Benedetta De Vito.La Sardegna, le Leggende e la Perdita della Fede

15 Luglio 2022 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, la nostra Benedetta De Vito offre alla vostra attenzione questa riflessione sulla Sardegna come era e come è, e quanto si è perso nel frattempo. Buona lettura.

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Mentre, riempiendo sacchi di ramaglie, vivo, più che in spiaggia, nel folto del giardino pieno di lentischi, olivastri, corbezzoli e mirti, strappando erbacce e rampicanti con le spine, ho tempo per pregare e poi per lasciarmi portare dal pensiero in volo veloce come il vento di levante, che mi dona la sua frescura durante la fatica. Penso, dunque, e mi chiedo: ma che cosa è cambiato nella mia Sardegna, come mai mi pare di registrare all’intorno solo cuori induriti (e punto sardi…) e una ferocia ardente che respira implacabile, pur in questa bellezza perfetta che è dono del Signore? Penso e mi chiedo: che cosa è accaduto in questo angolo di splendore, perché i sacerdoti non somigliano più al dolce Don Pala della mia fanciullezza? Risposte, così su due piedi, non me ne so dare e così, chino la schiena, e riprendo a strappare e a recitare le mie orazioni silenziose. Ma la Provvidenza, si sa, ha le sue strade misteriose per lumeggiare il cammino e per dar risposte certe e stabili. Tutta in Lui, decido di lasciarmi trasportare e di chiedere a Lui che tutto sa. Cambiamo scenario del palcoscenico ed eccomi al volante della mia Cinquecento in direzione San Teodoro, dove, bambina, andavo alla Santa Messa, appunto, di Don Pala (che tutti ricordano con affetto e nostalgia!) con la mia famiglia, stretta, tutta quanta numerosa com’era, nella Peugeot amaranto di mio padre.

Giro dall’orientale a sinistra ed entro nel drittofilo che porta al parcheggio comunale, quattro passi, un’occhiata alla chiesa in cui rumoreggiano gli operai addetti al suo restauro e sono in piazza. La mia meta è la Piccola libreria giardino, l’unica libreria di San Teodoro, dove ho appuntamento con Fabio, un bel tipo di sardo dell’oristanese. Sono arrivata e parliamo delle cose nostre finché decido che, per ringraziarlo di un certo favore, diciamo così, letterario, desidero acquistare un libro. Non che mi costi molto perché di libri ne ho sempre comperati a mazzi e via… Mi chino proprio dietro alla cassa dove sono ben allineati tutti i volumi e volumetti dedicati alla Sardegna e agli scrittori sardi. No, la Deledda, no, ho comperato al museo-casa natale due tomi alti cos’ dei suoi racconti, che sto leggendo con gran gusto. No, dai, cerco un libro sul costume sardo e, trovato un certo volumone pieno di figure colorate degli abiti tradizionali che rendevano stupende le Grazie di paese, capisco che non è quello che cerco perché a me interessa capire il codice segreto, il linguaggio misterioso dei vestiti che qui s’usava eccome. E forse in tutto il mondo e ora non più. Un salto con l’asta della elle e giù.

Cerco, cerco e non trovo. Le mani mie svolazzano da un tomo all’altro finché si fermano, proprio loro, le dieci dita insieme, su un librino dal titolo “Leggende e tradizioni di Sardegna”, editore Ilisso, autore Gino Bottiglioni. Sì, è questo! Lo giro e vedo che, al posto del prezzo, ha un rotondino autoadesivo in colore rosso. Nessuno lo vuole più, mi dico, e ho ragione perché me lo porto via per pochi soldi e sono contenta. Arrivata a casa scopro che Gino Bottiglioni era un glottologo e un antropologo carrarese e che, sul finire dell’Ottocento, aveva insegnato in giro per la Sardegna, invaghendosi dei paesaggi, di sa limba sarda, delle storie e di tutta la Sardegna presa insieme in un bel fascio di rose. Bello! Mi immergo, tenendo la cocca della mia domanda tra pollice e indice, e mi pare di camminare per sentieri ameni quando leggo che i miti e le leggende sarde, almeno per come lo scrive Bottiglioni, sono legate al cristianesimo. Avanti. Ecco, ecco il punto. Signore, ti ringrazio! Pagina 51, in fondo: “I sardi si accostano alla Divinità pieni di speranza”. E, poco prima, a pagina 50: “I Santi e persino la Divinità gli appariscono con quei caratteri umani che li avvicinano alla vita terrena e quindi la fede che anima un buon popolano è viva, accesa, le parole con cui si rivolge agli esseri soprannaturali sono dettate da un sentimento ardente”.

Ecco, ecco la risposta! La Sardegna – almeno qui dalle parti di Olbia dove il turismo ha mangiato il passato – ha perduto la fede, il rapporto con il Signore che non è cosa astratta, lontana, ma Presenza viva, schietta, stabile, limpida, meravigliosa. Sì, si è spezzato l’incanto, la modernità ha spazzato via il cuore sardo… Qui finisco e per concludere, e mostrare vivo e vero, in parole fresche come un prato innaffiato, quanto sopra ho scritto, copierò per voi una delle stupende leggende raccontate in lingua sarda (e tradotte in italiano ruscellanti, come uscite dalla bocca di chi le narrava, una certa Adelasia Floris di Nughedu S. Nicolò) e che si intitola: Sant’Antonio del fuoco: “Una volta nel mondo non c’era il fuoco e gli uomini avevano molto freddo. Per questo Sant’Antonio ne ebbe compassione e volle andare all’inferno a prendere il fuoco. Prese un bastone di ferula e andò alla porta dell’inferno e bussò e disse: “Apritemi che ho freddo e mi voglio scaldare”. Allora sono venuti alla porta tanti demoni e siccome hanno riconosciuto il santo, non hanno voluto aprire. Ma allora il santo, prega che ti prego, riesce a entrare e si pone accanto al fuoco, facendo finta di scaldarsi, ma intanto accosta al fuoco il bastone che, siccome era di ferula, prende fuoco senza che se ne fossero accorti i demoni. Il santo ha ragionato un poco con i demoni, dopo che gli è parso, se n’è andato e così ha portato il fuoco agli uomini”. Vorrei avere lo spazio per trascrivere anche la storia raccontata da Raimonda Farina di Ozieri, “Il racconto del diavolo e di Nostra Signora”, ma è tempo di chiudere il computer, metterlo a dormire e, io pure, andare a riposare, mentre il vento cala, il mare diventa una lastra di vetro, gli uccellini già dormono e anche il gatto Tigre è perduto nella macchia con i suoi nipotini…

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3 commenti

  • Faramir ha detto:

    “La modernità ha spazzato via il cuore…”
    Nessuna meraviglia che manchi il cuore nel mondo moderno.
    Si è dissolto assieme alla bellezza e alla verità.
    Bellezza, Bontà e Verità sono connaturate alla religione cristiana.
    Il mondo ci fornisce invece, in abbondanza, le sue nauseanti sconcezze, le sue infami perfidie e le sue mortifere menzogne.
    E ne va anche molto fiero!

  • Roberto ha detto:

    Mi ha fatto ricordare il ” mio” Argentario, dove, se perdevo le chiavi di casa, me le riportavano i carabinieri quando ancora non mi ero accorto di averle perdute.
    Oppure, al mattino prestissimo, si scambiava un buongiorno con Susanna Agnelli senza problemi di casta o di scorta armata.
    Altri tempi…la crescente malvagità portata a valore esistenziale esiziale ha distrutto l’ambiente umano del Monte ed anche la sua bellezza..
    Fortunato chi ha potuto assaporare quel ” clima”.
    I giovani non sanno neanche di cosa stiamo parlando e questo porta ad avere molta compassione per questi tempi orribili.

  • Chedisastro ha detto:

    Non v’è più isola felice al mondo perché le porte dell’inferno si sono spalancate e i demoni si sono sparsi ovunque.
    Forse adesso a Sant’Antonio la sua impresa sarebbe molto ma molto più facile…