La Scomparsa del Nonno e l’Arrivo degli Insetti. Benedetta De Vito, Un Racconto.

2 Febbraio 2023 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, la nostra Benedetta De Vito ci offre questo racconto fra tenerezza antica e attualità nauseante. Buona lettura e condivisione.

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Oh che cosa è capitato al nonno brontolone, non si sveglia! Giorgio, otto anni, gambette snelle e negli occhi grandi lo stupore dell’infanzia, cerca di svegliarlo, invano: “Nonno, nonno, il caffelatte si fredda”: Niente, non si muove. Come il suo cane Poldo il giorno che l’avevano seppellito nel bosco. Giorgio si siede sul letto e piange. Il nonno è morto.

Richiamata dal piano del bambino accorre una vicina, l’Agatina, tanto buona come la mollica di pane imburrato tuffata nel latte. “Oh Signore, Oh Maria Vergine”. Poi fu trambusto, odore di incenso, ceri accesi, al camposanto e le valigie pronte per tornare a casa da papà, ché mamma non c’è più da molti anni ed è per questo che Giorgio è stato spedito in montagna a vivere col nonno.

Una vita da re,  che vi credete. Il bambino, che, con il nonno s’era abituato alla vita semplice del montanaro era diventato bianco e rosso e s’era fatto forte come un querciolo. Per andare a scuola, un’ora a scendere e uno a salire e con la neve a volte si saltava (urrà!), ma tenetelo segreto…

Di scuola poi Giorgio ne aveva bisogno poco o nulla perché il nonno, un brontolone, ne sapeva tante di storie che a volte Giorgio si turava le orecchie perché gli ronzavano dal tanto ascoltare. Tutte quelle storie di re, imperatori, guerre e duelli, Giorgio lo sapeva, il nonno le custodiva nel pancione rotondo e tra la folta barba. Poi Giorgio imparava dal ruscello che, lui pure, raccontava tante storie,  dal picchio, dalle marmotte, dagli uccellini e dal vento che veniva da lontano per scompigliargli i ricciolini e per traportar la memoria degli uomini e del cielo.

Ora, che barba, tornare in città. Con papà, si capisce, Giorgio andava d’amore e d’accordo, ma l’appartamento chiuso nel centro della città non aveva vista e il cielo non si vedeva neanche a sporgersi dalla finestra. A scuola, poi, i maestri sembravano tutti quanti imbambolati e mai li portavano tra i boschi a toccar le erbe e ad annusare i fiori!

Come fu come non fu, Giorgio s’abituò di malavoglia alla sua nuova vita e a volte  faticava a capir suo padre che faceva certi discorsi, per lui, srampalati. Una volta disse che Renato, il portiere di casa, s’era fatto donna e Giorgio gli aveva spiegato che il nonno gli diceva sempre: “Ricordati ci sono solo maschi e femmine, il resto sono balle…”. Così per lui Renato restò maschio in barba ai finti seni e alla parrucca bionda.

Una domenica mattina, poi, il papà lo aveva portato in giro a conoscere la periferia perché non stava bene, a dir di lui, non conoscere che il proprio quadrilatero quotidiano. A Giorgio che era sempre bastato e avanzato l’angolo di bosco che ricamava la casetta del nonno, parve un’altra bizzarria del papà, ma, infilatosi le scarpette, via in sella alla moto, abbracciato alla snella figura di suo padre. Si fermarono in un cero quartiere popolare dove le case erano tutte disegnate. “Vedi, Giorgetto, ecco l’arte moderna, bella no?”. “Papà a me sembrano degli scarabocchi e vorrei lavarli via, come faceva il nonno quando gli scrivevano delle cose sulla casa”. Il papà finse di nulla e rimise in moto. Via sfrecciando, verso un edificio a forma di piramide color caramello con su in cima una strana roba in croce. “Eccoci, andiamo a messa, così per ricordare insieme il nonno”. E Giorgio: “Il nonno mi diceva che a lui piacevano le chiese vecchie  come la Pieve nostra, abitata dalle lucertole e questa è nuova ed è anche brutta”. “Ma se è di un architetto famoso, un archistar…” riprese il papà, ma Giorgio aveva trovato un cagnolino e si era messo ad accarezzarlo.

“Oh che dici, Giorgetto, lo portiamo a casa, così hai un fratellino?”. “Ma papà, questo è un cane, mica un bambino e io per fratello non voglio un cagnolino, ma un bambino vero…” Il cagnolino, chiamato Titi, comunque, fu preso e portato a casa. Era ora di mangiare. Il babbo tirò fuori da un cassetto una bustina. “Oh che bello, le patatine!”. “No Giorgetto questi sono grilli fritti al sapor di barbecue”.

Un silenzio seguì, un silenzio profondo che il padre tentò di colmare con altre parole inutili: “Questa è l’ultima moda in fatto di cibo, caro il mio piccino, noi siamo sempre i primi a provar quello che ci offrono. Ecco, te ne verso nel piatto, dai…” Ma Giorgetto aveva messo il muso e alla domanda “che hai del papà” rispose: “Una volta il nonno trovò un grillo nella minestra e buttò via tutto quanto e disse, che schifo gli scarafaggi!”.

Poi, guardando suo padre, gli sembrò che camminasse a testa in giù.

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5 commenti

  • stilumcuriale emerito ha detto:

    Oggi i nonni, anzi, i genitori, si mandano nelle RSA e strutture similari eufemisticamente chiamate “Case Albergo” per toglierseli dai piedi. Che tristezza……

    • Marco Tosatti ha detto:

      Che bello risentirla, caro Emerito…un caro saluto.

    • OCCHI APERTI! ha detto:

      Provengo da una famiglia dove non un solo “vecchio” è stato mandato al “macero”. Li abbiamo tutti fortemente voluti e tenuti in casa con noi. Nè potremmo pensare ad altra soluzione per il senso della famiglia che è a tutti comune, benchè diversi.
      Ma questo, mi si perdoni il sarcasmo, temo capiti solo nelle famiglie povere…

      Un caro saluto.

  • OCCHI APERTI! ha detto:

    E’ un piacere leggerla. Ringrazio.

    Oggi è la festa della Candelora, Benedetta. Che gran giorno…!

    Santa festa a tutti.