Derubricare i Peccati, Nuovo Trucco dei Traduttori della Bibbia Cei (Gayfriendly?).

9 Luglio 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, l’Investigatore Biblico ci segnala questa sua scoperta, che mi sembra proprio interessante, in un periodo storico in cui si parla di lobby gay nella Chiesa, di DDL Zan e di altri temi similari. La scoperta dell’Investigatore Biblico si riferisce alla più recente traduzione (tradimento sembrerebbe la parola giusta, in questo caso) della Bibbia ad opera della CEI. E i maligni possono ben supporre che si sia voluta dimostrare attenzione alle sensibilità delicate di una certa categoria di persone…Buona lettura.

§§§

Cari lettori,

vi propongo una nuova analisi di traduzione che considero personalmente una vera e propria violenza al testo, contenuta nella lettera di Giuda.

CEI 1974: “Così Sodoma e Gomorra e le città vicine, che si sono abbandonate all’impudicizia…” (Giuda v.7)

CEI 2008: “Così Sodoma e Gomorra e le città vicine, che alla stessa maniera si abbandonarono all’immoralità…” (Giuda v. 7).

Leggiamo il testo greco e vediamo se si tratta di un erroruccio o di una svista.

ἐκπορνεύσασαι – èkporneìsasi – da “porneia”, significa principalmente “prostituzione”.

Consiglio, per inciso, la lettura di questo interessante articolo: La porneia

San Giuda nella sua lettera si riferisce a coloro che si prostituiscono attraverso il vizio contro natura.

Un interessante riferimento sono i versetti biblici sulla blasfemia dei prostituti sacri (uomini) di alcuni passi dell’Antico Testamento.

Deuteronomio 23,18-19: “né vi sarà alcun uomo dedito alla prostituzione sacra tra i figli d’Israele“; 2 Re 23,7: “Demolì le case dei prostituti sacri, che erano nel Tempio, e nelle quali le donne tessevano tende per Asherah (idolo cananeo, ndr)”.

Tradurre il termine “èkporneìsasi” con “immoralità” significa per l’ennesima volta annacquare ed annebbiare il messaggio originale della Parola di Dio.
Quella che ho definito sopra come una vera e propria violenza al testo.

“Immoralità” è un termine generico, che rimuove un riferimento specifico. “Impudicizia”, al contrario, esprime nell’accezione corretta l’intenzione dell’Apostolo San Giuda Taddeo, ovvero condannare uno specifico peccato della sua epoca (come della nostra, del resto). Il testo originale utilizza un termine corretto, chiamando un preciso peccato per nome.

L’altro errore, altrettanto grave, emerge al v. 10.

CEI 1974: “Costoro invece bestemmiano tutto ciò che ignorano...”

CEI 2008: “Costoro invece mentre insultano tutto ciò che ignorano…”.

Andiamo al testo in greco.

βλασφημοῦσιν – blasfemousin – la cui radice troviamo nel termine “blasfemia”, assume il significato di “bestemmia”.
Nel caso del testo Cei 2008 i traduttori deliberatamente decidono di utilizzare un generico “insultano”. Da notare che l’espressione “tutto ciò che ignorano” è riferita a Dio e alla fede Cattolica.
Infatti, San Giuda esprime una considerazione sul peccato dei “prostituti sacri”, i quali non solo praticano il vizio contro natura “dedicato” ad un idolo, ma “bestemmiano” ciò che ignorano (ovvero Gesù Cristo), peccando gravemente non solo a parole, ma con la loro stessa vita.
Per questo motivo l’utilizzo di un generico verbo insultare (“insultano”) rappresenta un ennesimo e maldestro tentativo ad opera dei traduttori di alleggerire, addolcire, annacquare e travisare un peccato, che l’Apostolo, al contrario, senza troppi giri di parole, definisce gravissimo.

Cosa dobbiamo dedurre, amici carissimi?

Non posso far meno di intravedere in questo filone di traduzione una volontaria faziosità da parte della Cei 2008.
Per quanto mi riguarda, l’argomentazione del “rendere il testo più moderno, più leggibile, più attinente” non regge. Essendo il testo Sacro, questo modus operandi è il risultato di uno scombinare completamente il vero significato.

Ecco il motivo per cui mi sono permesso in apertura di usare l’espressione violentare il testo biblico.

La lettera di Giuda è molto breve e viene letta una sola volta, o forse due, durante il ciclo liturgico. Chi può accorgersi di tali errori?
Al contrario una lettura attenta e meticolosa può illuminare gli occhi del fedele.

Più scopro il testo dell’ultima traduzione per il pubblico, più mi convinco che si procede verso il fondo.

§§§




Ecco il collegamento per il libro in italiano.

And here is the link to the book in English. 

Y este es el enlace al libro en español


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25 commenti

  • Ruggero ha detto:

    La strumentale distorsione della traduzione a scopo modernista è assai più diffusa e precedente. Nella Bibbia del Martini dell’800, quella illustrata dal Dore’, in Apocalisse:
    ” odi le opere dei Nicolaiti che anch’io odio.”

    (Apocalisse 2,6)
    E’ diventato già negli anni settanta:
    “detesti le opere dei Nicolaiti, che anch’io detesto”.
    Si vuole cambiare la Sacra Scrittura nella sua Tradizione da molto tempo per secondi fini. Con il pretesto che non la si comprende ci si permette di correggere la Parola di Dio, come se non fosse in grado di scegliere i termini giusti. E’ come dire che a Nostro Signore manchi qualcosa nella sua capacità di espressione. Ciò è oggettivamente una “bestemmia”, bestemmia che mi tocca sentire ogni Domenica nel Padre Nostro. La nostra Religione credo sia l’unica che dialoga con Dio, in particolare con veggenti e mistici, e credo che avrebbe corretto il Padre Nostro se non fosse stato gradito nella sua millenaria forma. Quindi per i modernisti a Dio manca qualcosa. Forse si riferiva anche a questo Bergoglio quando parlo’ di ” scemo”, parola di identico significato anche in Spagnolo. È interessante notare che i Nicolaiti erano dei sincretisti dell’epoca.

  • antonio cafazzo ha detto:

    • Dalla Bibbia ufficiale della CEE (Conferencia Episcopal Española) (2011):
    “7 También Sodoma y Gomorra, con las ciudades circunvecinas, por haberse prostituido como aquellas y por haber practicado vicios contra naturaleza, quedan ahí como muestra, padeciendo la pena de un fuego eterno.”

    • Dalla Biblia de Jerusalén (1976)
    “7 Y lo mismo Sodoma y Gomorra y las ciudades vecinas, que como ellos fornicaron y se fueron tras una carne diferente, padeciendo la pena de un fuego eterno, sirven de ejemplo.”

    Dunque la “perversione linguistica” è un frutto dell’ignoranza del clero italiano o una sua subdola manipolazione?

  • acido prussico ha detto:

    Il linguaggio esprime la realtà.
    Il lessema della chiesa bergogliana ispano-parlante è “transmigración” ossia “trans + migración”.

  • Maria Cristina ha detto:

    E’ solo una tappa intermedia. La prossima tappa , definitiva, sara’ censurare direttamente , cioe’ cancellare nei testi della Bibbia tutti i passi che parlano o alludono al peccato contro natura , all’ adulterio, e al peccato in generale E anche censurare tutte le parole di Gesu’ e di San Paolo che non corrispondono al “volemose tuttibbene “ love is love” .
    La cancel culture religiosa e’ ufficialmente cominciata: l’ Inferno non si sa piu’ se esista o no, ma la sua esistenza e’ ritenuta un mito dai piu’ alti vertici della Chiesa, il Diavolo solo un simbolo, le parole di Gesu’ sull’ adulterio non attendibili ( non c’ era il registratore) , la Resurrezione una metafora della primavera, eccetera eccetera. La cancel culture religiosa cancellera’ tutto Quello che e’ stato tramandato fino a noi come Verita’ reale e le generazioni future non ne sapranno nulla! Cresceranno le nuove generazioni convinte ( dai pretii tipo Padre Martin ) che Gesu’ e la Bibbia insegnassero che fare sesso in qualunque modo e con chiunque sia cosa gradita a Dio .
    Il Nuova Bibbia rivista e censurata avra’ l’ imprimatur del Vaticano e i vecchi testi ancora esistenti saranno, come in un romanzo distopico, tenuti segreti, perche’ averne il possesso sara’ ritenuto reato penale .

    • Anna Battaglia ha detto:

      E’ esattamente ciò avverrà fino a quando ogni religione o fede sarà dichiarata FUORI LEGGE, in primis quella Cattolica

      • Anna Battaglia ha detto:

        Vorrei cmq precisare che il dichiarare fuori legge tutte le religioni ed in primis quella Cattolica è nei piani della massoneria nel Nuovo Ordine Mondiale

        Una volta istituito il NWO, vi sarà una sola Religione, una sola moneta, un solo centro di potere

  • Paolo Meyer ha detto:

    Ecco qui diverse traduzioni. Perfino l’inglese HNT è chiarissima, come pure il testo spagnolo:

    New Revised Standard Version (1989) – Jude 1:7NRS Jude 1:7 Likewise, Sodom and Gomorrah and the surrounding cities, which, in the same manner as they, indulged in sexual immorality and pursued unnatural lust, serve as an example by undergoing a punishment of eternal fire.

    San Paolo Edizione (1995) (Italian) – Jude 1:7 Così come Sodoma e Gomorra e le città circonvicine che, avendo prevaricato nello stesso modo e avendo seguito passionalmente una sessualità diversa da quella naturale, costituiscono un esempio ammonitore, soffrendo la pena del fuoco eterno.

    VULGATA – Jude 1:7 sicut Sodoma et Gomorra et finitimae civitates simili modo exfornicatae et abeuntes post carnem alteram factae sunt exemplum ignis aeterni poenam sustinentes

    Spanish Reina-Valera Update (1995) – Jude 1:7 También Sodoma y Gomorra y las ciudades vecinas, las cuales de la misma manera que aquellos, habiendo fornicado e ido en pos de vicios contra la naturaleza, fueron puestas por ejemplo, sufriendo el castigo del fuego eterno.

  • Don Pietro Paolo ha detto:

    Davide: “Sorprende invece che nessun sacerdote”, ma come fa ad affermare certe cose? Ma lei….ha forse il dono dell’ubiquita’?

    • Paolo Meyer ha detto:

      Mi chiedo una cosa… ma anziché dire quell’aberrante “non ci abbandonare nella tentazione” non sarebbe stato meglio, molto meglio, tradurre: “fa’ che non cadiamo nella tentazione”?

      • TEUCRO ha detto:

        … ma perché, caro Paolo, sarebbe una traduzione altrettanto peregrina. Bisogna bene intendere il significato di “in-ducere” (εἰσ-φέρειν), che non è l'”indurre” dell’italiano corrente (e tanto meno un “abbandonare”). E parimenti il significato di “tentatio” (πειρασμός), che non si esaurisce nel senso dell’italiano “tentazione”. Il valore generale della frase è quello di “non metterci alla prova”. Epperò… posto che per decenni si è andati avanti con la traduzione “non ci indurre in tentazione”, con la quale hanno pregato intere generazioni, era proprio il caso di modificarla, per di più in peggio? Non sarebbe stato più saggio spiegare bene e ripetutamente ai fedeli il vero senso dell’espressione, anziché inventare la blasfema idiozia (scusate, ma tale è) dell'”abbandonarci”?

        • : ha detto:

          Perfettamente d’accordo sulla blasfemia dell’«abbandonarci» Però:

          Perché l’«inducere» non è l’«indurre» dell’Italiano corrente? Certo, un azzeccagarbugli, consultando il vocabolario Latino-Italiano oltre che «indurre» potrebbe tirar fuori altre definizioni (così come dall’italiano «indurre» potrebbe leggere altre definizioni latine). Per esempio, da un “classico” Campanini-Carboni potrebbe leggere, oltre a «indurre», anche «introdurre – spingere – indossare – cancellare». Cosa dobbiamo scegliere?

          E «tentazione»? Questa volta facendo il percorso inverso dallo stesso vocabolario, dall’italiano «tentazione» si ricava solo il latino «tentatio-tentationis». Dal Latino all’italiano c’è anche «prova», è vero, ma perché dover scegliere questo termine anziché «tentazione», così direttamente simile, addirittura quasi uguale, nella sua composizione letterale al corrispondente latino? Oltretutto, se è vero che un certo vocabolo tradotto nell’altra lingua corrisponde a parole anche molto diverse nel significato (come abbiamo visto sopra per «inducere»), è vero anche che quelli di significato simile (come «tentazione» e «prova») hanno delle sfumature che “inducono” – è il caso di dirlo – ad usare uno piuttosto che l’altro. E se con “tentazione” “indurre” va a pennello, con “prova” è più adatto il verbo “mettere” (“mettere qualcuno alla prova”, più che “indurre”. E il verbo latino «inducere» tra tanti significati non mostra certamente quello di «mettere».

          D’altro canto l’Italiano in un certo senso si potrebbe definire il Latino moderno; e perché allora salvo casi evidenti e non frequenti di netto scostamento dal significato originale (latino) della parola, bisogna per forza sforzarsi di cambiare il corrispondente italiano? Solo per il gusto che “nuovo è bello”? O forse nella presunzioni che i latinisti di oggi (dove sono?) siano più “addottorati” di quelli di ieri? Nient’affatto, semmai il contrario, e credo che questo nessuno possa negarlo.

          Per quanto riguarda i «decenni» ai quali risale quella «traduzione»: Decenni? Nel Catechismo c.d. di San Pio X (a cavallo XIX – XX secolo) possiamo leggere il Padre Nostro in Italiano così come lo si recita ora; e, credo non esserci dubbio, come lo si è sempre recitato da quando lo si fa in lingua “volgare”. Semmai la dimostrazione dovrebbe essere al contrario.

          «Bisogna bene intendere il significato di “in-ducere” (εἰσ-φέρειν), che non è l’”indurre” dell’italiano corrente (e tanto meno un “abbandonare”). E parimenti il significato di “tentatio” (πειρασμός), che non si esaurisce nel senso dell’italiano “tentazione”. Il valore generale della frase è quello di “non metterci alla prova”. Epperò… posto che per decenni si è andati avanti con la traduzione “non ci indurre in tentazione”, con la quale hanno pregato intere generazioni, era proprio il caso di modificarla, per di più in peggio? Non sarebbe stato più saggio spiegare bene e ripetutamente ai fedeli il vero senso dell’espressione, anziché inventare la blasfema idiozia (scusate, ma tale è) dell’”abbandonarci”?»

          • : ha detto:

            Vabbè! Nella risposta ho dimenticato di cancellare il testo di Teucro posto in calce.

          • TEOCLIMENO ha detto:

            La questione, tra noi, è puramente accademica, posto che Lei ed io ci troviamo in pieno accordo sull’inopportunità di modificare il testo del “Padre nostro” e sull’assoluta insensatezza dell'”abbandonarci”. // Ad ogni modo: prima di essere la matrice etimologica dell'”indurre” italiano, “inducere” latino è il calco quasi perfetto del sopramenzionato vocabolo greco (dico “quasi” perché un letteralista un po’ pedante, di quelli che guardano il dito, o magari anche la luna, ma sono incapaci di vedere insieme dito e luna riconoscendoli come tali, si sarebbe aspettato qualcosa come “inferre”), il cui significato è “portare in”, “recare in”, “mettere in”, anche “introdurre”, ventaglio semantico che il latino “induco” copre con grande naturalezza, e tuttavia espande, per esempio (ma non solo) in direzione di “causare”, “spingere a”, “far cadere in”, “persuadere” (per esempio “in errorem”, “ad maleficium”, ecc.). L’odierno italiano “indurre” rimanda anzitutto a queste ultime accezioni, sicché l’espressione, nel contesto del Padre nostro, può riuscire, di primo acchito, un po’ enigmatica. Analogo discorso vale per “temptatio” e πειρασμός, che valgono anzitutto “tentativo”, “prova”. Il vocabolo latino vien poi a indirizzarsi (veda, p. es., “tentatio”2 nel Du Cange) nel senso dell’odierno “tentazione” italiano, decisamente più connotato del semplice “prova”.
            Precisato questo, torniamo alle nostre unanimi conclusioni: ma che senso aveva alterare in nome di una inutile pruderie letteralistica una versione ormai consolidata e consacrata, per così dire, da più generazioni di oranti che così, pieni di fede, l’avevano pronunziata? Nessun senso! Se poi la toppa è un autentico sfregio, come quel “non abbandonarci”, persino meno di nessun senso! // Circa l’espressione “decenni”, infine, occorre considerare non solo che i decenni possono tranquillamente superare la decina (in italiano possiamo dire dodici decenni anziché un secolo e vent’anni, così come dodici secoli anziché un millennio e due secoli), sia, soprattutto, perché all’interno della Santa Messa, dove ha subìto il recente pessimo ritocco, il Padre nostro si recita in italiano più o meno da quando essa è stata convertita in italiano. Vero è però che la volgarizzazione del Padre nostro ha alle spalle una storia plurisecolare (pensi a volgarizzamenti della Bibbia come quello cinquecentesco, che Lei certamente conoscerà, di Santi Marmochino, o a vere e proprie trasposizioni poetiche in volgare, come quella secentesca del Campanella). // Chiedo venia a Marco e agli altri commentatori, se mi sono dovuto dilungare.

          • TEOCLIMENO ha detto:

            La questione, tra noi, è puramente accademica, posto che Lei ed io ci troviamo in pieno accordo sull’inopportunità di modificare il testo del “Padre nostro” e sull’assoluta insensatezza dell'”abbandonarci”. // Ad ogni modo: prima di essere la matrice etimologica dell'”indurre” italiano, “inducere” latino è il calco quasi perfetto del sopramenzionato vocabolo greco (dico “quasi” perché un letteralista un po’ pedante, di quelli che guardano il dito, o magari anche la luna, ma sono incapaci di vedere insieme dito e luna riconoscendoli come tali, si sarebbe aspettato qualcosa come “inferre”), il cui significato è “portare in”, “recare in”, “mettere in”, anche “introdurre”, ventaglio semantico che il latino “induco” copre con grande naturalezza, e tuttavia espande, per esempio (ma non solo) in direzione di “causare”, “spingere a”, “far cadere in”, “persuadere” (per esempio “in errorem”, “ad maleficium”, ecc.). L’odierno italiano “indurre” rimanda anzitutto a queste ultime accezioni, sicché l’espressione, nel contesto del Padre nostro, può riuscire, di primo acchito, un po’ enigmatica. Analogo discorso vale per “temptatio” e πειρασμός, che valgono anzitutto “tentativo”, “prova”. Il vocabolo latino vien poi a indirizzarsi (veda, p. es., “tentatio”2 nel Du Cange) nel senso dell’odierno “tentazione” italiano, decisamente più connotato del semplice “prova”.
            Precisato questo, torniamo alle nostre unanimi conclusioni: ma che senso aveva alterare in nome di una inutile pruderie letteralistica una versione ormai consolidata e consacrata, per così dire, da più generazioni di oranti che così, pieni di fede, l’avevano pronunziata? Nessun senso! Se poi la toppa è un autentico sfregio, come quel “non abbandonarci”, persino meno di nessun senso! // A margine: circa l’espressione “decenni”, infine, occorre considerare non solo che i decenni possono tranquillamente superare la decina (in italiano possiamo dire dodici decenni anziché un secolo e vent’anni, così come dodici secoli anziché un millennio e due secoli) ma soprattutto che all’interno della Santa Messa, dove ha subìto il recente pessimo ritocco, il Padre nostro si recita in italiano più o meno da quando essa è stata convertita in italiano. Vero è però che la volgarizzazione del Padre nostro ha alle spalle una storia plurisecolare (pensi a volgarizzamenti della Bibbia come quello cinquecentesco, che Lei certamente conoscerà, di Santi Marmochino, o a vere e proprie trasposizioni poetiche in volgare, come quella secentesca del Campanella). // Chiedo venia a Marco e agli altri commentatori, se mi sono dovuto dilungare.
            (versione emendata)

        • : ha detto:

          Sì! Siamo più o meno d’accordo. Le mie considerazione, in particolare nella seconda parte del mio intervento, non erano tanto rivolte a Lei, che ne ha dato l’occasione, ma a molte persone che nella circostanza della sciagurata modifica la giustificavano dicendo che quel “tentazione” è sbagliato perché Dio semmai mette alla prova; come se “mettere alla prova qualcuno” non significasse “indurre in tentazione” (Se per “mettere alla prova” l’onestà della gente ponessi in bella vista una mazzetta di cinquantoni, non so quante persone – accertatesi che nessuno le veda – non sarebbero “indotte nella tentazione” di farla sparire). Senza tacere che incominciando dalle narrazioni della Sacra Scrittura Dio mette sì in tentazione i suoi santi tramite gli angeli del Paradiso o dell’Inferno (Il Sacrificio di Isacco, Giobbe, perfino il Figlio Suo al termine dei 40 giorni nel deserto). E’ certo comunque che le prove cui Dio sottopone l’uomo non sono mai tali che l’uomo non possa superarle, se armato di una fede genuina. Non per niente le prove più dure Dio le riserva ai suoi eletti, che di fede sovrabbondano.

          Detto questo, la preghiera di noi poveracci, consci della nostra fragilità e propensione al peccato, di “non indurci in tentazione”, ha qualcosa di commovente; mentre quella di “non abbandonarci” mi sembra che abbia un significato di sfiducia in un Dio che non abbandona neppure il peggiore dei peccatori.

      • VITMARR ha detto:

        “Fa che non cadiamo nella tentazione” è altrettanto aberrante del ” non abbandonarci nella tentazione”. Nel librio di Giobbe appare chiara la volontà di Dio che durante la prova in cui Giobbe è stato sottomesso non è mai intervenuto in suo favore. Ecco il testo “. [7]Il Signore chiese a satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Da un giro sulla terra, che ho percorsa». [8]Il Signore disse a satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male». [9]Satana rispose al Signore e disse: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla? [10]Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda di terra. [11]Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!». [12]Il Signore disse a satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui». Satana si allontanò dal Signore. ”
        Per comprendere ancora meglio , senza citare testi di teologia, basta il detto popolare :” il Signore manda il freddo secondo i panni”.

        • POLIDORO ha detto:

          Anche secondo me “fa’ che non cadiamo nella tentazione” non è del tutto convincente. Il senso letterale del testo greco-latino è “non metterci nella prova”, che però può essere inteso con varie sfumature. Nel suo commento al Vangelo secondo san Luca, per esempio san Bonaventura lo interpreta come “non permettere che usciamo vinti dalla prova”. “Fa’ che non cadiamo” odora invece di quel timore d’abbandono che in tempi di gai arcobaleni suona, per così dire, perigliosamente passivo; sebbene, a onore del vero, un’idea prossima a quella di abbandono sia stata chiamata in causa anche da autorità del calibro di sant’Agostino (nell’Epistula ad Probam, la n. 130, dove, fra l’altro, rende μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς con il sopra evocato “ne nos inferas”) o dello stesso san Tommaso (quando, nel suo Commento al Pater noster si appoggia al Sal. 70, 9). Ad ogni modo la sfera testuale del Padre nostro è un mondo straordinariamente complesso. Oltre al greco, al latino e alle lingue nazionali moderne, c’è chi vi lavora anche sulla base della versione siriaca e di congetturali controtraduzioni in aramaico o in ebraico (secondo me, nulla per cui perdere il sonno). C’è poi la questione dell’ἐπιούσιος greco, travasato in un semplice “cotidianus”, ma non esente dal significato di un “substantialis” o, meglio ancora, “supersubstantialis”. Insomma, il piano testuale del Padre nostro offre davvero moltissimo su cui riflettere. Penso che una via intelligente e proficua sia quella di approfondirne le implicazioni spirituali aiutandosi con i commenti dei Padri e dei Dottori. Poi, ed è questo l’elemento decisivo, tutto dipende dalla purezza di cuore con cui si prega.

    • Davide Scarano ha detto:

      Non ho il dono dell’ubiquità, però l’ascolto sistematico varrà pure qualcosa. In termini statistici si chiama “frequenza”. Una distribuzione statistica si dice gaussiana o normale se le osservazioni sono almeno a 30 e se il comportamento segue quello della curva omonima. Posso assicurarle che ho seguito più di 30 messe e mai ho sentito parlare di Chiesa o cristianità in crisi.

  • Milly ha detto:

    Questa deriva verso l’abisso la ritroviamo anche nella liturgia della S. Messa con il c.d. “politically correct” . Es. ..confesso a voi fratelli e “sorelle” e poi …pregate fratelli e ” sorelle”.
    Per non parlare poi del Padre Nostro!

    • Enrico Nippo ha detto:

      Tra un po’ sentiremo “fratelle” e “sorelli” oppure

      “fratell*” e “sorell*” 🤣🤣🤣

      E comunque, scempi del genere sono possibili soltanto con il novus ordo che andrebbe abolito quanto prima.

      Un caro saluto.

    • Paul ha detto:

      Si rendono perfino ridicoli con il loro ecclesialese politicamente corretto. Un giorno mi trovai in un conventino di montagna, a far visita ad un amico sacerdote. Mi invitò a partecipare alla Messa conventuale serale. C’erano sette sacerdoti che concelebravano e solo un fedele maschio (io), dicasi “1”. Nessuna donna nel raggio di diversi km. Il celebrante iniziò la breve omelia dicendo: “Carissime sorelle e fratelli…”. Mi girai, per vedere se nel frattempo qualche gruppo di donne fosse entrato in chiesa, ma non ce n’era nemmeno l’ombra.
      Povero celebrante!

      • Don Ettore Barbieri ha detto:

        A me capita il contrario. Siccome al sabato celebro in una frazione in cui spesso vi sono solo donne (compresa mamma con due bambine), devo ricordarmi di mettere tutto al femminile.

  • Maria Michela Petti ha detto:

    «Uno è padrone di ciò che tace e schiavo di ciò di cui parla».
    (Sigmund Freud)

    • AIACE (TELAMONIO) ha detto:

      Dopo l'”animazione liturgica” ecco l'”animazione testuale”. Evidentemente c’è chi ritiene che i sacri testi siano, per usare la greve metafora del Belli, come “la pelle de li cojjoni”! La malafede di queste operazioni è ovvia: un’orda di ecclesiastici inclini alla sodomia si dà alla traduzione creativa per conferire legittimità scritturale al proprio disordine sessuale. E chi dovrebbe vigilare, fa orecchio da mercante (forse letteralmente, nell’intento di promuovere l’appeal del “prodotto cattolicesimo”). Si tratta di volgare mistificazione. Fra un po’ a qualcuno di questi sbalestrati verrà in mente di tradurre “salve, Regina” con “sta’ in salute”, in omaggio al circo barnum delle case farmaceutiche e dei loro impareggiabili clown (televirologi da baraccone, politici semianalfabeti che contano le dosi di vaccino battendo la zampa a terra, bari massmediatici che alterano le carte in tavola…).

  • Davide Scarano ha detto:

    Comprendere il prossimo naufragio è senz’altro fonte di salvezza. Sorprende invece che nessun sacerdote -almeno tra quelli che celebrano la Messa con il Novus Ordo- all’Omelia accenni alla crisi che stiamo vivendo la quale non è solo religiosa ma anzitutto antropologica; ex multis è possibile immaginare una comunità organizzata in cui ciascuno è libero, anzi obbligato, a sentirsi ciò che sente indipendentemente da ciò che è?