Il “Metodo” per Condurre la Battaglia. Don Strumia a Gotti Tedeschi.

16 Marzo 2023 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione questo articolo di don Alberto Strumia, apparso su Il Pensiero Cattolico, che ringraziamo per la cortesia, in cui don Strumia risponde a un intervento del prof. Gotti Tedeschi, che Stilum ha pubblicato ieri l’altro. Buona lettura e condivisione. 

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In questo nuovo intervento, don Alberto richiama l’importanza del metodo nel vivere la fede. Lo si trova descritto nella  “Forma d’insegnamento della Scuola Ecclesia Mater

 

Nel precedente contributo del Prof. Gotti Tedeschi che, innanzitutto ringrazio per l’apprezzamento che ha voluto esprimere per il mio intervento dal titolo  “Contro chi è la battaglia?”, apparso su Il Pensiero Cattolico, ho riconosciuto l’invito esplicito a precisare qualcosa in più in vista di una risposta alla domanda: «Che fare?».

 

Ma mi fermerò a questa mia sola “aggiunta” al mio intervento precedente, per non  correre il rischio di avviare un ping pong tra noi, (magari poco opportuno per i lettori abituali del blog).

 

1. Mi sembra di poter leggere tra le righe il suo legittimo timore «che ci rifugiamo nella passività di azione, che con la scusa di abbandonarsi  nelle mani di Dio, di fatto trasforma la speranza in  “pigrizia spirituale”» (cito le sue parole). Non è questo che intendo, ovviamente. Penso piuttosto sia necessario un modo di procedere non velleitario, ma proporzionato alle nostre effettive possibilità, consegnando poi il tutto nelle mani di Dio che provvederà come solo Lui sa fare, e agli spazi che si possono effettivamente creare senza essere schiacciati dai poteri di varia natura, dei quali pure, in questi tempi – abbastanza apocalittici, per non dire escatologici – il demonio sa abilmente servirsi.

 

2. Quanto al rifiuto in blocco della prospettiva, prevista dall’allora Card. Ratzinger – delle piccole comunità vive che fanno sopravvivere la Chiesa in attesa di una sua risurrezione dopo la passione e la croce, come quella del suo Signore – rifiuto espresso con l’esplicita dichiarazione: «Non credo al rifugio nel  “piccolo gregge”  (una “setta “ di fatto)», non penso che Ratzinger intendesse una sua realizzazione così negativa.

 

3. Penso che si possa tentare una risposta alla domanda «che fare?», seguendo una strada simile, pur tenendo conto della  differenza della situazione (che non è poi così grande…) a quanto vidi già realizzato, nel 1980 quando andai insieme ad alcuni amici, per una settimana in Ungheria, a Budapest, a trovare persone e gruppi solidamente cristiani, su indicazione di chi, pionieristicamente, era in contatto diretto regolare con loro da anni.

 

4. Loro avevano adottato questa strategia:

 

a) nelle parrocchie erano permessi dal regime, allora, solo gruppi per formare dei piccoli cori per il canto (liturgico e non solo). Per cui i cori erano numerosi. I parroci erano più o meno pubblicamente ossequienti al potere. Mentre lasciavano fare i giovani preti (cappellani: allora là ce n’erano…) i quali clandestinamente, formavano i giovani (all’epoca incontrai degli universitari davvero in gamba) ad una cultura alternativa a quella ufficiale, ad incominciare dalla dottrina cattolica e dalla rilettura intelligente e cristiana della storia della nazione.

 

Noi non siamo ancora ad un livello così estremo (ma potremmo arrivarci anche presto!), ma per esempio già il condizionamento del “pensiero unico” c’è ed è sottile.

 

Come facevano a non ridurre i loro gruppi in «sette» chiuse in se stesse? Ci pensavano i principalmente predetti cappellani, insieme ad alcuni laici, i quali, di nascosto, tenevano i contatti tra loro, per confrontarsi e avere un “metodo” formativo comune, evitando ogni forma di chiusura e settarismo. Qualcuno ogni tanto veniva scoperto dal regime e pagava di persona! Ma questo modo di procedere, sostanzialmente, funzionava.

 

b) In Polonia un modo di procedere simile riuscì a formare Solidarnosc che, al momento opportuno, emerse pubblicamente come soggetto identitario della nazione intera.

 

c) Per la formazione dei seminaristi (più o meno clandestini) non potevano certo mettere in piedi dei “mega istituti”, ma facevano riferimento ai pochi Vescovi fidati per formare e ordinare i nuovi preti (sappiamo che anche Wojtyla seguì questo tipo di formazione iniziale). Partendo dal “piccolo”, quasi invisibile, riuscirono ad ottenere, infine, anche il “grande”, perché Dio lo volle e loro ebbero fede.

 

5. Mi sembra di vedere che quello che manca, normalmente, da noi è questa attenzione ad un’unità nel “metodo”, una “visione comune” della Chiesa che vada al di là delle lamentele contro il Papa e o il Concilio Vaticano II.

 

Ma se questa unità nel “metodo” non c’è non possiamo pretenderla e allora dovremo accontentarci almeno di farci compagnia, di qualcuno che proponga contenuti sensati, e non immaginare di creare, per esempio, un movimento con un’unità di impostazione all’origine. Ho l’impressione che l’epoca dei movimenti si sia ormai conclusa, con la morte dei loro fondatori.

 

E adesso, sembra essere giunto proprio il momento “ratzingeriano” delle piccole comunità, le cui guide si raccordano tra loro per garantire una certa unità di “metodo” come facevano i cappellani ungheresi. Occorre imparare a vedersi e sintonizzarsi meglio, nel rispetto delle rispettive storie e situazioni locali, evitando di andare avanti isolatamente.

 

Diversamente si rischia il ripetersi dell’esperienza fallimentare dei discepoli di Gesù  che non riuscirono a scacciare il demonio («“Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti” […] “«Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?”. Ed egli disse loro: “Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera”», Mc 9,18.28-29). Ci riusciranno dopo, con una fede che li sosterrà fino nelle prove più estreme. Ma non saranno tanto loro a riuscirci, quanto il potere di Cristo che volle servirsi di loro.

 

Per quanto mi riguarda, ho avuto, già ormai cinque anni fa, la richiesta di aiuto da un piccolo gruppo di persone da diverse città di fare con loro un’esposizione “dottrinale” ed “esistenziale” (una volta si sarebbe detto “spirituale”) del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, perché si rendevano conto di non conoscere seriamente il cristianesimo, pur essendo fedeli praticanti. Il materiale si trova tutto sul mio sito albertostrumia.it e sul mio canale YouTube . Il lavoro, svolto on line dai tempi del covid, si è dimostrato utile, non solo per evitare di spostarsi continuamente da un posto all’altro, ,ma anche per consentire a chi lavora oltre oceano, di esserci. Quelli che possono e vogliono possono anche ritrovarsi di persona.

 

Anche la Messa domenicale, per coloro che stanno nella stessa città è divenuta possibile (in novus ordo, si può attuare anche una sorta di “riforma della riforma”, celebrando riservatamente, in una piccola chiesa o cappella, per garantire una modalità liturgicamente dignitosa).

 

Può essere ed è sicuramente poco, ma è già qualcosa e, soprattutto, c’è già da subito, e si cerca di farlo crescere con il dovuto «Timor di Dio» (richiamato nell’articolo che mi ha preceduto), che è anche da intendere come il “timore di rovinare” con qualche atto maldestro quanto di bello il Signore ha già fatto, con un rispetto dell’«autorità morale» che sa anche far capire, quando occorre, che «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29).

 

Se questa è una strada percorribile, certamente anche una via più pubblica e ambiziosa si può tentare, ed è bene che chi ne è in grado, senza venire “tarpato” lo faccia. Sarà la storia a valutare gli esiti dei due modi di procedere, quello più accorto e quello più ambizioso, entrambi guidati dal realismo della fede: non siamo noi da soli a sconfiggere il demonio, ma è chi lo ha già vinto perché è Signore!

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2 commenti

  • Chiara De Lorenzi ha detto:

    Credo che in tutta questa confusione sia semplicemente difficile capire cosa significhi essere CATTOLICO .Per aver le idee più chiare bisognerebbe prendere atto che alcuni piccoli gruppi, già in epoca conciliare, avevano visto lungo e capito dove la Catholica sarebbe andata a sbattere. Se vogliamo essere sinceri e ricominciare ad agire nella Verità dobbiamo chiarire che non possono esistere due chiese: una progressista e una conservatrice. Ma una sola CATTOLICA, fondata su Rivelazione e Tradizione, Universale nello spazio ma anche nel tempo, Terrena e Celeste, Umana e Divina. Tutto il resto può tranquillamente definirsi eretico, apostata, non Cattolico.
    In buona sostanza , decidere se dobbiamo vivere una Chiesa Cattolica o una chiesa ecumenica

  • Forum Coscienza Maschile ha detto:

    Diverse cose condivisibili, purtroppo nel consueto linguaggio che evoca (almeno a me) uffici clericali pieni di carte; ma l’articolo sembra avere come preoccupazione fondamentale il tenere a bada un gregge sempre più insofferente di una gerarchia che lo soffoca, spiritualmente e non.

    1. Mi sembra di poter leggere tra le righe il suo legittimo timore «che ci rifugiamo nella passività di azione, che con la scusa di abbandonarsi nelle mani di Dio, di fatto trasforma la speranza in “pigrizia spirituale”» (cito le sue parole). Non è questo che intendo, ovviamente. Penso piuttosto sia necessario un modo di procedere non velleitario, ma proporzionato alle nostre effettive possibilità
    Per me Gotti Tedeschi ha ragione. E’ vero quanto dice don Strumia che gli spazi cattolici sono occupati (eccome) da elementi estranei, ma cosa ci vuole a formare non dico un’associazione di laici, ma a conoscersi tra parrocchiani? La gente è letteralmente paralizzata

    2. Piccole comunità: vale quanto sopra, il popolo cattolico è incapace di formare qualsivoglia comunità, per piccola che sia. Al massimo ci sono poche anime sparse, e questo è un problema ben più grave e difficilmente risolvibile delle uscite di papa Bergoglio che fungono anche da diversivo per non affrontare altre questioni

    3. Manifestamente non siamo in Ungheria e Polonia, la gente è stata completamente devitalizzata (tralascio ipotesi sui mezzi impiegati anche nella Chiesa) e a ciò non pare esserci rimedio

    4. Non tema il gentile don Strumia, non si formerà nessuna setta (v. crollo di quella minutelliana, caso peraltro quasi unico). Ecco quel che avverrà: la gente perderà completamente fiducia nel clero e lascerà “silenziosamente” (in modo da disturbarlo il meno possibile) la Chiesa. Qualcuno andrà con gli ortodossi (sta già succedendo), altri si rivolgeranno a cattolici scismatici più organizzati e meno parolai, altri (credo la maggioranza) si daranno al “chi vuol esser lieto sia” pur restando nominalmente cattolici ed eventualmente riempiendo le spianate dei raduni papali per (cit. papa Francesco) fare chiasso. L’apostasia silenziosa prevista da Giovanni Paolo II e in realtà molto avanzata già sotto il suo (esemplare?) pontificato.
    Una sparuta minimanza di Don Chisciotte resterà cattolica, sempre più vessata dal clero in cerca di capri espiatori per le sue ostinate carenze e accusata di tutti i guai della Chiesa (“aiuto, ce l’hanno col Papa e col Concilio”).
    Emblematico il punto 5:

    5. Mi sembra di vedere che quello che manca, normalmente, da noi è questa attenzione ad un’unità nel “metodo”, una “visione comune” della Chiesa che vada al di là delle lamentele contro il Papa e o il Concilio Vaticano II.
    Ma se è stata proprio certa gerarchia a rompere l’unità della fede e della pastorale permettendo movimenti marcatamente eterodossi (dalle derive settarie, già che ci siamo, ma lì vanno bene), disintegrando l’autorità dei vescovi in burocrazie acefale (sinodi e conferenze episcopali), disattendendo le stesse esortazioni di Roma (v. Germania).

    Queste contraddizioni mi sembrano rivelare il vero scopo dell’articolo: mantenere un inesistente status quo. Come ho detto, Concilio o postoconcilio (fate voi, non è di mia competenza) saranno salvi ma non rimarranno più cattolici, almeno in Occidente