Helder Camara: la Beatificazione del Male? Julio Loredo.

10 Dicembre 2022 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione questo articolo di Julio Loredo, che ringraziamo per la cortesia, pubblicato da Tradizione Famiglia Proprietà. Buona lettura e condivisione.

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di Julio Loredo

La notizia è rimbalzata in tutto il mondo e commentata per lo più sotto una luce positiva: mons. Helder Câmara, l’Arcivescovo rosso, l’araldo delle dittature comuniste, il promotore della rivoluzione in Brasile per imporre una dittatura popolare, il partigiano della Teologia della liberazione marxista, il sostenitore dell’aborto e del divorzio, il nemico della Humanae Vitae, corre verso l’onore degli altari, avendo il suo processo di beatificazione ormai superato la “fase romana”.

Si tratta di una di quelle “canonizzazioni massmediatiche” purtroppo sempre più comuni nella vita della Chiesa di oggi: si tende a dare più importanza alla ditirambica propaganda fatta attorno al personaggio dai suoi fan, che non alla sua dottrina e ai fatti concreti della sua vita, spesso trascurati o deformati, quando non addirittura esclusi. È come se in un processo penale mancasse il contraddittorio, e nel dettare sentenza il Giudice si basasse più sui commenti della stampa che non sugli atti.

Per l’italiano medio la figura di mons. Helder Pessoa Câmara (1909-1999), noto come Dom Helder[1], vescovo ausiliare di Rio de Janeiro, e poi arcivescovo metropolita di Olinda-Recife, è poco conosciuta. Le poche notizie che filtrano provengono da fucine propagandistiche tanto sbilanciate che non esito a definire ai limiti del ridicolo. Ricordo, all’epoca della sua scomparsa nell’agosto 1999, i media italiani gareggiando a chi gli conferiva il titolo più altisonante: “Profeta dei poveri”, “Santo delle favelas”, “Voce del Terzo mondo”, “Sant’Helder d’America” e chi più ne ha più ne metta[2].

 

Militante filo-nazista

Dom Helder Câmara iniziò la sua vita pubblica come militante nella destra filo-nazista.

Egli fu, infatti, gerarca della Ação Integralista Brasileira (AIB), il movimento fondato da Plinio Salgado[3]. Nel 1934, l’allora padre Câmara entrò a far parte del Consiglio Supremo dell’AIB. Due anni dopo divenne segretario personale di Salgado, e quindi Segretario nazionale dell’AIB, prendendo parte da protagonista ai raduni e alle marce paramilitari che scimmiottavano quelle dei nazisti in Germania. Le sue convinzioni filo-naziste erano così profonde, che si era fatto ordinare sacerdote portando sotto la talare la divisa delle milizie integraliste, la famigerata “camicia verde”.

Nel 1946 l’arcivescovo di Rio di Janeiro volle farlo suo vescovo ausiliare ma la Santa Sede si rifiutò a causa della sua precedente militanza integralista. La nomina arrivò solo sei anni dopo. Nel frattempo, egli aveva maturato il suo passaggio dall’integralismo filo-nazista al progressismo filo-marxista.

Quando nel 1968 lo scrittore brasiliano Otto Engel scrisse una biografia di mons. Câmara, egli ricevette “ordini sommari” dalla Curia di Olinda-Recife che lo diffidava dal pubblicarla. L’arcivescovo non voleva farne conoscere il passato filo-nazista, in barba alla libertà di stampa e anche all’obiettività storica[4].

 

Dalla JUC al PC. L’Azione Cattolica brasiliana

Nel 1947 padre Câmara fu nominato Assistente generale dell’Azione Cattolica brasiliana che, sotto il suo influsso, iniziò a scivolare verso sinistra fino ad abbracciare, in alcuni casi, il marxismo-leninismo. La migrazione fu particolarmente evidente nella JUC (Juventude Universitária Católica), alla quale Câmara era particolarmente vicino. Scrive Luiz Alberto Gomes de Souza, già segretario della JUC: “L’azione dei militanti della JUC (…) sfociava in un impegno che, a poco a poco, si è rivelato socialista” [5].

La rivoluzione comunista a Cuba (correva l’anno 1959) fu accolta dalla JUC con entusiasmo. Secondo Haroldo Lima e Aldo Arantes, dirigenti della JUC, “la recrudescenza delle lotte popolari e il trionfo della rivoluzione cubana nel 1959 aprirono la JUC all’idea di una rivoluzione brasiliana”. La deriva a sinistra fu molto agevolata dal coinvolgimento della JUC con l’UNE (União Nacional de Estudantes), vicina al Partito comunista. “Come risultato della sua militanza nel movimento studentesco, – proseguono Lima e Arantes – la JUC fu obbligata a definire un’agenda politica più ampia per i cristiani di oggi. Fu così che, nel congresso del 1960, approvò un documento (…) in cui annunciava l’adesione al socialismo democratico e all’idea di una rivoluzione brasiliana” [6].

Durante il governo di sinistra del presidente João Goulart (1961-1964), prese forma all’interno della JUC una fazione radicale inizialmente chiamata O Grupão, il Grande Gruppo, poi trasformatasi in Ação Popular (AP) che, nel 1962, si definì socialista. Nel congresso del 1963, l’AP approvò i propri Statuti nei quali “si abbracciava il socialismo e si proponeva la socializzazione dei mezzi di produzione”. Statuti che contenevano, tra l’altro, un elogio alla rivoluzione sovietica e un riconoscimento dell’“importanza decisiva del marxismo nella teoria e nella prassi rivoluzionaria”[7].

La deriva, tuttavia, non si fermò lì. Nel congresso nazionale del 1968 Ação Popular si proclamò marxista-leninista, cambiando il nome in Ação Popular Marxista-Leninista (APML). Visto che niente più la separava dal Partito comunista, nel 1972 decise di sciogliersi e di incorporarsi al Partido Comunista do Brasil. Attraverso questa migrazione, molti militanti dell’Azione Cattolica finirono per partecipare alla lotta armata durante gli anni di piombo brasiliani.

Contro il parere di non pochi vescovi, mons. Helder Câmara fu uno dei più entusiasti e convinti difensori, anzi promotore, della migrazione a sinistra nell’Azione Cattolica. Anche se mostrava preferenza per i metodi non violenti, mai condannò chi prendeva le vie della guerriglia[8].

 

Contro Paolo VI

Nel 1968, mentre Papa Paolo VI si accingeva a pubblicare l’enciclica Humanae Vitae, mons. Helder Câmara si schierò apertamente contro il Pontefice, qualificando la sua dottrina sugli anticoncezionali “un errore destinato a torturare le spose e a turbare la pace di tanti focolari”[9].

In una poesia che fa davvero scalpore, l’arcivescovo di Olinda-Recife ironizzava pure sulle donne “vittime” della dottrina della Chiesa, costrette, secondo lui, a generare dei “mostriciattoli”: “Figli, figli, figli! Se è il coito che vuoi, devi procreare! Anche se tuo figlio ti nasce senza viscere, le gambette a stecchino, la testona a pallone, brutto da morire!”[10].

Mons. Helder Câmara difendeva anche il divorzio, abbracciando la posizione delle chiese ortodosse che “non precludono la possibilità di un nuovo matrimonio religioso a chi è stato abbandonato [dal coniuge]”. Interrogato se questo non avrebbe dato ragione ai laicisti, egli rispose: “Cosa importa che qualcuno canti vittoria, se ha ragione?”[11].

L’irrequieto arcivescovo chiedeva a gran voce anche l’ordinazione sacerdotale delle donne. Rivolgendosi a un gruppo di vescovi durante il Concilio Vaticano II, domandava con insistenza: “Ditemi, per favore, se trovate che ci sia qualche argomento effettivamente decisivo che impedisca alle donne l’accesso al sacerdozio, oppure si tratta di un pregiudizio maschile?”[12].

E poco importa se il Concilio Vaticano II ha poi precluso esplicitamente questa possibilità. Secondo Dom Helder, “dobbiamo andare oltre i testi conciliari [la cui] interpretazione compete a noi”.

Ma i vagheggiamenti non finivano lì. In una conferenza tenuta di fronte ai Padri Conciliari nel 1965, egli affermava: “Credo che l’uomo creerà artificialmente la vita, arriverà alla risurrezione dei morti e trasformerà in realtà il vecchio sogno di [Serge] Voronoff [medico russo naturalizzato francese celebre per la sua pretesa di ottenere miracolosi risultati di ringiovanimento di pazienti maschi tramite l’innesto di ghiandole genitali di scimmia]”[13].

Insieme al cardinale Suenens, Dom Helder fu uno dei principali coordinatori della corrente ultra progressista nel Concilio, e alfiere poi di quella “ermeneutica della discontinuità e della rottura” condannata da Papa Benedetto XVI. Egli fu, per esempio, il principale fautore del famigerato “Patto della Catacombe”, un manifesto di Padri conciliari a favore di una “Chiesa povera”, senza proprietà, senza apparato, quasi senza liturgia[14].

D’altronde, Dom Helder ebbe anche un ruolo centrale nella nomina di vescovi progressisti in Brasile. Segretario dal 1952 al 1964 della CNBB (Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani), insieme al Nunzio Apostolico mons. Armando Lombardi (1954-1964), egli si adoperò per mettere nei posti di comando della Chiesa in Brasile prelati schierati con la corrente che poi sfocerà nella Teologia della liberazione. Non sorprende, quindi, che quando Giovanni Paolo II condannò questa corrente nel 1984, egli si sia imbattuto nella ribellione di non pochi vescovi brasiliani, che minacciarono perfino lo scisma se avesse insistito su questa linea[15].

 

Schierato con l’Unione Sovietica, Cina e Cuba

Le prese di posizione concrete di Dom Helder in favore del comunismo (anche se a volte ne criticava l’ateismo) furono numerose e coerenti[16].

È rimasto tristemente notorio il suo intervento del 27 gennaio 1969 a New York, nel corso della VI Conferenza annuale del Programma Cattolico di Cooperazione interamericana. Intervento in tal modo schierato col comunismo internazionale, che gli valse l’epiteto di “Arcivescovo rosso”, appellativo indissolubilmente poi legato al suo nome. Dopo aver duramente rimproverato gli USA per la loro politica anti-sovietica, Dom Helder propose un drastico taglio delle forze armate statunitensi, mentre invece chiedeva all’URSS di mantenere le proprie capacità belliche per poter far fronte all’“imperialismo”. Conscio delle conseguenze di tale strategia, egli si difese a priori: “Non ditemi che tale approccio metterebbe il mondo nelle mani del comunismo!”.

Dall’attacco agli Stati Uniti, mons. Helder Câmara passò a tessere il panegirico della Cina di Mao Tse-Tung, allora in piena “rivoluzione culturale”, che provocò milioni di morti. L’Arcivescovo Rosso chiese formalmente l’ammissione della Cina comunista all’ONU, con la conseguente espulsione di Taiwan. E terminò il suo intervento con un appello in favore del dittatore cubano Fidel Castro, all’epoca impegnato a favorire sanguinose guerriglie in America Latina. Chiese anche che Cuba fosse riammessa nell’OEA (Organizzazione degli Stati Americani), dalla quale era stata espulsa nel 1962.

Questo intervento, così sfacciatamente pro-comunista e anti-occidentale, fu denunciato dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira nel manifesto «L’Arcivescovo rosso apre le porte dell’America e del mondo al comunismo»: “Le dichiarazioni contenute nel discorso di Dom Helder tratteggiano una politica di resa incondizionata del mondo, e specialmente dell’America Latina, al comunismo. Siamo di fronte a una realtà sconvolgente: un vescovo di Santa Romana Chiesa impegna il prestigio derivante dalla sua dignità di successore degli Apostoli per demolire i bastioni della difesa militare e strategica del mondo libero di fronte al comunismo. Il comunismo, cioè il più radicale, implacabile, crudele e insidioso nemico che mai si sia scagliato contro la Chiesa e la civiltà cristiana”[17].

 

Un progetto di rivoluzione comunista per l’America Latina

Ma forse l’episodio che destò più stupore fu il cosiddetto “affaire Comblin”.

Nel giugno 1968 trapelò alla stampa brasiliana un documento-bomba preparato sotto l’egida di mons. Helder Câmara dal sacerdote belga Joseph Comblin, professore presso l’Istituto Teologico (Seminario) di Recife. Si trattava di un Rapporto destinato al Consiglio Episcopale Latinoamericano. Il documento proponeva, senza veli, un piano eversivo per smantellare lo Stato e stabilire una “dittatura popolare” di matrice comunista. Eccone alcuni punti:

Contro la proprietà. Nel documento, il p. Comblin difende una triplice riforma – agraria, urbana e aziendale– partendo dal presupposto che la proprietà privata e, quindi, il capitale siano intrinsecamente ingiusti. Qualsiasi uso privato del capitale dovrebbe essere vietato dalla legge.

Uguaglianza totale. L’obiettivo, afferma p. Comblin, è stabilire l’uguaglianza totale. Ogni gerarchia, sia nel campo politico-sociale sia in quello ecclesiastico, va quindi abolita.

Rivoluzione politico-sociale. In campo politico-sociale, questa rivoluzione ugualitaria propugna la distruzione dello Stato per mano di “gruppi di pressione” radicali i quali, una volta preso il potere, dovranno stabilire una ferrea “dittatura popolare” per imbavagliare la maggioranza, ritenuta “indolente”.

Rivoluzione nella Chiesa. Per consentire a questa minoranza radicale di governare senza intralci, il documento propone il virtuale annullamento dell’autorità dei vescovi, che sarebbero soggetti al potere di un organo composto solo da estremisti, una sorta di Politburoecclesiastico.

Abolizione delle Forze Armate. Le Forze Armate vanno sciolte e le loro armi distribuite al popolo.

Censura di stampa, radio e TV. Finché il popolo non avrà raggiunto un accettabile livello di “coscienza rivoluzionaria”, la stampa, radio e TV vanno strettamente controllati. Chi non è d’accordo deve abbandonare il Paese.

Tribunali popolari. Accusando il Potere Giudiziario di essere “corrotto dalla borghesia”, p. Comblin propone l’istituzione di “Tribunali popolari straordinari” per applicare il rito sommario contro chiunque si opponga a questo vento rivoluzionario.

Violenza. Nel caso in cui non fosse stato possibile attuare questo piano eversivo con mezzi normali, il professore del seminario di Recife considerava legittimo il ricorso alle armi per stabilire, manu militari, il regime da lui teorizzato[18].

 

L’appoggio di mons. Helder Câmara

Il “Documento Comblin” ebbe in Brasile l’effetto d’una bomba atomica. In mezzo all’accesa polemica che ne seguì, padre Comblin non negò l’autenticità del documento, ma disse trattarsi “soltanto di una bozza” (sic!). Da parte sua, la Curia di Olinda-Recife ammise che esso proveniva sì dal Seminario diocesano, precisando però che “non è un documento ufficiale” (ancora sic!).

Interpretando la legittima indignazione del popolo brasiliano, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira scrisse allora una lettera aperta a mons. Helder Câmara, pubblicata in venticinque giornali. Leggiamo nella lettera: “Sono sicuro di interpretare il sentimento di milioni di brasiliani chiedendo a Sua Eccellenza che espella dall’Istituto Teologico di Recife e dall’Archidiocesi l’agitatore che approfitta del sacerdozio per pugnalare la Chiesa, e abusa dell’ospitalità brasiliana per predicare il comunismo, la dittatura e la violenza in Brasile”.

Mons. Helder Câmara rispose evasivamente: “Tutti hanno il diritto di dissentire. Io semplicemente sento tutte le opinioni”. Ma, allo stesso tempo, confermò padre Comblin nella carica di professore del Seminario, spalleggiandolo con la sua autorità episcopale. Alla fine, il governo brasiliano revocò il permesso di soggiorno del prete belga, che dovette quindi lasciare il Paese.

Mostrando lo sdegno provocato nel popolo brasiliano dal Documento Comblin, la TFP raccolse in 58 giorni 1.600.368 firme in sostegno a un “Reverente e Filiale Messaggio” a Papa Paolo VI, chiedendogli di porre freno all’infiltrazione comunista nella Chiesa in America Latina[19]. Messaggio rimasto rigorosamente senza risposta. Anzi, nel gennaio 1970 il Pontefice ricevette l’Arcivescovo Rosso in udienza privata. All’uscita, davanti ai microfoni, Dom Helder qualificò l’udienza di “molto cordiale” e “riconfortante”. Poi dichiarò: “Il Brasile dovrebbe pensare ai modelli socialisti”[20].

 

Teologia della liberazione

Mons. Helder Câmara è anche ricordato come uno dei paladini della cosiddetta “Teologia della liberazione”, condannata dal Vaticano nel 1984.

Due dichiarazioni sintetizzano questa teologia. La prima, del connazionale di Dom Helder, l’allora frate francescano Leonardo Boff: “Ciò che proponiamo è marxismo, materialismo storico, nella teologia”[21]. La seconda, del sacerdote peruviano Gustavo Gutiérrez, padre fondatore della corrente: “Ciò che intendiamo qui per teologia della liberazione è il coinvolgimento nel processo politico rivoluzionario”[22]. Gutiérrez ci spiega anche il senso di tale coinvolgimento: “Solo andando oltre una società divisa in classi. (…) Solo eliminando la proprietà privata della ricchezza creata dal lavoro umano, saremo in grado di porre le basi per una società più giusta. È per questo che gli sforzi per proiettare una nuova società in America Latina si stanno orientando sempre di più verso il socialismo”[23].

 

Amico dei poveri e della libertà?

Ma forse la più grande frottola su mons. Helder Câmara è di presentarlo come amico dei poveri e difensore della libertà.

Il titolo di difensore della libertà si addice molto male a uno che ha inneggiato ad alcune delle dittature più sanguinarie che hanno costellato il secolo XX, prima il nazismo, e poi il comunismo in tutte le sue varianti: sovietica, cubana, cinese…

Soprattutto, però, il titolo di amico dei poveri non si addice proprio a uno che sosteneva regimi che hanno causato una povertà così spaventosa da essere stati qualificati dall’allora cardinale Joseph Ratzinger “vergogna del nostro tempo”[24].

Un’analisi attenta dell’America Latina — paese per paese — mostra chiaramente che, laddove sono state applicate le politiche proposte da Dom Helder il risultato è stato un notevole aumento della povertà e del malcontento popolare. Laddove, invece, sono state applicate le politiche opposte, il risultato è stato un generale incremento del benessere popolare.

Un esempio per tutti: la riforma agraria, della quale Dom Helder fu il principale promotore in Brasile e che, invece, si è dimostrata “il peggiore fallimento della politica pubblica nel nostro Paese”, nelle parole non sospette di Francisco Graziano Neto, presidente dell’INCRA (Instituto Nacional de Colonização e Reforma Agrária), cioè il dicastero del Governo preposto per implementare la riforma agraria[25]. Secondo il ministro Gilberto Carvalho, la maggior parte degli assentamento (le cooperative agricole create dalla riforma agraria) diventò “favela rurale”, con grandi sofferenze per i contadini[26]. Sotto questa luce, Dom Helder sarebbe non tanto il “Santo delle favelas”, quanto piuttosto il “Santo che crea favelas”.

I teologi della liberazione non vogliono aiutare i poveri, bensì imporre il “principio di povertà”: senza proprietà e senza ricchezza non ci sarebbe nessuna gerarchia, e il mondo avrebbe quindi raggiunto l’utopia comunista. Il lettore interessato ad approfondire il tema può fare riferimento al mio libro sulla Teologia della liberazione[27].

In conclusione. Per uno come me, che da decenni studia il movimento della Teologia della liberazione, sia nelle sue versioni marxiste originarie sia in quelle più aggiornate, e il ruolo protagonistico di mons. Helder Pessoa Câmara nel processo di demolizione della Chiesa e della società civile, riesce davvero difficile vederlo elevato agli onori degli altari. Sarebbe quasi come canonizzare il Male. Ma ormai non mi stupisco più di niente…

 

Attribuzione immagine: By Antonisse, Marcel / Anefo – [1] Dutch National Archives, The Hague, Fotocollectie Algemeen Nederlands Persbureau (ANEFO), 1945-1989, Nummer toegang 2.24.01.05 Bestanddeelnummer 931-7341, CC BY-SA 3.0 nl, Wikimedia.

 

Note

[1] In Brasile per i vescovi si usa il trattamento “Dom”, anziché “Monsignore”.

[2] Julio Loredo, L’altro volto di Dom Helder, Tradizione Famiglia Proprietà, novembre 1999, pp. 4-5.

[3] Distanziandosi dal razzismo hitleriano, Salgado tuttavia ne abbracciava il messianismo nazionalista. Ci sono perfino indizi che egli abbia fatto da spia per il Terzo Reich (João Fábio Bertonha, Plínio Salgado — Biografia Política: 1895-1975, Universidade de São Paulo, 2019)

[4] Margaret Williams Todaro, Pastors, Prophets and Politicians. A Study of the Brazilian Catholic Church, 1916-1945, Columbia University, 1971, p. 396. Cit. in Massimo Introvigne, Una battaglia nella notte. Plinio Corrêa de Oliveira e la crisi del secolo XX nella Chiesa, Sugarco, Milano, 2008, p. 59.

[5] Luiz Alberto Gomes de Souza, A JUC. Os estudantes católicos e a política, Editora Vozes, Petrópolis 1984, p. 156.

[6] Haroldo Lima e Aldo Arantes, História da Ação Popular. Da JUC ao PC do B, Editora Alfa-Omega, São Paulo 1984, pp. 27-28.

[7] Ibid., p. 37. Si veda anche Julio Loredo, Teologia della liberazione. Un salvagente di piombo per i poveri, Cantagalli, Siena, 2014, pp. 92ss.

[8] Si veda, per esempio, Scott Mainwarning, The Catholic Church and Politics in Brazil, 1916-1985, Stanford University Press, 1986, p. 71.

[9] Helder Pessoa Câmara, Obras Completas, Editora Universitária, Instituto Dom Helder Câmara, Recife, 2004, p. 363. Cit. in Massimo Introvigne, Come i progressisti non vinsero al Concilio. Una recensione di Roma, due del mattino di monsignor Hélder Câmara, Cesnur (https://www.cesnur.org/2008/mi_camara.htm). Cfr. anche Massimo Introvigne, Una battaglia nella notte. Plinio Corrêa de Oliveira e la crisi del secolo XX nella Chiesa, pp. 111ss.

[10] Helder Pessoa Câmara, Obras Completas, pp. 390-391. Cit. in Massimo Introvigne, Come i progressisti non vinsero al Concilio. Una recensione di Roma, due del mattino di monsignor Hélder Câmara.

[11] Helder Pessoa Câmara, Obras Completas, p. 377. Cit in Ibid.

[12] Helder Pessoa Câmara, Obras Completas, p. 397. Cit in Ibid.

[13] Helder Pessoa Câmara, Obras Completas, pp. 397-398. Cit. in Ibid.

[14] Cfr. Roberto de Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Lindau, Torino, 2010. Uno dei principali coordinatori del campo tradizionalista fu un altro brasiliano: il prof. Plinio Corrêa de Oliveira. Cfr. Benjamin A. Cowan, Moral Majorities across the Americas. Brazil, the United States and the Creation of the Religious Right, University of North Carolina Press, 2021.

[15] Si veda, per esempio, Dez bispos criticam o silêncio imposto a Boff, “Folha de São Paulo”, 11-05-1986.

[16] Cfr., per esempio, Adenilson Ferreira de Souza, Atividade política da Igreja Católica no Brasil: as demandas da sociedade brasileira transnacionalizadas por dom Helder Camara (1968-1978), Pontifícia Universidade Católica de Minas Gerais, 2010.

[17] Plinio Corrêa de Oliveira, O Arcebispo vermelho abre as portas da América e do mundo para o comunismo, “Catolicismo” Nº 218, febbraio 1969.

[18] Si veda Plinio Corrêa de Oliveira, TFP pede medidas contra padre subversivo, “Catolicismo”, Nº 211, luglio 1968 (https://www.pliniocorreadeoliveira.info/1968_211_CAT_TFP_pede_medidas.htm).

[19] Cfr. Um homem, um ideal, uma gesta. Homenagem das TFPs a Plinio Corrêa de Oliveira, Edições Brasil de Amanhã, 1982, pp. 246ss.

[20] Plinio Corrêa de Oliveira, D. Helder cria problema — Comunistas aplaudem, “Folha de S. Paulo”, 1 febbraio 1970.

[21] Leonardo Boff, Marxismo na Teologia, “Jornal do Brasil”, 6 aprile 1980.

[22] Gustavo Gutiérrez, Praxis de libertação e fé cristã, Appendice a Id., Teologia da libertação, Editora Vozes, Petrópolis 1975, p. 267.

[23] Gustavo Gutiérrez, Liberation Praxis and Christian Faith, in Lay Ministry Handbook, Diocese of Brownsville, Texas 1984, p. 22.

[24] Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Libertatis Nuntius, 1984, XI, 10.

[25] Francisco Graziano Neto, Reforma Agraria de qualidade, “O Estado de S. Paulo”, 17 aprile 2012.

[26] Fernando Odila, Política agrária federal criou ‘favelas rurais’, diz ministro, Folha de S. Paulo, 9 febbraio 2013.

[27] Julio Loredo, Teologia della liberazione: un salvagente di piombo per i poveri, pp. 315-338.

 

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7 commenti

  • Per chiarezza ha detto:

    Occhio alle date !
    Ovvero quando Helder Camara ìnizio’ ad accostarsi all’ideologia marxista , era ancora in vigore la scomunica per i comunisti o era gia’ stata archiviata ?

  • Briciola ha detto:

    Nei lontani tempi della mia giovinezza Dom Helder Camara godeva di una notevole notorietà nel mondo che gravitava attorno alla FUCI. Cercai di leggere un suo libro ma non ci trovai le ragioni di quella fama. Scipito come un piatto senza sale.

  • Alberto ha detto:

    L’unica e vera canonizzazione massmediatica è stata quella di Giovanni Paolo II, avvenuta in modo frettoloso e senza un’attenta ricerca e analisi sull’operato di questo pontefice. Ora i nodi stanno venendo al pettine….

    • nipass39 ha detto:

      Scusami, Alberto; forse stai scambiando Giovanni Paolo II con Giovanni XXIII.
      In che senso, infatti, la canonizzazione di Giovanni Paolo II sarebbe avvenuta “senza un’attenta ricerca e analisi sul suo operato”? quali nodi starebbero venendo al pettine?

      • Alberto ha detto:

        Giovanni Paolo II è divenuto prima beato e poi santo in tempi davvero rapidi. Pochi mesi dopo la morte si è aperta la sua causa di beatificazione, grazie a una dispensa di Benedetto XVI. Alla fine, nel 2011, sei anni dopo la morte, il papa lo ha proclamato beato. Da parte sua Francesco ha deciso la canonizzazione di Giovanni Paolo II. Ha voluto che la cerimonia fosse celebrata nel 2014, contemporaneamente a quella di Giovanni XXIII. A meno di dieci anni dalla morte, Karol Wojtyla, il papa Giovanni Paolo II è già santo per la Chiesa cattolica.

        La santità non è mai arrivata in tempi così rapidi per un papa. Pio X, l’unico pontefice santo del Novecento prima di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, ha dovuto attendere quarant’anni dalla morte per essere canonizzato nel 1954 da Pio XII (era stato beatificato nel 1951).
        Giovanni XXIII è stato canonizzato con la dispensa del miracolo da parte di Francesco, il quale ha considerato che il Concilio fosse il vero miracolo di questo pontefice. Ma, anche nel caso di papa Roncalli, sono passati cinquant’anni dalla sua morte.
        La normale prassi (prudente e lenta) mette in rilievo l’eccezionalità del caso di Karol Wojtyla nella storia della Chiesa degli ultimi secoli. (Andrea Riccardi)
        I nodi che vengono al pettine sono la protezione assicurata ad abusatori di donne e bambini, primo fra tutti Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo. Mentre questo losco figuro era accolto con tutti gli onori da GPII, a mons. Oscar Arnulfo Romero , quello sì un vero santo, fu più volte chiusa la porta, nonostante venisse a Roma per incontrare il Pontefice.
        Poi ci sarebbe dell’altro, ma questo è sufficiente. Comunque, in generale, la fretta fa nascere gattini ciechi. Mai detto popolare fu più azzeccato.

        • nipass39 ha detto:

          Alberto, mi pare che le tue argomentazioni pecchino di contraddizione e pressapochismo.
          Ma come, ti stracci le vesti per stigmatizzare la canonizzazione di Giov. Paolo II, inficiata, a tuo dire, da eccessiva ” brevità di tempo”, in barba ad una presunta “normale prassi”, mentre accetti come normale, anzi apprezzabile, la canonizzazione di Giovanni XXIII “con la dispensa del miracolo” (questo sì previsto dalle norme canoniche) ?
          Riguardo ai “nodi che vengono al pettine”, poi, ti limiti a fare una sola affermazione, gratuita tra l’altro, su Giovanni Paolo II (esibendoti in spericolate acrobazie sulla santità di un “santo” che nessuno aveva tirato in ballo), concludendo che “poi ci sarebbe dell’altro”, senza accennare in quale campo si muoverebbe “quell’altro”.
          Suvvia, siamo seri!

    • Catholicus ha detto:

      Sostituiamo al nome Wojtyla il nome Lefebvre ( il secondo scomunicato dal primo) e abbiamo la vera santità, non quella falsa massmediatica. Ultimo papa santo : San Pio X. Prelati attuali in odore di santità? ovviamente cattolica e non fasulla? : ci vedo solo moms. C.M. Viganò.