Clemente Rebora, e il Tempo di Avvento. L’Attesa, una Poesia.

28 Novembre 2022 Pubblicato da

candela, avvento

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, in maestro Aurelio Porfiri offre alla vostra attenzione queste riflessioni su una poesia di Clemente Rebora, bellissima, dedicata all’Avvento. Buona lettura.

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Clemente Rebora e l’Avvento

L’Avvento, come sappiamo bene, è tempo di attesa, è tempo in cui ci predisponiamo all’attesa. Quell’attesa ci dovrebbe sempre vedere vigili e pronti per attendere il Signore che viene. A te elevo l’anima mia, dice l’antifona d’ingresso della prima domenica di avvento, rivestita dalla bella melodia gregoriana, un testo che si ripete anche per l’offertorio. Nelle parole di questo canto ci viene detto di confidare nel Signore e gli si chiede di non essere confusi dai nemici. In un testo reperito online c’è questa bella meditazione di don Giovanni Unterberger: “vorremo sforzarci di tenere levato il nostro sguardo verso il Signore che viene, perché pur essendo -come dicevamo- aperti naturalmente a Dio, facilmente siamo trascinati dalle cose di quaggiù e dal vivere quotidiano ad abbassare lo sguardo e a fissare troppo la terra. Si rende necessario il tempo della preghiera, il tempo dello stare con il Signore con gli occhi del cuore su di lui, sulla sua parola, sul suo amore”. Certo, e dobbiamo fare anche tesoro del tempi dell’attesa.

In questo forse ci può aiutare il grande poeta e sacerdote Clemente Rebora (1885-1957), rosminiano. Nella sua poesia più nota (Dall’immagine tesa) c’è un qualcosa che mi ha sempre fatto pensare all’Avvento:

Dall’immagine tesa

vigilo l’istante

con imminenza di attesa –

e non aspetto nessuno:

nell’ombra accesa

spio il campanello

che impercettibile spande

un polline di suono –

e non aspetto nessuno:

fra quattro mura

stupefatte di spazio

più che un deserto

non aspetto nessuno:

ma deve venire;

verrà, se resisto,

a sbocciare non visto,

verrà d’improvviso,

quando meno l’avverto:

verrà quasi perdono

di quanto fa morire,

verrà a farmi certo

del suo e mio tesoro,

verrà come ristoro

delle mie e sue pene,

verrà, forse già viene

il suo bisbiglio.

 

Questa bellissima poesia mi ha sempre fatto pensare a noi che attendiamo a volte con fatica, “verrà se resisto” dice il poeta. E noi dobbiamo resistere alle tante tentazioni che si fanno sempre più forti, anche a quelle di abbandonare la barca che ci pare vada a fondo. Ivan Karamazov nel romanzo di Dostoevskij ci dice che se Dio non esistesse tutto sarebbe possibile; anche, aggiungo io, scrollarsi di dosso le pene di un cattolicesimo che si rivela nella sua manifestazione terrena, fallimentare. Non potremmo abbandonare questa barca e vivere tranquillamente?

Certo, se Dio non esiste. Ma non esiste?

San Paolo nella prima lettera ai Corinzi ci diceva: “Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini”.

Non è forse vero? Non è questa l’essenza della nostra fede, ciò che ci dovrebbe consumare nell’attesa? Cosa ci sarebbe più importante di questo? San Paolo ci dona una risposta: “Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti”. E noi, qual è la nostra risposta al Signore che viene, che si immola per noi, che risorge? Possa questo interrogativo accompagnarci in questo tempo di grazia.

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1 commento

  • OCCHI APERTI! ha detto:

    Dio mescola le carte e dal mazzo serve Porfiri: parlo per me, ovviamente.
    E io apprezzo, con sottile sorpresa, che – a dispetto dei miei calcoli e proprio per imparare a non farne – gli ultimi saranno i primi, e i primi ultimi…anche quaggiù, in fondo.

    Ringrazio, allora, per questa riflessione succinta e profonda e per “diffondere” Rebora, sacerdote poeta che lascia il segno sempre.

    Buon Avvento!