Caliari: Siamo alla Fine di un’Epoca, Affidiamoci a Cristo senza Paura.
5 Ottobre 2021
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il prof. Gian Pietro Caliari ci ha inviato qualche giorno fa questa bella riflessione spirituale, preparata per l’apertura dell’anno di formazione del suo gruppo di giovami. L’accavallarsi di tanto materiale, e qualche giorno di febbre – anche se voi non ve ne siete accorti, perché siamo riusciti a mantenere un flusso sia pure ridotto di pubblicazione – hanno fatto sì che esca solo adesso. Ce ne scusiamo con l’autore, e vi auguriamo buona lettura.
§§§
INCONTRO CON LE FAMIGLIE
PER L’INIZIO DELL’ANNO DI FORMAZIONE 2021-2022 DOMENICA 26 SETTEMBRE 2021
Care Mamme e cari Papà, Cari amici, socii et comites,
con immensa gioia diamo, oggi, il benvenuto ai nostri carissimi Vittorio e Massimiliano, che hanno scelto di unirsi al nostro volo e di allenare, insieme a noi, le loro giovani ali: le ali della Fede e della Ragione.
Ben lo sappiamo, infatti, che solo con le ali della Fede e della Ragione, Fides et Ratio, possiamo diventare Aquile, mentre tanti, troppi – ahinoi! – dei vostri coetanei scelgono di restare dei poveri polli.
Dei miserabili polli che – senza loro colpa alcuna – sono intrappolati nel pollaio della menzogna del mainstream quotidiano, richiusi dentro quel filo spinato del “politicamente corretto e moralmente corrotto”, che vilmente è stato eretto dai Padroni del Caos di questo nostro ben meschino e miserando tempo.
Sull’architrave dell’antico tempio pagano dell’isola greca di Delfi v’era inciso questo ammonimento: γνῶθι σεαυτόν; conosci te stesso!
E come conoscere noi stessi, se non cercando la Verità?
“La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità” – scriveva Giovanni Paolo II, nel 1998 – “È Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso” (Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, 1998, 1).
Insieme a Massimiliano diamo il nostro cordiale benvenuto anche alla sua cara Mamma, al suo caro Papà e alla Sua amata sorella.
Benvenuti, e benvenuti di cuore!
Care Mamme e cari Papà,
i nostri cuori sono, oggi, pieni di lieta gratitudine e giusta fierezza per questi Vostri amatissimi figli!
In questi ultimi anni, li abbiamo visti crescere insieme, li abbiamo sostenuti con fermezza di giudizio, ma soprattutto ci siamo rallegrati della loro sincera amicizia e solidarietà, del loro gioioso entusiasmo, e – ogni volta, dopo ogni nuova esperienza estiva – li abbiamo accolti rendendoci conto di quanto il vivere insieme li aveva fatti crescere e maturare.
Ne siamo riconoscenti e fieri, e ne ringraziamo il nostro amato e buon Gesù perché – parafrasando e applicando a loro le parole dell’Apostolo Paolo, che abbiamo ascoltate all’inizio di questo nostro incontro: la loro amicizia non ha finzioni, hanno fuggito il male con orrore, si sono attaccati al bene, si amano con affetto fraterno, gareggiano nello stimarsi a vicenda, sono lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti e premurosi gli uni per gli altri.
Carissimi amici, socii et comites,
il grande filosofo latino Lucio Anneo Seneca, ormai esiliato dal potere della Roma imperiale di Nerone, trascorse gli ultimi anni della sua vita scrivendo ben 124 lettere a Lucillio Iuniore, governatore della Sicilia, ma anche poeta e scrittore.
Nella decima lettera, Seneca affronta il tema della gratitudine, e scrive:
“Gratus sum non ut alius mihi libentius praestet priori inritatus exemplo, sed ut rem iucundissimam ac pulcherrimam faciam; gratus sum non quia expedit, sed quia iuvat” (Seneca ad Lucillum X, 20).
“Dimostro gratitudine non perché un altro spronato dal mio precedente esempio mi aiuti più volentieri, ma per compiere un’azione gioiosissima e bellissima. Dimostro gratitudine non perché si deve, ma perché mi giova”.
Sì! Dire grazie è compiere un’azione gioiosissima e bellissima!
Sì! Dimostrare gratitudine giova più a noi stessi che non a coloro a cui diciamo il nostro grazie!
E il nostro grazie va, oggi, innanzi tutto ai Vostri amati genitori, che ci hanno amorevolmente accompagnato nell’itinerario di crescita dell’anno scorso, che con generosità e sacrificio ci hanno permesso la nuova esperienza estiva nell’isola di Madeira e che oggi sono qui per essere testimoni di un nuovo, gioioso ed entusiasmante cammino che, ne siamo certi, sono pronti – ancora una volta – a sostenere.
Care Mamme e cari Papà: grazie e grazie di cuore!
Il nostro grazie va, oggi, anche a tutti coloro che con generosità discreta ma concretissima ci hanno permesso di avere – come negli anni precedenti – le migliori condizioni possibili per vivere la nostra esperienza estiva.
Il nostro grazie, non da ultimo, è doveroso verso tutti coloro, autorità pubbliche, civili e religiose, e organizzazioni private che con professionalità e squisita gentilezza hanno reso il nostro soggiorno indimenticabile.
Troppo lungo sarebbe farne un elenco! Voglio solo citare il nostro caro don Paolo!
Nel nostro cuore, oggi semplicemente, a tutti diciamo: Grazie e grazie di cuore!
Cari amici,
prima di partire per Madeira avevo proposto a me stesso e ai ragazzi una semplice ma radicale domanda che appare, tuttavia, essenziale e decisiva in questo nostro tempo:
Che cosa è mai l’uomo?
Lo abbiamo letto, se ci fate caso, recitando il Salmo 8 al versetto 5, che è poi esattamente il versetto centrale dei 10 da cui il testo è composto.
Màh Enosh( מָה אֱנוֹשׁ כִּי תִזְכְּרֶנּוּ וּבֶן אָדָם כִּי תִפְקְדֶנּוּ KiTizkerennu, uven Adam Ki Tifqedennu): “Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi?”.
Tutta la drammaticità di questa semplice domanda è data, nel מה testo originale ebraico, dal pronome interrogativo-esclamativo (māh), che in questo quinto versetto del salmo 8 possiamo appunto tradurre con: che cosa mai?
Un מה (māh) che esprime tutto lo stupore e tutta la meraviglia dell’uomo di fronte al fatto e all’evidenza del suo essere, del suo esser-ci e del suo esistere!
Un מה (māh) che, al contempo, tiene conto della sua infinita finitudine, del suo essere parte di un ciclo vitale scandito da Vita et Mors, Vita e Morte, o come scrive il filosofo Martin Heidegger di “avere l’obbligo essenziale di ricordarsi che la finitudine è il fondamento stesso della natura umana: Sein zum Tode, un essere verso la morte” (Sein und Zeit, Tubinga, 1927, p. 5).
Nello stesso periodo, il terzo secolo avanti Cristo, in cui il salmo 8 veniva scritto, sull’altra sponda del Mare Nostrum, il filosofo greco Aristotele scrive all’inizio del suo Matafisiché: “διὰ γὰρ τὸ θαυμάζειν οἱ ἄνθρωποι καὶ νῦν καὶ τὸ πρῶτον ἤρξαντο φιλοσοφεῖν, infatti, a “causa della meraviglia – scrive Aristotele – gli uomini, sia ora sia in principio, hanno iniziato a fare filosofia” (Metafisica, I, 2, 982b).
Sì, proprio la meraviglia spinge l’uomo a porsi le domande più radicali ed essenziali: מה (māh), che cosa mai?
La meraviglia di Aristotele era certamente intellettuale, potremmo dire era la meraviglia che la Ratio, la Ragione, suscita in lui.
La meraviglia dell’autore ebraico del salmo 8 nasce, invece, coniugandosi a una concreta esperienza di tipo religioso; così per lui è stata la Fides, la Fede a far sorgere la meraviglia.
“Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato: che cosa è mai l’uomo” (Salmo 8, 4-5).
Dopo una giornata di duro lavoro nell’arsura dell’estate, l’autore giudaico del salmo si ritrova nella sua solitudine notturna, cerca un poco di ristoro nella frescura delle rive del fiume Giordano o del Lago di Tiberiade e, qui, alza il suo sguardo al cielo per contemplare la volta celeste.
Fissando la magnificenza del chiarore lunare e stellare, osservando l’immensità della volta celeste, egli intuisce l’immensità dell’Universo, e fa risuonare il suo secondo מה (māh).
-A( יי אֲ-דֹנֵינוּ מָה אַדִּיר שִׁמְָ בְּכָל הָאָרֶץ אֲשֶׁר תְּנָה הוֹדְָ עַל הַשָּׁמָיִם donai A-donenu Màh Addir Shimkhà Bekhol HaAretz Asher Tennàh Hodekha ‘al Hasshamaim):
“O Signore, o Signore nostro, ma quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!” (vv. 2 e 10).
L’affermazione della grandezza di Dio e la questione del cosa sia l’uomo sono congiunte da questo מה (māh) – che cosa mai? – che esprime al tempo stesso stupore e meraviglia e insieme interroga il vivente sull’essenza stessa del suo vivere.
Sì, per poter correttamente rispondere alla fondamentale questione di che cosa sia mai l’uomo, non possiamo che riferirci al Suo Creatore e dunque a Dio!
Lo disse magistralmente l’allora Cardinale Joseph Ratzinger nel 1991: “Chi non conosce Dio, non conosce l’uomo; e chi dimentica Dio, distrugge l’umano stesso perché ignora la vera dignità e la vera grandezza dell’uomo” (Intervento all’Assemblea Speciale dei Vescovi d’Europa, 14 dicembre 1991, in: JRGS, vol. 9, p. 851).
Sì, per poter correttamente rispondere alla fondamentale questione di che cosa sia mai l’uomo, non possiamo riferirci meramente alla sua “nuda vita” ma dobbiamo riferirci al suo eterno destino.
Sempre Joseph Ratzinger lo rimarca brillantemente: “Chi parla di Dio, parla della vita eterna dell’uomo, perché Dio non è un Dio dei morti ma un Dio dei viventi […] Se l’uomo viene derubato della speranza nella via eterna, subisce la più pesante delle amputazioni.
La certezza data all’uomo di vivere con Dio per l’eternità, ma anche di potersi smarrire in eterno, non riduce l’impegno di dedicarsi ai compiti terreni, ma conferisce ad essi il loro peso autentico e il loro vero significato” (Ibidem, p.853).
Che cosa è mai l’uomo?
Nessun altra domanda mi appare più fondamentale di questa, in questi tempi in cui non stiamo assistendo alla fine del tempo, ma alla fine di un tempo.
Noi non siamo testimoni della fine del mondo, ma della fine di un mondo!
Non siamo spettatori della “fine della Storia”, come ebbe infelicemente a scrivere nel 1992 in The End of History and the Last man il politologo americano Francis Fukuyama, che considerava la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’Impero Sovietico l’irreversibile e definitiva affermazione di un nuovo ed eterno ordine globale.
Un nuovo cosmòs, scriveva Fukuyama, determinato dai mercati e dalla finanza, destinato a una globale “società dei consumi senza limiti né riserve”, retto da una concezione puramente individualista e razionalista dell’esistenza, dominato da una nuova razza padrona, dal nuovo Übermensch – il superuomo di Nietzsche – che in una globalizzazione senza né limiti né valori né frontiere appartiene alle élite globaliste del potere finanziario, dell’informazione e della politica, dove l’oggetto prevale sul soggetto e dove il materiale offusca lo spirituale.
Noi, oggi, non siamo spettatori della “fine della Storia”, bensì assistiamo alla fine di una storia.
Non siamo, senza volerlo, protagonisti di una crisi sanitaria – di origine naturale o chimerica che sia – ma vogliamo essere acuti osservatori di una “crisi di civiltà”, di cui la cosiddetta crisi sanitaria è solo una cartina di tornasole, o se preferite è solo un tampone che risulta immancabilmente positivo ad ogni possibile esame.
Fra il 165 e il 180 dopo Cristo, la peste antonina – nota anche come peste di Galieno – ebbe tali effetti sull’Impero Romano d’Occidente che – come scrive lo storico e diplomatico Barthold Georg Niebuhr – “Il mondo antico non si riebbe mai dal colpo inflitto dalla piaga che lo visitò durante il regno di Marco Aurelio” (B. G. Niebuhr, Lectures on the history of Rome III, Lecture CXXXI, Londra, 1849, p. 225).
Con quella crisi sanitaria finì l’Antichità.
Dal 1346 al 1353, la peste nera seminò morte e distruzione in tutto il mondo medioevale da una parte e dall’altra del Mar Mediterraneo. Anche in questo caso – come scrive lo storico tedesco Klaus Bergdolt nel suo Die Pest. Geschichte des Schwarzen Todes, “la peste nera cambiò l’Europa del Medioevo almeno quanto le guerre mondiali modificarono il mondo moderno” (op. cit. p. 17).
Con quella crisi sanitaria, invero, ebbe fine il Medioevo.
E oggi? Come scrive il più acuto sociologo europeo, Michel Maffesoli, è la fine di un’epoca, ricordandoci che la parola epoké in greco significa parentesi.
È la fine – io credo – della cosiddetta “modernità”, nata nel Secolo dei Lumi, e che ora è giunta “al fine corsa dello spirito capitalistico e alla saturazione dei suoi valori; di una civiltà – quella moderno-capitalistica che è degenerata, il cui paradigma non viene più accettato e dove la matrice dell’essere-insieme è diventata infeconda” (Michel Maffesoli, L’ère des soulèvements, Parigi, 2021, p. 61).
Certo, le élite globaliste, economiche, mediatiche, politiche e – ahimè! – persino religiose continueranno a promuovere e incoraggiare questa psico-pandemia per imporre col loro psico- potere quello che non è altro che il loro estremo esperimento d’ingegneria sociale per ri-plasmare l’uomo concreto, di cui hanno profondo e radicato disprezzo, pretendendo di essere Dio e perciò disprezzando Dio stesso.
Di certo, i loro piani per quello che loro chiamano il futuro, il next generation plan, sono solo i piani per il loro esclusivo futuro; e tali piani non sono né nuovi né ignoti.
Nell’ormai lontano 1959, il filosofo tedesco Günther Anders già li metteva criticamente a nudo nella sua opera Die Antiquiertheit des Menschen (L’Uomo è antiquato).
Scrive Anders: “Per soffocare in anticipo ogni rivolta, non bisogna essere violenti. I metodi come quelli di Hitler sono superati.
Basta creare un condizionamento collettivo così potente che l’idea stessa di rivolta non verrà nemmeno più alla mente agli uomini.
L’ideale sarebbe quello di formattare gli individui fin dalla nascita limitando le loro abilità biologiche innate.
In secondo luogo, si continuerebbe il condizionamento riducendo drasticamente l’istruzione, per riportarla ad una forma di inserimento professionale.
Un individuo ignorante ha solo un orizzonte di pensiero limitato, e più il suo pensiero è limitato a preoccupazioni mediocri, meno può rivoltarsi.
Bisogna fare in modo che l’accesso al sapere diventi sempre più difficile ed elitario, che vi sia divario tra il popolo e la scienza, che l’informazione destinata al grande pubblico sia anestetizzata da qualsiasi contenuto sovversivo.
Niente filosofia. Anche in questo caso, bisogna usare persuasione e non la violenza diretta: si diffonderanno massicciamente attraverso la televisione divertimenti che adulano sempre l’emotività o l’istintivo. Affronteremo gli spiriti con ciò che è futile o giocoso. È buono impedire allo spirito di pensare.
Metteremo la sessualità al primo posto tra gli interessi umani, come tranquillizzante sociale non c’è niente di meglio.
In generale si farà in modo di bandire la serietà dall’esistenza, di ridicolizzare tutto ciò che ha un valore elevato, di mantenere una costante apologia della leggerezza, in modo che l’euforia della pubblicità diventi lo standard della felicità umana e il modello della libertà.
Il condizionamento produrrà così da sé una tale integrazione, che l’unica paura – che dovrà essere mantenuta – sarà quella di essere esclusi dal sistema e quindi di non poter più accedere alle condizioni necessarie alla felicità.
L’uomo di massa, così prodotto, deve essere trattato come quello che è: un vitello, e deve essere sorvegliato come deve essere un gregge.
Tutto ciò che permette di far addormentare la sua lucidità è un bene sociale. Quello che metterebbe a repentaglio il suo risveglio deve essere ridicolizzato, soffocato, combattuto.
Ogni dottrina che metta in discussione il sistema deve prima essere designata come sovversiva e terrorista, e coloro che la sostengono dovranno essere trattati come tali” (Die Antiquiertheit des Menschen, vol I: Über die Seele im Zeitalter der zweiten industriellen Revolution, cap. VI: VI. Annihilation und Nihilismus, Berlin, pp. 305-307).
Che cosa è mai l’uomo?
E, oggi ci chiediamo col salmista, che cosa è mai questo adām, che in realtà, come sappiamo, invece, dal celebre אדמה testo del libro della Genesi al secondo capitolo, altro non è che una creatura plasmata “con polvere”, con adāmā del suolo”?
adām in ebraico significa proprio “fatto di terra”, o אדמה diremmo oggi, “terrestre”, così come il sostantivo latino homo deriva da humus, vale a dire terriccio.
Che risposta ci saremmo dovuti attendere da un buon credente ebreo del tempo del Regno di Giuda, nel terzo secolo avanti Cristo?
L’uomo è nulla di fronte al suo mistero e al mistero stesso di Dio!
La sua risposta, invece, ancor oggi ci sorprende!
Vatechasserehu Me’at וַתְּחַסְּרֵהוּ מְּעַט מֵאֱ’לֹהִים וְכָבוֹד וְהָדָר תְּעַטְּרֵהוּ MeE-lohim: Vekhavod VeHadar Te’atterehu: “Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato” (Salmo 8, .)6
Sì, l’avete sentito bene nel testo ebraico: l’uomo è stato fatto Me’at MeE-lohim, poco meno di Dio stesso, ed Elohim è il nome stesso con cui Dio si rivela a Mosè nell’incontro sul monte Oreb quando il Patriarca d’Israele è attirato da un roveto ardente, si avvicina e sente risuonare queste parole:
“Io sono – Elohim – il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe” (Esodo 3, 6).
Fatto poco meno del suo stesso Creatore, all’uomo è affidata l’immensa impresa di γνῶθι σεαυτόν; conosci te stesso!
E ancor più e ancor oltre: a lui è affidata l’impresa di essere veramente se stesso, perché come diceva un giovane santo dei nostri tempi – il beato Carlo Acutis – “Tutti nascono originali ma molti muoiono come fotocopie”.
L’origine della crisi di civiltà che stiamo vivendo, come ben analizzata da Michel Maffesoli, io credo sia una profonda crisi antropologica, vale a dire, una crisi nata dal fatto che l’uomo occidentale ha perso la dimensione della sua finitudine e della sua grandezza in rapporto a Dio, al Dio dei Viventi, e si è prostrato ad adorare gli dei dei morti e della morte!
Alla base dello sterminio quotidiano di vite abortite, alla base dell’orrenda propagazione di pratiche eugenetiche, alla base dell’abominazione della pratica dell’utero in affitto, alla base della capillare e ossessionante propaganda dell’ideologia omosessualista e del gender, alla base della sempre più praticata e diffusa eutanasia, alla base della diffusione di quelli – che una propaganda martellante chiama – “i nuovi diritti civili”, e alla base del nuovo umanesimo – brutalmente sospinto dalle élite mondialiste – ma che altro non è che il piano per l’instaurazione del transumanesimo, alla base di tutto ciò c’è una e una sola radicale causa: lo smarrimento della Verità sull’uomo e dell’uomo.
In un recentissimo scritto di Sua Santità Benedetto XVI, riferendosi proprio a queste questioni, possiamo leggere:
“Si pone piuttosto la domanda di fondo: chi è l’uomo? E con essa anche la domanda se ci sia un Creatore o se siamo solo tutti prodotti di un fare. Sorge questa alternativa: o l’uomo è creatura di Dio, è immagine di Dio, è dono di Dio, oppure l’uomo è un prodotto che egli stesso sa creare. Quando si rinuncia all’idea della creazione. si rinuncia alla grandezza dell’uomo, si rinuncia alla sua indisponibilità e alla sua dignità che è al di sopra di ogni pianificazione” (Benedetto XVI, La vera Europa. Identità e missione, Siena, 2021, p. 8).
Per questo Papa Benedetto invoca una “ecologia dell’uomo” perché “anche l’uomo possiede una natura che gli è stata data, e il violentarla e il negarla conduce all’autodistruzione”(Ibidem, pp. 8-9).
Cari amici,
Me’at MeE-lohim, poco meno di Dio stesso, se l’uomo rifiuta la logica del contemporaneo pollaio e accetta la sfida che l’Apostolo Paolo rivolgeva alla Cristianità del suo tempo:
“Fratelli vi esorto: non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Romani 12, 2).
Sì! Me’at MeE-lohim se non ci conformiamo alla mentalità corrente del “politicamente corretto e moralmente corrotto”!
Me’at MeE-lohim, poco meno di Dio stesso, se l’uomo affronta la sfida intellettuale e morale che spinse Sant’Agostino d’Ippona a ricercare la Verità come vero senso dell’esistenza umana: “in interiore homine habitat Veritas”, perché la Verità abita nel più profondo dell’uomo e “non intratur in veritatem nisi per caritatem”, perché non si accede alla Verità se non attraverso l’Amore.
Come lo stesso Agostino superbamente descrive nelle sue Confessiones:
“Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace” (Confessiones, X, 38).
Sì! Me’at MeE-lohim se il nostro sguardo si rivolge alla Verità che è Dio e che Dio ha posto nell’uomo, fatto a sua immagine e אֱלֹהִ֤ים ׀ אֶת־הָֽאָדָם֙ בְּצַלְמ֔וֹ בְּצֶ֥לֶם אֱלֹהִ֖ים בָּרָ֣א אֹת֑וֹ זָכָ֥ר“ ,somiglianza otàm sarà u-neqevàh zakàr otò barà Elohìm) loro(וּנְקֵבָ֖ה בָּרָ֥א אֹתָֽם creò maschio e femmina loro creò Dio” (Genesi 1, 27).
Me’at MeE-lohim se sapremo riscoprire il Vangelo nella sua verità intramontabile quale tesoro prezioso nascosto in una campo e quale perla preziosa per la quale – come dice Gesù – vale la pena vendere tutto il resto per possederli (Cfr. Matteo 13, 44-46).
Sì! Me’at MeE-lohim se sapremo seguire Colui che anche oggi ci ripete: “Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Giovanni 16, 28). Lui che solo è “la Via, la Verità e la Vita”; e senza il quale non si può giungere “a conoscere il Padre”(Giovanni 14,6).
Me’at MeE-lohim se avremo il coraggio di una fede cristiana non a prezzo moderato, con una grazia a buon mercato, ma nella bellezza della sua più radicale energia e in una Tradizione che non significa staticità ma irresistibile spinta a “tradere”, che in latino significa trasmettere, passare avanti, donare, portare avanti e, dunque, che ha le sue radici nel passato ma il suo orizzonte nel futuro.
Sì! Me’at MeE-lohim se ogni giorno avremo il coraggio di vivere l’appassionante missione che Gesù ci ha affidato: “Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo” (Matteo 5, 13 e 14).
Cari amici,
il Santo Padre Benedetto XVI così concludeva la sua prima omelia in Piazza San Pietro il 24 aprile 2005:
“In questo momento il mio ricordo ritorna al 22 ottobre 1978, quando Papa Giovanni Paolo II iniziò il suo ministero qui sulla Piazza di San Pietro. Ancora, e continuamente, mi risuonano nelle orecchie le sue parole di allora: “Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!” Il Papa parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato entrare e concesso la libertà alla fede. Sì, egli avrebbe certamente portato via loro qualcosa: il dominio della corruzione, dello stravolgimento del diritto, dell’arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di ciò che appartiene alla libertà dell’uomo, alla sua dignità, all’edificazione di una società giusta. Il Papa parlava inoltre a tutti gli uomini, soprattutto ai giovani … No! chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana.
Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo!
Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita”.
Sì! Noi ben lo sappiamo: Gesù non toglie nulla, Gesù dona tutto!
Per questo non abbiamo paura di spalancare le ali della Fede e della Ragione e di spiccare il volo verso la Via, la Verità e la Vita.
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Categoria: Generale
Grazie, Gian Pietro!
Non avresti potuto scrivere
ciò che ho letto
se 𝐂𝐑𝐈𝐒𝐓𝐎
non abitasse in te
e tu in 𝐋𝐔𝐈!
E poiché 𝐂𝐑𝐈𝐒𝐓𝐎
è la 𝐕𝐄𝐑𝐈𝐓𝐀’,
in te non c’è falsità alcuna!
E la 𝐕𝐄𝐑𝐈𝐓𝐀’
– il 𝐕𝐄𝐑𝐁𝐎 𝐈𝐧𝐜𝐚𝐫𝐧𝐚𝐭𝐨
la 𝐑𝐚𝐠𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐃𝐈𝐎,
il 𝐏𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐫𝐨 𝐝𝐢 𝐃𝐈𝐎 –
e la 𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐫𝐚𝐠𝐢𝐨𝐧𝐞 dell’uomo
– illuminata dall’Eterna Legge di 𝐃𝐈𝐎 – ,
strettamente unite
come la Vite e il tralcio,
sono le 2 Ali
che ci fanno volare in Cielo
fino a contemplare
l’Infinito e Ineffabile
Splendore di DIO!
Articolo denso di utili citazioni. Da meditare, applicare e divulgare. Sì, ci rimane solo che il Cristo ritorni sulle nubi del Cielo, facendo fare dalle sue potenze metafisiche un repulisti di tutta questa feccia satanista, salvando solo i “Suoi” con la Sua Misericordia, ossia il grano buono diviso dalla zizzania. Così fu scritto e così vale oggi..
Bravo Giorgio.
La tesi di fukuyama mi pare azzeccatissima. Il resto immagino colpa mia- direi inconcludente.
In quanto a questa frase. La fede non può essere una teoria assurda. Deve essere esperienza, convinzione, non per volontà ma per dono. Forzaesi a credere inella creazione da parte di un Dio in reato e’ un ossimoro.
Quando si rinuncia all’idea della creazione. si rinuncia alla grandezza dell’uomo, si rinuncia alla sua indisponibilità e alla sua dignità che è al di sopra di ogni pianificazione” (Benedetto XVI, La vera Europa. Identità e missione, Siena, 2021, p. 8).
Questo articolo è bellissimo.
Per un punto Martin perse la guerra.
(Discorso delicato e complicato. Ma va iniziato.)
I tubetti di dentifricio spremuti nel mezzo sono più pericolosi delle segretarie(/i) che fanno l’occhiolino. Ci si divide molto più spesso per incomprensioni, sottintesi e malintesi, pigrizia mentale e rispetto umano, che sulle grandi questioni. E ora dividersi è più di un peccato mortale: è idiozia pura (e la permalosità da pregiudizio poco meno).
Due esempi, solo apparentemente lontanissimi: devozione/rispetto dovuto ai santi e neutralità della tecnica. Con trait d’union evangelico e tolkeniano.
Santi: modelli di “perfezione” cristiana. Col sottinteso-!- che solo Dio è Perfetto.
Per quanto rilegga quattro volte, anche il migliore farà i suoi sette errori quotidiani di ortografia/egolatria; sotto la lente d’ingrandimento nemmeno gli scritti dei Padri della Chiesa e dei più grandi Papi (GPII) sono esenti da “refusi”. A questo servono correttori di bozze/esegeti/sensus fidei.
Ignazio di Loyola: grandissimo santo, cui Europa e Chiesa devono moltissimo.
Però credette che i fini potessero convertire i mezzi. Il risultato fu porre la sua creatura a cavallo della tigre, la quale, seppur imbrigliata, sempre tigre era. Ed era inevitabile che seguisse il suo istinto al primo allentarsi di redini e ginocchia. Il corpo sbranato del gesuitismo è sotto gli occhi di tutti. Anche troppo e non da oggi.
«Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.» «Prudenti», non “velenosi” come serpenti.
Il fulcro di tutta la saga di Tolkien è l’Anello di Sauron. Ovvero il Potere Assoluto. La sfida, il vero combattimento, di cui le epiche battaglie sono solo trasposizione, sta nel non usarlo. Perché il mezzo non può essere scisso dal fine per cui è stato creato e finirà per corrompere, lentamente ma inesorabilmente, qualunque coscienza e volontà, anche la migliore.
In codesto continuum spazio-spirituale non c’è niente di “neutro”.
Nemmeno il sapone (“la pubblicità mente-la pubblicità mente-la pubblicità è esca per allocchi”).
Tutto ha una matrice, una firma. Un segno.
Mettiamola così: la predestinazione degli esseri umani è -cattolicamente ma anche umanamente parlando- una bestemmia. Quella delle cose e degli strumenti è una realtà elementare (le tecniche nient’altro sono che strumenti immateriali, i cui prodotti se meccanici nomasi “tecnologie”, se umani “citoyen”, “compagno”, “camerata”, “consumatore” … “fedele”, anche, a volte). Nel senso che se non l’impari insieme alle tabelline rischi di prendere grandissime fregature al mercatino della vita. Non a caso ai contadini si è, per millenni, accuratamente evitato di insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Ora c’è la tv. Saperlo.
Una fra le più suggestive quaestio storiche è la presunta “rivoluzione industriale” abortita al tempo dell’antica Grecia.
Sul perché, pur con tutti i presupposti -scienza, commercio, risorse intellettuali e materiali- i greci non andarono al di là di qualche timido esperimento meccanico. La risposta comunemente accettata è che la società non era pronta. Mentre quella inglese del XVIII secolo (capitalizzante predazioni di Drake and c. e riflessioni di scienziati e filosofi “emancipati” dal retrivo pensiero cattolico) era il terreno di coltura ideale.
Però oltre che discrasie ci sono anche interessanti analogie tra società anglo-moderna e pre-cristiana. Ad es. tra meccanizzazione, urbanesimo dickensiano, imperialismo, rinascita poi abolizione dello schiavismo, omologazione tecno-consumista (prox genetica), e schiavitù “di natura” (Aristotele).
Radioattività, elettronica, Dna.
Fra le più grandi scoperte/invenzioni qualificanti la Modernità. Irrinunciabili ormai.
Che non sono venute qual fulmini a ciel sereno, che dal nulla sorgono e tutto ugual lasciano, ma piuttosto come archi voltaici in un laboratorio perfettamente attrezzato.
Eventi/mezzi non-casuali all’interno di un Sistema (economico-social-filosofico) che li ha favoriti, cercati, voluti. Prodotti. Per le finalità alle quali li ha ritenuti coerenti. Saperlo.
Hiroshima e gli arsenali (anche bio) dell’Apocalisse.
Grande Sorella/Madre -più rassicurante- con un piede e mezzo già in casa.
Mondo Nuovo della TransUmanità.
Chi stabilisce i fini determina i mezzi, e il mezzo contiene in potenza il suo fine ultimo.
E’ solo questione di tempo e occasione perché lo realizzi.
L’unica salvezza (umana, aiutati che Dio t’aiuta) è cambiare tutti e tre i termini della relazione. Cominciando dal primo. Saperlo.
Auguri, dott. Tosatti. Non mi era sfuggita una insolita lentezza nelle pubblicazioni dei giorni scorsi, ma l’avevo attribuita ad impegni professionali lontano dalla postazione di servizio permanente, effettivo.