Benedetta De Vito. Come la Poesia è Morta, e l’Innocenza Macchiata.
13 Aprile 2021
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, la nostra Benedetta De Vito ci ha inviato questa riflessione, autunnale più che primaverile, sullo stato delle nostre coscienze, e delle strane cose che hanno preso il posto di quelli che una volta – anche ipocritamente, magari – si rispettavano come valori, cioè cose preziose. Buona, riflessiva, lettura.
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Immaginatevi, quasi quarant’anni fa, una di quelle palazzine romane, del Primo Novecento, finestre con le imposte di legno, amorini d’intonaco e personalità in gotha damascato di una gran signora nel bel Quartiere Trieste. Fate finta, ora, di metter penne e piume e di volar fino al terzo piano per spiare da una finestra che cosa accade dentro: vedrete me, di ventidue anni, a tu per tu con la professoressa di Letteratura Portoghese, Luciana Stegagno Picchio.
Parliamo, lei e io, della mia tesi di laurea. Parto in quinta e vorrei mettere, in latinorum, un ponte tra Fernando Pessoa e Luigi Pirandello e in ghirigori m’esprimo per cercar di catturare l’attenzione di lei, che mi guarda e non parla. Ha occhi di vetro, i capelli color carota sono ora fatti di fuoco. Quando ho finito i miei massimi sistemi letterari, lei con la mano destra, accenna un gesto appena, avvicina pollice e indice e poi dice, parti dal piccolo, cara, dal piccolo per arrivare al grande. Un insegnamento per la vita. Così dal “Libro dell’Inquietudine” di Fernando Pessoa trassi un bellissimo brano, lungo forse due fogli, “Nuvole” (“Nuvens) ed era un brano in prosa poetica, stupendo, fatto di “sirene visibili”, un acquarello di cielo portoghese. Analizzandolo, lo amai. Chiudendo gli occhi, ero a Lisbona, nei cieli aperti, di nuvole in corsa, che Pessoa descriveva e che io vedevo con gli occhi suoi, nella fragile bellezza del suo piccolo punto in forma di parole.
La poesia. D’un tratto, tornata dai sogni e viva al pianoterra, qui nella Roma triste, in questo lugubre anno di silenzio e chiusura, m’accorgo, come svegliata finalmente, che di poesia non si parla più, né mi arrivano più i libri autofinanziati di tanti sedicenti poeti che mi facevan compagnia nei lunghi pomeriggi di noia e a volte, anche, mi facevano un poco ridere. Su un banchetto di libri usati ho trovato un volumetto di Paolo Febbraro, poeta che tanti anni prima mi aveva regalato dei versi suoi flamenchi…
Ma ora, che nostalgia! Il fanciullino stupefatto, attonito, isolato, non parla più. Ammutolito da tanta freddezza, dal gelo imposto dalla mascherina che gli ricaccia in gola l’ali che non crescono più. Il fanciullino che è la meraviglia e la vita, se ne sta mesto in un canto, nel gelo del Polo o chissà dove.
La furbizia ha preso il posto dell’innocenza e la fa da padrone. Si ride delle “vecchiette che snocciolano i rosari”, mentre sono per me tanto, tanto vicine al Signore e le amo come amavo la mia nonna Lisetta nel suo bel velo color avorio. Si fan beffe dei cattolici bambini che si inginocchiano all’altare e pregano con le mani giunte a piramide, davanti al naso, come nelle illustrazioni sacre di tanti anni fa…
Chi è buono, è fesso, sembrano gridare tutti quanti, dalle televisioni, dai giornali, dai social e da ogni dove. E se si fa un gesto disinteressato, solo per il Signore, si cerca il secondo fine nascosto tra le pieghe del gilet. La poesia boccheggia e muore. Ed ecco, seguendo l’onda del pensiero, che dall’innocenza astratta, passo a vederla in carne e sangue: i bambini, innocenti, fino a prima creature, amate, ricevute come un dono del Creatore diventano pesi, da scaricare a scuola e da sostituire, casomai, con un cagnolino o con un gattino. La furbizia vuole insegnar l’educazione sessuale ai bimbi di sei anni. L’innocenza tace, in un canto, sola. Nemmeno la Chiesa oramai alza la voce, nello sforzo osceno di piacere al mondo. La furbizia veste i bambini in modo provocante, per stuzzicare in loro gli istinti più vili e l’innocenza, trafitta, tace. E di nuovo anche la Chiesa. Campagne mediatiche s’incendiano di rabbia per gli agnellini uccisi a Pasqua, ma chissenefrega se, con gli aborti, si ammazzano i bambini… E di nuovo la Chiesa tace.
La poesia è morta, l’innocenza macchiata. Come è successo, quando è accaduto? La risposta è piano piano, con gli anni, una parolina, una critica, una strizzata d’occhio, lo starnazzare dei diritti umani. E forse, poiché in questi giorni ho visto un film su di lei che la racconta, tutto è cominciato prima che finisse la Seconda Guerra mondiale, a Ghiaie di Bonate lì dove una bambina, che, io so sincera, vide – e proprio come a Fatima, i 13 maggio – la Madonnina in cielo e la Santa Famiglia. Non le credettero, la Chiesa la perseguitò. Tradita l’innocenza, la superbia trionfò. Arrivarono gli americani che ribaltarono valori e vita. E siamo giunti fino alla legge Zan, che, se approvata, ci impedirà di dire che solo un uomo e una donna, cosa sacrosanta, sono famiglia! La Madonnina era scesa sulla terra per avvertirci proprio di questo che la famiglia santa, semplice, fatta d’uomo e di donna, e delle creature che il Signore avrebbe mandato in dono, era in grave pericolo. Nessuno credette alla bambina Adelaide, che del Pontefice del Vaticano II, Giovanni XXIII, portava curiosamente il cognome (Roncalli)…
Don Luigi Cortesi, per nulla cortese, incaricato dal Vescovo bergamasco Bernaraeggi, s’impegnò per far tacere la bambina, per farla ritrattare, spegnendo poesia e innocenza insieme. La famiglia cristiana, composta da mamma e papà, come i piccioni che la Vergine, teneva in mano, e dai bimbi-doni, è stata distrutta, sostituita dalle famiglie arcobaleno che respirano, appunto, in caos e confusione, sotto l’arcobaleno di Satana. Ed ecco, e mi rispondo, perché la poesia, vergognandosi di tanta sicumera, vive velata al Polo Nord…
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(Credit Marco Matteucci)
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Tag: de vito, innocenza, poesia, vdv
Categoria: Generale
Riflessione stupenda, di quelle che toccandoti il cuore invadono poi tutta l’anima. Una triste realtà dipinta magistralmente da una poesia ormai rara, anzi rarissima. Ma la verità, sebbene così oltraggiata, non sarà imprigionata a lungo se a proclamarla, per grazia di Dio, si levano ancora voci delicate con certezze inamovibili come queste. Grazie, Signora Benedetta. Per lei parla anche il suo nome.