Kwasniewski: Avvolta nel Manto della Regalità. La Bellezza della Messa.

16 Gennaio 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, con grande piacer vi offriamo questo articolo del dott. Peter Kwasniewski, apparso su 1P5, la cui traduzione è frutto della collaborazione di Vincenzo Fedele e Carlo Schena, a cui va il nostro grazie di cuore, con integrazioni validate dall’Autore utili per rendere più fluente, comprensibile e teologicamente valido il testo per i lettori italiani. Buona lettura.

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Avvolta nel Manto della Regalità: condividere la Bellezza della Nostra Messa

Peter Kwasniewski, 8 gennaio 2021

Un giorno di circa vent’anni fa’ fui invitato a cantare per la prima volta la “Messa per la Dedicazione di una Chiesa” (Introito: Terribilis est locus iste), nell’ambito di una Messa solenne per l’’anniversario di una parrocchia gestita dalla Fraternità Sacerdotale San Pietro. Era la prima volta che prestavo attenzione a questi testi del Proprio. Una Messa davvero sublime. L’enfasi sulla “bellezza della casa di Dio“, il ricco contenuto teologico delle preghiere e delle letture: questi aspetti superavano di gran lunga l’immaginazione dei comuni mortali. Era chiaro che qui si era concretizzata l’azione dello Spirito Santo, come d’altra parte è avvenuto ovunque nella formazione della antica liturgia.

Esperienze come questa –  troppe, negli anni, per poterle contare – mi hanno dimostrato che tutto nell’antico rito è più poetico, più ricco di simboli, più attraente e appagante per l’anima assetata di Dio. Gli introiti sono meravigliosamente appropriati, perché annunciano il mistero o la commemorazione principale della giornata ma non si riducono mai a meri esercizi didattici. Non c’è bisogno di una mini-omelia all’inizio (come spesso accade nel Novus Ordo); siamo dolcemente educati dalla poesia dei salmi, posta tra l’Aufer a nobis – una preghiera indispensabile, che esprime umiltà e fiducia nell’aiuto divino, e formula perfettamente lo scopo centrale del nostro culto! – e il Kyrie eleison, che per nove volte invoca la divina misericordia.

A quella Messa anche la cerimonia, con tutti i suoi riti, mi ha toccato più profondamente del solito. Ricordo di aver notato per la prima volta diverse cose  (e non è spesso così nella liturgia antica? C’è sempre qualcosa in più da notare, da imparare). Ho osservato come durante il canto del Vangelo da parte del diacono, il sacerdote all’altare si girava per inchinarsi al tabernacolo ogni volta che veniva menzionato il Santo Nome.

Mi ha impressionato anche il solenne e ieratico rito dello “scambio della pace”, durante l’Agnus Dei: il sacerdote, con un gesto semplice ma nobile, dà la pace al diacono, il diacono a sua volta al suddiacono, il suddiacono al seminarista a lato, mentre la Schola intona “dona nobis pacem”, e il sacerdote prega con queste parole: Domine Jesu Christe, qui dixistis apostolis tuis, pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis (“O Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli, vi lascio la pace, vi dò la mia pace”). Era chiaro che questa pace scaturiva dal Signore e, tramite i suoi ministri, fluiva dall’altare verso l’esterno, proprio come nella visione di Ezechiele dell’acqua che sgorga dal tempio. Osservando il modo in cui veniva data la pace – l’annuncio simbolico dell’unione fraterna tra i ministri all’altare, come se la pace di Cristo fosse contemporaneamente “recitata” in una rappresentazione teatrale e realizzata concretamente nella realtà – mi sono reso improvvisamente conto che una comunità testimone di tale visione avrebbe potuto percepire vividamente la natura oggettiva della carità cristiana e della concordia fraterna, nel suo legame necessario con Cristo (l’altare), il Suo Santo Sacrificio, e Sé stesso nella Santa Eucaristia.

Ho notato poi anche il modo in cui il sacerdote e il diacono, disposti ai piedi dell’altare in ordine gerarchico, si sono rivolti verso il popolo alla fine, il sacerdote per cantare il Dominus vobiscum e il diacono l’Ite missa est, mentre il suddiacono è rimasto rivolto verso l’altare, nascondendo il suo volto. I tre ministri riflettevano così una singolare immagine della Santissima Trinità: il Padre e il Figlio, che si manifestano l’uno attraverso l’altro (il Padre come Dominus, come nella preghiera introduttiva all’angelo custode della chiesa: Domine sancte Pater, onnipotens aeterne Deus; il Figlio come il Sommo Sacerdote che offre il sacrificio: il Missa est cantato dal diacono), mentre lo Spirito Santo, sebbene presente, rimane quasi indefinito: come spiega san Tommaso, non possiamo dare un nome “proprio” allo Spirito Santo, come possiamo invece fare con il Padre e il Figlio.

C’è forse qualcosa di più bello e contemporaneamente più istruttivo di ogni gesto, di ogni parola, di ogni canto del rito romano antico? Quando è celebrato come si deve, esso non ha nulla da invidiare alla più elaborata e contenutisticamente ricca delle liturgie orientali. La ragione principale per cui molti fedeli occidentali sentono una forma di “invidia” per i bizantini è che i primi  sperimentano raramente, nella sua pienezza, il proprio rito. L’uno e l’altro hanno specifici punti di forza: la liturgia orientale eccelle nel fervore poetico e nel contenuto dottrinale dei suoi inni, mentre la liturgia occidentale eccelle nella potente concisione delle sue preghiere e nella dignità, solennità, ordine e tranquillità delle sue cerimonie.

Più e più volte, esperienze di questo tipo mi hanno confermato l’importanza del cerimoniale, la “veste” della Messa. I paramenti del sacerdote, il suo contegno, il modo in cui gli accoliti svolgono i loro compiti, la materia dei vasi sacri, la struttura dell’altare, i gesti e i movimenti: tutte queste cose sono come i veli dei Misteri, che sono troppo splendenti per essere visti senza mediazioni. Possiamo paragonarle all’abito di Maria, la Madre di Dio. La Madonna indosserebbe mai abiti immodesti o brutti, indegni della Sua dignità? Certo che no; e nemmeno dovremmo farlo noi, nel nostro culto pubblico di Dio. Ogni nostro rito dovrebbe essere totalmente e magnificamente avvolto del mantello della regalità.

Quanto più frequento la liturgia tradizionale, tanto più mi rendo conto che la differenza tra questa e il Novus Ordo non è solo di contenuto, di disposizione o di rituale, ma si riferisce alla essenza stessa di ciò che viene espresso da, o attraverso, le preghiere e i rituali. Non metto qui in dubbio la validità del Novus Ordo; ma mi sento di spingermi ad affermare, con il cardinal Ottaviani, che il Novus Ordo Missae distorce radicalmente il carattere sacrificale della Messa. Il rito antico è rivolto interamente – per forma, spirito, direzione e orientamento – verso il Padre (pros ton Theon; apud Deum), così come il Logos, come insegna il Prologo del Vangelo di san Giovanni: la liturgia riflette l’offerta continua – nell’eternità e nel tempo – del Figlio al Padre: ecco perché è lampante che il sacerdote agisce in persona Christi, come annuncia chiaramente ogni singolo “accidente” del rito tradizionale. Nel Novus Ordo, per come viene celebrato il 99% delle volte, tutto questo si perde – cioè si perde l’espressione fenomenologica della latria divina o adorazione, che è la suprema causa formale, finale, efficiente e materiale dell’intera liturgia.

Questo insieme di verità mi si è impresso nella mente, quel mattino, durante la Messa “Terribilis est locus”, per mezzo di un’immagine che non riuscivo a togliermi dalla mente: l’immagine, cioè, di come appare la liturgia quando guardata “dall’alto”, in conspectu Dei. È vero che il Padre vede sempre ed unicamente il Figlio – cioè, il Padre vede tutto nel Figlio, che è ars aeterni Patris, l’arte dell’eterno Padre – così che, da un certo punto di vista, è più o meno indifferente parlare del rito classico o del rito moderno. Ma se guardiamo al modo in cui l’uomo, attraverso il sacerdozio, offre il sacrificio del Calvario, esso non può che apparire in modo radicalmente diverso, allo sguardo di Dio.

Immaginate Dio Padre mentre guarda, dall’alto, la cerimonia liturgica. Nella liturgia tradizionale, i fedeli e il sacerdote tendono ugualmente in “avanti” e in “alto”, diretti verso l’altare: si concentrano sul pane e sul vino, riservati esclusivamente per l’uso divino, sul miracolo della transustanziazione, sull’elevazione che simboleggia l’innalzamento di Cristo sulla Croce, sul rito di comunione, nel quale il sacerdote fa “calare” dall’altare i santi doni, come la manna nel deserto, per distribuirli al popolo. Nella liturgia moderna, al contrario, il punto centrale si perde in una confusione di orizzonti: il sacerdote guarda verso il popolo; l’altare si trasforma in una tavola; il pane e il vino sono trattati come le offerte di cibo di una Berakah giudaica; la “inequivocabile verticalità” della latria si trasforma in un evento sociale dal carattere ambiguo, dove non si riesce più a vedere la centralità della relazione tra Padre e Figlio e la comune direzione di tutti verso il solo Dio Padre, dal momento che ogni altro elemento del culto pubblico e privato deve inserirsi in questa offerta del Figlio al Padre.

Lezioni come queste sono imparate naturalmente da coloro che, con mente e cuore aperti, entrano nel locus terribilis – il luogo maestoso, che incute timore e tremore, intriso di un’atmosfera divina – della Messa tridentina, e che permettono agli antichi riti di sussurrare e di cantare il loro messaggio capace di cambiare la vita. Perché davvero il problema è quello dell’esperienza. Se non ci lasciamo familiarizzare con la riverenza, con la bellezza e con le profondità di contenuto dell’antica liturgia, ogni nostro argomento tenderà a rivelarsi inutile quanto una discussione sulla dottrina cristiana tra coloro che non hanno mai visto in azione la carità cristiana.

Pensate a quanto appare più vero l’insegnamento della Chiesa sul controllo delle nascite quando è possibile vivere circondati da famiglie cattoliche numerose, che rivelano la verità di quell’insegnamento e il suo basarsi sull’esperienza vissuta. Similmente, il dogma della Ss. Trinità non può che sembrare una bizzarra e stravagante fantasia intellettuale, salvo che per quelli che ne hanno fatto il principio della loro preghiera, della loro vita e del loro amore. Lo stesso vale per gli argomenti a difesa della liturgia tradizionale. L’esperienza religiosa ha una sorta di centralità e di primato – non in senso assoluto (quoad se), ma relativamente a noi (quoad nos). I principi che impareremo, le conclusioni che trarremo, dipendono profondamente dalla portata della nostra esperienza personale.

In questo Anno Nuovo, impegniamoci ad invitare qualche familiare, amico o conoscente a partecipare insieme a noi ad una Messa tradizionale – se possibile una Messa Cantata o, meglio ancora, una Messa Solenne in terzo. Se poi vi  sembreranno interessati a parlarne, provate a farvi dire cosa li ha affascinati e cosa li ha infastiditi, stando pronti a rispondere alle loro domande e obiezioni (ne affronto una serie nel mio libro “Reclaiming Our Roman Catholic Birthright“). Da esperienze come queste nascono grandi conversazioni, e grandi conversioni. E potrebbe anche succedere che, col tempo, anche i vostri amici si uniranno al numero – sempre in crescita – di quei cattolici che hanno fatto di questo venerabile rito la loro dimora spirituale.

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20 commenti

  • Enrico Nippo ha detto:

    Occorre essere onesti e riconoscerlo:

    è un fatto incontestabile che la Messa tridentina è rimasta sempre uguale a se stessa e così i sacerdoti che la celebrano. E pertanto resta un punto di riferimento sicuro per il fedele.

    Tutte le “creatività” al limite del blasfemo hanno potuto compiersi soltanto nel novus ordo, dietro al quale, evidentemente, agisce uno spirito anarchico e “creativo”. L’ultimo squallore in ordine di tempo è la messa (novus ordo) in Brasile in onore di “santa cannabis” o “santa erba” come è stata chiamata durante la celebrazione.

    Per non dire di quel prete che, sempre nel novus ordo, invitò gli sposi a giocare a pallacanestro, dopo essersi messo a zompettare sull’altare cantando una canzonetta dei Ricchi e Poveri..

    Queste buffonate restano inimmaginabili nella Messa tridentina. E ciò non può essere negato.

    Chi vuol replicare è pregato di farlo con onestà e non per partito preso.

    • Boanerghes ha detto:

      Ovviamente hai ragione.
      Mi chiedo infatti che ci sta a fare il vescovo della diocesi, se poi non controlla e richiama i suoi sacerdoti.
      Purtroppo la Chiesa si è lasciata secolarizzare e sedurre da quello spirito del mondo che invece dovrebbe combattere.
      La Messa novità ordo di oggi è a mio avviso differente da quella degli anni settanta, ottanta.
      Noto un decadimento continuo.
      Si sta dimenticando che si vive in questo mondo, ma non bisogna appartenere allo spirito del mondo, e mai come oggi è evidente che i regni di questo mondo appartengono a satana come evidenziato nelle tentazioni di nostro Signore.
      Con questo pontificato penso che siamo arrivati alla frutta. Bisogna andare avanti col Rosario in mano.

  • Graziano ha detto:

    Io dico solo una cosa: riflettiamo sulle parole di Lutero. Egli disse, da protestante contro i cattolici, GIRIAMO I LORO ALTARI E ROMA CADRÀ. Gli altari sono stati girati e Roma sta cadendo.

  • Non Metuens Verbum ha detto:

    Poeticità ? Ma adesso non abbiamo forse la rugiada ?
    ——————————————————————————–
    Viene ripetuto a pappagallo che la bellezza salverà il mondo.
    Ma la Bellezza vera è solo la Verità (Verum et Pulchrum convertuntur). L’immagine più pura e più vera della Bellezza ? Maria Santissima.

  • MARIO ha detto:

    Purtroppo questi poveri (di arte) americani devono accontentarsi di queste minuzie per elevare lo spirito. Peggio delle donne…
    Ma a San Pietro e Paolo a Roma non era concessa nemmeno questa scappatoia. Eppure…
    Probabilmente per loro era più che sufficiente l’emozione per un Dio dell’Universo che si fa pezzo di pane per avvicinarsi e persino entrare dentro di noi.
    E poi basta con questo disprezzo per l’altare/tavolo… Gesù era a tavola (non su un altare barocco, girando le spalle agli apostoli) quando disse “Fate questo in memoria di me.”

    • EquesFidus ha detto:

      Va bene, tu odi la Messa “di sempre”. Va benissimo, ma devi renderti conto che il tuo modo di fare non è cattolico.
      Perché la questione non è “altare barocco /non barocco”, “Messa coram populo/coram Deo” (che tra l’altro è un’idiozia, dato che la Messa “coram populo” era esplicitamente prevista dalla rubriche ante-1962), ma “Messa cattolica/Messa rivoluzionaria di Bugnini”.
      Accusate i “tradizionalisti” di pensare solo all’estetica, ma non vi rendete conto di fare lo stesso con la Messa tridentina. Per voi, la Messa deve essere celebrata su un tavolaccio e basta, senza rispetto per il Corpo di Cristo. Dici che Cristo ha detto la prima Messa a tavola? Ebbene, Dio è Dio e del Suo Corpo e Sangue può disporre come vuole; noi no. Se è per questo, tra i primi apostoli uno si comunicò in stato di peccato mortale (Giuda), quindi è bene comunicarsi in stato di peccato mortale?
      Se queste testimonianze vi fanno ribollire il sangue, chiedetevi il perché. Io so che a Satana la Messa “di sempre” non piace; interrogatevi in merito, smettetela di ostacolarci, pentitevi e convertitevi. Venite ad una Santa Messa realmente cattolica e, se sarete in stato di grazia ed onesti di cuore e di mente, non potrete constatare di quale furto Bugnini e sodali ci abbiano fatto oggetto, di quanto sia stata tremenda la rivoluzione liturgica, di quali danni ha fatto!

      • Boanerghes ha detto:

        La Messa realmente cattolica è comunque stata celebrata da Papi come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ed era valida e cattolica e consolante.
        Non essere arrogante a giudicare chi non è un appassionato cultore del rito antico.
        Le sorti della Chiesa Cattolica sono sempre state e rimangono nelle mani di Dio che l’ha fondata e che ben sapeva le difficoltà che avrebbe dovuto superare. Incominciando da Giuda, che ha scelto il suo destino eterno, capostipite di molti che sarebbero venuti nei secoli.
        E non è che gli altri apostoli fossero innocenti, anche loro hanno dovuto purificarsi nel sangue di Cristo, per poi ricevere il dono dello Spirito ed avere la forza e la Grazia di camminare senza più la presenza fisica del Signore che li aveva fino allora accompagnati e sostenuti.
        Pensare alla restaurazione del rito antico come soluzione di tutti i problemi, è una pia illusione, figlia di tanti interventi su questo di Mons. Viganò.
        Grande errore dare la colpa di tutto a Bugnini.
        Ognuno però si attacca a ciò che gli dà speranza, e anche il Signore non ha spento un lucignolo fumigante, ma l’ha rispettato e dato la vita perché crescesse e portasse frutto

      • EquesFidus ha detto:

        “Benissimo” non nel senso che realmente va bene, ovviamente. Tanto per evitare equivoci: odiare la Divina Liturgia tridentina, consciamente o inconsciamente, non va mai bene.

        • Boanerghes ha detto:

          Io penso che novus e vetus ordo debbano tranquillamente coesistere.
          Senza nessuna contrapposizione, ma semmai integrazione e possibilità di partecipare all’una o all’altra liberamente.
          È il memoriale del sacrificio di nostro Signore.
          Purtroppo c’è chi si contrappone a questo e usa il Covid per peggiorare la situazione.

    • : ha detto:

      «Gesù era a tavola (non su un altare barocco, girando le spalle agli apostoli)»

      Questo dipende dall’ignoranza di cosa sia il Sacrificio Eucaristico, cioè la Messa. Non per niente quello che è il “Sacrificio Euocaristico” viene chiamato “Mensa eucaristica”.

      Nel Sacrificio Eucaristico il Sacerdote agisce in vece di Cristo (“Alter Christus”) . Ed è Cristo che attraverso il Sacerdote offre al Padre Se stesso, e quindi è rivolto al Padre, e non ai fedeli, agendo su quella Croce che è rappresentata dall’Altare e non da una tavola della mensa. I fedeli a loro volta si rivolgono anch’essi all’Altare del Sacrificio, e non ad una tavola della mensa venendone attratti e distratti dalle sembianze del Sacerdote, che a sua volta viene distratto (a meno che non sia un automa) da quelle dei presenti e da ciò che fanno.

      L’accentuazione della mensa è stata mutuata dai Protestanti, che non celebrano il Sacrificio Eucaristico (cioè la Messa); ma la mensa dell’Ultima Cena, ed i gesti compiuti da Cristo furono la prefigurazione di quello che si realizzò poi col Sacrificio della Croce. Senza il Sacrificio della Croce le parole di Gesù non avrebbero avuto alcun significato. Cristo nell’Ultima Cena non ha fatto mangiare il Suo Corpo e bere il Suo Sangue (quindi non si deve neanche dire che Giuda ha fatto la Comunione in peccato mortale). Cristo non era ancora morto e risuscitato; il Suo non era ancora il Corpo Glorioso del Cristo Risuscitato che attraversava le pareti ed entrava nelle stanze a porte chiuse.

      Quindi è sull’Altare che si celebra la Messa, e non su una tavola. In quanto all’abbellimento dell’Altare e degli arredi sacri, penso che basti un minimo d’intelligenza per capirlo: la cosa più bella e più preziosa è ancora nulla in confronto alla Bellezza e alla Maestà assoluta. Ma questo non esime il credente dall’obbligo di fare il massimo sforzo, nelle sue limitate possibilità, di rivolgersi al Creatore con di

      • : ha detto:

        Vabbè… “opera incompita”, ma credo che il finale sia comprensibile.

      • MARIO ha detto:

        1) Sacrificio Eucaristico e Mensa Eucaristica?
        Nell’Ultima Cena(!) si celebrava il vecchio rito della Pasqua ebraica, mentre nel nuovo rito eucaristico si celebra la Pasqua cristiana (Sacrificio, Morte e Resurrezione di Cristo).
        Ma sempre di banchetto si tratta, con il Corpo di Cristo che sostituisce l’agnello sacrificale ebraico.

        2) Altare = Tavola?
        Si, nel senso di “banchetto eucaristico”, come nell’Ultima Cena (“Fate questo(!) in memoria di me.”)
        Così come come facevano anche gli apostoli e i primi cristiani.

        3) Celebrante rivolto al popolo?
        Sì, come Gesù nell’Ultima Cena.
        E come avveniva su tutti gli altari prima del Barocco.
        Così come si è sempre celebrato anche nella Basilica di San Pietro, fino ad oggi.

        4) “Cristo nell’Ultima Cena NON ha fatto mangiare il Suo Corpo e bere il Suo Sangue…” ?
        Sconcertante eresia… (Gesù: “Questo è il mio Corpo… Questo è il mio Sangue…”).

        • : ha detto:

          Basta il suo numero 4 per mettere in evidenza la limitatezza delle sue capacità di comprendonio. Noi ci cibiamo del Corpo glorificato di Gesù, cioè di quello del Cristo Risorto, non di Gesù dell’Ultima Cena. E questo fu anche per gli Apostoli. E mica se ne venne via dalla mensa senza un braccio od una gamba Cesù prima di recarsi nell’Orto degli Ulivi. Ma capisco che non riesca ad arrivarci…

          • MARIO ha detto:

            Lei si accontenta di una sgangherata risposta al punto 4) – peraltro così truculenta (complimenti per la fantasia…) – perché alle altre non sa rispondere?

            Per non annoiarla troppo, vista “la limitatezza delle mie capacità di comprendonio” e considerato che lei invece “riesce ad arrivarci…”, mi basterebbe solo un suo minuscolo sforzo per rispondere, per es., anche al punto 3).
            Grazie infinite. Sperando che la parola “popolo” non le crei dei turbamenti insopportabili… (Ma se ci son riusciti Papi dall’altare di San Pietro, forse ce la farà anche lei…).

          • : ha detto:

            L’immagine truculenta non è altro che una specificazione della sua rappresentazione del cibarsi del Corpo e Sangue di N.S. Nel Cenacolo le parole di Gesù erano la prefigurazione del Suo imminente Sacrificio che avrebbe dato inizio alla Eucarestia cristiana: ciò che avvenne, quelle parole che Gesù formulò nell’Ultima Cena, assunse realtà solo dopo il Sacrificio della Croce e la Sua Risurrezione nel Corpo glorificato.

            Il dott. Tosatti mi perdonerà se sarò costretto a questo punto a dilungarmi un po’.

            In un suo libro, «Davanti al Protagonista – Alle radici della Liturgia» (Cantagalli, Siena 2009), opera-compendio di diverse sue precedenti, Benedetto XVI, colto liturgista qual è, parla a lungo della riforma della Liturgia e delle sue distorsioni. Partendo dalle premesse, antecedenti al Concilio Vaticano II, che poi in esso hanno preso forma dice:

            «L’istituzione dell’Eucarestia ad opera dello stesso Gesù ci è descritta in modo relativamente esteso nel Nuovo Testamento; essa avvenne il Giovedì Santo nella cornice dell’Ultima Cena. Da ciò sembrò derivare con una univocità indiscutibile che la forma ultima dell’Eucarestia è il convito. Indiscutibilmente Gesù stesso l’ha celebrata in questo modo, ogni critica deve tacere davanti a questa constatazione» (p. 96).
            Come spesso fa nei suoi scritti, Ratzinger pone le affermazioni di coloro che intende contestare come se fossero sue, per poi confutarle. Ed infatti subito dopo aggiunge, con la sua sottile ironia: «Si amava ripetere con accentuato sarcasmo che Gesù aveva detto ultimamente: “fate questo” e non “fate quello che volete”» .

            L’argomento ha riguardato in particolare, nell’opera indicata, un capitolo intitolato «Forma e contenuto della Celebrazione Eucaristica», ma ne ha toccato anche altri per un totale di circa un centinaio di pagine, che naturalmente non posso riportare qui. E’ difficile anche riportare uno stralcio di poche righe perché la maniera di argomentare del Papa – estremamente lucida peraltro – è tale che prima di trarre la conclusione su un determinato punto fornisce una gran quantità di testimonianze, citazioni, elaborazione di tesi e antitesi; e se si vuole riferire solo la conclusione sembrerebbe che essa non sia sostenuta da un precedente ragionamento.

            Fornisco comunque qualche citazione-flash. Parlando dell’Ultima Cena, che ovviamente nessuno nega che sia stata spunto della Liturgia cristiana, Ratzinger afferma:

            «La nuova preghiera di Gesù [quella nell’Ultima Cena – N.d.:.] si trova ancora all’interno della liturgia giudaica. Ci troviamo ancor prima della crocifissione […] La separazione tra Gesù e la comunità giudaica non è ancora compiuta, cioè la Chiesa non è ancora presente in quanto Chiesa […] Questo ci porta ad una constatazione fondamentale il cui travisamento è il vero e proprio errore di tutti i tentativi di derivare la forma liturgica cristiana con immediatezza acritica all’Ultima Cena» (p. 102).

            «L’Eucarestia cristiana non è in quanto tale ripetizione dell’Ultima Cena […] Essa inizia già nella fase apostolica a costruire chiaramente la sua propria forma. […] L’avvento del Risorto in mezzo ai suoi segna il nuovo inizio che lascia dietro di sé, come passato, il calendario delle feste giudaiche e conferisce il suo nuovo contesto al dono eucaristico. In questo senso la domenica […] è il vero luogo interiore da cui l’Eucarestia cristiana prende forma. Domenica e Eucarestia originariamente si appartengono. Il giorno della resurrezione è lo spazio interno dell’Eucarestia» (p. 106).

            «l’analisi dello svolgimento storico conferma e approfondisce così la tesi che Jungmann aveva sommessamente formulato a partire dalle fonti liturgiche. Inoltre si è potuto constare nella determinazione di queste forme il rifiuto di un piatto adeguamento della liturgia cristiana alla forma dell’Ultima Cena di Gesù, ma si è anche visto che non c’è stato uno iato tra Gesù e la Chiesa» (p. 110).

            «La Cena sarebbe stata un gesto vuoto senza la realtà della croce e della Resurrezione» (p. 137)

            «Dobbiamo chiederci infatti: come è possibile che Gesù diventi cibo, che possiamo mangiare Gesù? E’ possibile soltanto perché Si è trasformato, nell’atto dell’amore fino alla fine della croce e nella resurrezione, da un essere vivente a Spirito datore di vita, come dice san Paolo. Nella croce, nella resurrezione è diventato datore di vita e così è sacramento per noi. Questa donazione che Lo fa cibo, Spirito datore di vita è adorazione».

            Beh! Non è me che deve contestare, ma Benedetto XVI. Comunque, se sono in errore (insieme a Ratzinger), non sarà certo Lei con i suoi anatemi ad avermelo dimostrato.

  • Virginio ha detto:

    È vero che, come ribadisce Sant’Agostino “una fede che non sia pensata non vale nulla”, ma una fede puramente intellettiva, da uomo di scienza, seppure spessa e profonda, non è sufficiente; al sacro e al divino ci avviciniamo e uniamo anche con i moti del cuore, e per questi non basta lo studio della scrittura: le arti e le loro bellezze inserite nei riti e nell’archittetura sacri sono implementi imprescindibili per elevare l’anima a Dio.

  • Enrico Nippo ha detto:

    Ah, dimenticavo …

    Un passettino ino ino alla volta, prima o poi avremo la messa detta dalla pretessa (licenza poetica per la rima).

    https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/le-donne-sullaltare-della-chiesa-cattolica-non-c3-a8-sacerdozio-ma/ar-BB1cFkSj

  • Enrico Nippo ha detto:

    I miei complimenti a Kwasniewski. Un’esposizione davvero edificante che sottoscrivo!

    Mi concedo un’osservazionea: il “terribilis est locus iste” e la “la ‘inequivocabile verticalità’ della latria” non sembrano essere prese molto in considerazione dalla “misericordia”, dal “camminare insieme” e dal “discernimento” che vanno per la maggiore. 😊

    Intanto, col novus ordo si fanno progressi 😨

    http://blog.messainlatino.it/2021/01/la-messa-della-cannabis-in-brasile.html#more

    • Adriana 1 ha detto:

      Tra breve faranno Santo il dr. John Allegro , autore de
      “Il fungo e la croce” .Devono solo studiare ancora un pochino con qualche maestro di botanica esperto e qualche perito sciamano…