Paolo Deotto. Il Gender e la Storia della Fine della Tribù dei Pellerossa Ute.

20 Dicembre 2022 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, Paolo Deotto offre alla vostra attenzione questa riflessione su una storia terribile, quella dello sterminio dei pellerossa, collegandola a un episodio che ci riguarda direttamente in questi giorni. Buona lettura e meditazione...

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Chi tocca i bimbi muore. L’esempio dei pellirossa Ute. Ci sono limiti che non si possono oltrepassare.

Ogni giorno dobbiamo leggere le laide cronache di indottrinamento alle perversioni sessuali, rivolto anche ai bambini più piccoli, portando nelle scuole le teorie stralunate di quel mondo di persone che si è dato la sigla di “LGBTQ” e altre iniziali in perpetuo aggiornamento.

Solo per restare agli ultimissimi giorni, ecco alcuni link per leggere articoli su queste vicende:

https://www.ilnuovoarengario.it/cattedre-arcobaleno-il-gender-con-i-soldi-dei-contribuenti/

https://www.stilumcuriae.com/agostino-nobile-indottrinamento-trans-su-minori-in-una-scuola-cristiana

https://www.stilumcuriae.com/carriera-alias-imola-oggi-intervista-jacopo-coghe-giu-le-mani-dai-bambini

Ovviamente è grande l’allarme nelle famiglie in cui ancora non è tramontato il ben dell’intelletto ed è grande anche il disgusto verso questi fanatici che, agitandosi come indiavolati, vogliono rubare ai giovani la loro innocenza e il loro diritto a uno sviluppo sano, guidati dalle famiglie, che sono le prime titolari del diritto/dovere di educazione dei figli. Come tutti i demoni, anche questi malati vogliono trascinare nel loro inferno quante più anime possibili.

Nel mio passato di discreto divulgatore storico (nel lontano 1996 fui tra i fondatori della prima rivista on-line di Storia, “Storia in network”, www.storiain.net, diretta dal compianto amico Franco Gianola) mi occupai lungamente del periodo delle “guerre indiane”, che si può datare circa dal 1830, fino al 1890, quando le guerre terminarono, perché il “nemico”, il popolo pellirossa, era stato definitivamente sterminato in nome della civiltà del dollaro.

È una brutta storia, che non trovò e non trova alcuna giustificazione, dettata dalle più basse pulsioni dell’animo umano, dall’avidità alla volontà cinica di predominio. È una brutta storia, che resta come un macigno sulla coscienza della nazione americana, ma che non si celebra come l’Olocausto, anche se il numero di morti è tragicamente ben superiore. Sappiamo bene che ciò che viene dalla patria a stelle e strisce è buono a prescindere, così come è buono il loro sistema di portare democrazia e libertà con l’ausilio di guerre e stermini.

Ma torniamo al nostro argomento, al nostro titolo: “Chi tocca i bimbi muore”. E per farlo, ripesco un vecchio studio che feci sulla vicenda degli indiani Ute.

Gli Ute non erano un grande popolo, né una nazione nel senso indiano del termine.
Non erano paragonabili ai Sioux (che ebbero personalità di alto livello come Toro Seduto) o agli Cheyenne (il popolo magnifico), o agli Apache, né come numero, né come importanza. Sparpagliati in molte tribù minori, gli Ute si dividevano in due gruppi principali, il meridionale e il settentrionale. Il primo, capeggiato da capo Ignacio, viveva nella valle del fiume Cimarron, nel Colorado sud – orientale. Il secondo gruppo abitava la valle superiore del White River, in una regione montana di grande bellezza, ricca di selvaggina. Il capo degli Ute settentrionali era Ouray, chiamato dai bianchi The Arrow, ossia La Freccia; era un uomo di indiscussa autorità a cui i capi delle singole tribù prestavano un’obbedienza cieca e totale. Gli Ute erano montanari e cacciatori, oltre che guerrieri. Vagabondi per vocazione, le loro occupazioni principali erano sempre state le scorrerie contro Cheyenne e Arapaho per rubare cavalli e donne, nonché le corse dei cavalli, per le quali nutrivano una vera passione. Nel decennio 1860/70 le loro razzie li avevano condotti molto a est, sino nella valle del fiume Arkansas. Per lungo tempo questi indiani erano vissuti lontani dai bianchi, favoriti dal naturale isolamento della loro regione, conosciuta solo da pochi cacciatori, con i quali i rapporti erano sempre stati amichevoli.

Poi accadde che nei loro territori vennero scoperti grossi giacimenti di argento (eravamo nel 1858) e questo causò la solita invasione di cercatori, con tutto il relativo codazzo di violenze, commerci illegali, prostituzione. Un trattato con il governo di Washington definì allora i confini del territorio Ute nelle zone non minerarie e la vita di quegli indiani poté riprendere normalmente. Il posto militare più vicino era a oltre 250 chilometri. Gli Ute conducevano la loro vita ignorando i bianchi, che a loro volta li ignoravano. Poi però accaddero dei fatti nuovi e tragici: nella battaglia del Little Big Horn (25 giugno 1876) migliaia di guerrieri pellirossa, guidati da Toro Seduto e da Cavallo Pazzo, saldarono anni di conti in sospeso col generale Custer, che aveva portato incoscientemente al massacro i suoi uomini, gettandoli in battaglia contro un nemico dodici volte numericamente superiore. L’opinione pubblica americana fu pervasa dal più pericoloso dei sentimenti, la paura, e reclamò seri provvedimenti contro i selvaggi, contestando i metodi del presidente Ulysses S. Grant che, alla Casa Bianca dal 1868 e riconfermato nel 1872, cercava una politica di pacificazione con gli indiani per “attuare la sistemazione definitiva delle tribù nomadi su territori ad esse graditi e porle pacificamente sotto il controllo dei funzionari a ciò incaricati dal Dipartimento Affari Indiani”. Prima di Grant le amministrazioni di Washington (compresa quella dell’apostolo Lincoln) avevano messo in atto un piano di puro e semplice sterminio del popolo rosso.

Tutti gli indiani dovevano essere messi sotto controllo e così ci si ricordò anche dei pacifici Ute, ai quali fu assegnato un agente indiano, ossia un funzionario governativo che doveva vigilare sulle loro attività ed “educarli” ai valori della “civiltà”. La civiltà, beninteso, come era definita dal governo di Washington.

Sul territorio degli Ute arrivò Nicholas Nick Meeker, integerrimo agente governativo, messianicamente convinto di dover civilizzare i “selvaggi”.

Meeker da subito dimostrò di non capire nulla della mentalità e degli usi dei pellirossa. Fallì in tutti i suoi tentativi di obbligarli a lavorare la terra, a cessare la vita nomade, a costruirsi solide case di legno e pietra. Gli indiami ascoltavano le sue prediche e poi tornavano alla loro vita di sempre. Il loro indiscusso capo, Ouray, aveva detto che il Vecchio Nick era un po’ “malato nella testa”. Era quindi opportuno lasciarlo parlare e poi tornare alla vita di ogni giorno.

Insomma, sembrava che tra gli Ute e l’agente indiano Meeker potesse stabilirsi quel rapporto di reciproca indifferenza che aveva sempre permesso la convivenza pacifica tra gli Ute e l’uomo bianco.

Eppure, la sera del 30 settembre 1878 Nicholas Nick Meeker terminò tragicamente la sua carriera, ucciso a fucilate. Quella sera una trentina di Ute, al comando di capo Douglas, arrivarono galoppando all’agenzia indiana. Ma non venivano per discutere: sparavano all’impazzata. E anche Nick si prese la sua dose di piombo, restando ucciso insieme a tutti gli altri uomini bianchi presenti, mentre tre donne venivano rapite e gli edifici saccheggiati e bruciati.

Cos’era accaduto? Come mai i pacifici Ute si erano trasformati in feroci guerrieri e avevano ucciso l’agente indiano e i suoi collaboratori? Cos’era successo, per trasformare la paziente indifferenza in odio?

Come dicevamo, gli Ute, obbedienti agli ordini del capo Ouray, non si erano mai curati delle mille prediche di Meeker sulla “civiltà”. Lo lasciavano parlare, salutavano e se andavano per i fatti loro. Punto e basta.

Ma quando Meeker volle istituire la scuola per i bambini, ruppe quell’equilibrio e si firmò la condanna a morte. Gli Ute non sapevano nemmeno cosa fosse una “scuola”; però a quel punto sapevano che Meeker voleva fare qualcosa ai loro bambini. Potevano accettare tutte le prediche e i fastidi che l’agente indiano procurava loro. Erano adulti e sapevano come reagire. Ma il solo accenno a un “obbligo” per i bambini non era accettabile, perché, per gli indiani Ute, come del resto per la gran maggioranza delle nazioni indiane, con chi toccava i bambini non si discuteva. Lo si uccideva, perché i bambini sono sacri.

Così fini l’avventura di Nicholas Nick Meeker, convinto assertore del dovere di civilizzare i poveri ignoranti selvaggi.

Inutile dire che la strage all’agenzia indiana segnò la fine del popolo Ute. Il governo reagì con una massiccia operazione militare e, dopo aver promesso di trattare gli Ute “da guerrieri”, come da buona tradizione americana non mantenne la promessa. Incarcerò i capi, disperse le tribù e il popolo Ute sparì.

Qui finisce la storia degli Ute e, per favore, non ditemi ora che voglio incitare all’uccisione di quanti cercano di corrompere i nostri giovani, o a compiere qualsiasi gesto che sia contro la legge e i rapporti civili. Ovviamente no; però mi sembra importante sottolineare come questi “selvaggi” non fossero poi tanto selvaggi. Sapevano che esistono dei limiti assoluti, invalicabili. Uno di questi era il rispetto assoluto per i bambini.

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