Benedetta De Vito. Digiuno Eucaristico Forzato Imposto dai Preti in Sardegna. Mah…
22 Luglio 2022
Marco Tosatti
La nostra Benedetta De Vito ci descrive della sua gioia nel tornare a Roma, e finalmente, dopo un digiuno eucaristico durato settimane, della gioia di tornare a comunicarsi. Nel modo più degno: in ginocchio e sulla lingua. Bentornata, Benedetta.
§§§
Ecco, sto per lasciare il mio piccolo paradiso sardo e conto i giorni che sono volati via, caduti nella tasca di un gigante barbaricino, giorni, tutti quanti, senza mai prendere la Santa Particola. perché nessun sacerdote (al quale l’ho domandato) qui, nel paese dei giganti e delle fate nane, mi ha dato la Comunione sulla lingua, come previsto dalle ultime regole della Cei.
Ecco, torno a Roma e so che, finalmente, la bella chiesa di Sant’Agata dei Goti, seduta lungo la via Panisperna, bruna d’ombre e di quiete, mi darà la gioia grande di far la Comunione in ginocchio, e di prendere l’Ostia Santa sulla lingua che è, per me, l’unico modo per ricevere Nostro Signore. Conto i giorni, sì, perché pur avendo, qui in Sardegna tutto ciò che amo, non ho nulla senza la Santa Comunione. In pochi, intorno a me (che pure mi amano), lo capiscono e mi guardano come se fossi un fenomeno da baraccone quando, sulla spiaggia, alle sette e trenta, mi collego con la Santa casa di Loreto per prendere la messa mattutina e al momento della Comunione mi unisco spiritualmente al mio dolce Gesù. grazie agli insegnamenti ricevuti lo scorso anno da una beata sarda, Elisabetta Sanna.
Conto i giorni e intanto, da Roma, mi giungono buone, anzi ottime nuove, da una cara amica, devota come me, che va, di chiesa in chiesa, a vedere se i sacerdoti offrono la Santa Particola sulla lingua. Scopro così, con gioia, che a Santa Maria Maggiore, alla messa delle sette, il sacerdote, la dà, eccome e lo stesso nel Santuario del Perpetuo Soccorso (che io e lei chiamiamo in gioia del Pronto soccorso…) dove lo spirito del dolcissimo Sant’Alfonso è ancora vivo.
Mi racconta anche un aneddoto capitatole nella sua stessa parrocchia, dove aveva chiesto di potersi comunicare come il Signore comanda. Il parroco. che pure la conosce e la chiama per nome con affetto, le ha risposto picche. Ma… ma una settimana dopo, evidentemente avendo per sette giorni meditato sulla nefandezza del suo no, le ha detto che sì, mettendosi in un certo punto, senz’altro, la comunicherà. senza la sconcezza della distribuzione sulle mani rese infette, secondo me, dal disinfettante. E la prenderà così anche suo marito: allora evviva!
Conto i giorni e intanto alla domenica, con mio marito, sono andata in una delle tante chiese del litorale gallurese e, durante la distribuzione, al solito, della Particola sulle mani (oramai non ci provo neanche più a chiedere che mi venga data sulla lingua…), dopo un canto che non ricordo il sacerdote lancia il “Tantum ergo”. Io, che sono inginocchiata intenta alla mia comunione spirituale, alzo il capo come a un dolce richiamo di un amato e, insieme a mio marito, prendo a cantare il dolcissimo inno liturgico, gregoriano, composto da San Tommaso d’Aquino, per la solennità del Corpus Domini. Resto in ginocchio, come ci invita l’inno, ad adorare il Santissimo, prostrati, in ginocchio. Resto in ginocchio finché, a fine messa, dopo l’andate in pace, il parroco esplode nel Salve Regina, sempre in latino, e io con lui. Sì mi accontento.
Di seguito il pezzo che scrissi l’anno passato dopo l’incontro con la Beata Elisabetta Sanna.
Nel paesino di Budoni, in Sardegna, la Messa domenicale ha ancora il buon sapore di pane di una volta. Se non fosse per le mascherine e per la Santa Particola distribuita sulle mani, mi sembrerebbe, strizzando e palpebre, tra le note dell’Ave Maria in sardo, di essere ancora nella Chiesa di San Teodoro, dove andavo bambina, e che a dir Messa fosse il mai dimenticato e mitico don Pala…Una bella domenica, uscita dunque dalla funzione nella Parrocchia dedicata a San Giovanni Battista, mi sono perduta tra le tante bancarelle del mercatino paesano. D’un tratto, rapisce il mio sguardo la malia di una bambola in costume tradizionale. Corro, come orso al miele, al banco e subito l’occhio mi cade su un librino ingiallito con su l’immagine di una pia donna velata. E leggo: “La venerabile Elisabetta Sanna”. Mmm, penso, e tirati fuori i tre euro richiesti metto nella borsetta non la pupa sarda ma il libretto dedicato a una innamorata del Signore (come sono io) che è entrata così nella mia vita, insegnandomi meglio, con dono grande, come si fa la Comunione spirituale quando è impossibile riceverla sulla lingua…
Tornata a casa, dimentica della spiaggia, ho letto di fila le poche pagine dedicate alla Venerabile (che dopo l’uscita del libro, il 17 settembre del 2016, è stata proclamata Beata) e che qui riassumo per accendere una fiaccola alla memoria di una piccola-grande donna che, vissuta tra Codrongianos e Roma, amò il Signore e visse di Provvidenza e di Obbedienza.
Elisabetta Sanna nacque, infatti, a Codrongianuse, un bel paesino sardo immerso nella fertile campagna del Logudoro, in provincia di Sassari. Paesino ricco di tradizioni, famosi gli gnocchetti tirati a mano, e per essere vicino alla stupenda Basilica della Santa Trinità di Saccargia, costruita secondo la tradizione per santa devozione lì dove una mucca, al ritorno dal pascolo, si ostinava a restar inginocchiata. Ora, nel silenzio della pianura, la spettacolare basilica, in stile romanico-pisano, bianca e nera, pezzata come la vacca in preghiera, riempie di sé la campagna, mentre il suo campanile svetta nel cielo, accarezzando le nuvole di passaggio.
Elisabetta Sanna nacque tra le vie fitte della parte alta del paese, nel rione chiamato Carruzu ‘e josso. La casa della beata è al numero 10 della strada a lei intitolata. Lascio la parola al sito comunale: “Donata dalla famiglia Spanu/Corda alla parrocchia di Codrongianos, è stata sapientemente restaurata dall’amministrazione comunale. Consta di due vani: uno al piano terra -coperto da un tetto rifatto secondo la vecchia tecnica dell’incannicciato -nel quale hanno trovato collocazione un grande quadro, una raccolta di indumenti ed altri oggetti appartenuti alla “Serva di Dio”, ed un altro, sotterraneo e spoglio, accessibile attraversando una botola che chiude una scala in pietra, nel quale è stato recentemente posizionato un piccolo altare“. Un giorno, penso ci andrò…
Piccolissima, di pochi mesi, Elisabetta, fu colpita dal vaiolo che le rese inservibili le braccia. Tutto accettò, crescendo, senza mai lamentarsi e maturò, guidata da una brava catechista, nell’amore per il Signore e fu chiamata a grandi servigi. Ubbidì, però, a sua madre che la volle sposa e, dal marito Antonio, ebbe cinque figlioli. Vedova nel 1825 crebbe i figli che andavano dal 17 ai 3 anni per lasciarli poi, chiamata dal Signore a seguirlo, a custodia del fratello sacerdote quando nel 1931, decise, già terziaria francescana, di partire per la Terrasanta. Priva di un documento, rimase a Roma, dove arrivò il 28 luglio del 1831. Il Signore cuce le trame delle nostre vite e a volte sembrano a noi storte ma invece sono drittissime. A Roma la vita di Elisabetta doveva intrecciarsi con quella di un grande Santo, cioè Vincenzo Pallotti, incontrato per caso (cioè per il caso voluto dalla Provvidenza) sulla scalinata di Sant’Agostino la stupenda chiesa che custodisce la Madonna dei pellegrini di Caravaggio…
Pellegrina, Elisabetta, nel fuoco d’amore che la consumava, rinvigorendola, trovò casa, una stanzetta senza pretese, in via della Sagrestia, a un tiro di sasso dal cimitero Teutonico (dove la nostra Beata usava fare la Via Crucis) e da San Pietro (dove seguiva anche quattro, cinque messe di seguito e pregava davanti al Santissimo).
Visse, cucendo e di Provvidenza e riusciva a mandare soldi ai suoi in Sardegna, dove non tornò mai più. Se un senso di colpa la prendeva per aver abbandonato i suoi bambini, San Vincenzo Pallotti la rassicurava e la famiglia sua, a Codrongianus, divenne l’invidia dell’intero circondario e i figlioli diritti, senza crucci. Nel gennaio del 1857, Elisabetta ebbe in visione San Gaetano di Thiene (uno dei suoi patroni) e lo stesso San Vincenzo Pallotti: stavano venendo a prenderla. Morì il 17 febbraio, prontissima a volar con l’anima nelle dolci mani del Signore. Morì e in tutta Roma si sparse la notizia della sua dipartita. E corsero da ogni dove per salutarla. Fu sepolta nella chiesa pallottina di San Salvatore in onda, chiesa dove riposa anche San Vincenzo Pallotti.
Nella stupenda chiesiola d’oro splende l’immagine della Virgo Potens della Beata Elisabetta Sanna, immagine miracolosa. Proprio ieri, nel caldo torrido romano, mi sono recata al numero 56-58 di via dei Pettinari per visitar la bella chiesa. In via dei Pettinari, da ragazza, comperavo le belle scarpe di una bottega artigiana che mi pare scomparsa. Scendendo verso il fiume, verso Ponte Sisto, ecco la chiesina, giallo canarino, povera nella facciata e, al contrario di quanto letto su internet, chiusa.
Mi scappa un sorriso nel veder quanto realistiche erano i toponimi antichi e perché questa chiesa si chiama in onda. Semplice: perché l’acqua del Tevere, agevolata da una discesina che corre giù dalla Via Giulia, doveva ben portar le onde bionde tiberine fin sull’altare…
L’ingresso è sbarrato. Provo a suonare al convento, magari avran pena di me che in piena estate mi sono spinta fin qui, condotta dalla devozione verso Elisabetta. Mi risponde una signora cortese, aprendo la finestra, ma non c’è modo di entrare. Neanche un santino ha per me e, mentre torno sui miei passi verso casa, Elisabetta mi pare di sentirla vicina e mi consola perché la sua Virgo Potens ci consolerà, salvandoci…
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Tag: bdv, de vito, eucarestia
Categoria: Generale
Conoscete qualcuno che abbia mai contratto un virus respiratorio deglutendo qualcosa? Il virus del covid è un virus respiratorio, come l’influenza, o di contatto, come la peste?
Gli enzimi della saliva e, in particolare, l’acido cloridrico nello stomaco sono benefici per i virus respiratori?
La carica virale (eventuale) presente nelle superfici delle mani (iperigenizzate prima della distribuzione dell’Eucaristia) diventa sufficientemente elevata dopo aver distribuito la comunione sulla bocca? Ci esempi concreti di veri focolai del virus covid nelle nazioni dove i vescovi hanno consentito la comunione in bocca rispettando i Diritti Divini e quelli dei fedeli?
Non mi risulta ci siano stati focalai dove ciò è avvenuto, ma per i cristiani modernisti e anonimi il principio di realtà (Aristotele, San Tommaso d’Acquino) è insignificante e privo di valore.
Immensa tristezza nel leggere questo articolo. Rinunciare all’eucaristia solo perché non mi danno il “mio” Gesù come “dico io” è un gesto profondamente superbo, ideologico e anti-cristico.
Caro Antonello, il non voler ricevere Gesù Eucaristico come
vogliono le autorità religiose che non credono più alla
presenza reale di GESU’ nella particola consacrata è
obbedire a DIO anzichè agli uomini (anche se di CHIESA).
Il voler obbedire agli uomini anzichè a DIO porta la
persona all’inferno eterno. Vedi l’episodio di ELIA.
ATTENTO!!!
Studio in seminario diocesano e sono accolito. Prima dell’epidemia davo la comunione eucaristica sulla lingua. Con l’epidemia hanno praticamente imposto la comunione sulla mano, ma io mi sono rifiutato di darla sulle mani (per il problema dei frammenti, per il gesto di per se banale, per la facilità dei furti, ecc.) e così non ho più esercitato l’accolitato. Solo che se non esercito l’accolitato distribuendo la comunione anche sulla mano, non posso procedere verso un eventuale diaconato. Cosa fare.
Nessuno può dirle “cosa fare”, carissimo.
Anche se sorge spontanea una domanda: non ha un confessore di santa vita a consigliarla? Un direttore spirituale di retta dottrina con cui confrontarsi su questioni tanto delicate? Spero non ne sia sprovvisto.
Ad ogni modo, lei scrive “solo che se non esercito l’accolitato distribuendo la comunione ANCHE sulla mano, non posso procedere verso un eventuale diaconato”.
Essendo attualmente un portatore dell’Eucaristia dovrebbe certamente conoscere il contenuto della circolare della Cei in merito alla distribuzione della Sacra Particola: non esiste nessun divieto a dare la Comunione sulla lingua! Ed al momento, sì, la Chiesa prevede che la Comunione si distribuisca ANCHE sulla mano: questo lo sapeva anche prima di entrare in Seminario, però. Non confonda la sua posizione con quella di noi fedeli!
Proceda, allora, verso il Diaconato – magari dopo aver chiarito coi suoi superiori, se si rende necessario per la sua coscienza (ma sia ben preparato!) – e di questa esperienza faccia tesoro una volta che sarà sacerdote…servo di Dio che amministra il Suo Corpo e il Suo Sangue e di cui un giorno le sarà chiesto conto!
In quanto a quei sacerdoti che negano al fedele la possibilità della Comunione sulla lingua sono purtroppo dei “mestieranti”, doppiamente disobbedienti e ostinati in una falsa prudenza contraria al bene delle anime e alla vita stessa della Chiesa. Non sono pastori e non amano il gregge: li prenda come utilissimo esempio da non seguire mai!
Spero di non averle creato una maggior confusione e di non averla fraintesa in qualcosa. Della sua testimonianza la ringrazio e la saluto ricordandola nella preghiera.
Carissimo, ogni tanto qualche persona mi chiede perchè
non ho studiato da prete. Senza precisare che dopo
tante preghiere sincere, ho intravisto la volontà di DIO
e ho obbedito,rispondo sempre che è stata una
GRAZIA. Anche le vocazioni possono essere, a volte,
tentazioni demoniache. Attento ai falsi direttori
spirituali.
NIENTE COMUNIONE IN BOCCA=SBERLA AL PRETE.
ALTRO DINIEGO=CALCIO NEL SEDERE AL PRETE.
COSI’ SI DEVE FARE!
Qualche domenica fa ho fatto la comunione eucaristica come al solito sulla mano e ho notato che mi era rimasto sulla mano un piccolissimo frammento di ostia, allora lo assorbii con la bocca, ma ho fatto questa riflessione, obiettivamente parlando non è detto che la comunione sulla bocca preservi o eviti che si creino dei frammenti che se non ci si accorge possono finire benissimo per terra, secondo, l’irriverenza o la sconvenienza non è solo nella forma esteriore ma anche nel cuore, nessuno può sapere chi riceve la comunione indegnamente.
Però faccio notare che anche se la comunione sulla bocca può incorrere in problemi di frammenti a maggior ragione chi la prende sulla mano e se la porta sulla bocca. Ma come se la porta alla bocca? In due mesi nel mio santuario alla prima messa della domenica si sono consumati sotto i miei occhi due sacrilegi, il primo di ritorno al banco passo davanti a mezza ostia che prendo e consumo sul posto, il secondo è assurdo, un uomo giovane che ha appena preso la comunione mentre si siede sul banco perde da sotto la mascherina mezza particola, io vidi la scena e anche una signora li vicino la vide, un minuto dopo finisce la messa raccolgo la mezza ostia e la consegno al celebrante.
Poi devo dire anche che se il sacerdote non ha un po di sensibilità e delicatezza durante la somministrazione della comunione in bocca rischia di creare dei problemi, mi è toccato più di una volta che l’ostia mi è stata letteralmente infilata in bocca e molti sacerdoti preferiscono darla sulla mano per evitare di farsi succhiare le dita.
Per non parlare poi di alcuni sacerdoti che l’ostia te la mollano sulla mano dall’alto.
Insomma che fare? Ci vuole più coscienza di ciò che si fa e non avere la fretta che di solito si ha perchè la ritualità di fine messa lo impone, purtroppo è un rito, ma quanti sono veramente coscienti di cio che è la comunione?
Per ultimo i sacerdoti potrebbero informare i fedeli sulla possibilità di poter fare anche la comunione sulla bocca normalmente come si faceva prima della pandemia, in alcune chiese la fanno ma in altre non viene detto.
Bisognerebbe riparare tutto questo pubblicamente.
Proprio oggi dopo aver letto questo articolo ho avuto la grandissima grazia di ricevere la SS. Eucarestia in bocca, da un sacerdote che normalmente la dà sulle mani. É stato un vero miracolo per me.
Carissima Benedetta, venga a Cagliari la prossima vacanza! Non è tutta così la Sardegna…
Ognuno di noi, nella follia del tempo da Covid, ha maturato una sensibilità spirituale che è diventata, poi, necessario percorso (di sopravvivenza!) e, per questa ragione soprattutto, non intendo certo arrischiarmi nei meandri delle coscienze altrui.
Dopo questa lettura, però, mi sembra doverosa una riflessione, per quanto personale e inesaustiva.
E’ giusto rifiutare il Corpo e il Sangue, l’Anima e la Divinità di nostro Signore Gesù Cristo, sotto le specie del Pane Eucaristico che per noi si offre, solo perchè la maggior parte degli ostinati ministri si rifiuta di donarLo nel modo pù consono?
Se dopo aver fatto valere – questo sì che è importante e fa la differenza – le nostre ragioni col Ministro di Dio ci vediamo negare quel che pur la Chiesa ha stabilito con la “Redemptionis sacramentum” – nello specifico, dal comma 88 al 96 -, di cosa siamo responsabili se subiamo la scelta del sacerdote di comunicarci alla mano contro la nostra volontà, chiaramente espressa in precedenza?
Nostra responsabilità, piuttosto, sarà di ricevere e accogliere Cristo con una coscienza il più possibile lavata dalle colpe, col Suo stesso Sangue, e resa ancor più umile dalla maggior attenzione e delicatezza cui ci si vede costretti ricevendoLo in un modo che non sentiamo giusto, benchè dalla Chiesa permesso.
Peraltro, ricevendoLo sulla mano, non è necessario toccarLo. Qualcuno Lo riceve su un piccolo corporale di lino bianco, qualche altro portandoLo direttamente alla bocca. Con estremo riguardo e sentimenti di adorazione ancor più vivi.
Ma, se il ministro è ministro ordinato della Chiesa e pronuncia rettamente la formula, come possiamo rifiutare il dono di quel Corpo, di quel Sangue, di quell’Anima e Divinità che è per noi?
Rifiutiamo Gesù! Questo, facciamo!
Inoltre, la Comunione Spirituale, benchè importantissima e valevole, tende – a lungo andare – a far percepire al fedele “debole” l’inutilità del Sacramento della Riconciliazione, già fin troppo dimenticato.
Ho l’impressione che siamo sempre troppo preoccupati della forma – pur necessaria e doverosa per rispetto a Dio, sia chiaro! – e molto meno della sostanza.
Non dovremmo piuttosto impegnarci in una conversione che ci costi qualcosa, che metta a nudo i nostri punti deboli per rafforzare la nostra volontà nel combatterli con la Sua grazia? Non sarebbe offerta gradita a Dio qualche sacrificio (di volontà, in primis), qualche fioretto; magari proprio per quei sacerdoti cui non importa più nulla della Salus Animarum?
Tutti in vacanza, tutti a trastullarsi chi in montagna, chi al mare, chi all’estero, preti compresi. Proprio come i niniviti…
Percezione del rigore del tempo presente: non pervenuta, perchè solo apparente.
Di un dolore “estetico”, poi, mi chiedo cosa se ne faccia Dio.
PS: Signora Benedetta, non è rivolto a lei il mio commento, che non intende mancarle di rispetto nè tanto meno giudicarla. Solo un pensiero generale, messo nero su bianco, conseguente al suo articolo e alle letture di questi giorni.
Gentile signora Benedetta, amo leggere i suoi scritti ma quando piange perché non trova chi le fa la Santa Comunione in bocca un pò meno.
Siamo appena tornati anche noi dalla Sardegna e domenica a Santa Teresa di Gallura il giovane parroco distribuiva la Santa Comunione indifferentemente sulla mano che in bocca.
Alcune fedeli La presero sulla lingua e inginocchiate sul pavimento.
Quando prossimamente tornerà da quelle parti tenga presente questa informazione.
Unico problema è che Santa Teresa di Gallura dista 50 km da Olbia.
Le faccio tanti auguri