Benedetta De Vito, i Santi di Roma Eterna. Visita a San Pancrazio.

19 Maggio 2022 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, Benedetta De Vito ci offre questo viaggio dentro Roma sulle orme dei santi. Oggi, ci parla di San Pancrazio. Buona lettura.

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Sveglia alle cinque della mattina, mentre pian piano il cielo si fa biondo di luce, eccomi, alle sei e quindici, sull’autobus 75 che mi porta, in “odissea” (come la chiama mio marito, che pisolava ancora e parlava come da una nube) dai Monti fino a Monteverde vecchio, dove ho un appuntamento spirituale, alla messa delle 7 e 30, con un Santo giovinetto e martire, forte di fierezza cristiana, fermo nel cammino del Signore, un esempio che scintilla e luccica nel grigiore dei tempi in cui viviamo.

E li vedo, in disordine e sporcizia, i nostri tempi in cumuli di rifiuti, nelle sconce scritte che screpolano di bruttura i muri dei bei palazzi romani, nei troppi monopattini che ingombrano i marciapiedi, nei pollaietti circondati da indecenti plastiche arancioni che coprono buche, scalini smangiati, rotti acciottolati, percorrendo come in un taxi soprelevato (la vettura è vuota infatti e ci sono soltanto io e senza mascherina), una Roma che si sveglia triste perché trascurata e sporca e lasciata alla malora. Allora che cosa faccio? Chiudo gli occhi, tiro fuori il mio Rosario e prego.

E mentre scendo quaggiù d’un rigo dabbasso, l’autobus fila nelle strade ancora sgombre,  e io – terminate le Ave Marie i Pater e i Gloria – riapro gli occhi e m’accorgo che l’autobus non fa più la strada del somaro, cioè quella che conosco, e ora è davanti all’Ospedale  San Camillo, quindi balzo in piedi e corro dall’autista che mi rassicura. “Ecco, signora, siamo già ai Quattro Venti”. Oh, certo, inizio ad annusare l’intorno e mi par di ritrovar la quiete del verde Monteverde.

Scendo con una signora che mi indica il cammino, ma io lo so perché al Teresianum, molti e molti anni fa, ho trovato il tesoro del mio secondo accompagnatore spirituale, un carmelitano. Eccomi arrivata, mentre trovo anche qui, purtroppo, il pattume, le scritte, ma non i monopattini (ed è già qualcosa). Guardo l’ora e sono le sette appena. Passato l’arco che separa la strada dalla Basilica, il cuore si siede su un divanetto verde di foglie e fiori. Mentre un gruppo di sorelle fotografa i pappagalli sui rami, io resto seduta ad attendere che le porte della chiesa s’aprano per me e cerco di cancellar tutta la bruttura che ho veduto ricoprendola con la bellezza attuale. Davanti alla Basilica, intitolata al Santo Martire, a mano destra un’opera pia, sulla destra c’è una stupenda grotticina di Lourdes che fotografo, e naturalmente, preceduto da un vasto prato l’Università intitolata a Santa Teresa d’Avila.

S’aprono le porte, finalmente, ed entro, mi pare, nel lucente, splendido e perduto Medio Evo. La Chiesa è tanto semplice, spoglia eppure grandiosa e il cuore palpita, mette le ali e l’anima trova la quiete e il ristoro che, nel mondo, aveva perduto. Tutta quanta mi inginocchio in gratitudine perché mi pare di aver lasciato fuori dal portone sconcerto, vergogna e dispiacere provocati dall’incuria in cui i nostri governanti tengono la mia dolce Urbs Eterna. Davanti all’altare, una suora in abito – credo – carmelitano, in adorabile precisione, sistema i fiori e le candele per la Santa Messa che sta per cominciare. Le vado incontro per ringraziarla e le chiedo il nome che è Suor Michelina, ma detto in polacco e non lo so scrivere qui.

Sorride e sorride anche un fedele, come me, che assiste alla Santa Messa e mi dice, allegramente, che qui posso prendere la Santa Particola sulle labbra come ai tempi belli, appunto, del medioevo! Ma questo è un dono grande di Pancrazio! Lo ringrazio e lo guardo, bellissimo, che mi illumina tutta la persona visibile e invisibile dal leggio, dove appare come un adolescente snello, col cuore ardente, in agile postura, invitandomi alla devozione. E a questo punto mi sdoppio perché ci sono io che sento, felice, la bella Messa quasi cantata dal carmelitano (che proprio oggi festeggia i suoi 25 anni di ordinazione, auguri!) e sempre io che vi racconto del giovane Pancrazio, tutta forza, che, infatti, ebbe la forza persino di tener testa all’imperatore Diocleziano, il quale, pur ammirandolo, lo fece decapitare.

Cito qui dal sito santiebeati.it: “Anche Pancrazio fu chiamato a sacrificare, per esprimere la sua fedeltà a Diocleziano, ma rifiutandosi fermamente fu allora condotto dinnanzi all’imperatore stesso per essere giudicato. Diocleziano, sorpreso “dall’avvenenza giovanile e bellezza di lui, adoperò ogni arte di promesse e minacce per fargli abbandonare la fede di Gesù Cristo” (da un manoscritto conservato nella Basilica di San Pancrazio). Tutto vano. Nulla può far cambiar partito, rotta o passo a chi ha scelto di seguire, vicin vicino, il Nazzareno, sotto la Sua Croce Santissima.

Pancrazio, nato nel 289 dopo Cristo, era di bell’aspetto, di famiglia molto nobile e veniva dalla Frigia, cioè dalla Turchia. Orfano di padre e di madre, fu portato da uno zio a Roma, dove conobbe il cristianesimo e la salvezza. La sua Santa testa è conservata proprio qui, nella Basilica, che è il luogo dove fu decollato. Chiudo gli occhi in ammirazione e mi vergogno di me, di quando a volte, non so essere abbastanza forte da urlare il mio no al mondo che mi vuol trascinar via all’uncino della vanità. Pancrazio, caro, aiutami tu! Ecco, la Messa è finita, torno sui miei passi non prima di aver comperato il pane nel panificio unico – il migliore di Roma – di via dei Quattro Venti, dove il profumo croccante delle bontà del forno e la simpatia di chi lo vende mi fa pensare a un’altra Roma, a una Roma semplice, genuina dove mi piacerebbe abitare e dove anche San Pancrazio potrebbe vivere felice.

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