Santa Werburga, Badessa di Ely, a Chester, e la Sua Oca.

9 Dicembre 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, la nostra BDV ci ha fatto un grande regalo. Come ricorderete, in uno dei suoi ultimi articoli ci parlava di Santa Werburga, e di un libriccino in cui fra tante storie di santi c’e anche la storia di questa donna eccezionale. Ce l’ha tradotto, e ringraziandola di cuore per il lavoro lo offriamo alla vostra attenzione. Buona lettura. 

§§§

Santa Werburga e la sua oca

 

Santa Werburga era la figlia di un re, una vera principessa, e molto bella. Ma a lei, al contrario di quasi tutte le principesse delle favole, non importava un bel niente dei principi, dei vestiti graziosi, dei gioielli o di spassarsela.  Il suo unico desiderio era fare il bene e far felice il prossimo, e diventare buona e saggia per farlo meglio. Così studia oggi e studia domani, lavora oggi e lavora domani, diventò una santa, una Badessa. E quando era ancora molto giovane e bella le fu affidato un intero convento di suore e di scolarette non poi tanto più giovani di lei, perché era molto più saggia e migliore di chiunque altro nelle campagne intorno.

Ma anche se Santa Werburga era diventata così famosa e potente, restava sempre una ragazza dolce e semplice.   Tutta la gente, nel circondario, la amava perché era  piena di voglia di aiutare, di curare i piccoli bimbi malati, di dar consigli ai padri e alle madri. Trovava sempre la risposta giusta da dare alle domande che li sconcertavano e in questo modo faceva riposare le loro povere menti inquiete. Era talmente saggia da saper sempre come convincere le persone a fare ciò che sapeva essere giusto, anche quando essi volevano fare il male. E non solo gli esseri umani, ma anche gli animali sentivano la potenza di questa giovane Santa. Perché essa li amava ed era gentile anche con loro. Li aveva studiati per benino e era arrivata a capire le loro strane abitudini e il loro modo di pensare così animalesco.  E aveva anche imparato la loro lingua. Orbene quando si ama molto una creaturina e la si capisce fino in fondo, si può arrivare a farle fare ciò che  si desidera, posto che sia la cosa giusta.

Da qualche tempo, Santa Werburga si divertiva a guardare a uno stormo di oche selvatiche che  planava tutti i giorni sul prato del  convento per far colazione e  poi il bagnetto mattutino nello stagno sotto la finestra della sua cella. Guardava il volo di quelle grandi creature  grigie dal collo lungo con le corte code e i piedi goffi finché  non le vedeva ritte sull’erba con un bel “Quack”. Adorava vedere le più grandi aggirarsi goffamente alla ricerca di leccornie per le più piccine, che se ne stavano ferme, sbattendo le ali e piangendo affamate, finché non venivano nutrite.La sua oca preferita era un maschio, il più grande di tutti, con un aspetto grasso e felice. Era il capo e formava la punta della V che è il modo in cui vola sempre uno stormo di oche selvatiche. Era il primo a posarsi sul prato e spettava a lui scegliere il punto dove avrebbero fatto colazione. Santa Werburga lo chiamò Grayking e gli si affezionò molto, anche se non si erano mai parlati.Padron Hugh era l’economo del convento, un tipo grosso e burbero che non amava né gli uccelli né gli animali, tranne quando glieli servivano a tavola. Anche Hugh aveva visto le oche nel prato. Ma, invece di pensare a quanto fossero buffe e carine, e quanto fosse divertente osservarle mentre mangiavano i vermi e sguazzavano nell’acqua, pensava solamente: “Che bel pasticcio d’oca ne ricaverei! E soprattutto guardando Grayking, il più grassoccio e il più tentatore di tutti, e faceva schioccare le labbra, dicendosi: “Oh, come vorrei averti in padella!”. Ora accadde che i vermi erano piuttosto scarsi nel prato del convento quella primavera. Col secco i vermetti erano strisciati via in cerca di posticini più umidi. Così Grayking e il suo seguito non riuscivano a fare colazione per bene. Una mattina, Santa Werburga li cercò invano nel solito posto. All’inizio fu solo sorpresa; ma, aspetta e aspetta, nulla e cominciò a preoccuparsi molto.Proprio mentre stava scendendo per la  cena, l’amministratore Hugh, le comparve davanti, con il cappello in mano e  si inchinò profondamente. Aveva la faccia rossa e accaldata dalla corsa su per la collina e sembrava arrabbiato.”Cosa c’è, mastro Hugh?” chiese Santa Werburga con la sua dolce voce. “Non avete il denaro necessario per comprare la colazione di domani?”. Era suo dovere, infatti, pagare i conti del convento.«No, Signora Badessa», rispose burbero; non è la mancanza di soldi che mi turba. È l’abbondanza di oche.””Oche! Come? Perché?” esclamò Santa Werburga, sorpresa. “Che cosa c’è c’entrano le oche, Mastro Hugh?””Ecco che cosa c’entrano, Signora Badessa”, rispose. “Uno stormo diladri dal collo lungo ha visitato il mio campo dove avevo appena seminato il grano, e ha rubato tutto ciò che doveva diventare il mio raccolto”. SantaWerburga si morse le labbra.”Che oche erano?” balbettò anche se indovinava la verità.”Da dove vengano quei lestofanti piumosi, proprio non lo so – rispose – ma una cosa, sì che la so. Sono gli stessi che si raggruppano ogni mattina nel prato, laggiù. Ho individuato il loro capo, un ladro bello grasso, un bel tipo davvero con un anello nero al collo. Dovrebbe essere un cappio, per appenderlo! Dovrebbero essere puniti, Signora Badessa.””Saranno puniti, Mastro Hugh”, disse Santa Werburga con fermezza, e salì tristemente le scale della sua cella, avendo preso appena un boccone di pane per cena. Perché le dispiaceva che i suoi amici uccelli fossero così cattivi e non voleva punirli, specialmente Grayking. Ma sapeva che doveva fare il suo dovere.Dopo aver indossato mantello e cappuccio, uscì nel cortile dietro il convento dove c’erano le gabbie per le colombe, le galline e i porcellini. e in piediaccanto allo steccato più grande Santa Werburga emise uno strano gridolino, simile alla voce delle stesse oche, un grido che sembrava dire: “Venite qui oche di Grayking, qui con Grayking in testa”.E mentre se ne stava lì ad aspettare, il cielo su di lei si oscurò per l’ombra delle ali e lo strepitio delle oche si fece più forte e più vicino, finché non atterrarono, posandosi in cerchio attorno ai suoi piedi, come un gregge.Vide che erano ben nutriti e grassi e Grayking era il più grasso di tutti. Si limitò a guardarli con fermezza e rimprovero; ma essi, vergognosi e dondoloni, le si fecero appresso e si misero in fila davanti a lei con il capino cadente. C’era qualcosa che li faceva restare,  anche se avrebbero preferito di gran lunga volare via.Poi lei si mise a parlare con gentilezza, spiegando  loro quanto erano stati cattivi a rubare il grano e a sciupare il raccolto. E mentre parlava, le oche cominciarono ad amare la sua tenera voce, che pure le rimproverava. Piangeva amaramente mentre li prendeva, uno a uno, per le ali, scuotendoli per i  peccati commessi, dando loro delle frustate, ma non troppo forti.I lucciconi erano anche negli occhi rotondi delle oche, ma non perché lei faceva loro del male, visto che a mala pena arruffava le loro spesse penne, ma per la tristezza di aver causato del dolore alla bella Santa. Poiché sapevano che li amava, più li puniva più la amavano. Per ultimo punì Grayking. Ma quando ebbe finito lo prese tra le braccia e lo baciò prima di metterlo, insieme alle altre oche, in una gabbia, dove intendeva tenerle in prigione per un giorno e una notte. Allora Grayking reclinò il capo e promise nel suo cuore che mai e poi mai né lui né il suo seguito avrebbero rubato alcunché,  per quanto fossero affamati. Santa Werburga lesse quel pensiero nel suo cuore e ne fu felice. Sorrideva infatti nell’andar via. Le dispiaceva tenerli in gabbia, ma sperava che potesse far loro del bene. E pensò tra sé e sé:  “Prima di lasciarli andar via daremo loro una buona colazione di porridge”.Santa Werburga si fidava di Hugh, l’amministratore, perché ancora non conosceva la malvagità del suo cuore. Lei gli raccontò di come le aveva punite per averlo derubato e che le oche, ne era certa, non lo avrebbero fatto mai più. Poi gli ordinò di dare alle oche, al mattino, una buona colazione di porridge del convento per poi lasciarle libere di andar via per i casi loro.Hugh non si sentiva soddisfatto. Pensava che le oche non fossero state punite abbastanza. E se ne andò via brontolando, senza però avere il coraggio di svelare la sua arrabbiatura alla Badessa che era  la figlia del re.  II Santa Werburga fu presa dalle sue faccende per tutto il resto della giornata e anche al mattino presto del giorno dopo e  non riuscì ad andare a trovare le oche imprigionate. Ma quando tornò nella sua cella per il riposino mattutino, una volta ultimato il lavoro, si sedette alla finestra e, sorridendo, sbirciò fuori, sicura di vedere il suo amico Grayking e le altre oche intente a fare il bagnetto nello stagno sul prato.  Ma di oche nemmeno l’ombra! Il volto di Werburga si fece serio. E proprio mentre se ne stava lì seduta, chiedendosi che cosa mai fosse avvenuto, udì un tremendo strepitar sopra la testa ed ecco  uno stormo di oche in disordinato atterrare, non più nell’elegante V che le caratterizzava, ma in confusione, senza capo né coda. E senza un capo.  Grayking era sparito!Svolazzavano piagnucolose,  chiedendosi consiglio a vicenda, finché non udirono la voce di Santa Werburga che le chiamava con ansia. Con un grido di gioia volarono diritti verso la sua finestra e cominciarono a parlarsi addosso, tutte insieme, provando a spiegare quel che era successo.”Grayking è sparito” le dicevano. “Grayking è stato rubato dal malvagio amministratore. Grayking è stato portato via quando siamo state liberate. Che cosa faremo, dolce signora, senza il nostro capo?”Santa Werburga era inorridita al pensiero che il suo caro Grayking potesse essere in pericolo. Oh come era stata ingannata da quel malvagio amministratore! Cominciò a sentirsi adirata. Poi, rivolta agli uccelli: “Carissime oche”, disse con serietà, “mi avete promesso che non ruberete mai più, vero?” e tutte quelle a starnazzare: “Sì, sì, sì”. Allora andrò a interrogare l’amministratore – continuò, “e se è colpevole lo punirò e gli farò riportare Grayking a voi.”Le oche volarono via sentendosi un po’ confortate, e Santa Werburga fece subito chiamare Messer Hugh. Lui arrivò, ma molto sorpreso perché  non riusciva proprio a immaginare che cosa lei volesse da lui. “Dov’è l’oca grigia con l’anello nero al collo?” chiese subito, senza preamboli, Santa Werburga. E lo guardò fisso. “I-i-i-o – balbettava, si confondeva – non lo so, Signora Badessa”. Esitò, non aveva capito quanto lei tenesse alle oche.”Nossignore, lo sai benissimo”, disse Santa Werburga, “perché io ti ho detto di dar loro da mangiare e poi di lasciarle libere, ma ne manca uno”. “Deve averlo rubato una volpe”, rispose il colpevole. “Sì certo, una volpe con i capelli neri e una faccia rossa e grassa”, disse Santa Werburga severamente. “Non dite bugie. Lo ha preso lei, mastro Hugh. Posso leggervelo nel  cuore. D’un tratto lui divenne di cera molle e confessò.«Sì, ho preso la grande oca grigia», disse debolmente. “Cosa c’è di così sbagliato?””E’ un mio amico e lo amo teneramente”, rispose Santa Werburga. A queste parole l’amministratore si fece bianco come un lenzuolo. “Non lo sapevo”, singultò.«Va’ allora e  portalo qui”, ordinò la Santa e indicò la porta. Mastro Hugh  sgattaiolò via, pallido, angosciato, miserevole e spaventatissimo. La verità era che, tentato dalla grassezza di Grayking, se lo era portato a casa trasformandolo in un tortino caldo e succulento, che si era pappato per colazione  quella mattina. Come, come riportar l’uccello a Santa Werburga per quanto lei lo avesse richiesto con tanta fermezza!Fuggì nel bosco e si nascose lì tutto il giorno per non essere visto da nessuno. Santa Werburga era la figlia del Re e se il re avesse saputo quello che aveva fatto al “pet”  della Signora Badessa, avrebbe potuto ordinare che si facesse un tortino di Hugh per sfamare i suoi cani…Giunta la notte, però, non riuscì più a sopportare il peso di quel che aveva fatto. Sentiva la voce di Santa Werburga che chiamava il suo nome a bassa voce dal convento, “Maestro Hugh, Maestro Hugh, venite, portatemi il  mioamico! “E proprio come le oche non potevano fare a meno di andare da lei quando  le chiamava, così egli sentì che doveva presentarsi a lei, che lo volesse oppure no. In dispensa trovo i resti dell’ottimo tortino. Mise insieme in un cestinetto le quattr’ossa di Grayking e con i denti che gli battevano e le membra scosse da un tremito, salì su al convento e bussò al portone.Santa Werburga lo stava aspettando. “Sapevo che sareste venuto – disse – avete portato la mia oca?”. Allora in silenzio e con mani tremanti tirò fuori le ossa una ad una e le depose a terra davanti a Santa Werburga.  Se ne rimase a testa china, le ginocchia facevano giacomo giacomo, in attesa di sentirla pronunciare la sua punizione.”Oh, che uomo malvagio siete!” disse lei, con tristezza. “Avete ucciso il mio bellissimo Grayking, che non ha mai fatto del male a nessuno tranne per quel grano rubato”.”Non sapevo che lo amavate, Signora”, balbettò l’uomo in autodifesa.”Avreste dovuto saperlo – replicò lei – voi pure avreste dovuto amarlo”.«Sì, Signora Badessa», confessò l’uomo. “Il problema è che lo amavo di più in forma di tortino fumante…”.”Oh, che uomo egoista e goloso!” esclamò lei disgustata. “Non riuscite a vedere la bellezza di una cara, piccola creatura se non quando è morta e pronta per la vostra tavola? Ve lo farò capire io. D’ora in poi sarete obbligato a studiare la vita e i comportamenti di tutto ciò che vive nel convento. E, per punizione, non mangerete mai più carne d’uccello o bestia. Vedremo se non vi si può insegnare ad amarli, quando hanno smesso di esser tortini e stufati. Per due giorni sarete rinchiuso nella gabbia dove stavano le oche e potrete nutrirvi solo di porridge. Può andare Master Hugh”.Così l’amministratore malvagio fu punito. Ma imparò la lezione e dopo un po’ cominciò ad amare gli uccelli quanto la stessa Santa Werburga.Ma la nostra piccola Santa non aveva ancora finito con Grayking. Dopo che Padron Hugh se n’era andato, si chinò sul pietoso mucchietto di ossa che era tutto ciò che restava di quella sfortunata torta. Una lacrima dei suoi begli occhi vi cadde sopra e, inginocchiandosi, li toccò con le sue bianche dita, pronunciando a bassa voce il nome dell’uccello che aveva amato. “Grayking, alzati”, disse. E non appena ebbe pronunciato quelle parole, accadde una cosa molto strana. Le ossa si mossero, si sollevarono e, un secondo dopo, si udì nell’aria un allegro “Quack” ed ecco che Grayking, anello nero e tutto quanto, era lì ad arruffarsi le penne davanti a lei. Lo strinse a sé e lo baciò ancora e di nuovo. Poi chiamo il resto dello stormo con quella sua strana capacità, mostrò loro Grayking, il  loro capo, vivo e vegeto, come nuovo.Che felice stormo di oche volò via starnazzando in una V perfetta, con l’oca più bella, più grigia e più grassoccia di tutto il mondo in testa! E che storia emozionante ha potuto raccontare Grayking ai suoi compagni! Sicuramente, nessun’altra oca ha mai potuto dire di essere stata fatta tortino, mangiata, con le ossa scarnificate da un avido amministratore! È così fu che Santa Werburga strinse  un’amicizia lunga una vita intera con uno stormo di grandi oche grigie. E oserei dire che anche adesso in Inghilterra c’è  un discendente di Grayking, con un grande anello nero attorno al collo, l’oca più bella, più grigia e più grassoccia del creato. E quando sente il nome di Santa Werburga, che gli è stato tramandato, in bocca orecchio, da  nonno a nipote per milleduecento anni, esploderà in un “Quack!” in lode e gloria.Cara Santa Werburga! C’è chi sarebbe disposto a trasformarsi in un’oca, per rivederla ancora una volta, circondata da tutti gli amici pennuti!

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4 commenti

  • Chedisastro ha detto:

    Bisognava che fosse ripristinato l’ordine naturale delle cose e che la grande V ritornasse ad avere il suo capo per tornare a volare seguendo la strada giusta. E bisognava che l’ingordigia del miserevole amministratore (che così tanto aveva goduto del suo empio tortino) fosse punita. Fu la dolce Werburga, il suo innato senso di giustizia e il suo amore a rimettere ogni cosa al suo posto, come è stato mirabilmente stabilito dall’inizio dei tempi in tutta la creazione. Sono le azioni e le preghiere dei santi e i loro esempi a salvare il mondo, ma i tempi spettano solo al Signore.

  • luisa ha detto:

    Cosi’ fresco e gradevole il racconto, da far affiorare nell anima lo stupore della leggerezza e della semplicita’… ivi da tempo sepolte…resuscitate come Grayking. Grazie.

  • GIOPAV ha detto:

    Grazie Maria Benedetta per la traduzione e grazie anche
    alla Maria Michela Petti per il commento.
    Purtroppo io sono un cretino perché non me ne accorgo.
    Anni fa lessi che un santo napoletano aveva resuscitato
    una mucca del convento che, uomini malvagi avevano
    fatto a pezzi, solo per cattiveria. Non ricordo il suo nome.
    Spero che grazie alla potenza di DIO e per intercessione
    dell’Immacolata, siano risuscitate molte anime rese
    oche dalla malvagia predicazione di troppi consacrati.

  • MARIA MICHELA PETTI ha detto:

    Dubito che in tanti sarebbero disposti oggi a trasformarsi in oche soltanto per rivedere la Santa circondata da pennuti, in ognuno dei quali potrebbe nascondersi un potenziale “rivale”, pronto lì lì ad essere “mangiato”, prima di essere salvato in extremis per essersi pentito del suo errore.
    Al contrario, in tantissimi sono fieri di essere considerati oche – non ritenendosi affatto sospettabili di stupidità, di cui esse sono state elette a simbolo – per la dote preziosa di piume, in possesso, da offrire al miglior compratore per il commercio di generi confortevoli reclamizzati dallo star system, pur di gravitare nella medesima orbita. E, addirittura, da offrire gratis almeno un solo frammento del proprio piumaggio per concorrere all’ornamento di copricapi per “teste” di un certo… folclore. Ancor di più: a mettere a disposizione di “scrittori” di ogni levatura l’oggetto della ricchezza personale. Anche se al giorno d’oggi sono altri gli attrezzi del mestiere, soprattutto di un gran numero di giornalisti, che imbrattano pagine e… persone… in maniera più pulita, senza dare nell’occhio, rispetto alle macchie lasciate dall’inchiostro in uso una volta.