La Via Dolorosa di Ippolito Nievo. In Italia Essere Onesti non Paga…

16 Novembre 2022 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, Antonello Cannarozzo offre alla vostra attenzione questa riflessione sulla vita e sulla morte di Ippolito Nievo, uno dei tanti misteri irrisolti del nostro Paese. Buona lettura e condivisione.

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 La morte di Ippolito Nievo

Un thriller del nostro Risorgimento

 

Antonello Cannarozzo

 

A Rodigo, in provincia di Mantova, è apposta una lapide in ricordo dello scrittore e patriota Ippolito Nievo, dove trascorse molti dei suoi soggiorni, a 150 anni dalla sua morte.

Nel testo leggiamo: “Il comune di Rodigo dedica a Ippolito Nievo, patriota, romanziere, soldato per l’indipendenza dell’Italia morto a soli trent’anni ha lasciato un segno indelebile nella letteratura italiana e nella lotta per la libertà 1831 – 1861”.

È questa una delle decine di lapidi in giro per l’Italia, insieme a scuole a lui intitolate, oltre alla toponomastica di molte città che ricordano questo giovane letterato italiano entrato nel mito risorgimentale anche per la sua breve vita: morì, infatti, appena trentenne a causa dell’affondamento della nave dove si era imbarcato da Palermo per raggiungere Genova e da lì Torino per una delicata missione, come avremo modo di raccontare ampiamente, e fu  proprio a causa di questo viaggio che verosimilmente venne “condannato a morte” da chi aveva molto da nascondere e che oggi non esiteremmo a definirla una vera ‘strage di Stato’ ante litteram per il quale morirono, insieme al giovane Nievo, altre 80 persone innocenti, tra passeggeri ed equipaggio. Un caso tutt’ora irrisolto, dopo oltre un secolo e mezzo dallo svolgimento dei fatti, come del resto tante stragi rimaste senza colpevoli nella lunga storia italiana.

Una tragedia che dischiuse anche una verità, non certo encomiabile, sulla nascita del giovane Stato unitario dai contorni a dir poco oscuri, a dimostrazione di cosa fu veramente, in diverse circostanze, la “gloriosa” conquista del Sud da parte dei garibaldini, fuori, ovviamente, dalla retorica patriottica dei vincitori.

L’epopea risorgimentale, è giusto ricordare, fu costituita da tante anime entusiaste e oneste, giovani soprattutto che dettero la vita per l’ideale della nascente Italia, ma anche da individui disonesti, pronti a speculare su quella che poteva essere una grande e gloriosa pagina di storia italiana, ma che così non fu, e di cui ancora oggi ne portiamo le amare conseguenza storiche e politiche.

 

Una gioventù tra lettere e politica

 

Ippolito Nievo era nato a Padova 30 novembre nel 1831 da una famiglia agiata, il padre Antonio era un magistrato e la madre era la contessa Adele Marin Mels di Colleredo, proprietaria dell’omonimo castello di famiglia che sovrasta ancora oggi l’abitato, dove il giovane letterato ambientò la storia del suo capolavoro “Le Confessioni di un italiano”, pubblicato postumo dall’editore Felice Le Monnier che ne cambiò il titolo in “Le Confessioni di un Ottuagenario”. Un romanzo che attraversa il periodo italiano dalla caduta di Napoleone alla Restaurazione per arrivare al 1858 dove già si auspica la nascita del Regno d’Italia, avvenuta, poi, il 17 marzo 1861.

Purtroppo, l’autore non riuscì a vedere realizzato il suo sogno, morirà, infatti, pochi giorni prima, il 4 marzo di quel fatidico anno.

Il giovane Ippolito era già considerato in vita dalla critica letteraria del tempo, un astro nascente nel panorama culturale, ma dopo la stampa del suo romanzo, entrò definitivamente tra i grandi prosatori italiani insieme ad Alessandro Manzoni e a Giovanni Verga.

Per lui l’infanzia non fu certo sedentaria dovendosi trasferire per il lavoro paterno, in tante città dell’allora Regno del Lombardo Veneto e per dargli un po’ di stabilità, i suoi genitori pensarono di iscriverlo presso il prestigioso collegio veronese del seminario di Sant’Anastasia come convittore, ma il suo spirito ribelle ebbe il sopravvento sulla disciplina del convitto, tanto da uscirne ben presto non senza polemiche per proseguire gli studi da esterno.

Ebbe in quegli anni un amico fondamentale per la sua crescita, il nonno Carlo, amico del Pindemonte e di molti altri letterali che lo istradò alla letteratura ed anche ai primi componimenti giovanili.

Nel 1846 il padre venne ancora trasferito e questa volta a Sabbioneta nel mantovano che rimase tra le tappe più importanti della sua vita, sia per crescita letteraria che per le amicizie che andò stringendo in quegli anni rimaste poi tutta la vita, ma è a Mantova, altra sua città di residenza, che avrà il suo battesimo del fuoco patriottico e insurrezionale.

 

La rivolta di Mantova

 

Nel fatidico 1848, il nostro fu affascinato dalle idee di Giuseppe Mazzini e di Carlo Cattaneo tanto da essere coinvolto in prima persona, appena diciottenne, nell’insurrezione di Mantova in appoggio alla contemporanea insurrezione di Vienna avvenuta proprio in quei giorni.

A causa della improvvisazione e delle forze impari in campo, ben presto l’operazione fallì miseramente ed essendo il giovane Ippolito già segnalato dalla polizia tra i rivoltosi, la famiglia pensò bene di allontanarlo dalla citta e fargli proseguire i suoi studi a Cremona.

Un distacco che lo allontanerà per sempre anche dalla giovane Matilde Ferrari, il suo primo amore giovanile e ispiratrice delle sue prime poesie adolescenziali.

Ancora una volta, sotto consiglio dei suoi, per tenersi lontano da guai si trasferì prima a Firenze e poi a Pisa e qui entrò in contatto con gli esponenti del nascente movimento politico di Domenico Guerrazzi. Se l’idea della sua famiglia era di allontanarlo da coinvolgimenti politici si sbagliava e di molto.

Nonostante la poco brillante esperienza di Mantova, il 10 maggio del 1849 partecipò a Livorno ad un’altra insurrezione ancora contro gli Austriaci che volevano riportare sul trono toscano il Granduca Leopoldo I di Lorena, fuggito 4 mesi prima durante l’insurrezione popolare.

A Livorno, tuttavia, la situazione volse subito al peggio per i rivoltosi e anche questa volta Ippolito dovette allontanarsi velocemente dalla città. Per fortuna, è il caso di dire, riuscì anche in questo frangente a non rimanere coinvolto nelle retate della polizia e poté tornare a Cremona, dove già frequentava il liceo, conseguendo in breve la maturità classica e successivamente si iscrisse all’università di Pavia scegliendo la facoltà di giurisprudenza.

 

La vocazione letteraria

 

Nel gennaio del 1852 cominciò anche la sua attività di futuro giornalista scrivendo per giornali politici importanti come La Sferza, L’Alchimista Friulano o Il Caffè avendo, tra l’altro, la soddisfazione di vedere pubblicate nel 1854 le sue prime poesie. In quello stesso anno, si cimenta anche con il teatro scrivendo un dramma in prosa in tre atti, “Emmanuele”, il testo, pur non essendo mai rappresentato, inaugurò per il giovane autore, un interesse per la scrittura teatrale accresciuta in seguito da altri 6 copioni.

In questo testo, il giovane scrittore racconta, con acuta libertà di pensiero, il pregiudizio antiebraico, ancora assai vivo tra la popolazione, nonostante il processo di emancipazione già avviato dal 1848 in molti Stati della penisola.

L’anno successivo trascorse lunghi periodi nel già citato castello di famiglia a Colloredo, dove iniziò a scrivere il suo capolavoro “Le Confessioni di un italiano”, ma non trascurò certo gli studi e l’anno dopo si laureò a pieni voti tanto da aprirgli la strada ad una brillante carriera notarile, ma l’idea di essere sottomesso alla legislazione austriaca lo dissuase ben presto dal proseguire la professione, con grave delusione per la sua famiglia.

Nel frattempo, per nulla intimidito dalle autorità austriache, pubblicò un racconto, L’Avvocatino, sul foglio satirico milanese il Panorama Universale. L’opera non piacque alle autorità e venne denunciato per vilipendio alle guardie imperiali, una causa che patrocinò in tribunale lui stesso con grande risolutezza tanto da vincerla.

A Milano, Nievo trovò un ambiente culturale assai vivace dove ebbe modo di partecipare ad interessanti discussioni letterarie e politiche e di intrecciare i nuovi rapporti di amicizia nell’ambito meneghino.

Ebbe anche modo di frequentare Bice Melzi d’Eril, moglie del cugino Carlo Gobi, con la quale instaurò una profonda amicizia, indirizzandogli numerose lettere sulla sua esperienza garibaldina, divenute in seguito importanti testimonianze per ricostruire anche i suoi ultimi giorni.

 

Volontario con Garibaldi

 

Ormai i tempi incalzavano, il sogno dell’Italia unita anche se ancora tutta da realizzare, non era più un miraggio impossibile, nonostante la sfortunata prima guerra d’indipendenza di nove anni prima.

Da ogni parte della Penisola sempre più patrioti cominciavano a far sentire la loro voce invocando la libertà e l’agognata unità per la nazione italiana, specie tra i giovani e Nievo fu certamente tra loro.

Nel 1859 si arruolò come volontario tra i famosi Cacciatori delle Alpi al comando di Giuseppe Garibaldinella seconda e finalmente vittoriosa guerra d’Indipendenza, ma la delusione, per tutti coloro che parteciparono alle ostilità era dietro l’angolo.

Napoleone III, proprio quando la vittoria e il ritorno del Veneto ormai era cosa certa, firmò, l’11 luglio del 1859, il trattato di Villafranca con l’Austria. Una decisione unilaterale dell’imperatore francese che, pur alleato con il regno sabaudo, sentiva la necessità di concludere al più presto la pace a qualsiasi costo per il pericolo che il conflitto si allargasse all’Europa centrale e ai confini francesi dove i prussiani già premevano per una prossima invasione, come poi avvenne.

Il sogno di tanti patrioti che avevano visto in questa guerra la possibilità di realizzare l’unità d’Italia, rimase profondamente deluso, primo tra tutti Cavour che sentitosi tradito dell’alleato diede per protesta le sue immediate dimissioni al re.

Anche il nostro Ippolito, smessa la divisa, tornò amareggiato in famiglia e per qualche mese si dedicò alla composizione letteraria scrivendo anche una interessante cronaca sulla sua partecipazione alla guerra appena conclusa.

Ma il riposo durerà assai poco.

 

L’impresa dei ‘Mille’

 

Il 5 maggio del 1860, si imbarcò a Genova sul piroscafo Piemonte alla conquista del Regno Borbonicocon i famosi Mille di Garibaldi (argomento già trattati in un altro nostro articolo, ndr) e qui comincia quello che sarà, dopo i primi entusiasmi di partecipazione al Risorgimento italiano, un vero calvario di accuse e d’incomprensioni per Ippolito Nievo che ben presto avrà l’amara delusione nel vedere come molti degli uomini che partecipavano all’impresa non erano come lui animati dal “sacro” fuoco patriottico, ma da quello dei propri interessi assai più prosaici e, particolarmente in Sicilia, dimostrarono di che pasta erano fatti alcuni di coloro al seguito di Garibaldi.

Ma torniamo a bordo del piroscafo Piemonte, ancora in viaggio con i giovani garibaldini verso la Siciliadove, proprio a bordo del piroscafo, Ippolito ebbe il suo primo importante incarico. Essendosi dimostrato, fin da subito, una persona seria ed affidabile, durante la sosta a Talamone, ricevette l’incarico di vice intendente di Finanza sotto il comando del generale Giovanni Acerbi il quale gli consegnò 14.000 lire delle 90.000 che erano la cassa della spedizione, ma, come vedremo, i soldi spesi per questa spedizione erano molti di più; si parla di alcuni milioni di sterline forniti ”generosamente” dal governo inglese, acerrimo nemico dei Borboni per motivi commerciali nel Mediterraneo.

Qui dobbiamo fare un breve inciso: i contenziosi tra i due governi erano molti tra cui lo sfruttamento dello zolfo siciliano, valutato allora come il petrolio di oggi, indispensabile per la nascente industria e per la produzione di vari tipi di munizioni essenziali per un esercito come quello britannico che doveva proteggere il suo immenso impero. Una ricchezza mineraria a cui la Gran Bretagna non poteva assolutamente rinunciare.

Una volta giunto in Sicilia, Nievo venne ancora una volta promosso e nominato capitano del nascente Esercito Nazionale di Sicilia.

Scrive in quei giorni alla sua amica Bice pieno di eccitazione per l’avventura che sta vivendo intriso anche di tanta ingenuità come sulla “conquista” di Marsala avvenuta l’11 maggio, dove scrive: “Che miracolo! Ti giuro, Bice! Noi l’abbiamo veduto e ancora esitiamo quasi a crederci…noi soli, ottocento al più… alla conquista d’una città contro venticinquemila uomini ben armati di truppa regolare” e ancora, in merito a della sua “carriera” nelle truppe garibaldine, aveva scritto all’inizio di settembre in tono divertito alla cugina Bice:” Del resto la gloria mi perseguita. Ora sono tenente colonnello. Spero che se tornerò dalla parte del Po mi rivedrai generale!”,

Ancora non sospetta che i soldi che doveva gestire avrebbero avuto più importanza delle armi per sconfiggere quegli ufficiali borbonici prezzolati e traditori, per non contare il ruolo avuto dalle navi inglesi in rada nelle acque circostanti, ma Ippolito ancora non sapeva tutto questo e viveva quei giorni di vittorie con l’entusiasmo del giovane patriota.

Con il tempo, però, l’entusiasmo patriottico si affievolì e Nievo dovette fare i conti con la dura realtà tra incomprensioni, gelosie e calunnie incoraggiate da coloro che si sentivano ormai scoperti nei loro malaffari dall’integrità di questo giovane amministratore responsabile e preparato all’incarico, ma con un grave difetto, come spesso capita in queste situazioni: pur essendo profondamente onesto e dedito alla causa risorgimentale, era purtroppo totalmente digiuno di come vanno amministrate le cose in certe circostanze non solo con la partita doppia, ma anche con la politica.

 

Un’ amministrazione assai sospetta

 

Così per la sua correttezza di voler vedere chiaro nei capitoli di spesa e per capire dove realmente finivano i soldi, si creò, come era prevedibile, non pochi nemici, abituati come erano a fare i propri interessi e così scatterà per lui la trappola della calunnia.

Succede anche oggi che per sconfiggere un avversario prima di tutto bisogna indebolirlo con menzogne e accuse di vario genere e poi, una volta isolato, colpirlo a ‘morte’ diviene un gioco da ragazzi e tale strategia avvenne anche per lui.

Sul giornale milanese “La perseveranza” venne pubblicato a firma del generale Acerbi, ma scritto probabilmente dallo stesso Nievo, il resoconto amministrativo della spedizione garibaldina in Sicilia, tuttavia non fu una buona idea la divulgazione di questo documento; già a Torino su questo resoconto era in atto una campagna di delegittimazione sull’operato dei garibaldini voluta dai filo-cavouriani, mai teneri con “l’eroe dei due mondi”, in cui, fin dalle prime informazioni si prendeva atto che con i loro affari poco chiari, al di là della buona volontà di tanti altri patrioti, offendevano le terre appena conquistate aiutati anche da una gestione burocratica che dimostrava tutta la sua inefficienza e, purtroppo, anche tante ombre che non potevano che ricadere sull’ultimo anello della catena di comando cioè sul povero Ippolito che venne addirittura incolpato di illecito.

È l’inizio per Nievo di una vera e propria via dolorosa, come accennato, sempre più solo e senza potersi confidare con alcuno, tutti potevano essere dei falsi amici.

Questo era l’ambiente in cui si trovava ad operare il giovane garibaldino ormai certamente disilluso, ma ciononostante non amava di sicuro essere preso in giro.

Tanti sono gli episodi a cui dovette assistere di mala gestione e quando poté non esitò a affermare la sua autorità di intendente. Tra i tanti, alcuni sono assai esplicativi dell’ambiente con il quale si dovette scontrare.

Sappiamo che l’’esercito garibaldino non era quello che si potrebbe definire per ordine e disciplina di stampo prussiano, era assai recalcitrante alle regole militari, a chiunque, ad esempio, era consentito di abbandonare un reparto per aggregarsi a un altro, secondo i suoi comodi. Ma proprio grazie a questo movimento di truppa veniva attuata una grave frode alle finanze della del giovane esercito.

Gli ufficiali dei reparti segnalavano i nuovi arrivi di soldati all’intendenza, ma si guardavano bene però di notificarne poi il loro allontanamento.

Il motivo era semplice: in questo modo potevano gonfiare i propri contingenti e questo ‘giochetto’ consentiva loro di riscuotere stipendi aggiuntivi non dovuti, che poi venivano spartiti in base all’anzianità e ai galloni tra gli ufficiali preposti.

Venuto a sapere di questa truffa, Nievo si impunta e in un giorno di paga si recò al battaglione del maggiore Colina, il più chiacchierato, e pretese, era nel suo diritto, di fare l’appello nominativo.

Il maggiore, comprendendo il tranello, attuò una violenta protesta, ma fu tutto inutile Nievo fece l’appello nel cortile della caserma e ben presto scoprì che i soldati erano un centinaio in meno di quelli dichiarati dal comandante.  Il maggiore Colina venne arrestato, ma a Torino non apprezzarono il suo rigore.

Non contento di questo, Ippolito scopre, tra l’altro, anche un’altra truffa; quella di ben sessantamila i cappotti acquistati per i garibaldini, a fronte di un migliaio di soldati, e mai indossati, in realtà questi capi venivano rivenduti a prezzo stracciato dagli stessi soldati con un relativo guadagno, a questo bisogna aggiungere che nell’esercito si facevano un numero esagerato di promozioni, con un grave esborso per gli stipendi.

Tuttavia siamo ancora alle briciole delle truffe, specialmente quando decise di razionalizzare le spese sanitarie, a dir poco fuori controllo, unificando i due ospedali di Palermo in concorrenza tra loro con tanto spreco di denaro pubblico, facendo scoppiare un vero putiferio.

Gli interessi che andava ad intaccare erano veramente tanti e coinvolgevano importanti figure del mondo politico siciliano da poco riciclato nella nuova Italia.

Il direttore dell’istituto, Rosario Perez, da cui entrambi gli ospedali dipendevano, con i suoi medici e infermieri cominciò a sobillare gli ammalati, oltre all’intera cittadinanza, che il loro trattamento sarebbe drasticamente peggiorato a causa di questo giovane amministratore padovano che non voleva pagare le rette, guardandosi bene però da spiegarne i motivi.

In realtà, Nievo, intuendo una grave truffa, cominciò a spulciare tutti i documenti amministrativi scoprendo la veridicità dei suoi sospetti con vari illeciti e per questo tardò nel versamento degli acconti fino a che la situazione non fosse stata chiarita.

Lo scandalo arrivò anche questa volta fino a Torino, nei palazzi che contano, dove non si esitò a prendere le difese di Perez, già amico di Garibaldi, contro un integerrimo funzionario come Nievo.

Il nostro giovane però non si piegò e, grazie alla sua onestà, si prese una bella rivincita con chi lo stava boicottando.

Dopo un’ispezione nei due ospedali, scrive, tra l’altro, al ministro, elencando una serie di illeciti: “Colà si ammettono gli infermi senza che il commissario di guerra segni i biglietti di entrata. Di conseguenza non conoscesi la base di contabilità. I magazzini non mi è stato concesso di vederne né tampoco ho potuto avere uno stato degli utensili”.

Ormai di nemici, in poco più di un anno, ne aveva tanti e potenti, ma spronato dal suo superiore, il generale Acerbi, avvertiva sempre più forte l’odore dello scandalo. Non gli rimaneva che raccogliere tutta la documentazione necessaria e senza alcuno indugio partire al più presto con il primo piroscafo per Genova e da lì arrivare a Torino e mettere tutto nelle mani del re, scelta come vedremo che gli costerà assai cara.

Per proteggersi da queste menzogne, che trovavano nella stampa dell’epoca una pulpito ascoltato e temuto, Nievo fu obbligato a compilare un “rendiconto” dove poteva dimostrare, con precisione certosina, il suo operato e di tutti i suoi collaboratori, ma negli ingombranti fascicoli erano contenute notizie assai riservate, che certamente non era opportuno rivelare.

Nievo non lo sapeva o, forse, non comprendeva che quel “rendiconto” non doveva essere conosciuto perché avrebbe rivelato la partecipazione assai invadente di Londra nella caduta del Regno delle Due Sicilie tanto che l’ufficio di Nievo aveva dovuto gestire anche un ingente finanziamento inglese in piastre d’oro turche, tale da favorire il tradimento di molti degli ufficiali e anche di alte cariche civili borboniche che per questo bloccarono le proprie forze militari  e, soprattutto, della potente marina borbonica, la terza flotta europea nel Mediterraneo di quel tempo, con la quale, se non avesse subito il tradimento, difficilmente sarebbe caduto il più grande Stato della Penisola italiana.

In questo periodo troviamo anche un ricco epistolario ad amici e soprattutto ai suoi famigliari, ma già pochi mesi dopo nell’ultima lettera alla madre le scrive di prepararsi: “A sentirne contare delle belle” e al cugino Gobbi: “Sono stufo, stufo, stufo che non ne posso più”.

Cosa intendeva? Aveva scoperto altre ruberie da parte di coloro che dovevano portare la libertà e l’idea di Italia al Sud? Purtroppo non lo sapremo mai.

Sicuramente aveva prove compromettenti, che verificavano come il potente esercito borbonico fosse stato sconfitto non per eroismo dei garibaldini, ma a una rete di connivenze massoniche e di corruzione, come già accennato, che in premio al loro tradimento avevano ricevuto oro sia dagli inglesi e sia dai servizi segreti sabaudi. Un segreto troppo scottante per essere divulgato pubblicamente come sembra volesse fare Nievo e proprio da questa sua scelta venne decisa la sua eliminazione.

Una morte che attirò, tra l’altro, l’interesse negli anni di molti scrittori appassionati alla vicenda tra cui, solo per citarne alcuni, Umberto Eco nel suo celebre romanzo “Il Cimitero di Praga”, Nino Buttitta che ha sostenuto una sorta di “caso Mattei” ante litteram e così altri come da Duilio Chiarle a Rino Camilleri, da Lucio Zinna a Cesaremaria Glori e a tanti altri e non ultimo anche il pronipote di Nievo, Stanislao.

Ognuno, pur se da varie angolazioni, sono propensi a credere all’ipotesi della cospirazione, arrivando alla conclusione che l’eliminazione di Nievo era stata progettata a Torino, addirittura in ambienti garibaldini per occultare le concussioni di cui si erano resi colpevoli taluni responsabili delle camicie rosse.

Intanto Nievo registrava accuratamente su un quadernetto ogni voce in uscita insieme ai piccoli o grandi ricatti sopportati senza mai cedere nell’ esecuzione del suo ufficio con tutte le difficoltà che certo non mancavano ad un onesto amministratore. Tra l’altro si trovò a gestire inizialmente anche i soldi requisiti al Banco di Sicilia, ricco di ben 200 milioni di euro odierni. Un caso finanziario di cui ci sarebbe da scrivere un libro a parte.

Il 16 ottobre il nostro era a Palermo dove aveva già ricevuto l’ordine dal suo superiore Giovanni Acerbi di raccogliere al più presto tutti i documenti amministrativi della spedizione e raggiungerlo a Napoli dove aveva cose importanti da riferire non certo tramite lettera perché “Ho molto da trattenermi teco su cose importanti”.

Su cosa mai di tanto segreto doveva comunicargli il suo capo, infittisce il mistero e i sospetti sulle reali condizioni in cui operava il giovane Ippolito.

Seguiranno proprio in quei giorni altre lettere ai suoi cari, quasi premonisse la sua prossima fine e certamente nell’ultima lettera alla cugina Bice c’è tutta la delusione di una situazione che si stava facendo sempre più difficile sia per i problemi che abbiamo accennato e, non ultimo, anche per una questione logistica. In Sicilia si trovava a disagio anche perché, tra l’altro, non aver ricevuto posta neppure dalla madre da quando è giunto nell’isola: “Puoi immaginarti com’io viva allegro e sereno. Quando mai la Provvidenza m’ha stampato così scioccamente schiavo del dovere”. Un senso di solitudine che aggrava il suo stato d’animo già fortemente provato dagli avvenimenti.

 

La tragedia del piroscafo

 

La sera, poco prima di partire, coloro che videro Nievo per ultimi, affermarono che aveva un aspetto quasi spettrale e le mani piegate sul petto con un inquietante tremolio, atteggiamento che mantenne almeno fino a quando salì sul piroscafo Ercole attraccato al molo dell’Arsenale di Palermo. Confesserà egli stesso a chi gli era vicino, di non sentirsi bene, ma era deciso a partire come dimostrò anche al console amburghese Hennequin, che a Palermoprovvedeva agli interessi inglesi.

Il diplomatico aveva cercato di dissuaderlo dall’imbarcarsi su quella nave, probabilmente aveva saputo qualcosa che non poteva dire chiaramente, ma Nievo come abbiamo visto in altre occasioni, era un uomo che potremo dire tutto d’un pezzo e una volta presa la decisione non sarebbe mai tornato sulle sue idee.

Nonostante gli avvertimenti, si imbarcò, dunque, alla volta di Torino con al seguito quattro suoi fidati collaboratori che vigilavano sulla sicurezza dei bauli contenenti i documenti contabili collocati nella stiva della nave, relativi alla provenienza e alla gestione dei fondi che avevano finanziato la spedizione dei Mille.

Quella sera il mare non era tranquillo, ma per i marinai del piroscafo era una semplice routine, perciò quel maltempo non li aveva di certo intimoriti.

Tuttavia, la mattina successiva la nave si inabissò inaspettatamente appena nei pressi del golfo di Napoli al largo della costa sorrentina, proprio un punto dai fondali assai profondi e fu un “caso” che anche per questo non si salvò nessuno?

Altro argomento sul quale si discusse per molto tempo dopo la tragedia, era l’affidabilità di un piroscafo come l’Ercole, considerato erroneamente una carretta del mare, mentre nella realtà era una nave solida e pienamente in grado di navigare il Tirreno, grazie agli interventi di recente manutenzione e tali da poter effettuare un viaggio che, si potrebbe definire di routine.

In merito alla dinamica dell’incidente si comprese che non avendo trovato neanche un relitto questo svelerebbe che l’inabissamento venne causato da un’ampia falla provocata nella stiva al centro della nave che spaccò in due metà la nave come un ramo spezzato e vista la dinamica dei fatti, dovette svolgersi il tutto con grande rapidità proprio come l’esplosione di un potente ordigno che non diede ad alcuno la possibilità di salvarsi.

Un argomento che indicherebbe nel sabotaggio la vera causa della tragedia dell’Ercole, perchè in quel periodo fu l’unica imbarcazione ad inabissarsi tra tutte quelle che solcavano il basso Tirreno, un tratto di mare percorso da centinaia di navi, sia italiane che straniere.

Su questo caso della morte di Ippolito Nievo ci sarebbe molto ancora da scrivere, ma intanto ci mostra cosa fu veramente il Risorgimento e soprattutto la conquista del Sud e la sua cosiddetta liberazione grazie ad un manipolo di truffatori che infangarono l’eroismo di tanti che credettero all’Italia finalmente unita libera e indipendente, ma la storia spesso non guarda agli ideali, e molte pagine di questi avvenimenti non sono certo esaltanti e né tanto meno conosciuti, almeno finora. La storia risorgimentale del nostro Mezzogiorno andrebbe riscritta non per inutili vendette di accadimenti ormai lontani, ma comprendendo le radici di tanti errori poter almeno i in parte ristabilire una certa giustizia storica e anche sociale di cui queste terre hanno sofferto tragicamente.

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4 commenti

  • Torelli Luciano ha detto:

    Se ne imparano tante ogni giorno (vedasi gli scritti della Pellicciari) dalla lettura di libri, saggi e articoli sul cosiddetto “risorgimento” (da che cosa non si sa). Peccato che tutti i mali e le colpe escano fuori dopo quasi due secoli, quando non c’è più alcun rimedio verso i colpevoli, peraltro oramai glorificati in strade, viali, pubblici edifici e persino luoghi di spettacolo e/o sport con abbondanti lapidi e corone di alloro condite con inni a suon di bande. Dispiace ancor più pensare a chi ha sacrificato la propria vita in buona fede, ingannati come lo siamo stati noi, sia pure (noi) solo nei libri della cosiddetta “storia”.

  • Corrado Bassanese ha detto:

    Non sarebbe forse il caso di aprire un’inchiesta e cercare il relitto dell’Ercole, per trovare i famosi bauli, magari con il contenuto ancora leggibile?
    Ma così si riscriverebbe la storia del Risorgimento mandandone in frantumi il mito. 🤑

  • bruno d'udine ha detto:

    ho letto con grandissimo piacere il ben documentato articolo sulla

    vicenda di ippolito Nievo di cui non ero a conoscenza!

    Una documentata ricerca bibliografica che getta nuovaluci

    su alcuni aspetti inediti della spedizione dei Mille!

    Congratulazioni e complimenti all’autore!