Aurelio Porfiri Commenta il Canto: “Guarda questa offerta”, e l’offertorio.

17 Febbraio 2022 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il maestro Aurelio porfiri nel suo pellegrinaggio critico fra la musica che si sente cantare e suonare nelle chiese, si dedica oggi a un canto che di sicuro avrete incontrato nella vostra pratica religiosa. Buona lettura, e meditazione…

§§§

 

“Guarda questa offerta”, e l’offertorio

Ho già riferito delle difficoltà con i canti d’offertorio nella Messa novus ordo, una difficoltà acuita anche dal fatto che per l’offertorio non è fornito un’antifona, come accade per introito e comunione. Esiste nel vetus ordo ma non è stata più fornita in tempi recenti. Onestamente, non che questo oramai faccia enorme differenza anche perché le antifone di introito e comunione non sono comunque più cantate nel 99% delle celebrazioni novus ordo. A me non è mai capitato di sentirle cantare in lingua volgare se non quando collaboravo con la Radio Vaticana.

Tra i canti usati all’offertorio in sostituzione di una propria antifona il più popolare è probabilmente Guarda questa offerta, nato in ambiente focolarino grazie a Nino Mancuso, uno dei fondatori del Gen Rosso, virtuoso della fisarmonica e persona con cui ho collaborato in una vita precedente, godendo della sua amicizia. Devo ripetere qui quello che ho detto per altri canti provenienti dal Gen rosso, cioè che come qualità di testi e musica sono certamente sopra la media della paccottiglia che spessomci viene propinata anche se sono canzoni di ispirazioni religiosa, non canti liturgici. Vediamo il testo di Guarda questa offerta:

Guarda questa offerta
guarda a noi Signore.
Tutto noi t’offriamo
per unirci a Te.

Nella tua Messa
la nostra Messa!
Nella tua vita
la nostra vita!
Nella tua Messa
la nostra Messa!
Nella tua vita
la nostra vita!

Che possiamo offrirti
nostro Creatore?
Ecco il nostro niente,
prendilo Signore.

Nella tua Messa
la nostra Messa!
Nella tua vita
la nostra vita!
Nella tua Messa
la nostra Messa!
Nella tua vita
la nostra vita!

Salga questa offerta,
Padre, a te gradita
Tu ci unisci in Cristo
accendi in noi l’amore.

Nella tua Messa
la nostra Messa!
Nella tua vita
la nostra vita!
Nella tua Messa
la nostra Messa!
Nella tua vita
la nostra vita!

Certamente tutti avrete sentito almeno una volta questo canto. La melodia di sapore modale è abbastanza dignitosa e cantabile con una certa facilità, ma del resto in questo senso abbiamo già detto che gli autori del Gen Rosso sanno il fatto loro. Per il testo ci sarebbero dei problemi. L’offertorio è il momento della presentazione del pane e vino che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo. Questo è affermato chiaramente nell’OGMR. Ma in questo canto di pane e vino non si parla proprio e al centro viene messa l’assemblea che offre tutto per unirsi al Signore. Non si capisce bene che valore abbia qui quel “tutto”. Sembra che eliminando la menzione del pane e del vino il focus divenga l’offerta dei fedeli, e credo che questo non sia in linea con quello che l’offertorio significa. Poi che significa dire “nella tua Messa, la nostra Messa, nella tua vita, la nostra vita”? Non c’è una nostra Messa, ma l’unico atto di culto della Chiesa a cui noi siamo chiamati a partecipare. A me sembra che questo canto confonde il senso dell’offertorio, già tanto travagliato nel dopo Concilio, mettendo ancora al centro i fedeli rispetto all’atto sacro che si compie, rinforzando,la concezione antropocentrica della liturgia che da vari decenni è molto di moda.

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12 commenti

  • Rolando ha detto:

    “Nella tua messa la nostra messa”.
    Secondo il mio modesto parere, tutto sta nel significato semantico dell’uso dell’antico termine latino “missa”. Si è scritto molto in proposito. Se il significato volesse dire:[sacrificio] “consumato: andate!” Ite missa est, risulta chiaro che al sacrificio del corpo e del sangue di Cristo, il credente ha unito nell’offerta e consumato anche il proprio sacrificio, cioè tutto, pane e vino compresi, frutto del lavoro e sostentamento quotidiano. Io propendo per questo significato perché un’azione sacrificale è completa solo con la sua consumazione. E questa la deve annunciare il Sacerdote sacrificante, in persona Christi, come avvenuta, prima di dire “ite”.

    • MARIO ha detto:

      Postilla.
      Le gocce d’acqua, aggiunte nel calice prima dell’Offertorio, significano la nostra com-partecipazione al Sacrificio di Cristo. La “nostra Messa”?
      Gocce d’acqua a significare le LACRIME dell’uomo, il dolore umano con funzione espiativa e redentiva, unite al SANGUE redentore del Cristo, anche se con questo solo minimamente assimilabili.
      (Questa, in sintesi, la spiegazione di Gesù agli apostoli nell’opera di Maria Valtorta).

  • Paolo Mayer ha detto:

    Triste ricordo di una infanzia in cui andavi a Messa sospirando il momento della fine. Purtroppo gli avvisi parrocchiali ritardavano il momento della liberazione. A cosa abbiamo ridotto la S. Messa… Poveri noi. Ancora oggi faccio fatica a liberarmi da questa sensazione, altro che partecipazione attiva! Signore salvaci! Aveva ragione Don Divo Bardotti!

  • Enrico Nippo ha detto:

    Eppure quel

    “tutto noi t’offriamo”

    e quel

    “ecco il nostro niente”

    presentano due motivi complementari piuttosto interessanti.

    Per chi volesse impegnarsi in una serie introspezione, s’intende.

    • arrendersi all'evidenza ha detto:

      Stimolante la riflessione del maestro Porfiri e sapido come sempre il nostro Enrico.

      Restando al testo del canto (ritornello a parte) le strofe presentano una progressione: PRIMA ecco la nostra offerta: ti offriamo tutto per unirci a Te POI che cosa possiamo offrirti? ecco il nostro niente INFINE salga a Te questa offerta a Te gradita, Padre, ci unisci in Cristo e accendi in noi l’amore.

      Un po’ comodo, no? In teoria ti do tutto, in pratica niente, però l’offerta Ti è gradita e quindi facciamo comunione in Cristo. Cristo chi?
      Il Cristo che in quel momento offre se stesso in sacrificio crocifisso?
      O il commensale più importante di una cena che ci vede invitati senza portare nemmeno i pasticcini?

      Come la luna non sarebbe luminosa se non riflettesse la luce del sole, così l’assemblea può solo far da riverbero della Luce che non ha. Il Soggetto che conta (la Sua Messa) permette il riflesso, la “nostra” messa. Il secondo non sussiste senza il primo (e non sono le portate della mensa!).

      Per essere figli nel Padre, all’offertorio si fa comunione con il sacrificio (corpo e sangue, pane e vino) del Figlio, il Logos. Che cosa possiamo offrire noi? Almeno l’adesione alla legge che è riflesso del Logos (la legge riflette la volontà di Dio, ma no è Dio). Almeno la persecuzione che costa nel mondo essere coerenti con la Legge. Se no è comodo: si è mondo, ma si fa comunione? E’ un po’ come l’inesistente, assurdo, “diritto al perdono”?

      Gesù dice che non è la legge a salvare, ma Lui, La Verità, il Verbo incarnato, non è venuto a modificare nemmeno uno iota della legge che Dio consegnò a Mosè.

      Ecco il ruolo dichi riflette luce non sua.
      L’assemblea, la luna, la legge… è lì per fare comunione con la fonte della Luce, offrendo “tutto” e non “niente”.

      Altrimenti allo specchio, concentrati sull’immagine riflessa, si finisce con l’andare dalla parte opposta: nello specchio non tocco la realtà che vedo (con la destra e la sinistra invertite e ciò che pare andare in una direzione sta andando nell’altra).

      NEC VIDEAR DUM SIM

      L’immagine allo specchio narcisisticamente gode della vista del mondo, apparendo.
      Il fuoco vero riceve dal Padre la Verità sancita dal sacrificio: l’alimento per continuare ad ardere a gloria di Dio.

      • Rolando ha detto:

        Caro Arrendersi all’evidenza, con quel “diritto al perdono” ti riferivi forse a queste testuali precise parole del 06.02.22 circa le 21,47: “Il diritto umano di essere perdonati”.
        Inoltre anche: “Sotto ogni tipo di rigidità c’è putredine” ed il riferimento al clericalismo pure ovvio.
        Ma lasciando il problema della Teodicea a parte, da dove umanamente posso derivare il diritto ad essere perdonato? Dalla natura umana? E se un mio simile, nonostante ogni mio pentimento e riparazione del riparabile, non volesse di fatto ed in cuor suo mai e poi mai perdonarmi, preferendo piuttosto morire e di fatto morendo senza perdonarmi, dove lo trovo il diritto umano al perdono? Ho pensato al ” et dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus ” ma questa sembra essere una verità dogmatica della teodicea, piuttosto che un diritto da reclamare alla natura. Vale per il credente. Cioè lo potrei pretendere solo dall’uomo credente e di fede, pena la sua stessa condanna al non perdono. Ma posso solo ricordarglielo con tatto e gentilezza e nient’altro.

        • Rolando ha detto:

          Ah, dimenticavo. Sono state pronunciate anche queste tre parole ” relativizzare le cose “. Intelligenti pauca. Il senso dell’umorismo appartiene all’uomo normale, cioè nella norma secondo la legge di natura.

      • Enrico Nippo ha detto:

        Il tutto che si offre è quello del mercante che vende tutti i suoi beni (i suoi attaccamenti) per comprare la perla preziosa. La qualcosa richiede un atto interiore eroico, quindi tutt’altro che teorico.

        Il niente si riferisce al tutto che si offre, il cui valore è niente se paragonato a quello della perla. Ciò che, oltretutto, rende gratuita la perla preziosa, dal momento che non c’è nessun pagamento che possa ambire al suo acquisto.

        • arrendersi all'evidenza ha detto:

          Beh certo, lo avevo capito, ma mi ha dato modo di leggerlo altrimenti. Tutto ciò che nasce ambiguo si porta dietro dell’ambiguità, come chi tiene il piede in due scarpe.
          Il vendere tutto per la perla del campo è un po’ più radicale. Allora capisce che il suo tutto non vale niente rispetto all’infinito di Dio che si apre e mi accoglie.
          Diverso da chi non rinuncia a niente, ma vuole tutto.
          Purtroppo ultimamente una certa chiesa è così.

  • Mimma ha detto:

    Ancora una volta concordo con lei, Maestro.
    Neanch’io ho mai capito bene quel verso ” nella tua messa la nostra messa ecc..
    Forse , mi dicevo l’altra sera, l’autore intende dire che l’offerta di Cristo diventa anche la nostra offerta.
    Che nella Sua vita è compresa e offerta la nostra…
    Ma mentre Lui , offrendo se stesso al Padre, offre il tutto, noi possiamo offrirgli solo la nostra miseria.
    Fatto sta Che, mentre tutti i fedeli cantano l’intero canto, io biascico solo ” ecco il nostro niente; prendilo Signor…”
    ognuno ormai, nello sfascio generale si arrangia come può e come sa.
    Grazie sempre

    • Giorgio ha detto:

      A me sembra che si stia discutendo di un problema che, seppure importante, non è il più importante! Mi spiego. Concordo nel ritenere questi canti assolutamente non all’altezza del loro compito! Ma, domando: Tra i motivi che portarono alla celebrazione in lingua volgare, non c’era in primo luogo quello di far partecipare i fedeli in piena coscienza al rito che si svolge? Si? E allora, perché distogliere la loro attenzione facendoli cantare e, perdipiù, con canti/melodie/strumenti orrendi? Attirare l’attenzione dei fedeli su quello che dice il sacerdote e consentire loro di aderire con le parole specifiche “ benedetto nei secoli il Signore“? Io, come ho detto altre volte, quando accompagno i canti con l’organo, non intono mai un canto all’offertorio, e tutti i fedeli spontaneamente rispondono con le parole previste. Cantare all’offertorio serve solo a deviare l’attenzione da quello che si sta facendo! Allo stesso modo, cantare alla Comunione (purtroppo è imposto ovunque) porta soltanto a ignorare, o per lo meno a distrarre da quello che si sta facendo, ossia, si sta ricevendo in casa propria il Dio dell’Universo! Non mi pare una cosa da poco! Come si fa a distogliere l’attenzione da questa cosa così grande?
      Grazie al Maestro Porfiri che porta l’attenzione su queste cose. Spero che un giorno commenti anche quel “canto offertoriale” chiamato “Servo per amore”.