BDV: le Mascherine ci hanno Tolto la Cosa più Preziosa, il Sorriso.

17 Maggio 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, Benedetta De Vito ci offre questa riflessione certo non lieta sul segno esteriore della dittatura che stiamo subendo, la cui falsità prorompe da ogni lato. A cominciare dai giornaloni che ieri intonavano peana – sullo spartito redatto dall’Istituto Superiore di Sanità – ai “vaccini” perché le morti attribuite al Covid e i contagi erano scesi. Dimenticando che esattamente un anno fa si era nella stessa situazione. Ma che il miracolo sia dovuto – magari, forse, persino – al fatto che i virus di tipo influenzale nei mesi caldi perdono efficacia? E un anno fa a maggio non c’era il coprifuoco, e le mascherine di cui parla BDV all’aperto non si portavano…

§§§

Non so se siete stati mai a Roma nel Rione Monti, che siede come in trono, guardando di sopra in giù i Fori romani. Quando ci sono arrivata io, 20 anni fa e più, era fatto di botteghe di artigiani e ci si conosceva tutti quanti, come in un paesetto. Poi, d’un tratto, la silenziosa fontana dei Catecumeni, nella piazzetta della Madonna dei Monti, è diventata una grande panchina all’aria aperta, centro non più della cristianità, ma della movida pazza. I palazzi si sono trasformati in bed and breakfast, le botteghe (non tutte) han chiuso e hanno aperto bistro e ristoranti. Poi, sempre d’un tratto,  il silenzio, il lock down, mentre il fiato di Malefica congelava i cuori e, dai media, si spargeva il terrore di Robespierre. Ora un anno e passa dopo, han trovato, nella neolingua virtuale di questa dopo-democrazia, un modo per dir che bisogna uscir di casa e ricominciare e il termine, freddo come uno stoccafisso, è “ripartenza in sicurezza”. Roba da far rabbrividire anche chi vorrebbe tornare alla normalità. I bar sono aperti e così anche negozi e ristoranti. Eppure, camminando lungo la via dei Serpenti, che è il corso monticiano il cui cancello laggiù è il Colosseo, sento che spira un vento gelido e che non fioriscono le rose di maggio. Perché, mi domando e dico, usando un’espressione cara al mio papà? E per rispondere salto giù da questo terrapieno di parole e, se vi va, venite pure con me.

Va bene, un poco di pazienza, e salite con me sulla macchina del tempo per tornare indietro di qualche anno. Eccomi, sono alla stazione di Monaco di Baviera con la mia famiglia e di passaggio per andare al Festival wagneriano di Bayreuth. Avrei dato un perù per arrivare fino alla Marienplatz per star dove era stato anni prima Benedetto XVI, tutto allegro, e cantando l’inno bavarese sotto il cielo bianco e blu. Lasciati i miei a mangiare, mi avvio (un occhio all’orologio per non perdere la coincidenza) sola soletta verso la meta, quando i miei passi incrociano quelli di un gruppo di donne velate, da capo a piedi, in chador. Incedono tutte nere nei loro teli lugubri e, con loro, altre e altre ancora, con il nicab sul  viso e si vedono soltanto gli occhi, neri, che mi osservano, mi scrutano, come fossi io la marziana e non loro. Lo ammetto, mi sono fermata e tornata indietro  mi sono immersa in un grande magazzino, deliziata dai colori sfavillanti dei dirndl fioriti e ho comperato qualche stoffa per tagliare e cucire le mie borse e un prendisole profumato di rose.

Siamo di nuovo a casa, a Roma ed ecco svelato il perché del viaggio temporale. L’incontro con quelle donne dalla bocca fasciata mi aveva riempito di inquietudine, tolto la voglia di far la mia piccola avventura, mozzato il coraggio, l’allegro andare. Bocche tappate e occhi indagatori, il cuore mio inquieto e in tumulto. E così è oggi. Quando giro per le strade di Roma incontrando mascherine azzurre, bianche, nere, colorate, provo la stessa strana inquietudine del giorno in cui ho incontrato l’islam a Monaco di Baviera. E mi pare quasi che ci stiano facendo abituare a tenere la bocca coperta per l’Islam che verrà perché quando si tratta di parlar della religione di Maometto il rispetto avanza nel piatto, quando invece, e raramente, si parla della nostra, l’unica vera, il rispetto si restringe di tre taglie e più… Sì, siamo a una nuova persecuzione, alla cattofobia. Mai, in tutta la storia pur piena di ostacoli della Chiesa, si era vista una Pasqua senza Santa Messa! Roba che il cuore mio ancora piange lacrime di sangue…

E nessuno ci difende, neanche il Papa, che pare preferire a noi, suo gregge, altri che non sono neppure cristiani, per non dir cattolici. E quanti salamelecchi, nei media, per chi volta le spalle al Signore, unico vero Dio! Qualche giorno fa, raccontavano come fosse una favola dei Grimm la storia della ragazza rapita in Kenya  e che tornata e convertita con le bende color verde camera operatoria, ha fatto una gran pubblicità all’Islam che, d’un tratto, aveva il suo sorriso,  e per qualche momento anche senza mascherina. La bimba è bellina, certo, ma la pubblicità che ha fatto puzza di zolfo lontano mille miglia. Fosse mai che ci vogliono tutti convertiti come la bionda volontaria? Sono pronta a morire piuttosto. E chiudo la parentesi, pur restando con il dubbio e un senso d’amaro, molto amaro, in bocca.

Comunque sia ora ho capito che cosa c’è che non va: le mascherine. Esse tolgono l’allegria, la parola, il sorriso!  Soprattutto manca il sorriso. Mancano i sorrisi! Finché la mascherina coprirà la bocca e il cuore delle persone, trasformate tutte quante in fuorilegge (perché la nostra legge, italiana, proibisce di andare in giro mascherati…) oppure anche malati, la vita non riprenderà; finché ci proibiranno di metter la faccia in ciò che facciamo,  di esser noi stessi, di carne, ossa, sangue, col viso nostro all’aria aperta, riconosciuti per gli individui che siamo, nel bene e nel male, come ai bei tempi del paesetto monticiano: noti, sì, a chi ci vuole bene e anche a chi ci schifa, saremo tutti zombi e prigionieri, consumatori tristi e cupi e niente ripartirà in dolce letizia di vita.

E’ questo forse che vogliono lorsignori lassù? Ma la nostra dolce Madonnina, la nostra mamma in cielo, cari miei, non lo permetterà. Il suo dolce cuore immacolato, che odia  bavagli, le coperture e le maschere che, come si sa, appartengono al suo avversario, tirerà giù, con la forza sua di grande condottiera degli eserciti celesti, il tendaggio oscuro del capogita infernale e ci toglierà le mascherine che, come mi dice sempre una panettiera monticiana “dovrebbero esser bruciate in un falò oppure nel forno del pane”. Tolte le mascherine, ci saranno di nuovo i sorrisi e gli italiani smetteranno  di guardarsi in cagnesco con la paura che il prossimo sia un pericoloso untore. E non ci saranno più le scene orrende che mi hanno mandato in forma di filmatino (e di cui ha scritto una lettrice) in cui si vedono fedeli, con la pettorina (cioè le guardie in chiesa, un’invenzione orrida di questi brutti tempi), buttar fuori dalla chiesa, con odio persino, altri fedeli  che non indossavano la benda. Come se non sapessero, quei feroci esecutori delle “regole”, che San Camillo, San Rocco, Santa Caterina, e schiere di altri santi, che erano uomini di cuore e sangue come noi baciavano i lebbrosi e non avevano paura di morire. Sapevano che la morte è il ritorno nelle dolci mani del Signore. E forse quelle guardie arcigne si sono dimenticate che i Santi si festeggiano proprio nel giorno della loro nascita in cielo!

 

Non so se siete stati mai a Roma nel Rione Monti, che siede come in trono, guardando di sopra in giù i Fori romani. Quando ci sono arrivata io, 20 anni fa e più, era fatto di botteghe di artigiani e ci si conosceva tutti quanti, come in un paesetto.

Poi, d’un tratto, la silenziosa fontana dei Catecumeni, nella piazzetta della Madonna dei Monti, è diventata una grande panchina all’aria aperta, centro non più della cristianità, ma della movida pazza. I palazzi si sono trasformati in bed and breakfast, le botteghe (non tutte) han chiuso e hanno aperto bistro e ristoranti. Poi, sempre d’un tratto,  il silenzio, il lock down, mentre il fiato di Malefica congelava i cuori e, dai media, si spargeva il terrore di Robespierre.

Ora un anno e passa dopo, han trovato, nella neolingua virtuale di questa dopo-democrazia, un modo per dir che bisogna uscir di casa e ricominciare e il termine, freddo come uno stoccafisso, è “ripartenza in sicurezza”. Roba da far rabbrividire anche chi vorrebbe tornare alla normalità. I bar sono aperti e così anche negozi e ristoranti. Eppure, camminando lungo la via dei Serpenti, che è il corso monticiano il cui cancello laggiù è il Colosseo, sento che spira un vento gelido e che non fioriscono le rose di maggio. Perché, mi domando e dico, usando un’espressione cara al mio papà? E per rispondere salto giù da questo terrapieno di parole e, se vi va, venite pure con me.

Va bene, un poco di pazienza, e salite con me sulla macchina del tempo per tornare indietro di qualche anno. Eccomi, sono alla stazione di Monaco di Baviera con la mia famiglia e di passaggio per andare al Festival wagneriano di Bayreuth. Avrei dato un perù per arrivare fino alla Marienplatz per star dove era stato anni prima Benedetto XVI, tutto allegro, e cantando l’inno bavarese sotto il cielo bianco e blu. Lasciati i miei a mangiare, mi avvio (un occhio all’orologio per non perdere la coincidenza) sola soletta verso la meta, quando i miei passi incrociano quelli di un gruppo di donne velate, da capo a piedi, in chador. Incedono tutte nere nei loro teli lugubri e, con loro, altre e altre ancora, con il nicab sul  viso e si vedono soltanto gli occhi, neri, che mi osservano, mi scrutano, come fossi io la marziana e non loro. Lo ammetto, mi sono fermata e tornata indietro  mi sono immersa in un grande magazzino, deliziata dai colori sfavillanti dei dirndl fioriti e ho comperato qualche stoffa per tagliare e cucire le mie borse e un prendisole profumato di rose.

Siamo di nuovo a casa, a Roma ed ecco svelato il perché del viaggio temporale. L’incontro con quelle donne dalla bocca fasciata mi aveva riempito di inquietudine, tolto la voglia di far la mia piccola avventura, mozzato il coraggio, l’allegro andare. Bocche tappate e occhi indagatori, il cuore mio inquieto e in tumulto. E così è oggi. Quando giro per le strade di Roma incontrando mascherine azzurre, bianche, nere, colorate, provo la stessa strana inquietudine del giorno in cui ho incontrato l’islam a Monaco di Baviera.

E mi pare quasi che ci stiano facendo abituare a tenere la bocca coperta per l’Islam che verrà perché quando si tratta di parlar della religione di Maometto il rispetto avanza nel piatto, quando invece, e raramente, si parla della nostra, l’unica vera, il rispetto si restringe di tre taglie e più… Sì, siamo a una nuova persecuzione, alla cattofobia. Mai, in tutta la storia pur piena di ostacoli della Chiesa, si era vista una Pasqua senza Santa Messa! Roba che il cuore mio ancora piange lacrime di sangue…

E nessuno ci difende, neanche il Papa, che pare preferire a noi, suo gregge, altri che non sono neppure cristiani, per non dir cattolici. E quanti salamelecchi, nei media, per chi volta le spalle al Signore, unico vero Dio! Qualche giorno fa, raccontavano come fosse una favola dei Grimm la storia della ragazza rapita in Kenya  e che tornata e convertita con le bende color verde camera operatoria, ha fatto una gran pubblicità all’Islam che, d’un tratto, aveva il suo sorriso,  e per qualche momento anche senza mascherina. La bimba è bellina, certo, ma la pubblicità che ha fatto puzza di zolfo lontano mille miglia. Fosse mai che ci vogliono tutti convertiti come la bionda volontaria? Sono pronta a morire piuttosto. E chiudo la parentesi, pur restando con il dubbio e un senso d’amaro, molto amaro, in bocca.

Comunque sia ora ho capito che cosa c’è che non va: le mascherine. Esse tolgono l’allegria, la parola, il sorriso!  Soprattutto manca il sorriso. Mancano i sorrisi! Finché la mascherina coprirà la bocca e il cuore delle persone, trasformate tutte quante in fuorilegge (perché la nostra legge, italiana, proibisce di andare in giro mascherati…) oppure anche malati, la vita non riprenderà; finché ci proibiranno di metter la faccia in ciò che facciamo,  di esser noi stessi, di carne, ossa, sangue, col viso nostro all’aria aperta, riconosciuti per gli individui che siamo, nel bene e nel male, come ai bei tempi del paesetto monticiano: noti, sì, a chi ci vuole bene e anche a chi ci schifa, saremo tutti zombi e prigionieri, consumatori tristi e cupi e niente ripartirà in dolce letizia di vita.

E’ questo forse che vogliono lorsignori lassù? Ma la nostra dolce Madonnina, la nostra mamma in cielo, cari miei, non lo permetterà. Il suo dolce cuore immacolato, che odia  bavagli, le coperture e le maschere che, come si sa, appartengono al suo avversario, tirerà giù, con la forza sua di grande condottiera degli eserciti celesti, il tendaggio oscuro del capogita infernale e ci toglierà le mascherine che, come mi dice sempre una panettiera monticiana “dovrebbero esser bruciate in un falò oppure nel forno del pane”. Tolte le mascherine, ci saranno di nuovo i sorrisi e gli italiani smetteranno  di guardarsi in cagnesco con la paura che il prossimo sia un pericoloso untore. E non ci saranno più le scene orrende che mi hanno mandato in forma di filmatino (e di cui ha scritto una lettrice) in cui si vedono fedeli, con la pettorina (cioè le guardie in chiesa, un’invenzione orrida di questi brutti tempi), buttar fuori dalla chiesa, con odio persino, altri fedeli  che non indossavano la benda. Come se non sapessero, quei feroci esecutori delle “regole”, che San Camillo, San Rocco, Santa Caterina, e schiere di altri santi, che erano uomini di cuore e sangue come noi baciavano i lebbrosi e non avevano paura di morire. Sapevano che la morte è il ritorno nelle dolci mani del Signore. E forse quelle guardie arcigne si sono dimenticate che i Santi si festeggiano proprio nel giorno della loro nascita in cielo!

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Ecco il collegamento per il libro in italiano.

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9 commenti

  • IEnrico Nippo ha detto:

    Incoraggiante come sempre la signora De Vito, cui, tuttavia, occorre riconoscere un piacevole stile espositivo.

    “i miei passi incrociano quelli di un gruppo di donne velate, da capo a piedi, in chador. Incedono tutte nere nei loro teli lugubri e, con loro, altre e altre ancora, con il nicab sul viso e si vedono soltanto gli occhi, neri, che mi osservano, mi scrutano, come fossi io la marziana e non loro”.

    Personalmente non sarei così sprezzante nei confronti delle usanze degli altri popoli e religioni, in questo caso quella del chador e del nicab o di altri tipi di veli.

    Il velo per le donne è un’usanza antica rinvenibile in numerose tradizioni. Fra gli Ebrei e gli Arabi, per esempio, esisteva molto prima dell’avvento dell’Islam (VII secolo). 4000 anni fa, in Mesopotamia, il velo era già adoperato. Omero descrive Penelope velata davanti ai suoi pretendenti. L’uso del velo fra i popoli arabi preislamici era molto frequente: lo studioso cristiano Tertulliano, che viveva a Cartagine nel III secolo, lo menzionava presentandolo come un modello di virtù da seguire per le donne cristiane.

    Inoltre, la donna sottomessa con il velo è un luogo comune occidentale. In verità il velo della donna è la massima forma di rispetto che le si può attribuire. La donna velata, da Iside alla Vergine Maria, è il Simbolo del superamento dell’apparenza. Ovvero il non considerare la donna solamente come un corpo ma come un Anima da rispettare, oltre a ciò che si vede di lei.

    Penso che noi occidentali dovremmo dismettere l’abbastanza odioso senso di superiorità, quest’ultima non si capisce bene in che cosa.

    • Adriana 1 ha detto:

      Enrico,
      Richard Graves aveva spiegato che il nome Penelope significava :” colei che ha una ragnatela sulla faccia”.
      Per lunghi anni non ne avevo capito il perchè. Ora lo so.
      Però ” noi Occidentali superiori” siamo sempre avanti con le parità di ( ogni) genere! Qui da noi, ormai, la maschera la portano anche i maschi e ogni cittadino ” fluido”.

      • Adriana 1 ha detto:

        Enrico,
        aggiungo: siamo anche paritari con ogni degenere…e Bassetti ( Cardinale) lo dimostra a chiare lettere- neanche fosse lo sponsor di Dietorelle-.

      • Enrico Nippo ha detto:

        Non so dire se l’interpretazione di Graves sia appropriata. D’altro canto di interpretazioni ce ne sono svariate.

        A proposito di Penelope velata si legge in Pausania:

        “Penelope, costretta a scegliere tra Il padre Icario, che la rivuole indietro a Sparta, e il nuovo sposo Odisseo, che la vuole portare a Itaca, esprime la propria preferenza con un gesto pieno di pudore”.

        In unibo.it/Tesi MRaffaellaCornacchia.pdf. si trova che:

        “Anche il gesto, pure descritto da Pausania, di Penelope che si copre il volto col velo è ricco di suggestioni: servì all’eroina per celare gli occhi arrossati di pianto, o per nascondere al padre il proprio odio e la propria irrisione? Assai più suggestiva la spiegazione di Roberto Calasso: il velo è un simbolo iniziatico, e allude alla bellezza della verità e della fedeltà, di cui Penelope è il simbolo vivente; non a caso, per neopitagorici e neoplatonici, ella rappresenta la patria celeste cui l’anima-Odisseo aspira a tornare”.

        Personalmente, sento di dover aderire, all’aspetto nobile della faccenda, piuttosto che allo sfacelo a cui tu (giustamente) ti riferisci.

        Dunque il velo come simbolo di pudore, bellezza e fedeltà. Stupenda poi, a mio avviso, Penelope quale “patria celeste a cui l’anima di Odisseo aspira a tornare”, ciò che può essere declinato anche in chiave cristiana quale regressum ad uterum, ovvero nel seno di Maria Refugium peccatorum:

        «Perciò un devoto autore esorta tutti i peccatori a rifugiarsi sotto il manto di Maria, dicendo: “Fuggite, Adamo ed Eva, e voi loro figli” che avete offeso Dio, “fuggite e cercate scampo nel seno di questa buona Madre ».
        (Riflessioni di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori sull’invocazione: Refugium peccatorum).

        • Adriana 1 ha detto:

          Enrico,
          bel finale. In fondo siamo sempre a: ” quel dolce di Calliope labbro,/ che Amore nudo in Grecia e nudo in Roma/d’un velo candidissimo adornando,/ rendea nel grembo a Venere Celeste.” (“Sepolcri, vv.176-179).

          • Enrico Nippo ha detto:

            Vengono ancora educati con questi stupendi ritmi musicali i nostri giovani?

          • Adriana 1 ha detto:

            Enrico,
            non credo. Versi come questi non stanno negli smartphone, nelle teste, nei cuori…
            La cancel-culture ha eretto muraglie invalicabili tra le generazioni. Eppure, in nessun altro testo poetico ho trovato una più forte esaltazione della vita- terrena ed eterna- che in questo, dedicato ai Sepolcri.
            Forse un giorno si raduneranno- lontano dalla pazza folla-giovani dal cuore appassionato che reimpareranno a leggere e a meditare sui valori più sacri dell’uomo e a ispirarsi ad essi.

    • Giorgio ha detto:

      A commento di “questo commento” mi viene da dire: Cosa non si inventerebbe una persona che non si è lasciata illuminare dalla Luce della Fede cristiana! Tutto giustificato, tutto ributtato indietro nel buio precristiano, tutto “illuminato” dalla “migliore cultura” a-cristiana! E tutto questo nonostante – anzi contro – i 2.000 (duemila) anni di luce cristiana sul buio della storia!