Cannarozzo. Il 1848 è Stato Proprio un “Quarantotto”…
9 Giugno 2022
Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, Antonello Cannarozzo offre alla vostra riflessione questo ponderoso articolo sul 1848, e le sue conseguenze ancora oggi. Buona lettura.
§§§
Con il 1848, nascevano i mali del mondo attuale
E fu anche l’inizio del nostro Risorgimento…
Antonello Cannarozzo
Sono ormai entrate tra i modi di dire espressioni come: “Qui succede un ‘48” oppure “È scoppiato un ‘48” che menzionano qualcosa di tremendo, ma senza scomodare la numerologia, 48 sta per il 1848, un anno in cui avvenne un cambiamento epocale nella vecchia Europa, con ripercussioni in tutto il mondo.
Il ‘48 fu la grande vittoria della Rivoluzione, nella sua accezione più classica dove lo stesso nome evoca l’idea di ribellione e disordine contro l’ordine stabilito.
Fu così anche per noi italiani con l’epopea risorgimentale che ebbe il suo avvio in quell’anno, attraverso le sollevazioni avvenute un po’ in tutta la Penisola, fino alle famose ‘Cinque giornate di Milano’ che furono anche l’inizio della infelice ‘Prima guerra d’Indipendenza’.
Inizialmente, per affrontare questo capitolo, fondamentale per la nostra storia patria, sarà utile accennare cosa ha significato questo fatidico anno, non solo politicamente, ma da un punto di vista sociale, culturale e di costume.
Un anno che sarà la chiave di volta per comprendere i tanti avvenimenti che scompaginarono non solo il XIX secolo, ma i cui effetti si protraggono ancora fino ai giorni nostri.
Nel 1848 scoppiarono in maniera spontanea (in realtà ben organizzata dalle varie consorterie massoniche, ndr) una serie di azioni che infiammarono tutto il ‘vecchio Continente’ al grido di libertà e accendendo ovunque lo spirito di rivolta contro i governi, o meglio, contro il concetto di Stato pre-napoleonico e della conseguente Restaurazione.
Rivendicazioni patriottiche che in realtà nascondevano il classico ‘cavallo di Troia’ per far penetrare nella mentalità europea il virus della sovversione in una società ancora in maggioranza cristiana, pur nelle varie differenziazioni, per porre fine, secondo i suoi ispiratori, a quei valori ereditati fin dall’epoca medievale che avevano forgiato l’identità europea.
Fu una azione dichiaratamente di stampo anticattolico, definito quest’ultimo ormai obsoleto dalla nuova “classe intellettuale” e, dunque, fuori dalla storia.
Per questo fu ingaggiata una lotta senza quartiere contro l’autorità dello Stato Pontificio e del papa in nome dell’Unità d’Italia, come avvenne per Pio IX, con lo scopo di abbracciare la mentalità agnostica del tempo con la sua inutile pseudo-cultura.
Quell’anno fu definito da Karl Marx niente meno che la “Primavera dei Popoli”, un frase che ricorda, quasi due secoli dopo, le famose “Primavere di Arabe” di Barack Obama che sappiamo come sono finite, con l’instaurazione, dopo una lunga scia di sangue, di altre dittature.
Nulla di nuovo, dunque, sotto il sole.
I prodromi della Rivoluzione
Le cause che portarono al fatidico ’48 si fanno risalire, secondo alcuni storici, addirittura alla Riformaprotestante di Lutero che sconvolse l’Europa cattolica nel XVI secolo insieme a tutti gli equilibri politici del tempo, creando i presupposti per la sua divisione, viva ancora oggi, tra le forze liberali, figli, per semplificare, del protestantesimo, e quelle conservatrici e oscurantiste derivate dalla Chiesa cattolica, ultimo vero baluardo, affermiamo con forza, della Tradizione apostolica, almeno in quegli anni.
Correndo però, sulle ali del tempo, le cause più recenti che portarono alle numerose insurrezioni quell’anno, si possono certamente far risalire ad una data più vicina storicamente, ci riferiamo alla Rivoluzione Francese, senza la quale difficilmente tutto sarebbe potuto accadere nelle vicende europee, attraverso la sua tragica politica criminale con la sua immensa portata storica.
Seguendo questo filo narrativo, aggiungiamo che il ’48 fu suo degno figlio ideale perché segnò anch’esso e in maniera indelebile, la rottura improvvisa e definitiva con la società, insieme alla mentalità del suo tempo, e la fine dell’età della Restaurazione voluta ed auspicata nei lavori del Congresso di Vienna del 1815 dopo il ciclone napoleonico e della già menzionata Rivoluzione francese del 1789.
Ci si illuse allora, con una colpevole miopia politica, che tutto poteva tornare indietro di 26 anni, come con un semplice giro all’indietro delle lancette di un orologio, senza comprendere i mali che l’avevano generata e che, al di là delle forme esteriore, la sovversione, quella vera, era tutt’altro che vinta, anzi, come vedremo, aveva acquistato ancora più forza.
Fu quell’anno, la fine del sogno di Sovrani, ministri, intellettuali, alti prelati e ciò che rimaneva della nobiltà, che vollero credere di aver posto un limite invalicabile alle istanze sovversive, mentre era un meccanismo ben avviato da anni che poteva essere solo rimandato a tempi migliori, ma non certo fermato.
Una illusione che costerà loro, ed inseguito a noi tutti, assai cara.
Non si volle comprendere che ormai il mitico vaso di Pandora della rivoluzione era stato scoperchiato ed era impossibile richiuderlo se non con una guerra totale, tipo Armaghedon, oppure ritrovando i valori che avevano disegnato l’Europa in tanti secoli, ma il Continente non aveva più quella determinazione e quella forza dimostrata, ad esempio, nella Controriforma cattolica del XVI secolo, vero baluardo contro le forze distruttrici da cui era derivato il tragico scisma luterano, ma ormai i tempi erano cambiati e in peggio.
Si andava delineando quella mentalità malsana del mito nel “progresso” scientifico e sociale che ci portiamo ancora ai giorni nostri come un tragico fardello, dove l’idea di Dio non trovava più posto, considerato retaggio di una mentalità ignorante e oramai vinta davanti alle conquiste scientifiche, tanto da far apporre, all’inizio del secolo scorso, sulla chiglia della più grande nave dell’epoca, il Titanic, una scritta profetica “Nemmeno Dio può affondarla” e la storia ci ha raccontato come è andata a finire.
Il falso mito della libertà
Un altro aspetto fondamentale delle rivoluzioni, almeno secondo una certa vulgata, è la partecipazione dei popoli alle rivoluzioni per liberarsi dalle catene dell’oppressore prima di tutto che, seguendo la cronologia storica, inizia chiedendo la testa dei nobili, poi dei borghesi e infine del popolo stesso per ricreare una nuova élite quasi sempre più crudele di quella contro la quale si era combattuto, come nel libro, sempre attualissimo, di George Orwell ‘La fattoria degli animali’.
Un meccanismo ideale, dove la partecipazione popolare fu assai limitata, come avremo modo di affrontare in seguito, e che ritroveremo poi nello svolgimento del nostro Risorgimento, fatta salva la retorica patriottarda.
Argomenti che se non tolgono nulla allo svolgimento della storia, vanno comunque analizzati in maniera più attenta per capire chi volle realmente non l’Unità d’Italia in quanto tale, ma questo tipo di Unità.
A meno di non essere inguaribili ingenui, è difficile pensare ai numerosi moti insurrezionale avviatisi in quello stesso anno come movimenti spontanei, senza alcuna regia, con rivolte che spesso avevano pure finalità differenti, ritrovate come in un tragico appuntamento rivoluzionario proprio in quel preciso anno della storia; insomma, una bomba ad orologeria innescata pronta a scoppiare ad un ora stabilita.
Certo, quando si dice le coincidenze!
Bisogna capire che, come detto in precedenza, il 1848 è un momento importante, forse più di quanto finora non si è valutato della storia anche nel secolare processo rivoluzionario anticristiano, contraddistinti da princìpi ideologici, rivoluzionari nella loro essenza, ordinati in due elementi scaturiti proprio dalla Rivoluzione Francese: il liberalismo ed il socialismo.
Fu liberale nei suoi ideali, in coloro che lo attuarono con lo scopo dell’idea di sovranità nazionale in contrapposizione a quella della Monarchia per grazia divina e di sacralità del potere politico, tramite movimenti nazionalisti ed indipendentisti e fu ugualmente socialista nei suoi presupposti di rivoluzione sociale come lo testimoniano i moti parigini nel febbraio e giugno di quell’anno derivate in parte dalla pubblicazione del Capitale diMarx ed Engels.
In ambito italiano queste rivendicazioni socialiste non trovarono apparentemente una loro identificazione estremista, tutto il nostro Risorgimento fu guidato da forze che oggi possiamo considerare politicamente moderate, ma ciò nonostante anche se tutta la corrente mazziniana non approvava le istanze proposte da Karl Marx, tanto da scomparire nel lessico risorgimentale, lo stesso Giuseppe Mazzini, insieme ad altri patrioti, non rinnegarono mai queste idee e le richiesta che venivano da una parte della società, ma da buoni politici subordinarono questi programmi alle necessità storiche immediate, come la sospirata Unità d’Italia, tanto da favorire l’appoggio, loro fieri repubblicani, alla dinastia dei Savoia, pur di raggiungere i loro scopi.
Tali compromessi politici erano anzi, i presupposti indispensabili per la futura rivoluzione repubblicana e mai sopita socialista, che avrebbe posto il popolo finalmente sovrano al posto dei vituperati Re cattolici.
Secondo l’insegnamento che il noto pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira ha impartito nella sua più celebre opera, ‘Rivoluzione e Controrivoluzione’ il 1848 fu per l’Italia una Rivoluzione “completa”, asserendo che ogni rivoluzione si evolve sempre in tre livelli speculativi: le tendenze, le idee, i fatti, e ognuna è presupposto della seguente, una tesi ancora oggi attualissima.
I movimenti insurrezionali, come accennato, erano concepiti per abbattere i vecchi governi della cosiddetta Restaurazione e per sostituirli con governi liberali non più retaggio delle monarchie assolutiste, ma composti da un libero Parlamento e, dunque, da tanti gruppi di potere, sotto la parvenza, già accennata, della solita e abusata parola libertà.
È vero che dopo i fatti del 1848 e con l’iniziale fallimento delle varie insurrezioni, ci fu una breve momentanea e ingannevole restaurazione che ristabilì un ordine apparente tra gli Stati, ma rimandò solo per qualche anno la minaccia liberal-socialista, che veniva già denunciata dalla vecchia classe dirigente.
Ed è proprio in questi anni così tumultuosi che prorompe quella che sarà celebrata come la Rivoluzione Industriale che avrebbe cambiato in meglio, almeno negli ideali, il vivere quotidiano degli uomini anche per le future generazioni, ma ponendo nello stesso tempo le basi per l’impoverimento morale e a volte anche economico dell’Europa e della sua civiltà, come viviamo anche ai giorni nostri.
Un suicidio collettivo della civiltà europea attraverso la fine degli Stati cattolici arrivando, settant’anni dopo, all’instaurazione all’avvento del comunismo.
Niente male come successo di una visione politica di progresso e di libertà!
La grave crisi economica
In questo ambito il progetto ideale si poté sviluppare e trovare anche una certa partecipazione popolare a causa della profonda crisi economica che proprio in quegli anni attanagliava il vecchio Continente.
Le campagne europee, che occupavano oltre il 70% della mano d’opera agli inizi del XIX secolo,erano state flagellate dal 1847 al 1849, da forti piogge che causarono grandi inondazioni con inevitabili distruzione dei raccolti agricoli di intere nazioni con l’aggiunta di gravi infestazioni di parassiti.
Un esempio di questa tragedia fu la peronospora che colpì prevalentemente la coltivazione della patata, fonte di vita per nazioni, specie del nord Europa come l’Irlanda, distruggendo la maggior parte dei raccolti e procurando una carestia senza precedenti, almeno recenti, per il Continente, causando, come se non bastasse, diverse epidemie tra cui il tifo, la dissenteria e lo scorbuto.
La gente, raccontano le cronache del tempo, moriva a decine di migliaia, e gli equilibri garantiti dalla nuova Restaurazione cominciarono a crollare davanti a questi nuovi scenari come un castello di sabbia per l’incapacità di risolvere queste emergenze, ma non solo.
La crisi agraria generò, infatti, una caduta della domanda dei beni di consumo che incisero negativamente sul settore industriale già colpito da una sovrapproduzione, sconosciuta fino ad allora, che aveva provocato un ribasso dei prezzi con il conseguente licenziamento di migliaia di lavoratori.
Un insieme di fattori drammatici che permisero, proprio in quel fatidico anno, il successo destinato a fare la storia, non solo in Europa, ma del mondo intero, il già citato ‘Manifesto del partito Comunista’, che avrebbe permeato le ideologie politiche nei secoli a venire contro lo Stato borghese e con l’illusione, e tale è rimasta, di una società comunista, senza più classi e dove tutti avrebbero raggiunto la felicità, ovviamente, rigettando i valori religiosi definiti dallo stesso Marx: “L’oppio dei popoli”.
Mai illusione, come dimostra la storia, fu più tragicamente sbagliata.
Un insieme di fattori che permisero di sviluppare varie azioni rivoluzionarie un po’ in tutta Europa e incisero soprattutto nella nostra storia italiana con ben tre guerre di indipendenza, in nome dell’Unità d’Italia, in appena vent’anni.
Con una crisi economica devastante non era certo difficile dare il via alle polveri, nel senso letterale e nei primissimi giorni di quell’anno fu la Sicilia, dominio dei Borboni, ad aprire l’epopea delle rivolte.
Il 12 gennaio, nell’ isola, cominciarono i primi moti insurrezionali che avrebbero dato vita in pochi mesi, ad altre esplosioni rivoluzionarie in diverse città europee.
L’azione destabilizzante si sviluppò soprattutto a Palermo sotto l’egida dalle varie logge massoniche con le prime azioni dei ribelli che risultarono subito vincenti potendo attuare dapprima il distacco politico dell’isola dallo Stato borbonico e subito dopo, il 29 gennaio, il Comitato rivoluzionario, appena insediato, dichiarò decaduta anche la stessa monarchia ripristinando la vecchia Costituzione del 1812, abrogata dal re Ferdinando II di Borbone, ed instaurando la Repubblica siciliana.
Una esperienza che durerà poco meno di un anno, già il 14 maggio del 1849, venne definitivamente sconfitta con il ritorno sull’isola del Regno delle Due Sicilie, ma la miccia accesa a Palermo, come accennato, incendiò un po’ tutta Europa.
Le rivolte nelle capitali europee
Il 22 febbraio Parigi, con la stessa partitura rivoluzionaria, il re Luigi Filippo fu costretto, dopo duri scontri, ad abdicare dando l’avvio alla nascita la Seconda Repubblica.
Lo stesso schema insurrezionale accadde a Vienna, il 13 marzo, dove l’imperatore Ferdinando I fu costretto a concedere la Costituzione per poi, si disse per la vergogna per aver ceduto ad un simile atto, abdicare in favore del nipote Ferdinando Giuseppe che a sua volta, pochi anni dopo, dovette lasciare il trono, per problemi di salute, a suo nipote, il famoso Francesco Giuseppe.
Seguiranno ancora rivolte a pochissimi giorni di distanza: il 19 marzo ci fu la rivolta di Budapest per l’indipendenza dall’Austria, quella di Praga e ancora in Prussia per l’unificazione della nazione tedesca.
Se questo accadeva in Europa, l’Italia era diventa, a sua volta, una vera fucina di rivolte.
Dopo quella di Palermo, lungo tutta la Penisola, seguirono ai primi di febbraio la promulgazione dello Statuto Albertino e la concessione di costituzioni nel Granducato di Toscana e nello Stato Pontificio, oltre all’esperimento costituzionale nel Ducato di Parma.
Avvenimenti che fecero salire la tensione anche a Milano che, insieme a Venezia, rappresentava il Regno del Lombardo-Veneto, ma sotto l’egida del governo di Vienna.
La storiografia ufficiale tende a descrivere questi moti come conseguenze spontanee di rivolta dei popoli oppressi uniti in un alito inarrestabile di ribellione in nome della solita libertà (mai nome fu più abusato, ndr).
Tolta questa immagine oleografica, specialmente per quanto riguarda il nostro Risorgimento non troviamo mai, come già accennato, una vera iniziativa popolare, ma sempre di una ristretta élite che cerca, a suo uso e consumo, il mitico “consenso delle masse” come ritroviamo nelle analisi di Karl Marx.
Una storia già sperimentata in passato come fu per la Rivoluzione partenopea a ridosso di quella francese nel 1799 che, come osservò lo storico Vincenzo Cuoco, coevo a quegli avvenimenti, fu sconfitta non tanto dal governo borbonico, ma dall’assenza di una vera e convinta partecipazione popolare.
La rivoluzione fu voluta e combattuta da una ristretta cerchia di nobili e intellettuali, definita dallo stesso Cuoco “la rivoluzione passiva”, un termine che si riproporrà anche per il nostro Risorgimento, specialmente con le analisi di Antonio Gramsci che aprì un dibattitto molto serrato sulla nostra storia patria, a suo dire, non ebbe mai un vero consenso popolare, per non parlare dei cosiddetti plebisciti a cui potevano partecipare solo una assai ristretta cerchia di persone e spesso soggette a manipolazioni.
A questo punto può sorgere una domanda: se le grandi masse popolari non parteciparono concretamente alla nascita della nuova Italia, a differenza di ciò che leggiamo sui libri della vulgata risorgimentale, come poté svilupparsi allora un movimento così importante da coinvolgere nazioni e relativi governi in una battaglia ideale senza esclusione di colpi?
La risposta è certamente nel ruolo della Massoneria, la “bestia nera” di re e di Papi per almeno tre secoli che, grazie alle varie logge e altre società segrete, riuscirono a coordinare una rete di rapporti per attuare le varie rivolte in tutta Europa.
È noto che le figure più importanti del nostro Risorgimento erano tutte legate direttamene o meno alle varie consorterie segrete di ispirazione massonica come troviamo anche tra i francesi, ungheresi o tedeschi.
D’altronde appartenevano a società segrete, vedi la Carboneria, personaggi di spicco come Mazzini o Garibaldi, incidendo notevolmente non solo sugli eventi storici, ma anche di costume.
La guerra contro l’ordine sociale
Forse, senza la Massoneria avremmo avuto un altro tipo di Risorgimento e di Unità d’Italia, ma sta di fatto che questi gruppi uscirono dall’ombra della segretezza per fare la Rivoluzione non solo con le armi in pugno, ma anche con agguati, attentati e con una propaganda capillare assai convincente.
Insomma, dei veri rivoluzionari che non si facevano molti scrupoli morali: l’importante era arrivare allo scopo prefissato.
Con gli occhi della storia, il 1848 non fu certo per costoro un successo.
Anche se tutte le rivolte finirono nel sangue e nel ritorno dei precedenti governi, ma, ciò nonostante, l’apparente fallimento, in realtà si trasformò in pochi anni in una vittoria di ampio respiro, perché, al di là di una superficiale considerazione epocale, questo anno fatidico non può essere visto solo come un anno di sconfitte, sia pure con una breve restaurazione, perché, in una disamina degli avvenimenti, scopriremo che esso fu semplicemente un periodo di incubazione della futura sovversione e, leggendo la storia, i successi furono alla fine assai maggiori e più duraturi delle sconfitte.
Come ad esempio la caduta, già citata, del Luigi Filippo d’Orleans in Francia dette l’avvio alla seconda Repubblica e dopo un breve secondo Impero, la nascita della Terza Repubblica di stampo prettamente massonico e indiscutibilmente anticristiano.
Altro tassello importante furono i fatti tedeschi con l’emergere tra tanti Stati proprio della Prussia protestante su quelli cattolici imponendo anche qui con la famigerata Kulturkampf, la vergognosa lotta contro i presunti privilegi della Chiesa cattolica nella Germania di Otto von Bismarck, dal 1871 al 1879, con la seguente nascita dell’imperialismo tedesco: una mentalità che arriverà fino al secondo conflitto mondiale.
E ancora la caduta del Metternich in Austria segna simbolicamente la fine dell’età della Restaurazione, inaugurata solo pochi anni prima durante i lavori del Congresso di Vienna, seguita dalla separazione magiara dall’Austria e, soprattutto, la nascita dei nazionalismi balcanici, causa tutt’altro che accidentale, della tragedia della Prima Guerra Mondiale e, quindi, della stessa caduta dell’Impero degli Asburgo.
Con la stessa sceneggiatura di questi movimenti, la storia si ripeté anche in Italia con la guerra dei Savoiacontro le forze cattoliche e qui, mi sia consentito ricordare il martirio di Pio IX e di tanti santi sacerdoti e religiosi cattolici in un periodo pieno di odio verso Dio e il suo Vicario che si protrasse per molti anni.
Non ultimo, in questo clima anticattolico, la temporanea, ma dolorosa sconfitta dello Stato Pontificio da parte di agitatori come Saffi, Armellini e Mazzini che riuscirono ad istituire la Repubblica Romana, per la quale Pio IX fu costretto a riparare a Gaeta sotto la protezione dei Borboni.
Ci sarebbe certamente tanto da scrivere ancora su ciò che accadde in questo fatidico 1848, ma in conclusione, come nel mito alchemico dell’athanor, quest’anno in particolare fu la fucina dove vennero elaborate idee ed azioni che certamente andrebbero approfonditi, non per una mera storiografia, ma per comprendere meglio gli avvenimenti della nostra attualità in tutti i suoi aspetti, specialmente i più controversi che stiamo vivendo.
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Tag: 1848, cannarozzo
Categoria: Generale
Ottima analisi sul 1848, quella del Cannarozzo;
sarebbe utile completarla con quello che viene definito “interventismo” del 1915, costato milioni di morti, per abbattere i grandi imperi cristiani occidentali, con le odierne conseguenze morali, civili e soprattutto religiose.
Prof. Cannarozzo, tutto vero: “secolare processo rivoluzionario anticristiano”; “princìpi ideologici rivoluzionari scaturiti dalla Rivoluzione Francese: il liberalismo ed il socialismo”; e soprattutto “il ruolo della Massoneria”.
Ma il clero e gli ordini religiosi (nessuno escluso), quale ruolo giocarono? In Sicilia nel ’48 i Consigli Civici accolsero schiere di sacerdoti! Al seguito di Garibaldi, poi, ad accogliere i “mille e rotti” e ad animare i “picciotti” furono preti e frati (chissà perché, francescani soprattutto)!
Se 1848 immagine di… quarantotto… duemilaventi si configurerebbe come autentica… apocalisse… di menti di corpi di prevaricazione di inganno di terrorismo psicologico di stragi premeditate ed attuate…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/