoli sottomessi era di grande magnanimità, concedendo loro molta libertà e autonomia, spesso liberandoli anche da obblighi tributari, salvo naturalmente garantirsi che non costituissero una minaccia nei loro confronti, nel qual caso sì che agivano in modo violento, cioè nel modo usuale non solo di allora, ma anche dei giorni nostri, a quanto pare…

  • Cerasella ha detto:

    Croce e resurrezione : dobbiamo ricordarle entrsmbe.
    La Resurrezione e’ il miracolo piu’grande. Quello in cui noi crediamo.
    Della vasta galleria di opere citate ne ho letto solo una , quella di Elena Bono LA MOGLIE DEL PROCURATORE. E la considero un capolavoro.
    Vorrei gentilmente ricordatvi che, nelle Chiese d’oriente Claudia Procula e’ considerata santa.

  • stilumcuriale emerito ha detto:

    Dopo aver pazientemente letto non un articolo sulla figura evangelica di Pilato ma una Summa Pilatologiae, tutto quello che sono venuto a sapere non è chi fosse Pilato ma che cosa pensano, o hanno pensato di lui, il Comm. Prof. Gian Pietro Caliari e tutti gli illustri scrittori e uomini di spettacolo da lui citati. Per me Pilato rimane un uomo mediocre che si è trovato invischiato in una faccenda più grande di lui ed ha cercato di barcamenarsi per uscirne fuori il più possibile indenne.
    Buona Santa Pasqua a tutti.

    • Starkov ha detto:

      «Roma come Washington, entrambi si propongono come civilizzatrici dell’Oriente ma, in realtà, mascherano solo il volto violento e prevaricatore di chi crede di possedere “un destino manifesto” di dominio del mondo e vede come sua “nuova frontiera” il compito d’imporre sataniche ideologie transumane, fabbricate nei suoi campus universitari»

      Mah! Questa mi sembra grossa…

      Se qualche scampolo ancora ci resta di civiltà prima che sprofondiamo definitivamente nella barbarie, o ancor peggio nell’imbarbarimento, dei costumi, e nel totalitarismo più greve, veramente da «dominio del mondo», lo si deve proprio all’immenso patrimonio rilasciatoci da Roma; il quale patrimonio, passato successivamente alla Chiesa che l’ha arricchito e umanizzato, ha portato il mondo cosiddetto occidentale ad essere all’avanguardia nel progresso in tutti i campi nell’intero orbe terracqueo. Mi pare che «Washington» stia invece procedendo all’inverso.

      Per quanto riguarda il presunto «volto violento e prevaricatore» di Roma, che è un classico di ogni storia di Roma, non si tiene sufficientemente conto dalla situazione di quei secoli in cui i popoli o assoggettavano o venivano assoggettati, cioè finivano in schiavitù, cosa non solo usuale, ma addirittura ritenuta legittima a quei tempi. Roma si è trovata quasi sempre a dover affrontare quelle guerre, prima all’interno della Penisola (Etruschi, Sanniti, guerre tarantine ecc.), poi all’esterno, sempre per non scomparire come popolo. Ricordiamo le guerre puniche (esempio tipico ma non solo quelle), che se avessero avuto sorte diversa, la Storia di Roma sarebbe finita lì.

      Non mi sembra che Washington porti le guerre in tutto il mondo per non farsi assoggettare.

      L’atteggiamento poi di Roma nei confronti dei popoli sottomessi era di grande magnanimità, concedendo loro molta libertà e autonomia, spesso liberandoli anche da obblighi tributari, salvo naturalmente garantirsi che non costituissero una minaccia nei loro confronti, nel qual caso sì che agivano in modo violento, cioè nel modo usuale non solo di allora, ma anche dei giorni nostri, a quanto pare…

  • Speranza ha detto:

    Invochiamo la Santissima Mater dolorosa: “Santa Madre, deh Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore”. Sì, davvero impresse e allora sparirà d’intorno ogni vanità e la Verità apparirà radiosa.

  • alessio ha detto:

    Non mi sento da parte mia di
    condannare fino in fondo Pilato soprattutto dal punto di vista di
    Gesù, che quando fu da lui interrogato , gli disse che chi lo
    aveva consegnato aveva una colpa più grande .
    Di certo era una persona avvezza a versare il sangue ,
    ma mi fa tenerezza che uno
    come lui, abbia fatto di tutto
    per liberarlo forse perché
    si era
    impaurito del fatto che
    Gesù si era dichiarato figlio
    di Dio , era normale
    che gli imperatori presso i romani si ritenessero Dio in terra , e per di più il Signore
    gli disse chi segue la Verità
    ascolta le mie parole .
    Seppure Pilato lo aveva
    condannato , fece scrivere
    una epigrafe con su scritto
    Iesus Nazareni Rex Iudeorum ,
    penso per differenziarla dalla
    divinità etrusca esus ,corrispondente al mercurio dei romani ,che si
    pronuncia allo stesso modo ,
    a cui gli stregoni etruschi
    facevano sacrifici umani
    inchiodandoli agli alberi
    sulle alture dell’Etruria .
    Infine quando Giuseppe di
    Arimatea gli chiese il
    cadavere di Gesù glielo
    diede subito e volentieri .
    Certamente quello che
    fece per Gesù fu insufficiente ,
    ma è già qualcosa , e la
    Divina Misericordia è
    profonda ed insondabile .
    Forse Pilato non si è salvato ,
    ma sapremo al Giudizio
    finale che fine ha fatto .

    • stilumcuriale emerito ha detto:

      A parer mio il grande mistero sul quale non si dovrebbe mai smettere di riflettere è questo: Giuda, Pilato, i membri del Sinedrio, la soldataglia romana, il soldate che trafisse con un colpo di lancia il fianco del Crocifisso, furono colpevoli di quel che fecero o furono strumenti nelle mani di Dio affinché avesse compimento la sua opera di Redenzione?
      Qui li voglio i “sapientoni”.

      • Forum coscienza maschile ha detto:

        Entrambe le cose: una non esclude l’altra

        • Stilumcuriale Emerito ha detto:

          Roba da vecchi avvinazzati

          • stilumcuriale emerito quello vero ha detto:

            Non è roba mia. Quel faccia di tolla che scrive col mio nome la smetta ! Altrimenti faccio denuncia alla Polizia Postale.

        • Maria Grazia ha detto:

          Anch’io concordo col fatto che si tratti di entrambe le cose: chi ha condannato Gesù l’ha fatto servendosi del proprio libero arbitrio ( la sua condanna è stato addirittura messa ai voti da parte di PIlato) e Dio, nella sua onniscienza, sapeva che attraverso la libera decisione del popolo, Suo Figlio avrebbe salvato il mondo.

          • Stilumcuriale Emerito ha detto:

            Ma cosa concorda Lei! Le Scritture non sono riba per donnette, faccia il piasé….