Il Matto. Abbandonarsi alla Spontaneità.

10 Settembre 2022 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, molto tempo fa, prima della grande crisi di agosto – e delle vacanze – il nostro Matto buddista aveva inviato queste riflessioni, che offro alla vostra attenzione, scusandomi per il ritardo. Buona lettura.

§§§

 ABBANDONARSI AL MOTO DELLA SPONTANEITÀ

 

Cito da Massimo Scaligero, Zen e Logos, pagg. 64-65-66.

 

 

 

«Una delle proposizioni centrali del volume La Doctrine supreme di Hubert Benoit (La Colombe, Paris 1960), suona così: “I miei organi sono apparsi e si sono sviluppati spontaneamente. La mia conoscenza immediata intuitiva, non-dualistica non potrebbe anch’essa apparire spontaneamente? Lo Zen risponde affermativamente a tale questione”.

 

 

 

Occorre subito disilludere il Benoit, malgrado la sua commovente fiducia, facendogli notare che l’epoca della spontaneità è finita. Come fa a non accorgersene, o meglio, a non saperlo? I massimi pensatori sono d’accordo su questo, i mistici, gli indagatori, i pessimisti e gli ottimisti, i tradizionalisti e gl’innovatori: tutti sanno che a un’epoca della spontaneità, che si è chiusa, sta seguendo un’epoca dell’autocoscienza e della volontà. Da Hegel a Gentile, da Bachofen ad Aurobindo, da Nietzsche a Nishida, i più grandi intuitivi sono d’accordo sul carattere volitivo e razionalistico della nostra epoca.

 

 

 

Sino alla comparsa del pensiero logico, l’uomo è stato “condotto” e la spontaneità ha caratterizzato il suo sviluppo: purtroppo, da quel momento gli Dei hanno lasciato nelle mani degli uomini le redini che sino ad allora avevano essi tenute per lui. Ed è cominciata per l’uomo l’epoca della responsabilità: in modo un po’ discutibile, poco felice e poco estetico, ma è in verità cominciata: dove si trova più la spontaneità? Forse nemmeno più in Estremo Oriente. E, nel dire questo, teniamo ben presente il genere di spontaneità a cui allude il Benoit. Il quale così prosegue:

 

 

 

“Per lo Zen, l’evoluzione spontanea normale dell’uomo conduce al satori. Il Principio lavora incessantemente in me nel senso del dischiudersi del satori (come questo medesimo Principio lavora nel bulbo del tulipano verso l’apertura del suo fiore)”.

 

 

 

Ma se ci viene il sospetto che questo “Principio” è l’Inconscio di Jung, non possiamo fare a meno di ricordare la soluzione che egli dà per aprirsi all’Inconscio: essere in uno stato di silenzio e di rilasciamento e misticamente attendere che “esso” si manifesti. Secondo la “tecnica” junghiana, non c’è da far nulla che lasciar agire la potenza di spontaneità dell’Inconscio: o del Principio, come avvedutamente dice Benoit. Discorso che se ci venisse fatto da Shri Aurobindo riguardo alla Shakti divina, o da De Molinos riguardo alla Divina Grazia, o da Meister Eckhart riguardo alla “vividezza dell’essere vuoto”, ci persuaderebbe, perché avrebbe dietro di sé una rigorosa ascesi e una precisa metodologia mistica, non si collegherebbe con un mondo da cui salgono oscuri impulsi, “complessi” ed erotismi, inclinazioni ancestrali, la cui simbologia è ricavata dalle fantasie e dai sogni dei nevrotici.

 

 

 

Ma, malgrado l’epoca della volontà e della razionalità, l’uomo può ritrovare in sé il moto della spontaneità, non in quanto si privi della razionalità, ma in quanto la possegga al punto da esserne indipendente e da percepirne la forza radicale indialettica. Compito arduo e raro: arduo soprattutto per coloro che si servono del pensiero senza saperlo e costruiscono la loro dottrina mediante il pensiero, senza riconoscere ad esso il valore che ne traggono: per cui si pensa, per esempio, un “inconscio” che sta di là dal pensiero, e non si avverte che anche questo “al-di-là” viene pensato. Onde non si esce dal pensiero, perché non se ne possiede l’intimo moto: non si attinge la spontaneità. Non si lascia la presa, rimanendo nel pensiero che non è capace di scorgere i propri vincoli: che non è affare dell’incosciente, ma della logica pura, che deve essere posseduta, se deve essere superata. Tuttavia occorre riconoscere che il Benoit (p. 194) avverte:

 

 

“Un lavoro intenso e paziente del nostro pensiero è necessario, perché noi collaboriamo con il nostro Principio liberatore”.

 

 

Ma è chiaro che non potrà essere un pensiero capace di attingere il proprio fondamento, o la propria scaturigine, se trova sempre dinanzi a sé presupposto, se non opposto, questo “principio”, che inevitabilmente lo condiziona, non lo lascia essere ex se, né perciò manifestare la sua trascendente spontaneità. Quindi l’esercizio del pensiero è richiesto, ma a condizione che funzioni non secondo se stesso, ma per la collaborazione con il “Principio”, ossia secondo qualcosa di estraneo e di superiore al pensiero stesso e perciò dell’Io che pensa.

 

 

Non diversamente il materialista pensa la materia come un’alterità opposta al pensiero: alterità alla cui “obiettività” il suo io deve conformarsi: onde il fenomeno fisico finisca col dominare il ricercatore: che è il dramma dell’Occidente, il dramma dell’ottusità del pensiero, o della caduta del pensiero. In fondo, salvo rare eccezioni, è il pensiero occidentale caduto nel fenomenismo fisico e dogmatizzante l’esperienza sensibile, quello che è andato incontro alle dottrine orientali».

 

 

 

* * *

 

«Il Principio lavora incessantemente in me nel senso del dischiudersi del satori (come questo medesimo Principio lavora nel bulbo del tulipano verso l’apertura del suo fiore)”».

 

 

Questa affermazione del Benoit richiama il famoso Regno dei cieli – o Principio, o Verbo – che, come viene tradotto in italiano, è «tra» noi oppure «dentro» di noi, qui ponendosi la questione della differenza fra “tra” e “dentro”, direttamente concernente la trascendente spontaneità del Principio che andrebbe lasciata libera di far fiorire il tulipano (particolarmente delicata e poetica l’immagine della nascita interiore quale fioritura!).

 

 

A tal riguardo propongo dal sito francocardini.it il contributo, in data 10 gennaio 2021, del filologo Andrea Fassò dell’Università di Bologna.

 

 

«[…] Nel primo capitolo (o Prologo) del Vangelo di Giovanni il versetto 14 inizia così in latino: “Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis”. Nell’ultima traduzione italiana della CEI (Edizioni San Paolo, 2009) leggiamo: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Nella Bibbia concordata (Mondadori, 1999): “E la Parola divenne carne e ha abitato in mezzo a noi”.

 

 

Il problema è che il testo originale greco dice: “Kaì ho lógos sàrx egéneto kaì eskénosen en hemîn”. Siamo proprio sicuri che “en hemîn” significhi ‘in mezzo a noi’? O invece va inteso ‘in noi’ (anche il latino dice “in nobis”)?

 

 

 

Nello stesso capitolo di Giovanni (v. 26) il Battista risponde agli inviati dei farisei: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, che viene dopo di me”; e  “in mezzo a voi” suona in greco “mésos hymôn”, non “en hymîn”.

 

 

In Giovanni 14,17 Gesù parla ai discepoli del Paraclito, “lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché rimane presso di voi e sarà in voi”, “apud vos manebit et in vobis erit, par’hymîn ménei kaì en hymîn éstai”.

 

 

 

Ma allora perché nel Prologo traduciamo ‘in mezzo a noi’?
La frase ricalca notoriamente Siracide 24,8 […]. Dice la Sapienza: “Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e disse: ‘Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele’”, “in Iacob inhabita et in Israël haereditare et in electis meis mitte radices, En Iakob kataskénoson kaì en Israel katakleronométheti”.
“In Giacobbe”, “In Israele” significherà ‘nel popolo di Israele’, non semplicemente ‘in mezzo agli Israeliti’. Quella della Sapienza (del Verbo!) è una sorta di incarnazione ante litteram, o per lo meno di ‘inabitazione’ (il verbo latino è appunto questo).

 

 

Eppure, che io sappia, nessun commentatore del Vangelo di Giovanni si pone il problema. Nel suo ponderoso commento Rudolf Schnackenburg traduce ‘in mezzo a noi’ senza prendere in considerazione, neppure per confutarla, la possibile alternativa. Perché non ‘ha piantato la tenda in noi’ (ossia nel nuovo Israele)? (tra parentesi, sia Giovanni sia il Siracide usano l’aoristo, con significato incoativo: dunque non ‘ha abitato’, ma ‘è venuto ad abitare’, ‘ha piantato la tenda’, ‘ha preso dimora’).

 

 

C’è una qualche riluttanza all’idea dell’interiorità, dell’avere il Verbo “in noi”? Analogamente, in Luca 17, 20-21, “I farisei gli [a Gesù] domandarono: ‘Quando verrà il regno di Dio?’. Egli rispose loro: ‘Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, oppure Eccolo là. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!’”,  ‘Ecce enim regnum Dei intra vos est, idoù gàr he basileía tou theoû entòs hymôn estin’”.

 

 

Di nuovo: intra vos (non inter vos) al pari di entòs hymôn vuol dire ‘dentro di voi’, non ‘in mezzo a voi’.

 

 

 

Perché tradurre così? Si ha paura di offuscare il senso della comunità, dell’ecclesia? Si teme di scivolare in un individualismo protestante? Ma la Chiesa è fatta di persone ciascuna delle quali ha, deve avere, una sua interiorità: ed è appunto lì, “in interiore homine”, che “habitat veritas” secondo Agostino. Lutero era agostiniano, va bene; ma Agostino non era luterano; ed è per di più l’autore di riferimento dell’insospettabile papa emerito Benedetto XVI. Che poi le persone, con la loro interiorità, siano e non possano non essere in relazione fra loro e quindi formare una comunità, questo non crea alcuna contraddizione.

 

 

Ne sono convinti, credo, anche i benemeriti gesuiti irlandesi creatori del Sacred Space che si legge online e che questa settimana si apre con questo brano (lo riporto dalla versione italiana):

 

 

“La Chiesa dovrebbe anche prestare attenzione all’anima e all’interiorità. Dopo tutto, la vita cristiana non riguarda solo la dottrina e la pratica, ma anche la spiritualità. Che dire dell’alternanza nell’anima tra calore e freddezza, amore e odio, mitezza e durezza, devozione e fedeltà, disperazione e incredulità? Cosa ci dicono questi movimenti interiori? Quali hanno a che fare con Dio e quali no? Come si affronta questa dimensione interiore? Sento che viene prestata troppo poca attenzione a questo ambito di interiorità, spiritualità e anima, e questo è un peccato” (nell’originale inglese, and that’s a shame).

Estratto da The Art of Spiritual Direction di Jos Moons SJ (p. 14) ».

 

* * *

 

I brani passati in rassegna mettono in risalto la necessità di un ritorno ad una nuova (ed antica) spontaneità grazie alla quale l’uomo, ciascun singolo uomo,  «lasciando la presa» (omoi no o tebanashi), ritrova il suo esser “condotto” dal Principio, cioè dal Verbo, cioè dal Regno dei cieli che è in lui, l’azione trasfiguratrice essendo quella del Principio che trova condiscendenza da parte dell’uomo. E per questo è necessaria la viva consapevolezza dei limiti e dell’ostacolo che possono costituire, e spessissimo costituiscono, «l’autocoscienza e la volontà, il carattere volitivo e razionalistico, il pensiero logico», non esclusa, quindi, una troppo rigida adesione, del resto sempre soggettiva, alla dottrina scritta che resta pur sempre un’allusione a Ciò intorno a cui si esprime.

 

 

Brevemente, osserviamo un particolare non trascurabile costituito dal fatto che, stando ai Vangeli,  «Il regno dei cieli è dentro di voi – entòs hymôn» Gesù lo dice durante la Sua predicazione, quindi ai non ancora battezzati Cristiani e prima dell’istituzione dell’Eucarestia che è il Sacramento principe della Cristianità, ciò facendo pensare (anche) ad una possibilità extra eucaristica, specialmente in tempi difficili come gli attuali, di fruire della trasfigurazione operata dal Principio, dal Verbo che, appunto, è già “dentro” (intra, entòs) l’uomo e che va lasciato operare con la Sua spontaneitàD’altra parte, anche il pagano Ovidio dice in Fasti VI, 5-6:

 

«est deus in nobis, agitante calescimus illo

impetus hic sacrae semina mentis habet»,

 

 

«c’è un dio in noi, c’infiammiamo quando quello si agita,

questo impeto ha i semi della mente divina».

 

 

 

Prima di concludere, propongo zenisticamente un interessante riferimento alla lingua giapponese: jihatsu-sei 自発性, cioè spontaneità, vale a dire:

 

 

«essere fatto dalla propria causa interna, non dall’influenza o dalla coercizione degli altri».

 

 

Da sottolineare l’importanza di hatsu 発: “partire”, “iniziare da”, “emettere”, “rivelare”, tutti significati indicanti una Fonte di Luce – il Principio, il Verbo – da cui fluisce (nagare 流)  il Potere trasfigurante che va lasciato agire così com’è in Se stesso, con la sua ineffabilità, e non cristallizzato definitivamente – quindi ridotto – in una dottrina (seppur propedeuticamente necessaria), ciò richiamando tanto la domanda di Andrea Fassò circa la «paura di offuscare il senso della comunità, dell’ecclesia» (o addirittura insidiare il potere dell’organizzazione ecclesiatica?), quanto la perplessità di Jos Moons SJ: «Sento che viene prestata troppo poca attenzione a questo ambito di interiorità, spiritualità e anima, e questo è un peccato».

 

 

Si tratta quindi della necessità di un tornare ad abbandonarsi al moto della spontaneità; di una rinuncia all’autocoscienza e alla volontà; di un «lasciare la presa» fiducioso nel processo ab intra ad extra per il quale il Principio, il Verbo da cui si è inabitati – in nobis, en hemîn – viene lasciato agire come «nel bulbo del tulipano verso l’apertura del suo fiore».

§§§




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72 commenti

  • Il Matto ha detto:

    Esimio B. & G. (“quel tale”),

    capisco che il fritto non faccia per il Suo delicatissimo fegato.

    Così non la biasimo se, insieme a Giampiero, ne voglia fare a meno.

    Viva la libertà che ognuno ha di cucinarsi il suo piatto!

    🖐

  • Bimbi & grulli ha detto:

    Il Matto ha completamente frainteso il concetto di ‘spontaneità’ al quale fa riferimento Benoit. Ma, poiché è matto, addirittura per antonomasia, lasciamolo sproloquiare.

    • Il Matto ha detto:

      Se lo dice BIMBI & GRULLI siamo a posto! 😂

      In genere, però, si propone un’alternativa. Quindi sarebbe interessante sapere come lo ha inteso BIMBI & GRULLI.

      Che ne dite, BIMBI & GRULLI?

  • Adriana 1 ha detto:

    Vis.

  • Il Matto ha detto:

    No… adesso ci sono ma un minuto fa no…

    Chiedo scusa.

  • QUALCOSA ANCORA NON VA ha detto:

    Mancano un bel po’ di mie risposte e ringraziamenti.

  • Daouda ha detto:

    Dice di essere matto pe davero, cosa discutibe e di per sè irrilevante.

    Tutto sto casino per una banalitá del genere. L’icona e somiglianza riguardano la natura umana non l’io soggettuale che in Cristo Gesù Signore e Messia è la propria personalitá del Verbo divino e nell’idividuo la sua coecienzialitá. Non faccia errori pacchiani facendo credere che ci si possa cristificare al di lá del battesimo o peggio credendo che si debba riscoprire se stessi.

  • QUALCOSA ANCORA NON VA ha detto:

    Permesso?

  • Adriana 1 ha detto:

    salute

  • stefano raimondo ha detto:

    In effetti dire “in mezzo a voi” anziché “dentro di voi” può avere come conseguenza che il cristiano, inteso come semplice fedele, dipenda più dall’esterno che da se stesso, ovvero che Gesù te lo “impacchettano” all’esterno i preti, affermando al contempo cosa esso sia e cosa esso non sia. Sembrerebbe insomma una mera questione di potere (facendo un’analogia, anche nell’ebraismo la vocalizzazione delle parole era riservata solo ad alcuni, che quindi sostanzialmente avevano la prerogativa di decidere il significato delle parole stesse).

    Ovviamente “in mezzo a voi” esalta anche il carattere assembleare a cui dovrebbe tendere l’insieme dei cristiani; altrettanto ovvio è che se si parla di assemblea, di comunità, ecc. residua il problema di chi decide: implicitamente si crea il bisogno di qualcuno che faccia da trait d’union e che comandi (a mio avviso siamo agli antipodi di una vera spiritualità, che nasce e si mantiene soltanto come interiore). Comunque possono fare e dire quello che vogliono, ma ci salviamo o ci danniamo individualmente.

    Cambiando discorso, qui sotto riporto un pensiero, dato che Il Matto parlava di razionalità.

    La mente può sviluppare i nessi logici solo fino a un determinato punto, raggiunto il quale la prova deve cedere il passo all’evidenza. Lì occorre compiere il salto oppure ritirarsi. (Jünger – Al muro del tempo)

    • Il Matto ha detto:

      “Lì occorre compiere il salto oppure ritirarsi”.

      Inoppugnabile.

      Il fatto è che mentre chi compie o tenta di compiere il salto viene regolarmente criticato da chi si ritira o, il che è lo stesso, si sente più al sicuro standosene nella comfort zone della dottrina e dei legalismi stabiliti (da altri).

      E’ un affare che viene da lontano e si protrarrà sino alla fine dei tempi.

      E’ materia che in altri “focosi” tempi ci si illudeva di bruciare con un falò .😈

  • P. Brian Paul MAGUIRE,c.p. ha detto:

    La Spontaeità è sempre o solamente un RISPOSTA/REAZIONE ppersonale/soggettiva alla REALTÀ oggettiva/concreata che si presenta dal di fuori della persona pensante. Tante grazie al Prof, Andrea FASSÒ che dimosta chiaramente come la mente semita cerca di capire la distinzione greca tra ESSENZA e ESSISTENZA, potremmo aggiungere in chiave cristiana: tra il piano della creazione IN DIO e la creazione realiizzata nel tempo e nello spazio la quale l’uomo può accogliere in quanto redenta in Gesù Cristo o respingere per diventare egli stesso “come Dio” (Gen. 3, 15). Ed eccoci di nuovo al Vat II: La Chiesa di Cristo È la Chiesa Cattolica (Mt. 16, 16-18; Giov. 20, 21-23), oppure la Chiesa di Cristo solamente SUSSISTE (ecumenicamente come ‘una inter pares’) nella Chiesa Cattolica??! La risposta si trova nella citazione che il Prof. Andrea Fassò fa di Gv. 14, (16),17!!

    • Il Matto ha detto:

      Grazie per il contributo.

      “La Spontaneità è sempre o solamente un RISPOSTA/REAZIONE personale/soggettiva alla REALTÀ oggettiva/concreata che si presenta dal di fuori della persona pensante”.

      Verissimo. Ma agli inizi del processo catartico.

      Man mano che il processo … procede (è un’impresa alquanto impegnativa), la soggettività decanta:

      “Occorre che LUI cresca e IO diminuisca”.

    • B&G ha detto:

      In questa frase di Benoit spontaneità non indica un atteggiamento del singolo, ma il prodursi spontaneo del kensho. Perciò non una risposta soggettiva alla realtà oggettiva (?!?), ma lo spontaneo eventuarsi dell’illuminazione. Il che, fra l’altro, è in pieno accordo con la tradizione zen.

      • Stilobate ha detto:

        Esattamente. “Spontneità” vale qui eteroproduzione che è poi, se si vuole usare un certo linguaggio filosofico, autoproduzione della coscienza trascendentale (nel contesto della sua autoposizione, o “autoctisi”, come avrebbe detto uno dei filosofi citati a sproposito dal nostro loquacissimo buon Matto). La spontaneità del singolo non c’entra nulla, e l’intera riflessione che il Matto va qui sviluppando è viziata dal totale fraintendimento dell’asserto di partenza. *** Ma questi fraintendimenti il Matto ci ha abituati da tempo ed è buona cosa guardarli con indulgenza. L’importante è non farsi abbindolare dai suoi zuccherini psichedelici (d’altronde quando si va predicando il Silenzio servendosi di un fiume di parole, quando si va predicando il trascendimento dell’io esibendo un ego ingombrante, non si può dire che non si mettano i destinatari delle prediche in condizione di intendere la natura delle stesse: e sembra infatti che le azioni dei fritti mistici siano in notevole ribasso).

  • Il Matto ha detto:

    Il Matto con Adriana, Mimma e Veronica.

    Ovvero:

    il Cavaliere e le sue Tre Dame.

    Siamo alla Corte di Re Artù.

    In un’ala del Castello, la Tavola Rotonda …

    Fuori … in Toscana, a San Galgano, la Spada nella Roccia…

    Ah … non chiedo di meglio! E sempre lancia in resta!

    • Adriana 1 ha detto:

      ” Tre donne intorno al cor mi son venute…” ( Dante , che però parlava d’altro ).
      Mah? Chi si contenta gode … fantasia suggestiva, benchè assai ” preraffaellita “.

  • Gian Piero ha detto:

    Attenzione al Matto. Nel suo delizioso divagare e matteggiare ci sono cose del tutto non cattoliche. E’ molto divertente divagare tra gli esoterismi con un occhio ai Tarocchi( Il Matto) un occhio al buddismo Zen un occhio alle filosofie orientali, una riverniciatura superficiale e opka’ Il gioco e’ fatto e la trappola per gli allocchi. Peccato che i veri matti e i veri mistici
    Zen siano tutt’altro.
    Attenzione ripeto : l’ esoterismo un tanto al kilo fa solo danni, la mattaggine di massa anche . L’ elitismo di chi “ sa” cioe’ degli gnostici a volte degna di mostrarsi al popolo . Il popolo farebbe bene a dubitare di tali sublimi maestri,

    • Il Matto ha detto:

      “Ogniqualvolta un uomo ha invocato con cuore puro Osiride, Dioniso, Krsna, Buddha, il Tao, ecc., il figlio di Dio ha risposto inviandogli lo Spirito Santo. E lo Spirito ha agito sulla sua anima, non inducendolo ad abbandonare la sua tradizione religiosa, ma dandogli la luce – e nel migliore dei casi la pienezza della luce – all’interno di tale tradizione”.
      Simone Weil

      Ora, carissimo Giampiero, verrà a dirmi che il “cuore puro” è prerogativa soltanto dei Cattolici?

      “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”: non c’è la specifica del tesserino di appartenenza, basta la purezza di cuore (che non è poi così a portata di mano, nemmeno per i Cattolici).

      Un distinto saluto.

      • OCCHI APERTI! ha detto:

        Enrico carissimo,
        mi capita, per la seconda volta, di assistere a una citazione della Weil da parte sua e mi è d’obbligo interiore fermarmi per precisare anche in questa occasione.
        Tanto più che il buon Gian Piero non ha dato seguito al suo intervento.

        Converrà con me che spesso dal web estrapoliamo pensieri che ci calzano a pennello ma, trovandoli decontestualizzati e magari conoscendo solo superficialmente gli autori, utilizziamo il loro genio per far dir loro ciò che mai vorrebbero.
        Nello specifico, – perdoni il mio zelo forse eccessivo – la Weil non intendeva affatto far di tutta l’erba un fascio né tanto meno, come talvolta qualcuno deduce in malafede, intendeva sfidare la Chiesa con la complessità delle sue asserzioni.

        Personalmente, poi, ho la convinzione sia uno schiaffo ad ognuno di noi la sua innegabile probità intellettuale, la sua “purezza di cuore” nonchè la trasparenza della sua coscienza, anche nella sua ingenuità e inesperienza. Nel bene e nel male, dunque.

        In particolare, vorrei poterle far notare che il pensiero da lei utilizzato forse per giustificare o testimoniare la sua scelta di “fede ecumenica”, si scontra con la realtà e la verità del contesto in cui Weil scrisse le parole da lei riportate.
        Parole che provengono da “Lettera a un religioso”, indirizzata al padre domenicano Couturier, al fine di verificare la conciliabilità dei suoi convincimenti con la dottrina cattolica…! E già questo dice moltissimo, se non tutto.

        Purtroppo devo stringere ma quanto volentieri mi dilungherei sul combattimento interiore di questa “santa dei non credenti”, che non finirà mai di stupirmi e di ospitarmi per le viuzze della sua anima cristallina! Quanta bellezza!
        Anche in un pensiero che non sempre condivido ma ben comprendo (perchè solo “immaturo” e incompleto…): quanta bellezza per la sua onestà, per la sua umiltà, per il suo coraggio, per la sua incapacità di fingere!
        Non v’è traccia in lei di rispetto umano. Di ritrosia nell’esprimersi per paura di…
        Si espone. Resta nuda. Non si copre mai…

        Che sensazione indescrivibile vagare in uno spirito complesso come il suo ma mai tortuoso; e quanta verità c’è in quelle apparenti contraddizioni che altro non esprimono, in miniatura, le perfezioni di Dio…

        Ma, tornando coi piedi per terra, l’eccezione non è, non deve e non può essere la regola.
        L’eccezione si dà per esemplificare la libertà di Dio e la Sua personalità…non la nostra!
        L’eccezione è per chi aderisce a Lui lasciandoGli spazio per ogni manovra. Spazio altrimenti ingombrato e intasato dalla fallacia della nostra natura e dal nostro ipertrofico ego.

        Lascio – e termino – la parola alla Weil che inizia la sua lettera così:

        “Quando leggo il catechismo del Concilio di Trento, mi sembra di non aver nulla in comune con la religione che vi è esposta. Quando leggo il Nuovo Testamento, i mistici, la liturgia, quando vedo celebrare la messa, sento con una specie di certezza che questa fede è la mia, o più precisamente lo sarebbe senza la distanza che la mia imperfezione pone tra essa e me. E’ una situazione spirituale penosa. Io vorrei renderla non meno penosa, ma più chiara. Nella chiarezza qualsiasi pena è accettabile. Le elencherò un certo numero di pensieri che abitano in me da anni (almeno alcuni di essi) e sono di ostacolo tra me e la Chiesa. Non le chiedo di discuterne il contenuto. Una simile discussione mi farebbe felice, ma più tardi, in un secondo tempo. Le chiedo una risposta certa – senza formule del tipo “io credo che”, ecc. – sulla compatibilità o incompatibilità di ciascuna delle mie opinioni con l’appartenenza alla Chiesa”.

        Il pensiero da lei citato, Enrico, lo si trova ben più avanti con altre affermazioni molto forti che sarebbe estremamente interessante dibattere, a patto di non fraintendere lo spirito del testo weiliano, qualunque esso si dia alla nostra attenzione.

        Un caro saluto!

    • Adriana 1 ha detto:

      …e chi sarebbe il ” popolo “?

    • B&G ha detto:

      @ Gian Piero – Provvidenziale ammonimento☝🏼 Anche se la differenza fra un mistico e un mistificatore è abbastanza evidente, le ricettine acchiappagonzi del Matto possono fare parecchi danni. Come le chiamava quel tale? Ah sì, il fritto mistico! Stare alla larga.

  • Mimma ha detto:

    In realtà, Matto carissimo, mi sono posta il quesito sul punto giovanneo.
    Non avendo trovato risposte autorevoli, me ne sono data una da me, che adesso ho l’occasione di condividerò con gli amici di Stilum.
    ” Et Verbum caro factum est”
    E il Verbo si fece carne.
    Ossia l’Essere Spirituale si fece Uomo.
    “Et habitavit in nobis”.
    In quanto uomo, egli divenne abitante del mondo, scese tra gli umani come uno qualunque di loro; quindi la preposizione più adatta a indicare questo divenire uno di noi è ” tra “.
    Il Greco usa, per indicare tale venuta, l’espressione antica ” piantò la sua tenda” che storicamente evoca la natura nomade del popolo ebraico.
    Dunque, Dio fattosi Uomo, venne a piantare la sua tenda, cioè a dimorare, a fermarsi stanzialmente, tra gli umani, adottandone gli stessi usi e costumi
    “Et vidimus gloriam Eius”
    E abbiamo visto la Sua gloria.
    Cioè abbiamo potuto constatare di persona ( altrove san Giovanni dirà ” ciò che abbiamo veduto ciò che abbiamo udit ciò che abbiamo toccato con mano…) che non era un semplice uomo, ma L’Uomo- Dio, perché lo abbiamo visto fare miracoli strepitosi e poi morire e risuscitare e salire al Cielo…
    Dobbiamo tuttavia risalire all’inizio del Prologo per continuare il ragionamento.
    “In principio erat Verbum et Verbum erat apud Deum ed Deus erat Verbum”.
    Il Verbo era Dio.
    Ossia il Verbo Eterno, ( l’espressione ” in principio” sottolinea proprio l’eternità ) la Parola che ha creato tutto ciò che esiste, la Seconda Persona della Trinità, incarnandosi venne a farsi conoscere dalle sue creature intelligenti perché, conoscendolo, l’amassero.
    Ora dove prende dimora l’amato, ogni amato?
    Nel cuore, nell’anima dell’amante.
    Ecco dunque che la preposizione ” in” si rivela anfibologica.
    Significa ” tra ” quando si riferisce alla vita biologica di Cristo Gesù che operò tra i suoi (” venne tra i suoi ” ) e il greco in questo caso ha ” eis ” che indica il moto a luogo, ma i suoi non lo accolsero.
    Ma per quelli che lo accolsero, che ancora lo accolgono, la sua tenda è ” in ” loro, nel loro cuore e nella loro anima e nella loro mente.
    Gesù è infatti nella mia mente, sulle mie labbra e nel mio cuore. Non potrebbe essere diversamente, visto che mi chiamo Domenica, Mimma in diminutivo siculo.
    Buona Domenica, Matto del mio cuore!

    • Il Matto ha detto:

      Finalmente ho conferma di essere di nuovo parte del tuo cuore!

      Come tu lo sei del mio.

      Alla fine è ciò che conta, e vorrei dilungarmi un po’ su ciò, ma oggi è Mimma … ehm … Domenica 😊.

      P.S. Ottima interpretazione di “tra” e “in”.

  • Adriana 1 ha detto:

    2 UFF!

  • Adriana 1 ha detto:

    uff!

  • Adriana 1 ha detto:

    salve.

  • Il Matto ha detto:

    Leggenda indù che illustra deliziosamente il famoso: «il Regno dei Cieli è dentro di voi» (en hemîn, intra, e non “mésos hymôn”, inter).

    ***

    C’era un tempo in cui tutti gli uomini erano dei, ma abusavano talmente tanto della loro divinità che Brahma, capo degli dei, decise di togliere loro la potenza divina e nasconderla dove non l’avrebbero mai trovata.

    Dove nasconderla divenne quindi il grande problema.

    Quando gli dei minori furono chiamati a consiglio per valutare questo problema, dissero: “Seppelliremo la divinità dell’uomo in fondo alla terra”.
    Ma Brahma disse: “No, questo non basta perché l’uomo scaverà e la troverà”.

    Allora dissero gli dei: “Bene, allora affonderemo la sua divinità nell’oceano più profondo”.
    Ma Brahma gli rispose ancora: “No, perché prima o poi l’uomo esplorerà le profondità dell’oceano e sarà certo che un giorno la troverà e la riporterà in superficie per sempre”.

    Allora gli dei minori conclusero: “Non sappiamo dove nasconderla, perché sembra che non ci sia nessun posto sulla terra o nel mare dove l’uomo non potrebbe eventualmente raggiungerla”.

    Allora Brahma disse: “Ecco cosa faremo con la divinità dell’uomo: la nasconderemo profondamente in lui stesso perché non penserà mai a cercarla lì”.

    E da allora, l’uomo è andato su e giù per la terra esplorando, arrampicandosi, tuffandosi e scavando, cercando qualcosa che è già dentro di lui.

  • Il Matto ha detto:

    Toc toc … permesso?

  • Antonio Schiavi ha detto:

    La butto lì: Perché “dentro di noi” non vuol dire niente.

    • Il Matto ha detto:

      Un po’ troppo sintetico. Vuol spiegarsi?
      Grazie.

      • Antonio Schiavi ha detto:

        Scusi il ritardo. L’espressione “dentro di me” cosa vuol dire? È il rimando allo spazio virtuale della mia coscienza, del mio senso interno? Dio lì dentro sarebbe l’oggetto del mio esame di coscienza; va bene, ma non può essere solo a ciò limitato. Mi sembra una riduzione sentimentalista o una comoda metafora retorica.
        Già diverso sarebbe se si desse “spessore” all'”io penso” empirico ( mi scuso per il linguaggio kantiano): sarebbe l’antico intelletto divino dei Greci, o appunto l’Athman come lei mi insegna; più ancora, sarebbe l’ANIMA. Dio è venuto allora nella nostra appercezione sotto forma di anima.
        Quando? Per chi?
        In questo caso è il “noi” che non mi significa più nulla.

        • Il Matto ha detto:

          Grazie per il chiarimento.

          Posso solo evidenziare che se “dentro” non vuol dire nulla, non vuol dire nulla nemmeno “fuori” e quindi “tra”.

          L’Assoluto è onnipervasivo senza essere limitato da ciò che pervade: è “dentro”, è “fuori”, e “tra”.

          Ma nel contempo non è né “dentro” né “fuori” ne “tra.

          “Dentro”, “fuori” e “tra” sono escamotages dell’intelletto per raccapezzarsi in qualche modo nel Mistero.

          Nel Silenzio spariscono “dentro”, “fuori” e “tra”.

          Grazie ancora.

          • Antonio Schiavi ha detto:

            Grazie a Lei per condividere sapere, ricerche, intuizioni e riflessioni che tante volte mi sono di insegnamento.

  • Adriana 1 ha detto:

    Salute.

  • Adriana 1 ha detto:

    apriti.

  • Il Matto ha detto:

    Per ADRIANA, VERONICA e MIMMA.

    In romanesco: “sì nun so’ matti nun ce li volemo”.

    Eh sì, non mi appello “il Matto” tanto per fare il “figo”. Io sono matto davvero. Pensate che sto facendo come san Giorgio che libera la Principessa! Ecco perché siamo pochi nella Congrega che recluta solo i matti 😂

    https://youtu.be/3GGBMSeQlvc

    • Adriana 1 ha detto:

      Enrico/Arrigo,
      su Paolo Uccello…consiglio Marcel Schwob, “Vite immaginarie”, imperdibile.
      ( due ed. Adelpi, l’ultima del 2012 ).

  • Il Matto ha detto:

    Per accedere ai commenti.

  • acido prussico ha detto:

    “ALLARME | Individuato a Barcellona un nido di vespe orientali mai visto prima in Catalogna.”

    https://www.metropoliabierta.com/el-pulso-de-la-ciudad/alerta-detectan-en-barcelona-nido-avispa-oriental-nunca-visto-antes-en-cataluna_60752_102.html

  • Adriana 1 ha detto:

    ciao.

  • alessio ha detto:

    Complimenti al matto per
    l’ articolo .
    In un vecchio foglio della
    Messa degli anni ’50 , che
    ho trovato dentro un vecchio
    libro , era riassunto questo :
    quello che chiedi nella
    preghiera prendilo nella
    Messa .Ma chi insegna più
    questo?
    Nel tempo delle Messe
    celebrate sui materassini
    gonfiabili sulla battigia del
    mare , non c’è chi insegni
    a noi a pregare , se non il
    Dio invisibile , e non
    troviamo nemmeno chi
    ci possa confessare perché
    spesso sono in banca , o
    peggio in profumeria .
    Dobbiamo trovare la nostra
    preghiera personale ,
    con le parole del Padre
    Nostro , va tenuto poi conto che
    quelli come me alla
    neo-messa riformata di. PaoloVI non
    ci vanno ;in attesa che i
    figli della Luce diventino
    più scaltri di quelli delle
    tenebre e celebrino la Messa Tridentina
    nelle cantine e nei boschi ,
    rimaniamo aggrappati alla
    catena del Santo Rosario ,

    per uscire dalla palude della
    religione della scienza , che
    ha celebrato Piero Angela, divulgatore , costruttore di dubbi ,ma brava persona ,in
    un funerale civile ed ateo , e
    dalla religione idolatra che
    conierà la faccia della Carrà
    sulle monete da due euro ,
    non si sa per quale opera
    pubblica .

  • Adriana 1 ha detto:

    ciao= apriti Sesamo

  • Veronica Cireneo ha detto:

    Ciao Matto.

    Dice Gesù alla Piccarreta: quando la volontà umana è contraria alla mia, io sono croce per l’uomo e l’uomo è croce per me. Quando le 2 volontà si uniscono, la Croce sparisce per entrambi e diventa abbraccio.

    Questo abbraccio si percepisce nel cuore, che il Spirito Santo accende come dinamite. Sì : Gesù è in mezzo a noi. Nel cuore. Oppure non c’è e sono tenebre.

    Ne parla ampiamente e deliziosamente il :”CASTELLO INTERIORE” di Teresa D’Avila (1577).

    Te lo consiglio di cuore, mentre vado a fare la mia nuotata.
    Ciao. Grazie

    • Il Matto ha detto:

      Grazie a Te.

      Il “Castello”: sono anni che sto al di qua del Ponte Levatoio lancia in resta, a far la guardia alla Mia Bella.

  • Il Matto ha detto:

    Davvero delizioso e graditissimo l’appellativo con cui il signor Marco ha presentato il mio articolo: “il nostro Matto buddista”!

    Prima di tutto per quel “nostro”, che mi fa sentire membro del Clan SC, della qualcosa grandemente mi onoro e ringrazio.

    A buddista, aggiungerei (così all’ingrosso) shintoista e induista, ma anche taoista, islamico e neoplatonico, secondo un’accezione del termine “sincretista” radicalmente differente da quella “negativa” come vuole il luogo comune.

    A qualcuno che mi ha dato del massone posso dire andare a spiluccare un pochino il simbolismo massonico, che viene da lontano ( e quindi non mi sto riferendo alla Massoneria nata nel 1717).

    Come ho già fatto presente alle gentilissime (e fortissime) Signore Mimma e Veronica, mi trovo su una lunghezza d’onda che una delle tante (forse tante quanti sono gli esseri umani).

    Semplificando, c’è chi s’affida alla vista diritta escludendo tutto ciò che si trova intorno e c’è chi vuol vedere anche intorno, senza che ciò debba suscitare condanne reciproche.

    Anzi, sarebbe auspicabile un pacato e caritatevole (buddisticamente compassionevole) confronto, senza che nessuno monti sulla cattedra del giudizio.

    Un distinto saluto a tutti.

  • Adriana 1 ha detto:

    Ciao

  • Adriana 1 ha detto:

    Evidentemente anche io, come Enrico, devo scrivere qualcosa prima di poter accedere…

  • Adriana 1 ha detto:

    Segnalati commenti n. 3, presenti: 0.

  • Tobia ha detto:

    Sei peggio dei massoni
    Tobia

  • Adriana 1 ha detto:

    La didascalia della famosa incisione di Goya si può leggere anche così: ” Il sogno della ragione genera mostri “.
    Penso all’ultimo film di Cronenberg: ” Crimes of the Future ”
    dove un ex chirurgo sfrutta la capacità del suo compagno per sviluppare nuovi organi per realizzare performances artistiche di rimozione chirurgica in cui la coppia mostra pubblicamente la metamorfosi dell’uomo dalla biologia ormai stravolta.
    Probabilmente è a questa concezione dell’uomo e del progresso ” razionale ” che si riferiva l’articolo critico dei
    Gesuiti…
    C’è tanto ( ipocrita ) pudore, tanta ( finta ) umiltà ad impedire l’idea del DIVINO nell’UOMO e dell’UOMO nel DIVINO…
    Eppure Dante ebbe l’audacia di coniare i vocaboli : ” InLUIarsi “, ” InTUiarsi “… Fu certamente uno dei: ” Rari nantes in gurgite vasto “.

    • Il Matto ha detto:

      Speriamo che qualcuno entri nel merito di quanto esposto CATTOLICAMENTE 🤠 riguardo a “tra” e “in”.

      Un argomento alquanto scottante.

      • Adriana 1 ha detto:

        Tra gli imperatori e i Sovrani ce ne furono di quelli soprannominati ” Il Calvo “, ” Il Grosso “, ” il Buono “, ” il Saggio “. In questo Club abbiamo Enrico ” il Matto ” ( e guai a chi osa sottrargli il titolo meritato e acquistato con gli anni di “lungo studio” ).
        Per un semplice “in” molti temono di perder la cappa ( gli onori e le prebende ) perchè convinti di mantenerla soltanto con il ” tra “.

        • Adriana 1 ha detto:

          Enrico ( o Arrigo ),
          P.S. non c’era alcuna ironia da parte mia nel citare il lungo studio. Saluti e salute.

          • Il Matto ha detto:

            👍
            Ma non c’era bisogno che lo precisassi.

            “Arrigo” … mi piace! 😁

            Comunque devo stare attento a non montarmi la testa dato i miei nomi di battesimo sono Enrico Cesare Augusto 😂😂😂

          • Adriana 1 ha detto:

            Enrico,
            specialmente adottando la versione italiana di Enrico, ossia Arrigo, ( l’Alto Arrigo dantesco ), concentri nei tuoi nomi per ben 3 volte il senso e il succo dell’Impero voluto dall’Altissimo. ( Plutocrazia, Democrazia, alza i tacchi e fila via…) 🙂

          • Il Matto ha detto:

            Un sapientissimo francescano platonico presso il quale mi istruii a suo (tanto) tempo (fa) mi diceva: “Tu DEVI ESSERE Enrico Giulio Cesare, perché questo significa l’imposizione dei nomi nel Battesimo”.

            Essere, vivendolo, il proprio nome!

            Ma chi ci pensa più?

  • Carlo Delfino AGOSTO ha detto:

    A.M.
    Grazie di cuore per quanto pubblicato e … complimenti davvero !
    Carlo D.Agosto