La Bellezza Sta, e la Bruttezza si Agita. Anche nella Musica Sacra…

6 Novembre 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il maestro Aurelio Porfiri ci offre questa riflessione sulla bellezza, un ideale certo non semplice da raggiungere; e lo fa focalizzando il suo discorso sulla musica sacra. Buona lettura.

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La bellezza come ideale

 

Si dice spesso che la nostra epoca è un tempo in cui soffriamo per una crisi di ideali, i nostri giovani non sanno più a cosa credere. Perché non proporgli ancora l’ideale della bellezza? Ma non la bellezza soltanto in senso estetico, ma come valore profondo dietro cui troveranno sempre Dio. Lo aveva capito la Chiesa, promuovendo la musica sacra più artisticamente valida, l’arte sacra di livello eccelso, la letteratura ai livelli più alti: la bellezza vera è seme di santità. Sappiamo che esiste la bruttezza, essa è l’ombra laddove risplende il sole, ed è in un certo senso necessaria: “Anche le cose brutte si compongono nell’armonia del mondo per via di proporzione e contrasto. La bellezza (e questa sarà ormai persuasione comune a tutta la Scolastica) nasce anche da questi contrasti, e anche i mostri hanno una ragione e una dignità nel concento del creato, anche il male nell’ordine diviene bello e buono perché da esso nasce il bene, e accanto ad esso il bene meglio rifulge (cfr. la Summa di Alessandro di Hales, II, ed. cit.: 116 e 175)” (Umberto Eco, Arte e bellezza nell’estetica medievale). Certo, la bruttezza ha una ragione nel creato perché mette in risalto ciò che è bello. Ma non bisogna mettere la bruttezza al potere.

Oggi nelle nostre liturgie quanti preti si accontentano del minimo indispensabile credendo di attirarci al Massimo indispensabile? La bellezza sembra così sfuggirci ma essa è lì, pronta ad essere colta: “Il diamante, cioè il carbonio cristallizzato, è per composizione chimica la stessa e identica cosa del comune carbone. Allo stesso modo, non ci sono dubbi che il canto dell’usignolo e il miagolio frenetico del gatto in amore siano la medesima cosa nel loro fondamento psico-fisiologico, essi sono cioè l’espressione sonora di un istinto sessuale particolarmente intenso. Ma mentre il diamante è bello e viene pagato caro per la sua bellezza, neanche il selvaggio meno esigente vorrà adoperare il carbone come ornamento.

Così il canto dell’usignolo venne ritenuto sempre e dappertutto una manifestazione del bello nella natura, mentre il verso del gatto, che esprime non meno chiaramente un identico motivo psicosomatico, non ha mai procurato piacere estetico a nessuno e in nessun luogo. Da questi esempi elementari appare già chiaro che la bellezza è formalmente qualcosa di particolare e di specifico, qualcosa che non dipende direttamente dal fondamento materiale del fenomeno e gli è anzi irriducibile” (Vladimir S. Solov’ëv, Sulla bellezza). La bellezza ci attende sempre, anche nella liturgia, ma oggi si preferisce il trionfo del clericalismo, l’unica cosa che il Concilio non è mai riuscito a scardinare. Anzi, lo ha anche rafforzato, dotando i preti di un falso concetto di creatività per cui hanno esteso anche al rito liturgico le smanie e le frenesie che prima, quando deviati, indirizzavano al campo sociale, filosofico o teologico.

La bellezza è lì, immutabile, mentre la bruttezza si agita: “Il guaio è che la bellezza sta, invece il brutto avanza, si muove, parla, fa. La bellezza è inerte, passiva, inerme, mentre il brutto avanza, incede, si agita. La bellezza è un retaggio, un lignaggio, a volte una rovina, comunque declinata al passato o sperduta nell’antico, mentre la bruttezza è un linguaggio, un modo di fare, di intendere e di volere, tra la tecnica e l’amministrazione. Questa è la nostra tragedia economica e metafisica, estetica e sociale, urbanistica e letteraria. Il bello è, il brutto diviene; il bello posa, il brutto è in moto perpetuo. Il bello attiene alla sfera dell’essere ma non a quella dell’eterno e dell’immutabile. Il brutto, invece, attiene alla sfera del fare e del divenire, ed è virale, espansivo, progressivo” (Marcello Veneziani, Lettera agli Italiani).

Ed ecco che per difendere le loro “conquiste”, in Vaticano pensano di dare lo zuccherino a qualche laico ogni tanto o a qualche suora in abiti civili, continuando ad inzeppare tutti i suoi meccanismi di preti (de)formati nei propri Seminari e che mai, o quasi, alzeranno la voce mentre la bruttezza scorazza nelle sacre stanze facendosi sentire quell’inquietudine che mai ci abbandona. Continuate, continuate, qualcosa…non resterà.

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2 commenti

  • MARIA MICHELA PETTI ha detto:

    Là dove non è arrivato a completare il disegno del clericalismo, indotto dalle novità conciliari, come rileva il M° Porfiri, la fa da padrone oggi il canto del cigno che, sentendosi minacciato, si profonde nell’ elogio della creatività cui dare concretezza in ogni modo e in ogni dove.
    Al tempo che verrà e che vedrà chi vivrà – è dato imprescindibile – è riservato l’eventuale riscontro all’ottimistico annuncio al futuro della cancellazione dell’operazione “grande bruttezza”.
    Al presente non resta che assistere al film che scorre, giorno dopo giorno, davanti agli occhi di una platea ammessa a gratis alla sua proiezione. E poco importa se il successo da Oscar, che gli viene tributato dai membri di una giuria appositamente selezionati, incassa la condivisione di un pubblico di proporzioni esorbitanti, travolto e coinvolto da insolita agitazione. Punto di forza della strategia che rende ininfluente il disappunto e inascoltato il disagio di spettatori che non si lasciano abbindolare da chi la sa lunga, da ignoranti e incuranti della “grande bellezza”. Immobile, essa, nella sua autenticità e nelle sue espressioni virtuosistiche, e in attesa contigua di riscoperta e valorizzazione.

  • Nuccio Viglietti ha detto:

    Certo se si compara cosa ha prodotto musica sacra contemporanea (segnatamente in ultimi settant’anni) a musica sacra di secoli scorsi… beh c’è da rimanere preda di un certo avvilimento…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/