Benedetta De Vito. Santa Cecilia, Fiore di Roma, Angelica Farfalla.

21 Ottobre 2022 Pubblicato da 3 Commenti

 

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, la nostra Benedetta De Vito sottopone alla vostra attenzione questi pensieri sui fiori di santità che la Città Eterna ha offerto al mondo. Buona lettura.

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Oh quanti bei fiorellini profumati ha dato la Città Eterna alla Chiesa di Dio! A questo pensavo, ieri mattina, mentre percorrevo Via di Santa Cecilia, diretta nella casina di mio fratello, un nido che pare appollaiato su un lungo albero lì resistente ai secoli, per aspettare il tecnico del wifi. Sì, mi dicevo lasciandomi dietro le spalle la Basilica stupenda, dedicata alla piccola grande martire romana che lo scultore Maderno ha ritratto nel marmo come in un bozzolo che la trasforma in “angelica farfalla”.  Un bel giglio bianco per la Chiesa. Conclusa, senza esito purtroppo, la commissione, esco nel bel sole d’oro di un ottobre forse fin troppo estivo e fatti pochi passi verso il Lungotevere, mi trovo viso a viso con una chiesolina in spremuta d’arancia che pare disegnata da una bimba per quanto è graziosa e piccolina. E davanti mi par di vedere il girotondo dei sette nani e Biancaneve, puro giglio, in mezzo…

Così m’affaccio alla guardiola che è sulla destra (e che mi dicono poi essere l’entrata all’ospedale Santa Francesca Romana ora un museo), e scopro, proprio nei suoi luoghi, un altro fiore, una peonia della Chiesa: Santa Francesca Romana. Sì, sì, sì, in questa chiesina, Santa Maria in Cappella, lei, la bella signora della ricca famiglia dei Ponziani, si faceva in quattro per aiutare malati e sofferenti. Basta, pago il biglietto (solo 5 euro) ed eccomi in chiesa, un piccolo scrigno di raccoglimento e di bellezza e mentre recito, in solitudine, il mio primo Santo Rosario quotidiano, guardo diritto davanti a me all’abside e vedo, che meraviglia, una Madonnina che tiene in mano un globo, il mondo (lei, Regina!) e, sopra di lei, un affresco commovente: tante pecorelle graziose, che bevono alla fonte dell’acqua viva! Oh che meraviglia, ma sono, queste bianche pecorelle, simbolo dell’umile dolcezza di Francesca Romana, di Cecilia e anche della Beata Ludovica Albertoni, che riposa nella vicina chiesa di San Francesco a Ripa. I fiori sono anche tenere pecorelle, guidate dal Buon Pastore!

Esco nel verde giardino che, ai tempi di Papa Innocenzo X e della sua arcifamosa cognata, Olimpia Maidalchini, prese il nome di “Giardino della delizia”. E posso ben immaginare che lo fosse perché, non come adesso, il verde manto d’erbe, alberi, cespugli e fiori arrivava fino al fiume Tevere, che forse allora era ancora biondo. Il buon gusto non mancava alla signora Olimpia che certo non fu, però, mondana come era, un fiore della chiesa… E ora è tempo di andar via e lascio per un’altra volta la descrizione dell’ospedale, voluto dalla famiglia Doria Pamphilj…

A passo spedito e togliendomi di dosso qualche panno di troppo, lo sguardo al fiume, sono già dalle parti di Santa Maria in Campitelli costruita proprio sulla casa dove visse, bambina e un poco sola, la dolce Ludovica Albertoni la cui ricca famiglia possedeva anche il palazzo che ora è dei genovesi Spinola, i quali sono stati miei cari amici di giovinezza e ancora adesso ci sentiamo, a volte…. Entrando in chiesa, solo per snasare, potrete trovare la beata ritratta sul marmo, nella prima cappella sulla sinistra (Cappella Alieri). Con il suo bel velo bianco lucente ha la visione della Sacra famiglia. Sì, una rosa bianca!

Cammino verso casa, in mano il mazzo di fioti profumati, nel cuore le sante pecorelle e mentre salgo la scalinata di Magnanapoli, mi viene incontro la luminosa chiesa dedicata a Santa Caterina, che era di Siena, ma che qui a Roma visse e nacque al cielo. Sì, la dolce Caterina che si fa puro giglio lei pure nel mio mazzo. Salgo lungo la Via Panisperna e vorrei continuare ma m’accorgo che sono stata lunga e se v’ho annoiato, come scriveva Don Lisander, non l’ho fatto apposta. In casa, poi, in un bel vasetto verde, sistemo i fiorellini profumati, respiro e penso ai tanti altri fiori che m’aspettano lì fuori nella dolce Roma mia e se lo vorrete ve li racconterò…

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3 commenti

  • OCCHI APERTI! ha detto:

    Di questo suo andar per le vie di Roma, ho gran piacere. E che ci faccia strada nel cuor di santi, talvolta sconosciuti, è chicca da non perdere.

    Leggendola “riposavo” piacevolmente al ricordo, anche, della mia visita di un tempo a Santa Maria sopra Minerva – che non trovavo! – in onor della nostra Santa Patrona Caterina da Siena, la quale a Roma lascia reliquie solo del suo corpo mentre la testa – la reliquia più importante – è dei Senesi! Per cui, chi volesse “ingraziarsi” la Vergine di Fontebranda, prima donna ad essere dottore della Chiesa – com’io feci ai primi tempi della mia fede -, non può non andare alla Basilica di san Domenico a Siena che, per voler di Papa Urbano VI e come tradizione poi dei domenicani, ospita il cranio della Santa e un dito con cui vien benedetta l’Italia in certe sue feste.

  • Maria ha detto:

    che sviolinata…le sante donne di quel periodo sono state donne forti, fortissime, altro che gigli e roselline. Veri baluardi contro la barbarie, hanno lottato contro demoni spirituali e concreti. Perché rappresentarle sempre in questi modi sdolcinati e non mettere in evidenza che furono giganti della fede? sono una donna forte e preferisco pensare alle mie sorelle di allora con la spada della fede in mano…

    • OCCHI APERTI! ha detto:

      Maria, è un piacere leggere anche questi suoi pensieri, che condivido, ma come c’è spazio per la “prosa” è bello ci sia posto anche per la “poesia”.

      La Poesia è dimenticata e giudicata superflua ma non la è. Ingentilisce gli animi. Obbliga a ritmi più lenti, al silenzio, all’ascolto.

      Il “riposo” non serve forse anche per brandire meglio “la spada della fede”?

      Fraternamente.

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