Porfiri da Hong Kong. Una Città di Corsa e un Passo Evangelico.

24 Settembre 2022 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, il maestro Aurelio Porfiri, da Hong Kong, dove si trova attualmente, ci invita a riflettere sull’attuazione pratica del brano evangelico delle dieci vergini. Buona lettura e meditazione.

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Una città di corsa e un passo evangelico

Quando si cammina per le ampie strade di Hong Kong, c’è una cosa che cattura l’attenzione, volenti o nolenti: la fretta delle persone. Ti vedi gente che arriva da tutte le direzioni, folle semi oceaniche ad ogni svoltata di angolo che vanno di corsa verso qualcosa o da qualcosa: ristoranti, banche, centri commerciali…Nelle strade importanti, come Nathan Road, King’s Road, Des Voeux Road, che sono quello che noi chiameremmo dei viali, si vede gente sciamare ai semafori, attraversare come fossero in branco e non fermarsi mai. Ma anche negli esercizi commerciali si vedono gli operatori lavorare a ritmo molto sostenuto, senza quasi mai fermarsi. Tutto (o quasi) è improntato all’efficienza, tutto è rodato per servire quell’ondata di persone che sembra non finire mai. E questo non vale soltanto per il giorno, ma pure per la notte. Mi sono accorto di questo in un supermercato che ho visitato recentemente che è aperto per 24 ore. Da noi a chi verrebbe in mente di prendere un etto di prosciutto alle 3 di notte? Qui è possibile. E i 7/11 che anche sono aperti giorno e notte? Il business non si ferma mai, tutto scorre, come per Eraclito.

Non so perché ma tutto questo mi fa pensare a Matteo 25, 1-13. Vi ricordate questo passo? È quello delle dieci vergini: “Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”. Pure questo passaggio mi fa pensare alla fretta, all’efficienza, a non dormire sugli allori perché qualcosa sembra poter succedere da un momento all’altro. A quanti non piacerebbe poter dire: mi diverto un po’ di anni e poi metto la testa a posto quando sono più anziano; e invece no, perché non sai se anziano ci diventerai, non sai il momento in cui il Signore verrà per te, fra un minuto o fra cinquant’anni. Ecco, da una parte c’è lo stato di imminenza dato dalla propria comdizione mortale e dalla speranza soprannaturale, dall’altra c’è quell’imminenza di Hong Kong in cui non so cogliere l’obiettivo. Forse devo ascoltare meglio François Jullien, che nel suo Essere o vivere ci spiega un aspetto di questa tensione sempre attiva nei comportamenti dei cinesi: “In cinese si dice anche “vento-luce”, feng-jing: da una parte, è ciò che non smette di passare e di animare, senza essere visto (il vento); dall’altra, ciò che fa giungere alla visibilità e favorisce la vitalità (la luce). Dicendo questo o, meglio, facendo questo, la lingua-pensiero cinese nomina sempre una correlazione di fattori che interagiscono e si costituiscono in polarità. Il “soggetto” non è assente, ma vi si trova immerso; è immediatamente coinvolto dal campo tensionale che s’instaura e da cui esso non può distaccarsi. Non emerge assumendo una postura autonoma, quella che caratterizza l’autosufficiente “io penso”, e non proietta il suo punto di vista sul mondo dispiegandolo dall’alto, super partes, in un panorama; non pone il mondo come oggetto (“gettato” “davanti” a lui: “ob”-“iectum”) sul quale si imbatte la sua vista, che lo può sovranamente “ob-servare”. Il paesaggio non è più accostato a partire dall’iniziativa del soggetto, così come la istituisce il famoso esordio cartesiano, ma è concepito come un investimento di capacità reciprocamente all’opera, poiché in esso tali capacità si rivelano contemporaneamente opposte e complementari; in seno al paesaggio si trova implicata “della” soggettività. Situazione designa così, in modo preliminare, un fascio di implicazioni illimitate nel quale ognuno originariamente si coglie, la cui configurazione si delinea per diverse modalità di tensione, da cui ci si può affrancare soltanto per astrazione”. Queste “modalità di tensione” sembrano essere sempre all’opera nel panorama urbano di Hong Kong (e possibilmente di ogni grande città cinese) in cui tutti si muovono come se alla fine tutto il caos che gli occhi percepiscono dovesse senpre ritornare ad un ordine che non ci è dato comprendere dalle apparenze. O forse è caos e basta.

Perché è importante capire che la mentalità cinese più che la progettualità di un percorso pianificato, sembra abitare la situazione, come lo stesso François Jullien ci spiega: “Lo stratega non sarà più colui che redige un piano in funzione dei suoi obiettivi e lo proietta sulla situazione appellandosi prima al suo intelletto, per concepire il dover essere, e poi alla sua volontà, per farlo collimare con i fatti (“intelletto” e “volontà” sono le due facoltà sovrane del soggetto dell’Età classica in Europa); peraltro, quel “far collimare” può implicare una certa forzatura. Il vero stratega sarà piuttosto colui che – nella situazione in cui si trova implicato, non in una situazione riconfigurata in modo ideale nella sua mente – sa discernere, ovvero sa contemporaneamente sondare e liberare i fattori favorevoli, i cosiddetti fattori “portanti”. Seguendo questi fattori potrà continuamente guadagnare in propensione, senza che gli altri se ne accorgano, e flettere la situazione a suo vantaggio. Ciò significa che l’efficacia non deriva più strettamente da me, soggetto d’iniziativa, che concepisco e che voglio, che costruisco idealmente un progetto e mi adopero per metterlo in opera secondo il buon vecchio rapporto teoria-prassi da cui l’Europa non si è mai staccata; l’efficacia procede proprio dalla situazione, se io sono in grado di diagnosticare in essa il potenziale a mio favore, cioè i fattori portanti, e se poi la so sfruttare gradualmente”. Questo punto è molto importante e anche molto ci dice sul concetto di verità che, semplificando molto, nel pensiero occidentale si configura più sotto il lato oggettivo mentre in quello,cinese tende più al situazionale.

Il discorso qui si può allargare al senso dell’effimero, quello che questa città di corsa dove tutto passa velocemente sembra richiamare. Massimo Donda nel suo Pillole di Cina fa questa interessante riflessione che ci permette di vagliare alcune nostre idee sulla Cina da una prospettiva diversa: “Il problema dell’autenticità si rivela in modo clamoroso nella Città Proibita di Pechino. Fu costruita nel 1421 con il legno. Nel corso dei secoli, gli edifici originali furono in gran parte distrutti e ricostruiti, spesso numerose volte anche se la ricostruzione non è mai stata compiuta secondo l’originale, si può affermare che lo “spirito” della Città Proibita sia rimasto intatto, ed è questo che, in realtà, è importante per i cinesi. Sia le case che i palazzi non sono mai costruiti in pietra o marmo, cioè in materiali scelti per resistere al tempo. Sono stati progettati in materiali deteriorabili, perché proprio la sostituzione degli edifici bruciati o distrutti è un modo per renderli imperituri. L’imitazione serve a migliorare la qualità. Nel caso della Cina, rispecchia anche il senso di ossequio verso il maestro che segna la storia della cultura nazionale. Al maestro viene riconosciuta autorità e rilevanza attraverso l’imitazione del suo stile, della sua produzione”. Quindi, le tanto vituperate contraffazioni commerciali da parte cinese sarebbero quasi un omaggio ai marchi che vengono imitati. Sarebbe come dire che l’imitazione è un omaggio a quel marchio particolare perché ha successo. Non si imita quello che non ha successo. Donda prosegue: “I cinesi avrebbero tentato di sconfiggere il tempo non costruendo per l’eternità con la pietra e il marmo, ma affidandosi a materiali deperibili che si degradano velocemente e richiedono che, a ogni ricostruzione, si ripeta il gesto immutato dell’uomo faber, il cui disegno spirituale viene rispettato nei secoli dei secoli. Secondo loro, la storia non può dimorare negli edifici, per loro natura transitori, effimeri, e che si possono sempre ricostruire tali e quali se vengono accidentalmente o volontariamente distrutti; l’immortalità è affidata invece al talento umano, al gesto immutato dell’artefice, che mai si pone come innovatore”. Questa idea di trovare l’eterno nell’effimero è certamente interessante e in fondo ci rimanda ad alcuni concetti cristiani, come la “piccola via” di santa Teresa di Gesù Bambino. Non tutti i santi sono chiamati ad imprese grandiose, ma alcuni trovano la santità negli sforzi per trovare Dio nel quotidiano, in quello che ci sembra come un fuoco di paglia. Questo ha cercato di insegnare e vivere la santa di Lisieux. Una delle sue sorelle Céline Martin, che si farà poi suora, riportava questi ricordi: “La Chiesa ha sempre visto in Teresa del Bambin Gesù la santa dell’infanzia spirituale. Numerose sono le testimonianze dei papi a questo proposito. Mi limiterò a citarne due di sua santità Pio XII; la prima quando era legato a latere di Pio XI, in occasione dell’inaugurazione della Basilica di Lisieux, l’11 luglio 1937; e l’altra 17 anni più tardi: «Santa Teresa del Bambin Gesù ha una missione e una dottrina. Ma la sua dottrina, come tutta la sua persona, è umile e semplice; è racchiusa in due parole: infanzia spirituale, o nelle altre due equivalenti: piccola via». «È il Vangelo stesso, è il cuore del Vangelo che lei ha riscoperto; ma con quale grazia e freschezza: «“Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18, 3)»” (riportato in 30Giorni, agosto 2007).

Ma questa santificazione del quotidiano la troviamo anche nell’opera di san Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei. In un testo presente online (escriva.it) ecco come viene in parte spiegato il suo approccio: ““Dio ci è vicino”, amava ricordare Benedetto XVI, è anche la via in cui San Josemaría accompagnava dolcemente i suoi interlocutori: “Viviamo come se il Signore fosse lontano, lassù dove brillano le stelle, e non vediamo che è anche sempre al nostro fianco”. Come possiamo incontrarLo, come possiamo relazionarci con Lui? “Sappiate questo: c’è qualcosa di santo e di divino nascosto nelle situazioni più ordinarie, sta a ciascuno di voi scoprirlo”. In sostanza, si tratta di trasformare tutte le circostanze della vita quotidiana, piacevoli o meno piacevoli, in una fonte di dialogo con Dio e quindi di contemplazione: “Ma questo compito banale, simile a quello che fanno i tuoi colleghi al lavoro, deve essere per te una preghiera continua, con le stesse parole intime e familiari, ma ogni giorno con una melodia diversa. È proprio la nostra missione trasformare la prosa di questa vita in poesia, in un poema eroico”. Per San Josemaría, l’aspirazione a una vita di autentica preghiera è intimamente legata alla ricerca del miglioramento personale, attraverso l’acquisizione di virtù umane “incastonate sulla vita di grazia”. Pazienza di fronte a un adolescente ribelle, senso di amicizia e capacità di stupore nei rapporti con gli altri, serenità di fronte ad un amaro fallimento… per San Josemaría, questa è la “materia prima” del dialogo con Dio, il campo d’allenamento in cui si pratica la santificazione. Si tratta di “incarnare la vita spirituale” per evitare la tentazione di “condurre una sorta di doppia vita: da un lato, la vita interiore, la vita di relazione con Dio; dall’altro, una vita distinta e a parte, famigliare, professionale, sociale, piena di piccole realtà terrene”. Un dialogo, riportato nel libro Cammino, illustra bene questo invito: “Perché questa croce di legno?” mi chiedi. E ti cito questo passaggio di una lettera: “Alzando gli occhi dal microscopio, lo sguardo cade sulla Croce nera e vuota. Questa Croce senza il Crocifisso è un simbolo, ha un significato che gli altri non vedranno. E colui che, stanco, stava per abbandonare il compito, torna all’oculare e continua il suo lavoro, perché la Croce vuota chiede delle spalle per portarla””. Non dobbiamo respingere il quotidiano, ma dobbiamo abitarlo.

Siamo partiti da Hong Kong per spiegare quella strana fretta che sembra animare la città e abbiamo capito essere questa l’esigenza di abitare la situazione. Per un cattolico questa esigenza porta alla volontà di santificarla la situazione. Ecco un grande compito per l’evangelizzazione di questo luogo.

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5 commenti

  • unaopinione ha detto:

    Fuori argomento, ma credo che come notizia (vera?) possa essere utile al maestro Porfiri (poi giudica lui):
    https://www.stevequayle.com/index.php?s=33&d=2584
    Xi under house arrest.

  • Forum Coscienza Maschile ha detto:

    Mi sono fermato alla Parabola delle Dieci Vergini che ben si attiene alle città sorelle di Babilonia (altrimenti conosciuta come Babele) disseminate nel mondo. Una di queste, Ninive, non fu convertita immergendosi nei “santi” commerci quotidiani della folla, ma dal profeta Giona.
    Credo che, specialmente in tempi di credito sociale, alcuni versi recentemente ritrovati di T. S. Eliot siano un utile complemento all’articolo:

    Londra, la brulicante vita che tu uccidi e generi,
    Stipata fra il cemento e il cielo,
    Sensibile ai bisogni momentanei,
    Vibra inconscia del suo destino formale,
    Non sapendo né come pensare, né come sentire,
    Ma vive nella coscienza dell’occhio osservatore.
    Londra, la tua gente è incatenata sulla ruota!
    Spettrali gnomi, rintanati in mattoni e pietre e acciaio!
    Alcune menti, aberranti dal normale equilibrio
    (Londra, la tua gente è incatenata sulla ruota!)
    Registrano i movimenti di questi giocattoli da marciapiede
    E tracciano il crittogramma che può stare arrotolato
    In queste tenui percezioni del rumore,
    Del movimento, e delle luci!

    Concluderei con una preghiera, un salmo che il postconcilio, così sollecito della conoscenza della Bibbia da parte dei fedeli, ha incomprensibilmente celato. Sono versi che possono turbare la delicata sensibilità di oggi, che però inclina più di ieri ad abortire.
    Vedervi un parallelismo Londra/Babilonia sarebbe troppo semplicistico:

    Miserabile figlia di Babilonia,
    beato chi ti renderà quanto ci hai fatto;
    Beato chi afferrerà i tuoi piccoli
    e li sbatterà contro la pietra.

  • Forum Coscienza Maschile ha detto:

    Mi sono fermato alla Parabola delle Dieci Vergini che ben si attiene alle città sorelle di Babilonia (altrimenti conosciuta come Babele) disseminate nel mondo. Una di queste, Ninive, non fu convertita immergendosi nei “santi” commerci quotidiani della folla, ma dal profeta Giona.
    Credo che alcuni versi recentemente ritrovati di T. S. Eliot siano un utile complemento all’articolo:

    Londra, la brulicante vita che tu uccidi e generi,
    Stipata fra il cemento e il cielo,
    Sensibile ai bisogni momentanei,
    Vibra inconscia del suo destino formale,
    Non sapendo né come pensare, né come sentire,
    Ma vive nella coscienza dell’occhio osservatore.
    Londra, la tua gente è incatenata sulla ruota!
    Spettrali gnomi, rintanati in mattoni e pietre e acciaio!
    Alcune menti, aberranti dal normale equilibrio
    (Londra, la tua gente è incatenata sulla ruota!)
    Registrano i movimenti di questi giocattoli da marciapiede
    E tracciano il crittogramma che può stare arrotolato
    In queste tenui percezioni del rumore,
    Del movimento, e delle luci!

    Concluderei con una preghiera, un salmo che il postconcilio, così sollecito della conoscenza della Bibbia da parte dei fedeli, ha incomprensibilmente celato. Sono versi che possono turbare la delicata sensibilità di oggi, che però inclina più di ieri ad abortire.
    Vedervi un parallelismo Londra/Babilonia sarebbe troppo semplicistico:

    Miserabile figlia di Babilonia,
    beato chi ti renderà quanto ci hai fatto;
    Beato chi afferrerà i tuoi piccoli
    e li sbatterà contro la pietra.

  • Riccardo ha detto:

    Un caro abbraccio e forte preghiera per il cardinal Zen, amato e sostenuto dal quella sana tradizione cinese che ama la quotidianità terrestre e teme l’eternità della Roccia su cui il cielo si erge e si fonda.
    Ed un sincero saluto ed ossequio a quel dragone rosso che si accorda con il nostro amato “pontefice sommo” per schiacciare la fede e la speranza di una parte cattiva di popolo, che sperava in Pietro per fare risorgere lo spirito cinese nella Grazia della Nuona Novella celeste.

    Se la terra ed il sottoterra vivono di fretta, il Cielo vive di stabilità e di pazienza invitta. I secoli sono a disposizione della Potenza eterna, ed il miracolo promesso della conversione della Cina arriverà immancabile.
    Ma l’occidentale che chiude gli occhi alla luce e non riconosce il falso profeta che usurpa il seggio perino, si espone quantomeno all’inutilità della sua missione.

    Tanto la fretta cinese farà presto il suo gioco stritolante sull’italiano pacioso, ed allora vedremo come ci dirigeremo con fretta verso la Celeste Imperatrice, perché faccia pronunciare al Celeste Imperatore divino la parola del perdono…

    La prego Maestro, colga l’attimo della luce che passa, altrimenti la tenebra la travolgerà come nube ineluttabile. Chiudere gli occhi alla verità sulla situazione attuale di sede impedita ed usurpata fa perdere il discernimento della realtà.