Arrendersi all’Evidenza: Perché il Siero Genico è Destinato a Fallire.

3 Dicembre 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, un amico del nostro sito, uno specialista del settore, ci offre questo articolo, certamente molto “tecnico” ma estremamente interessante, per capire che cosa stia realmente accadendo con l’inoculazione del siero genico sperimentale al nostro organismo, con i relativi rischi. Non è una lettura semplice, per profani come il sottoscritto, ma aiuta moltissimo a comprendere. Buona lettura.

§§§

 

Sono molte le cose che ci fanno restare ammirati di fronte alla creazione e tra queste sicuramente spicca la strepitosa complessità e armonia del sistema immunitario umano.

Dopo quasi due anni di massiccia infodemia è sintomatico che ancora non sia affatto diffusa una conoscenza di base che vada oltre il servirsene per tirare l’acqua al mulino di chi, fin dalla dichiarazione dello stato di pandemia, ha imposto che l’unica soluzione di fronte al virus palesatosi all’inizio del 2020 sarebbe stata il vaccino.

Questo scritto vorrebbe aiutare il lettore a dotarsi dei rudimenti sull’immunità naturale per riconoscere il perimetro in cui si sta combattendo una guerra che può portare alla degenerazione dell’essere umano in transumano: cominciamo a conoscere le forze in campo nel nostro organismo, mirabilmente attrezzato per fronteggiare gli insulti che lo minacciano, almeno finché non subentrano condizioni che necessitano di rinforzi.

Data l’attualità, focalizziamo che cosa succede in natura quando una cellula del nostro organismo viene infettata da un virus, che comincia a replicarvisi. Le cellule immunitarie conosciute come linfociti T, citotossiche o killer, attaccano le cellule in cui è presente il virus e le distruggono (attenzione: solo le cellule infette). L’organismo sceglie infatti di impedire il proliferare del virus distruggendo le cellule in cui accade, evitando la diffusione del contagio nel corpo. Dopo il termine del combattimento contro il patogeno, alcune cellule T -specificamente adattate- entrano in uno stato dormiente, di quiescenza (fungendo da cellule T memoria) da cui possono destarsi in caso di successivo contagio, in modo da rispondere molto più rapidamente e vigorosamente rispetto alla prima volta. Questo effetto è conosciuto come “memory-type response”, risposta secondaria.

Può intervenire non solo sul preciso tipo di contagio che l’ha generato, perché basta che il nuovo patogeno sia sufficientemente simile da essere riconosciuto dalla memoria linfocitaria. Tale fenomeno è chiamato cross-immunity. Si spiega così per quale motive le varianti virali siano normalmente meno letali o semplicemente meno dannose (minore morbilità) delle progenitrici. Si parla infatti di immunità acquisita, anche a livello di popolazione e non solo individuale, dopo diverse epidemie di famiglie virali consimili (es. influenza). Nell’evoluzione della pandemia da SARS-CoV-2 è stato appurata l’esistenza di queste cellule T memory, con una reattività trasversale (cross-reactivity).

I linfociti T sono longevi (possono durare anni prima di “morire”) e ve ne sono di diverso tipo: gli helper, (CD4) che rilasciano una sostanza chiamata citochina, a sua volta responsabile di dirigere la risposta immunitaria degli altri leucociti; i killer (o citotissici) che “uccidono” i germi infettivi rilasciando speciali molecole; i memory che mantengono memoria del tipo di agente infettivo che ha attaccato l’organismo (es. un virus) anche dopo la guarigione, e si attivano immediatamente nel caso di un secondo “attacco”; i regolatori, che hanno un compito delicato: quello di controllare che gli altri linfociti T non “marchino” come nemiche le cellule sane del corpo anziché quelle infettate o neoplastiche.

Attenzione: una loro débâcle sta dietro il meccanismo dell’autoimmunità.

Gli helper sono stati dimostrati particolarmente connessi con l’AIDS, in quanto l’immuno-deficienza acquisita vanifica proprio la loro azione di segnalazione dei patogeni che sono deputate a riconoscere. Le cellule CD4 sono prodotte dal timo e circolano in tutto il corpo attraverso il sangue e il sistema linfatico. Sono così chiamate perché hanno sulla loro superficie la glicoproteina CD4 dove CD sta per “cluster di differenziazione” (gruppo di proteine espresse sulla superficie dei linfociti che permette di distinguerne lo stato di differenziamento e la funzione) e il numero di CD, in questo caso 4, identifica il tipo di cellula.

I linfociti T nel loro complesso svolgono un ruolo fondamentale nel sistema di difesa dell’organismo producendo una risposta specifica per ogni tipo di sostanza ritenuta estranea (antigene) come, ad esempio, virus, batteri, antigeni tumorali, etc., che lo invade. La memoria immunologica delle cellule T è robusta e durevole. Per esempio è noto che esiste una memoria già ultradecennale del virus della SARS (comparso 17 anni fa) e probabilmente dura per l’intera vita.

Un po’ come avviene anche per gli anticorpi, che si avvalgono della memoria dei linfociti B che li producono. Sono proprio questi globuli bianchi che hanno il compito di produrre e rilasciare gli anticorpi, sostanze proteiche a forma di Y che si legano agli antigeni dei microrganismi infettivi o delle cellule infettate e possono fare due cose: distruggerli direttamente, oppure “segnalarli” ai linfociti T affinché siano questi ad occuparsi della loro disintegrazione. La risposta anticorpale è importante per decifrare le recenti evidenze sull’immunità verso il SARS-CoV-2: la prima volta che l’organismo incontra un nuovo patogeno, il sistema immunitario (linfociti B) deve produrre nuovi anticorpi nella forma capace di legarsi agli epitopi del patogeno. La prima volta la risposta sarà lenta, perché serve del tempo (circa 4 settimane). Se dovesse però ripetersi il contatto con quello patogeno o similari, la memoria anticorpale, riconoscendo la minaccia, informerebbe il sistema immunitario ottenendo anticorpi più rapidamente (entro 2 settimane). Questo è il tipico segnale che il sistema immunitario conosce l’antigene. In questo caso le immunoglobuline saranno le IgG e le IgA, mentre nel caso di un primo contatto le prime a formarsi sono le IgM seguite da IgG e IgA. Nel caso del Covid quello che è stato riscontrato nel 2021, prima e dopo la vaccinazione, è esattamente questo, per la natura delle immunoglobuline e per tempi di risposta, segno della presenza di un meccanismo “memoria”. Segno che il nostro sistema immunitario riconosce il SARS-CoV-2 già al primo contatto, persino in caso di varianti. Vuol dire che il coronavirus, per il sistema immunitario, non è nuovo.

La nostra memoria immunitaria (sia le cellule T-memory, sia le B-memory) sa che cosa fare anche con le varianti virali, senza bisogno di richiami vaccinali. Questo non deve sorprendere perché la memoria immunitaria riconosce la differenza tra il SARS-CoV-2 e un comune raffreddore.

Linfociti B e T fanno parte del mare magnum dei globuli bianchi, un vero esercito nel nostro sangue. Decisamente meno numerosi dei globuli rossi (il rapporto è di 1:1000), i globuli bianchi, o leucociti sono chiamati così in quanto non “colorati” dall’emoglobina, la cromoproteina fatta per lo più di ferro che è contenuta proprio negli eritrociti e che conferisce la caratteristica tonalità rosso rubino al nostro fluido vitale. Sono, pertanto, anch’esse cellule del sangue altamente specializzate, suddivise in cinque sottotipi, e hanno un compito importantissimo: difendere l’organismo dalle minacce interne ed esterne.

I leucociti (da leukòs, che in greco significa bianco) sono un po’ come i soldati di un esercito, ciascuno con mansioni precise, e sono prodotti soprattutto dal midollo osseo a partire dalle staminali ematopoietiche, ma in piccola parte anche da ghiandole quali il timo (che si trova nella parte superiore del petto, dietro la trachea), le tonsille, i linfonodi e la milza. Il coinvolgimento di queste linfoghiandole nel processo di generazione e di maturazione dei globuli bianchi ci dice che queste cellule fanno parte del sistema immunitario dell’organismo, e per questa ragione, in modo del tutto fisiologico, aumentano di numero quando ci ammaliamo, ad esempio di qualche infezione virale, tra cui la comune influenza. In questi casi può capitare che proprio le ghiandole linfatiche (o linfonodi) deputati alla loro produzione, si ingrossino, sintomo di una importante reazione immunitaria dell’organismo in risposta ad un attacco patogeno. A seconda della loro specializzazione, i leucociti sono in grado di individuare i germi “nemici”, isolarli e distruggerli. Oltre ai linfociti ci sono i granulociti e i monociti, a loro volta differenziati e specializzati.

I granulociti sono “fagociti”: il loro modo di difendere l’organismo dai germi patogeni è quello di individuarli e “mangiarli” (distruggerli fagocitandoli). Sono definiti granulociti, perché al loro interno sono presenti degli speciali enzimi che servono loro proprio per “digerire” i microrganismi che ingoiano.

Costituiscono circa il 60% di tutti i globuli bianchi del sangue, e loro volta si suddividono in: neutrofili, che sono le più numerose cellule di questo tipo, e sono dei “fagocitatori” straordinari, in particolare di batteri, riuscendo ciascuno ad “ingoiarne” fino a 20 nella loro breve vita; basofili, che sono decisamente pochi, ma non per questo meno importanti. Questa categoria di globuli bianchi, infatti, è coinvolta specialmente nelle reazioni immunitarie di tipo allergico in quanto sono in grado di rilasciare istamina, che “scatena” l’infiammazione, ed eparina, sostanza che serve per aumentare la fluidità del sangue e prevenire la formazione di trombi (coaguli); eosinofili, che rappresentano circa l’1-2% del totale dei leucociti, e si attivano sia nelle reazioni allergiche che nelle parassitosi, ad esempio quelle intestinali dei bambini.

I monociti vengono spesso definiti genericamente “spazzini del sangue”.  Questi leucociti rappresentano circa il 10% del totale e si suddividono a loro volta in due sottogruppi: monociti a cellule dendritiche, che sono dei “segnalatori” di minacce. In pratica marcano (perché sono in grado di individuarli), gli antigeni presenti sui microrganismi nemici e in tal modo li rendono “visibili” ai linfociti in modo tale che possano distruggerli; monociti macrofagi che agiscono un po’ come i neutrofili fagociti, ma essendo più grandi e longevi di questi, sono in grado di inglobare e distruggere germi di dimensioni superiori e per tempi più lunghi. Sono anch’essi dei marcatori di antigeni.

Gli antigeni, lo ricordiamo, sono sostanze proteiche presenti sulla superficie dei microrganismi patogeni che sono in grado di innescare una reazione immunitaria da parte degli anticorpi. Se però questi antigeni non vengono riconosciuti i germi si moltiplicano indisturbati. Per tale ragione il ruolo dei marcatori è cruciale nella reazione immunitaria dell’organismo in caso di attacco infettivo.

Non bastasse tutto questo, c’è poi il sistema del complemento, ovvero le citochine, le interleuchine e tutte le altre sostanze presenti nel complemento, che concorrono a combattere le degenerazioni (virali e non solo) rispetto all’ordine naturale. In certe condizioni anomale può determinarsi la cosiddetta tempesta.

Per finire tornando all’attualità, i vaccini attualmente somministrati iniettano un’istruzione genica per far produrre alle cellule dell’individuo sano la proteina spike virale.

Le cellule del nostro sistema immunitario riconoscono la presenza (anomala, pur in assenza del virus intero) della spike e producono gli anticorpi per bloccare la spike impedendone l’aggancio ai recettore ACE2.

La scelta vaccinale sconta però un problema metodologico. Il prof. Sucharit Bhakdi (il cui CV sta a quello delle nostre virostar come il valore artistico di Dante Alighieri a quello di uno scrittore di romanzi rosa) spiega perché in un filmato con il pregio della brevità e della semplicità.

https://rumble.com/vpw1y9-the-covid-vaccines-were-designed-to-fail.html

Il Prof. Bhakdi dice che i vaccini anti Covid erano e sono destinati a fallire perché non c’è base razionale al loro presunto approccio terapeutico. E spiega che il nostro organismo combatte il contagio virale attraverso essenzialmente due meccanismi.

Il primo, minore ed estremamente marginale come impatto, funziona impedendo che il virus si leghi alle cellule umane e vi entri, riproducendovisi; è ciò che dovrebbe impedire il vaccino, facendo produrre anticorpi all’espressione genica virale aggancia-cellule (la spike).

Il secondo, quello fondamentale, riguarda l’azione linfocitaria che uccide le cellule nelle quali il virus è penetrato, divenendo fucine di replicazione virale.

Il virus entra nell’organismo dalla bocca o dal naso e finisce nelle vie respiratorie o nell’intestino. Le mucose respiratorie e gastrointestinali sono la linea del fronte per impedire il diffondersi dell’infezione. Ma, posto che la risposta anticorpale è quella meno importante, un’iniezione di vaccino nel braccio non porterà mai ad avere una diffusione di anticorpi sulle mucose gastrointestinali e respiratorie.

Questo avrebbe potuto farlo caso mai un vaccino spray, non l’iniezione. Gli anticorpi prodotti per effetto della vaccinazione, ammesso e non concesso che siano neutralizzanti, non vengono sprigionati ed esposti sulle mucose che per prime vedono presentarsi il virus. Quindi, se necessario, saranno comunque i linfociti ad agire più efficacemente. La vaccinazione attraverso il braccio (e di lì nel circolo sanguigno) by-passa il polmone o l’intestino. In pratica aggira la logica del normale processo biologico immunitario umano. Per di più le cellule che si trovano a produrre proteine spike vengono prese per estranee ed attaccate dai linfociti, dato che le cellule indotte a produrre la spike esprimono un gene virale.

Quindi si genera un fenomeno autoimmunitario per una attività contro le nostre stesse cellule (specie quelle endoteliali) determinando miocarditi, trombogenesi e tutte le conseguenze del caso. Si tratta di normali conseguenze del funzionamento di un sistema immunitario sano, spiega il Prof. Bhakdi.

Fin dall’inizio della pandemia è stata prospettata una soluzione vaccinale, che però non ricorre ai vaccini tradizionali bensì a un’inedita somministrazione di una terapia genica completamente sperimentale.

E’ importante capire la differenza: la tecnica vaccinale che viene proposta e imposta costringe il nostro sistema immunitario a combattere non solo contro la proteina spike del virus, ma contro sé stesso.

Ogni iniezione intensifica questa situazione e questo accade per quattro motivi:

1-il codice che istruisce la produzione della spike nelle cellule “vola” sotto ai radar del sistema immunitario;

2-la proteina spike si diffonde nel sistema circolatorio;

3-questo provoca un attacco immunitario alle cellule dell’endotelio dei vasi;

4-inoltre favorisce il fenomeno dell’A.D.E. e quindi la severità della risposta all’infezione naturale.

Il primo punto va capito bene, per comprendere perché questi vaccini siano così pericolosi e la differenza sostanziale tra questi vaccini e quelli tradizionali.

Un vaccino convenzionale può essere un virus vivo indebolito/attenuato tramite qualche modifica genetica o parti di virus ottenute chimicamente e non in grado di infettare: in ogni caso gli antigeni sono esposti sul vaccino e vengono riconosciuti dagli anticorpi prodotti dal sistema immunitario in risposta al vaccino.

Questi nuovi vaccini invece non espongono affatto antigeni, ma fanno produrre una parte del virus, la proteina spike, alle nostre stesse cellule. Ciò che viene inoculato è solo un’istruzione mRNA (una blueprint, un progetto, una cianografia) per generare nei nostri ribosomi la relativa proteina.  La spike poi si sporge dalle cellule dove viene prodotta inducendo la formazione di anticorpi. Chiaramente ciò che accade dipende da dove avviene e con quale velocità: centrare un vaso iniettando il vaccino cambia radicalmente la cinetica del processo e la sua localizzazione (che sarà marcatamente endovasale). Una risposta immunitaria sulle cellule vasali genera lesioni all’endotelio e conseguente intervento a riparare le fessure, con i relativi problemi circolatori.  Il rischio che la risposta immunitaria sia lesiva per l’organismo (processo autoimmune) è elevato.

Con i vaccini convenzionali il problema potrebbe essere che, in assenza di una risposta immunitaria, il virus si diffonda. Se invece il sistema immunitario reagisce come si deve, si hanno due distinti effetti immunitari:

-i linfociti T-killer riconoscono frammenti di proteina virale nelle cellule infette: le attaccano e le distruggono.

-i linfociti B riconoscono il proliferare delle proteine virali e iniziano a produrre anticorpi per neutralizzarle

Questa risposta simula e riproduce, dopo una vaccinazione, quella ad un’infezione naturale del virus. Dopo la vaccinazione però la risposta è più mite, perché i virus sono stati attenuati, anche se questo non impedisce che la reazione distrugga qualche cellula coinvolta nel dispiegarsi del processo immunitario, causando qualche danneggiamento di alcuni organi funzionali.

Con un vaccino genico, innovativo e sperimentale, si generano molti più effetti avversi e inediti rispetto al virus inattivato. Sicuramente in futuro si troveranno correttivi per migliorare, ma ad ora le cavie siamo noi.

Tra l’altro un’immunità il soggetto vaccinato potrebbe averla già, più o meno sviluppata: se riceve un vaccino tradizionale, la risposta in termini di distruzione cellulare sarà molto ridotta, perché la presenza di anticorpi al virus riconoscerà gli antigeni virali nel vaccino e li legherà prima che raggiungano le cellule.  Le cellule T-killer, persino se si arrabbiassero tutte, non troverebbero troppe cellule infette con cui prendersela…

Invece un vaccino a mRNA (che non è altro che un’istruzione genica, un progetto di una proteina virale, cioè che non ha in sé alcun antigene espresso) presenta al sistema immunitario delle cellule pseudo-infette (producenti proteina virale) e se un soggetto ha già anticorpi e cellule T-killer predisposte da precedenti contatti, l’istruzione mRNA passa loro sotto il naso in quanto non riconoscibile, mentre le nostre cellule producenti la spike, una volta raggiunte dall’istruzione, divengono il bersaglio delle cellule T-killer.

Di qui, ad esempio, il danno vasale, cui consegue un tentativo di riparazione con i conseguenti fenomeni tromboembolici.  Gli anticorpi già presenti, invece di prevenire questa carneficina, si aggiungono al parapiglia, legandosi alle spike e richiamando la risposta del complemento (la cascata o tempesta di citochine resasi tristemente famosa nella primavera del 2020) ad ulteriore danno delle cellule (specialmente se il danno endoteliale avviene a livello polmonare).

Sebbene ogni vaccino determini una risposta immunitaria, non tutte le risposte immunitarie sono uguali. Alcune sono sicure e ben modulate, altre invece possono essere mal indirizzate e fuori controllo. La risposta immunitaria va infatti considerata un problema se finisce con l’attaccare l’organismo (è il caso del rigetto nei trapianti d’organo): sia come attacco in sé qualora sia troppo severo, sia in termine di autoimmunità.

La vaccinazione anti SARS-CoV-2 incorre in entrambe queste situazioni.

Per prima cosa la vaccinazione induce una risposta immunitaria contro le cellule endoteliali che, raggiunte dal vaccino, producono proteine spike che vengono esposte nel lume vasale e quindi sono aggredite dalle difese immunitarie.

Per secondo effetto, accendendo la risposta immunitaria in modo diffuso rispetto al virus SARS-CoV-2, questa risponde sia alle successive vaccinazioni, sia a qualsiasi virus più o meno simile che si presenti.

Come è noto, una serie di gravi patologie, specialmente croniche, sono di fatto delle malattie autoimmuni.

Il sistema immunitario è la barriera difensiva dell’organismo contro le minacce esterne (virus, batteri, germi e funghi etc.) e interne (cellule tumorali, organi e tessuti trapiantati etc.). Ancora immaturo al momento della nascita, il sistema immunitario acquisisce, di pari passo con la crescita dell’organismo, le competenze per riconoscere gli elementi considerati propri (self), da quelli considerati non propri (non-self).

Questa classificazione porta il sistema immunitario a distinguere ciò che non rappresenta un pericolo, da quello che al contrario può essere potenzialmente nocivo. In presenza di un qualsiasi elemento considerato non-self, il sistema immunitario adempie alla sua funzione protettiva e si attiva (risposta immunitaria) per identificarlo, segnalarlo, neutralizzarlo ed eliminarlo.

Quando però il sistema immunitario funziona in modo anomalo e non riconosce come self le proprie componenti, produce delle reazioni dirette contro cellule, organi e tessuti del proprio organismo, provocando di conseguenza una malattia autoimmune.

Le più diffuse sono: Artrite Reumatoide; Anemia Emolitica Autoimmune; Tiroidite di Hashimoto; Diabete mellito di tipo I; Malattia di Graves; Vasculite; Tiroiditi autoimmuni; Lupus eritematoso sistemico; Celiachia; Epatite Autoimmune; Sclerosi multipla; Miastenia gravis; Sindrome di Guillain-Barré; Polimiosite; Dermatomiosite; Sindrome di Sjögren; Malattie infiammatorie croniche intestinali; Sclerosi sistemica progressiva.

(Arrendersi all’Evidenza)

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10 commenti

  • Forum Coscienza Maschile ha detto:

    Grazie per l’eccelllente articolo, che suscita una sola domanda: perché il vaccino avrebbe fallito? Non sta “riducendo” la popolazione mondiale?

  • Giovanni B. ha detto:

    Interessante. D’altra parte chi segue la divulgazione scientifica più seria può comprendere come la narrazione “o siero o morte”, propalata da autorità e servitori mediatici regga sempre meno.
    Sarà per questo che essi appaiono ogni giorno più nervosi, scomposti, incattiviti, e sempre meno sensati nelle loro decisioni.
    È che quella Scienza di cui volevano servirsi come una clava per schiacciare i dubbiosi, presunti cavernicoli, proprio quella Scienza adesso rischia di dar loro torto, mentre i “cavernicoli” trovano insperati argomenti a loro favore Comprensibile dunque l’inquietudine che si va diffondendo ai piani alti del Sistema.

  • stilumcuriale emerito ha detto:

    Approfitto della grande disponibilità di Arrendersi all’Evidenza per chiedergli un piccolo supplemento. In parole possibilmente semplici potrebbe dare una definizione di :
    -contagiato
    -immune
    -guarito
    Inoltre potrebbe spiegare le plausibili ragioni per le quali alcune persone hanno reazioni molto avverse al vaccino (fino alla morte, in alcuni casi) e altri non avvertono assolutamente nulla?
    E infine le vaccinazioni antinfluenzali fatte negli anni passati possono aver creato qualche immunità dal Covid ? Similmente eventuali chemioterapie possono avere qualche effetto in bene o in male ?
    Grazie.

    • Veronica Cireneo ha detto:

      Seguo

      • arrendersi all'evidenza ha detto:

        Bonariamente rispondo a Stilumcuriale emerito e Veronica Cireneo per il “piccolo supplemento” attenendomi al nostro CTS che considera GUARITO (da Covid-19) chi, dopo aver presentato sintomi associati all’infezione documentata da SARS-CoV-2, torna asintomatico e risulta negativo in due test consecutivi, effettuati a distanza di 24 ore uno dall’altro, per la ricerca di SARS-CoV-2.
        Senza questo passaggio il soggetto già clinicamente guarito potrebbe risultare ancora positivo al test per la ricerca di SARS-CoV-2 e quindi non viene ancora considerato guarito. Si capisce che se avessimo sempre adottato un criterio come questo, chissà quanti di noi dopo una banale influenza sarebbero stati ritenuti “non guariti” per molti altri giorni. Ma era un altro mondo…
        Il CONTAGIATO è semplicemente chi risulta positivo al tampone, anche se non ha e non avrà nulla.
        L’IMMUNE classicamente sarebbe chi ha sufficienti difese (ad esempio gli anticorpi) per non ammalarsi (sviluppare sintomi) se contagiato. Qui però lo scenario attuale rimescola le carte: se sono positivo ma asintomatico, pur essendo immune (resistente alla malattia) vengo classificato come untore. Infatti con questa pandemia il contagiato (o meglio: il positivo, con tutti i rischi di essere un falso positivo, probabili con il tampone molecolare ad elevata amplificazione) è entrato nella categoria dei “non immuni” pur non sviluppando alcuna malattia, per il rischio di essere semplicemente veicolo di contagio (eppure in assenza di carica virale elevata, che è tipico degli asintomatici, la contagiosità si riduce rapidissimamente). Oltre ad amplificare il segnale del tampone è stata amplificata la contagiosità del positivo, che pure personalmente fosse immune. L’immune è chi -di suo- è protetto verso una malattia dalle sostanze che ha nel sangue. Il vaccino immunizza al 100%? No! Quindi chi è vaccinato non è automaticamente immune. E’ noto che l’efficacia vaccinale (già dubbia nei numeri vantati inizialmente) diminuisce nel tempo e al proliferare delle varianti, quindi due o tre dosi non immunizzano. L’immunità inoltre è ciò che protegge dalla malattia, non dalla positività. Avrete già capito che il guazzabuglio creato ad arte dal can can è un caos molto utile a qualcuno.

        Per le altre questioni scritte dopo “inoltre” non è possibile dare risposte che vadano oltre le ipotesi.
        La scienza fa ipotesi, ma poi le verifica con i dati e qui c’è stato un gioco scorretto nel presentarli in modo poco scientifico e molto ad usum delphini.
        Ad esempio sarebbe bello se un magistrato solerte, aiutato da un gruppo di meticolosi e acuti collaboratori facesse delle verifiche di questo tipo: si sceglie un’area (ad esempio la Valseriana, che non conosco se non per il triste record mondiale toccatole nel 2020), una fascia di età (ad esempio 60-90 anni), si valuta quanti dei morti con Covid dei primi mesi del 2020 avessero ricevuto l’antinfluenzale, quale tipo di antinfluenzale (trivalenti, quadrivalenti, split, a subunità, adiuvati, intramuscolare, intradermico) e in particolare quale lotto (tutti dati che dovrebbero essere reperibili). Poi si confrontano i tassi di mortalità con chi, in quell’area, stessa età, avesse ricevuto o meno quel tipo di antinfluenzale o lo stesso tipo, ma un altro lotto.
        Volendo si fa il confronto con un’altra zona meno falcidiata li vicino o anche più lontano. E si fanno un po’ di valutazioni: la scienza è gusto di capire, non di coprire o di mentire o non volerne sentir parlare.

        Poi sul perchè a uno succeda una cosa e all’altro no, sarebbe proprio il tipo di approccio descritto a poter dare risposte. Quel che penso io sarebbe solo una presunzione. Però posso suggerire dei criteri: ad esempio associare gli eventi avversi a certi lotti, a parità di vaccino; o a certi valori ematici (che andrebbero però conosciuti prima di vaccinare) del vaccinato; o al fatto che a qualcuno l’iniezione centra un vaso e quindi la terapia genica va in circolo più rapidamente di chi invece la riceve nel muscolo. Le variabili sono numerose… Ma bisogna aver voglia di metterle alla prova. Servono i numeri veri.
        Finora è palese il tentativo di non rendere agevole il raccoglierli, dopo di che è difficile ragionarci sopra.

  • Paoletta ha detto:

    cosa puo’ avere portato ad una cosa come questa se non un piano diabolico?

    • stilumcuriale emerito ha detto:

      Che sia o non sia diabolico non lo sappiamo. Una cosa è certa: ha portato una gran parte dell’umanità a riflettere su che cosa sia la vita. Un tema fondamentale per ogni uomo: è vero che grazie alla scienza oggi l’uomo è padrone del proprio destino come osava affermare, per nominarne una, la Premio Nobel Levi Montalcini ? A parer mio non lo è affatto.

  • Nuccio Viglietti ha detto:

    Ma nonostante ciò macellai che ci governano… continuano imporci questo farmaco demoniaco…ben guardandosi peraltro da inocularselo su loro laidi corpi sfatti…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/