BRANDMÜLLER: IL VATICANO II E LE DIFFICOLTÀ DELL’INTERPRETAZIONE.
24 Giugno 2020
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, Stilum Curiae è onorato di offrirvi un documento che mons. Nicola Bux ci presenta, un intervento estremamente interessante del card. Walter Brandmüller sul Concilio Vaticano II: “Gentile Dott. Tosatti, quale contributo al dibattito sull’interpretazione del Concilio Vaticano II, ho il piacere di proporre la conferenza di S. Em. il Card.Walter Brandmüller, presidente emerito del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, tenuta di recente su invito della Scuola Ecclesia Mater.Cordiali saluti, in Domino Iesu. Mgr Nicola Bux”. Buona lettura, e buon ascolto.
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Il Concilio Vaticano II: le difficoltà dell’interpretazione
Che nell’interpretare documenti conciliari si possa pervenire a opinioni contrastanti non è certo una novità per la storia dei concili. Formulare verità di fede significa esprimere l’indicibile mistero della verità divina in un linguaggio umano. Tuttavia, è e rimane un’impresa audace, che già sant’Agostino ha paragonato al tentativo di un bambino di svuotare il mare con un secchiello.
E in questa impresa anche un concilio ecumenico non può fare molto più di quel bambino.
Nulla di strano, dunque, se perfino le affermazioni dottrinali infallibili di un concilio o di un papa possono sì definire la verità rivelata – e dunque delimitarla rispetto all’errore, – ma mai cogliere la pienezza della verità divina.
È questo il dato di fatto essenziale che non bisogna perdere di vista dinanzi alle difficoltà d’interpretazione che ci pone il Vaticano II. Per illustrarle, ci limiteremo a quei testi conciliari che vengono percepiti come particolarmente ostici dagli ambienti cosiddetti tradizionalisti.
Prima di tutto, però, è bene dare uno sguardo alle particolarità che distinguono il Vaticano II dai precedenti concili ecumenici.
A tale proposito c’è da fare una premessa: allo storico del concilio, il Vaticano II appare, sotto molti aspetti, anzitutto come un concilio dei superlativi. Partiamo dalla costatazione che nella storia della Chiesa nessun altro concilio è stato preparato così intensamente come il Vaticano II. Certo, anche il concilio che lo aveva preceduto era stato molto ben preparato quando iniziò l’8 dicembre 1869. Probabilmente la qualità teologica degli schemi preparatori era perfino superiore a quella del concilio che lo ha seguito. È però impossibile ignorare che il numero degli spunti e delle proposte inviati da tutto il mondo, come anche il modo in cui sono stati elaborati, siano stati superiori a tutto quanto si era visto fino ad allora.
Che il Vaticano II fosse un concilio dei superlativi emerse in modo vistoso l’11 ottobre 1962, quando un numero immenso di vescovi – duemilaquattrocentoquaranta – entrò in processione nella Basilica di San Pietro. Se il Vaticano I, con i suoi circa 642 Padri, aveva trovato posto nel transetto di destra della Basilica, ora l’intera navata centrale era stata trasformata in aula sinodale. Nei cento anni intercorsi tra i due concili, la Chiesa era diventata, come emerse visibilmente in modo tanto impressionante, Chiesa universale non solo di nome, ma anche di fatto.Una realtà che ora si rifletteva nel numero dei 2440 Padri e dei loro paesi d’origine. A ciò si aggiunge che per la prima volta nella storia un concilio poté votare con l’ausilio della tecnologia elettronica, e che i problemi di acustica, che ancora avevano infastidito i partecipanti al Vaticano I, non furono nemmeno più menzionati.
E dal momento che stiamo parlando di mezzi di comunicazione moderni: prima di allora non era mai accaduto che, come nel 1962, fossero accreditati al concilio circa mille giornalisti da tutto il mondo. Ciò rese il Vaticano II anche il concilio più conosciuto di tutti i tempi, un evento mediatico di prima categoria.
Concilio dei superlativi lo è però in modo particolare per quanto riguarda i suoi risultati. Delle 1135 pagine che compongono l’edizione dei decreti di tutti i concili generalmente considerati ecumenici, ovvero una ventina, il Vaticano II da solo ne ha prodotte 315, ossia ben più di un quarto. Pertanto, esso occupa senz’altro un posto speciale nella serie di tutti i concili ecumenici, anche solo secondo criteri più materiali, esteriori.
Al di là di questo, ci sono però altre particolarità che distinguono il Vaticano II dai concili che lo hanno preceduto, ad esempio per quanto riguarda le funzioni del concilio ecumenico. I concili sono maestri supremi, legislatori supremi, giudici supremi, sotto e con il papa, al quale questi ruoli spettano anche senza concilio. Non tutti i concili hanno svolto questa funzione.
Se, per esempio, il primo concilio di Lione, nel 1245, con la scomunica e la deposizione dell’imperatore Federico II ha agito da tribunale e per giunta emanato leggi, il Vaticano I non ha tenuto processi né promulgato leggi, ma deciso esclusivamente su questioni dottrinali.
Il concilio di Vienne del 1311/12, invece, ha sia giudicato sia emanato leggi, e anche deciso su questioni dottrinali.
Lo stesso vale per i concili di Costanza del 1414/18 e di Basilea-Ferrara-Firenze del 1431/39.
Il Vaticano II, invece, non ha pronunciato giudizi, non ha veramente emanato leggi e non ha nemmeno preso decisioni definitive su questioni di fede.
Piuttosto, ha effettivamente dato forma a un nuovo tipo di concilio, intendendosi come concilio pastorale, quindi di cura delle anime, volto a far conoscere al mondo di allora l’insegnamento e le istruzioni del Vangelo in modo più attraente e orientante. In particolare, non ha espresso nessuna condanna dottrinale. Giovanni XXIII, nel discorso per la solenne apertura del concilio, ne aveva parlato espressamente: “Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, […] preferisce usare la medicina della misericordia […]; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando”. Ebbene, come sappiamo a cinquant’anni dalla sua conclusione, il concilio avrebbe scritto una pagina gloriosa se, sulle orme di Pio XII, avesse trovato il coraggio di una ripetuta ed espressa condanna del comunismo.
La paura di pronunciare condanne dottrinali e definizioni dogmatiche, invece, ha portato a far sì che alla fine del concilio ci fossero delle affermazioni conciliari dal grado di autenticità, e pertanto anche dal carattere vincolante, completamente diverso. Così, per esempio, le Costituzioni Lumen gentium sulla Chiesa e Dei Verbum sulla rivelazione divina hanno senz’altro la natura e il carattere vincolante di insegnamenti dottrinali autentici – sebbene anche qui nulla sia stato definito in modo vincolante in senso stretto, – mentre per esempio già la Dichiarazione sulla libertà di religione Dignitatis humanae secondo Klaus Mörsdorf “prende posizione su questioni del tempo senza un chiaro contenuto normativo”. Di fatto, ciò vale per i documenti disciplinari, che regolano la prassi pastorale. Il carattere vincolante dei testi conciliari è quindi di grado diverso.
Compiendo un passo successivo, occorre poi porsi la domanda sul rapporto tra il Vaticano II e tutta la Tradizione della Chiesa. Una risposta la troviamo analizzando quanto, o quanto poco, i testi conciliari hanno attinto alla Tradizione. Basta esaminare in tal senso, a titolo d’esempio, la costituzione Lumen gentium. È sufficiente dare uno sguardo alle note del testo. Si può così constatare che all’interno del documento vengono citati addirittura dieci concili precedenti. Tra questi, il Vaticano I viene portato come riferimento 12 volte, il Tridentino ben 16. Già da questo si evince che, per esempio, un “distacco da Trento” va escluso in maniera assoluta.
Ancora più stretto appare il rapporto con la Tradizione, se si pensa che, tra i pontefici, Pio XII viene citato 55 volte, Leone XIII in 17 occasioni e Pio XI in 12 passi. A loro si aggiungono poi Benedetto XIV, Benedetto XV, Pio IX, Pio X, Innocenzo I e Gelasio.
L’aspetto più impressionante è tuttavia la presenza dei Padri nei testi di Lumen gentium. I Padri ai cui insegnamenti fa riferimento il concilio sono addirittura 44. Tra loro spiccano Agostino, Ignazio di Antiochia, Cipriano, Giovanni Crisostomo e Ireneo.
Vengono inoltre citati i grandi teologi, ovvero i dottori della Chiesa: Tommaso d’Aquino in ben 12 passi, insieme ad altri sette nomi di peso.
Basta anche solo questo elenco a illustrare fino a che punto i padri del Vaticano II si intendessero nella corrente della tradizione, integrati in quel processo del ricevere e trasmettere, che è la ragion d’essere della Chiesa: “Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso”, dice l’Apostolo. È evidente che anche sotto questo aspetto non si può parlare di un nuovo inizio della Chiesa, dunque di una nuova Pentecoste.
Questo porta a delle conseguenze importanti per l’interpretazione del concilio, e più precisamente non dell'”evento concilio”, bensì dei suoi testi. Una preoccupazione centrale tangibile in molte affermazioni di Benedetto XVI è stata quella di mettere in risalto lo stretto collegamento organico del Vaticano II con il resto della Tradizione della Chiesa, evidenziando così che un’ermeneutica che crede di scorgere nel Vaticano II una rottura con la tradizione sbaglia.
Questa “ermeneutica della rottura” viene fatta tanto da coloro che nel Vaticano II vedono un allontanamento dalla fede autentica della fede, dunque un errore o addirittura un’eresia, quanto da coloro che attraverso una tale rottura con il passato volevano osare una coraggiosa partenza verso nuovi lidi.
Tuttavia: la presunzione di una rottura nell’insegnamento e nell’azione sacramentale della Chiesa è impossibile anche solo per ragioni teologiche. Se crediamo alla promessa di Gesù Cristo di rimanere con la sua Chiesa sino alla fine dei tempi, di inviare lo Spirito Santo che ci introdurrà nella ricchezza della verità, allora è addirittura assurdo pensare che l’insegnamento della Chiesa, trasmesso in modo autentico, nel tempo si possa dimostrare sbagliato nell’uno o l’altro punto, o che un errore da sempre rigettato si possa in qualche momento, rivelare come verità. Chi lo ritenesse possibile, sarebbe vittima di quel relativismo per il quale la verità è essenzialmente soggetta alla mutevolezza, ossia in realtà non esiste affatto.
A questa Tradizione ogni concilio dà il suo contributo specifico. Naturalmente esso può anche non consistere nell’aggiunta di nuovi contenuti al deposito della fede della Chiesa. E tanto meno nell’eliminazione di insegnamenti della fede tramandati finora. Piuttosto, quello che si compie qui è un processo di sviluppo, chiarimento, discernimento, e ciò con l’aiuto dello Spirito Santo, un processo che porta a far sì che ogni concilio, con le sue dichiarazioni dottrinali definitive, entri come parte integrante nella Tradizione complessiva della Chiesa. Da questo punto di vista, i concili sono sempre aperti in avanti, verso un annuncio dottrinale più completo, chiaro e attuale, mai verso l’indietro. Un concilio non potrà mai contraddire quelli che lo hanno preceduto, ma può integrare, precisare, proseguire.
Le cose sono però diverse per il concilio come organo di legislazione. Quest’ultima può – e senz’altro deve – affrontare, ma sempre nei limiti indicati dalla fede, le esigenze concrete di una particolare situazione storica e, da questo punto di vista, è per principio soggetta a cambiamento.
Da tali osservazioni una cosa dovrebbe essere emersa chiaramente: tutto quanto è stato detto vale pure per il Vaticano II. Anch’esso è niente di più – ma anche niente di meno – che un concilio tra, accanto e dopo gli altri. Non è al di sopra e nemmeno al di fuori, bensì rientra nella serie dei concili ecumenici della Chiesa.
Che ciò sia così risulta non ultimo dalla comprensione di sé di quasi tutti i concili. Basta ricordare le loro rispettive affermazioni, come anche quelle dei primi Padri, sulla questione. Essi riconoscono nella Tradizione la natura stessa dei concili.
Già Vincenzo di Lerino († prima del 450) riflette espressamente su ciò nel suo Commonitorium: “A che cosa ha aspirato la Chiesa attraverso i suoi decreti conciliari, se non a far sì che quel che prima del concilio semplicemente si credeva, dopo fosse creduto con maggiore diligenza; che quel che prima veniva annunciato senza vigore, dopo fosse annunciato con maggiore intensità; che quel che prima si celebrava con assoluta certezza, dopo fosse adorato con maggior zelo? Questo, ritengo, e null’altro, la Chiesa, scossa dalle innovazioni degli eretici, ha sempre ottenuto attraverso i suoi decreti conciliari: quel che prima aveva ricevuto dagli ‘antenati’ solo attraverso la tradizione, ora lo ha depositato per iscritto anche per i ‘posteri’. Lo ha fatto sintetizzando tanto in poche parole e, spesso, al fine di una più chiara comprensione, esprimendo il contenuto immutato della fede con nuove definizioni” (Commonitorium, cap. 36).
Questa convinzione autenticamente cattolica trova espressione nella definizione del secondo concilio di Nicea del 787, che così afferma: “In tal modo, procedendo sulla via regia, seguendo in tutto e per tutto l’ispirato insegnamento dei nostri santi padri e la tradizione della chiesa cattolica riconosciamo, infatti, che lo Spirito santo abita in essa noi definiamo …”; seguono poi i principi centrali del decreto conciliare. È particolarmente importante anche l’ultimo dei quattro anatemi: “Se qualcuno rigetta ogni tradizione ecclesiastica, sia scritta che non scritta, sia anatema”.
Tenendo un concilio, la Chiesa realizza la sua natura più profonda. La Chiesa – e dunque il concilio – trasmette vivendo e vive trasmettendo. È la tradizione la vera realizzazione della sua essenza.
L’elemento decisivo dell’orizzonte interpretativo è la trasmissione autentica, non lo spirito del tempo. Ciò non può assolutamente significare rigidità e immobilità. Lo sguardo all’oggi non deve venir meno. Sono le domande attuali quelle che esigono una risposta. Ma gli elementi che compongono la risposta non possono che provenire dalla Rivelazione divina, offerta una volta e per sempre, che la Chiesa ci trasmette autenticamente nei secoli. Tale trasmissione costituisce dunque anche il criterio al quale deve rifarsi ogni nuova risposta se vuole essere vera e valida.
Di queste considerazioni fondamentali occorre tener conto anche nell’interpretazione dei testi conciliari più dibattuti.
Si tratta principalmente delle Dichiarazioni Nostra aetate e Dignitatis humanae, che hanno suscitato obiezioni da parte della Fraternità san Pio X. Quest’ultima accusa il concilio di avere errato nella fede. A questo, però, bisogna ribattere con decisione.
È del tutto evidente che un testo conciliare formulato nel 1965, che all’epoca andava inteso a partire dalla situazione in cui era nato e sulla base dell’intenzione delle sue affermazioni, quando viene proclamato nel mondo d’oggi deve necessariamente essere contemplato nell’orizzonte interpretativo attuale.
Prendiamo ad esempio Nostra aetate. Chi accusa oggi tale testo di indifferentismo religioso, dovrebbe leggerlo alla luce di Dominus Jesus, il che farebbe escluderebbe categoricamente qualsiasi malinteso nel senso di indifferentismo o di sincretismo. Con slanci sempre nuovi, il magistero postconciliare attraverso i suoi chiarimenti ha tolto le basi a qualsiasi interpretazione errata dei testi conciliari sia in senso tradizionalista sia in senso progressista.
Dopo queste osservazioni fondamentali, vorrei ora spiegare un altro principio interpretativo che risulta dalla storicità di ogni testo. Così come tutti i testi – e quindi anche tutti i testi magisteriali – nascono da una particolare situazione storica e sono determinati anche dalla situazione concreta del loro concepimento, essi vengono anche proclamati con una precisa intenzione in un preciso momento storico.
Non dobbiamo perdere di vista questo principio quando oggi ci accingiamo ad interpretare uno di detti testi.
Bisogna poi tenere anche conto del fatto che l’orizzonte ermeneutico così determinato si sposta, si modifica, nella stessa misura in cui l’interprete attuale è distante dal momento in cui il testo è nato. Questo significa che le interpretazioni passate, a seconda di quanto sono lontane nel tempo, possono avanzare più o meno solo pretese di interesse storico. Questa consapevolezza è particolarmente importante quando si tratta di testi del ministero magisteriale e pastorale della Chiesa.
Si potrebbe subito obiettare che la verità, specialmente quella della rivelazione divina, è una verità eterna e immutabile, che non può subire alterazioni. Certamente questo non può essere messo in discussione. “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”, dice il Signore.
È però altrettanto vero che il riconoscimento di questa verità eterna da parte dell’uomo assoggettato al cambiamento storico è soggetto al cambiamento proprio come l’uomo che riconosce. Vale a dire che, a seconda del momento storico, l’uno o l’altro aspetto della verità eterna viene colto, riconosciuto e compreso in modo nuovo e più profondo.
Proprio per questo, anche un testo conciliare, se contemplato nel contesto spirituale, culturale, ecc. e alla luce del nostro tempo, può essere compreso in modo nuovo, più profondo e più chiaro.
Nella misura in cui terremo conto di tale concetto nei nostri sforzi di intendere gli insegnamenti del Vaticano II oggi e per oggi, riusciremo a superare diversi conflitti che si pongono in merito.
Naturalmente l’interpretazione del concilio è compito del dibattito teologico, che se ne occupa da sempre. Di fatto, i risultati di questo dibattito hanno infine trovato spazio nei documenti del magistero postconciliare.
Alla luce di quanto detto, sarebbe un errore grave non tenerne conto nell’interpretazione del concilio per il tempo attuale e comportarsi come se il tempo si fosse fermato al 1965.
Vorrei illustrare quanto detto con tre esempi che mi sembrano essere particolarmente caratteristici.
A questo proposito saltano subito all’occhio la Dichiarazione Nostra aetate sul rapporto tra la Chiesa e le religioni non cristiane e il Decreto Unitatis redintegratio sull’ecumenismo. Da molto tempo i due documenti sono soggetti a critiche da parte dei cosiddetti ambienti tradizionalisti. Entrambi vengono accusati di mancanza di chiarezza e decisione nel sostenere la verità, ovvero di sincretismo, relativismo e indifferentismo. Al momento dell’approvazione dei testi era difficile prevedere che avrebbero potuto offrire appigli a simili critiche.
Era stata l’esperienza del totalitarismo della prima metà del XX secolo e delle persecuzioni vissute insieme a ricordare agli ebrei e ai cristiani – cattolici, protestanti e ortodossi – le cose fondamentali che avevano in comune. L’impegno a superare le antiche ostilità e per una nuova convivenza era generalmente percepito come un dovere imposto dal Signore. Letti in questo spirito e su questo sfondo, i due documenti hanno dato impulsi fortissimi.
Poi però si voltò pagina. Solo pochi decenni dopo la conclusione del concilio venne sviluppata, soprattutto nell’area anglosassone, una visione teologica delle religioni non cristiane che parlava di diverse vie di salvezza per l’uomo, più o meno equivalenti, e che quindi metteva in dubbio la missione cristiana. L’annuncio della Chiesa, si riteneva, doveva essere volto a far sì che un musulmano diventasse un musulmano migliore, e così via. Fu il britannico John Hick, a diffondere, più o meno a partire dal 1980, questo tipo di idee. Di fatto, su questo nuovo sfondo l’una o l’altra formulazione di Nostra aetate poteva essere fraintesa. Inoltre, Nostra aetate “parla della religione solo in modo positivo e ignora le forme malate e disturbate di religione, che dal punto di vista storico e teologico hanno un’ampia portata” (Benedetto XVI, vol. VII/1, Prefazione).
A questo punto è necessario ricordare in modo particolare il passo di Nostra aetate che si riferisce all’islam. Il testo non viene accusato solo di indifferentismo. Va anzitutto osservato, a tale riguardo, che il decreto certamente “cum aestimatione quoque muslimos respicit“, ma assolutamente non l’islam. Non s’intende il suo insegnamento, bensì le persone che lo seguono. Il fatto che nelle formulazioni successive dietro a parole uguali o simili si nasconda una comprensione molto diversa è evidente per l’islamologo d’oggi. A questo passo del documento, che intende preparare la via per un dialogo pacifico, non andava applicato il rigido metro della terminologia dogmatica, per quanto un impegno in tal senso sarebbe stato auspicabile. Di fatto, il testo è stato pubblicato nel 1965.
Per la nostra comprensione attuale, il problema assume invece un aspetto del tutto diverso: è l’islam a essere profondamente cambiato nell’ultimo mezzo secolo, come dimostra il grado di aggressività e di ostilità islamica nei confronti dell’Occidente “cristiano”. Sullo sfondo dell’esperienza dei decenni trascorsi dal nine eleven un decreto di questo genere dovrebbe dire tutt’altro.
Ai fini di un’ermeneutica conciliare seria, dunque, non ha proprio senso accanirsi e polemizzare contro il testo del 1965: il decreto ha ormai solo un interesse storico.
È stato allora il magistero, con la Dichiarazione Dominus Jesus, a togliere le basi a ogni indifferentismo e a indicare in modo inequivocabile Gesù Cristo come unica via per la salvezza eterna e la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica di Gesù Cristo come unica comunità di salvezza per ogni uomo.
Qualcosa di simile è accaduto attraverso i diversi chiarimenti del significato del famoso “subsistit in”. Se nel discorso ecumenico c’erano state affermazioni che potevano suscitare l’impressione che la Chiesa cattolica fosse solo uno tra i molteplici aspetti della Chiesa di Gesù Cristo, l’interpretazione di “subsistit in“, anch’essa confermata da Dominus Jesus, ha eliminato ogni malinteso. Un altro scandalum è rappresentato per molti dalla Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà di religione. Anch’essa è accusata di indifferentismo, tradimento della verità della fede e contraddizione al Syllabus errorum del beato Pio IX.
Il fatto che così non è, appare evidente se si applicano i principi interpretativi formulati sopra: i due documenti sono nati in un contesto storico diverso e devono rispondere a situazioni differenti.
Il Syllabus errorum – come già in precedenza l’Enciclica Mirari vos di Gregorio XVI – era teso alla confutazione filosofica della pretesa di assolutezza della verità, specialmente della verità rivelata attraverso l’indifferentismo e il relativismo. Pio IX aveva sottolineato che l’errore non ha nessuna ragione rispetto alla verità.
Dignitatis humanae, invece parte da una situazione completamente diversa, creata dai totalitarismi del XX secolo che, attraverso la costrizione ideologica, avevano denigrato la libertà dell’individuo, della persona. Inoltre, i padri del Vaticano II avevano dinanzi agli occhi la realtà politica del loro tempo, che in condizioni diverse, ma non in minor misura, minacciava la libertà della persona. Per questo al centro di Dignitatis humanae non c’era la – indiscussa – intoccabilità della verità, bensì la libertà della persona da ogni costrizione esterna per quanto riguarda la convinzione religiosa.
A tale proposito, è bene assicurare ai sostenitori della “assoluta a-storicità della verità” che nessun teologo o filosofo dotato di buonsenso parlerebbe di mutevolezza, di volubilità della verità. Ciò che invece cambia, che è sottoposto a mutamento, è il riconoscimento, la consapevolezza della verità da parte dell’uomo, il quale cambia totalmente. Occupa qui un posto di eccellenza la professione di fede del Popolo di Dio, che Paolo VI ha proclamato nel momento culminante della crisi postconciliare.
In sintesi: Il Syllabus difendeva la verità, il Vaticano II la libertà della persona.
È difficile scorgere una contraddizione tra i due documenti se vengono contemplati nel loro contesto storico e intesi secondo quelle che erano allora le intenzioni delle loro affermazioni.
Per di più, ai fini di un’interpretazione corretta, oggi bisogna tener conto di tutto il magistero postconciliare.
Infine un accenno va fatto anche all’ottimismo mondano, evidentemente un po’ ingenuo, che aveva animato i padri conciliari durante la redazione di Gaudium et spes.
Appena terminato il concilio divenne tuttavia evidente che questo “mondo” stava vivendo un processo di secolarizzazione sempre più rapido, che spingeva la fede cristiana, e la religione in generale, ai margini delle società.
Bisognava pertanto ridefinire il rapporto tra la Chiesa e “questo mondo” – come lo chiama Giovanni – e completare, interpretare, il testo conciliare, per esempio nel senso dei discorsi di Benedetto XVI durante la sua visita in Germania.
Ciò significa però che una interpretazione attuale del concilio, che faccia emergere l’essenza dell’insegnamento conciliare rendendolo fecondo per la fede e l’insegnamento della Chiesa del presente, deve leggere i suoi testi alla luce di tutto il magistero postconciliare e intendere i suoi documenti come attualizzazione del concilio.
Come evidenziato all’inizio: il Vaticano II non è il primo né sarà l’ultimo concilio. Ciò significa che le sue dichiarazioni magisteriali devono essere esaminate alla luce della tradizione, vale a dire interpretate in modo tale da poter individuare, rispetto ad essa, un ampliamento, un approfondimento o anche una precisazione, ma non una contraddizione.
Trasmissione, tradizione, non implica la semplice consegna di un pacchetto ben sigillato, bensì un processo organico, vitale, che Vincenzo di Lerins paragona alla progressiva trasformazione della persona da bambino a uomo: è sempre quella stessa persona, che percorre le fasi dello sviluppo.
Ciò vale per gli ambiti della dottrina e della struttura sacramentale-gerarchica della Chiesa, ma non per la sua azione pastorale, la cui efficacia continua a essere determinata dalle esigenze delle situazioni contingenti del mondo che la circonda. Naturalmente anche qui è da escludere qualsiasi contraddizione tra la pratica e il dogma.
È un “processo di recezione attiva”, che deve essere svolto anche in ragione dell’unità in seno alla Chiesa. Di fatto, ci sono anche casi – non nell’ambito delle verità della fede, ma in quello della morale – in cui oggi può essere opportuno quello che ieri era proibito.
Se per esempio prima del Vaticano II il divieto assoluto di cremare i morti aveva come conseguenza la scomunica del cattolico che aveva scelto la cremazione, in un tempo in cui la cremazione ha perso il suo aspetto di protesta contro la fede nella risurrezione dai morti è stato possibile levare tale divieto.
Ciò vale in modo analogo nel caso del divieto degli interessi nel XV-XVI secolo, quando i francescani e i domenicani – e più precisamente a Firenze – si sfidavano in aspri duelli dai pulpiti, dove i contendenti si accusavano reciprocamente di eresia a causa dell’entità del tasso d’interesse consentito e minacciavano l’avversario di bruciare nelle fiamme dell’inferno. Si trattava di un problema morale, nato con i cambiamenti delle riforme economiche e poi diventato di nuovo obsoleto.
Bisogna andarci piano, dunque, anche nel dibattito sul Vaticano II e la sua interpretazione, che deve a sua volta avvenire sullo sfondo della situazione mutata nel tempo. A tale riguardo il magistero dei papi postconciliari ha dato contributi importanti, di cui però non si è tenuto sufficientemente conto, mentre bisognerebbe prenderne atto proprio nel dibattito attuale.
Poi, in questa discussione, è bene ricordare il monito alla pazienza e alla modestia di san Paolo a Timoteo (2 Tim4, 1 s.).
Purtroppo tali confronti continuano ad assumere forme che mal si accordano con l’amore fraterno. Dovrebbe essere possibile conciliare lo zelo per la verità con la correttezza e l’amore del prossimo. In particolare, sarebbe opportuno evitare quella “ermeneutica del sospetto” che accusa l’interlocutore in partenza di concezioni eretiche.
In sintesi: Le difficoltà nell’interpretazione dei testi conciliari non derivano soltanto dal loro contenuto. Bisognerebbe tenere in considerazione sempre più il modo in cui si svolgono le nostre discussioni a riguardo.
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Tag: brandmuller, Bux, concilio, vaticano II, vigano
Categoria: Generale
È triste osservare come in questa crisi della Chiesa Cattolica, soprattutto a causa di questo papato, e ripeto, soprattutto a causa di questo Papa e della sua cricca, molti ne approfittano per unirsi a questo attacco senza precedenti, in verità come sciacalli intorno ad una preda.
Tuttavia nessuno, nonostante tutto, prevarrà contro la Chiesa di Cristo, perché Lui stesso ne è la pietra angolare e la sostiene.
Almeno le critiche fossero costruttive, dettate da vero dolore e amore.
Ma non trovo nemmeno questo e quindi chi non manifesta tali sentimenti può definirsi tutto quel che vuole, ma non è un discepolo del Signore.
Chiarissima esposizione sull’azione dello “spirito del concilio”.
non mi sembra una gran cosa questo approfondimento che vira dai frutti. io so che solo ieri l’Altare era il Calvario dopo il concilio è diventato una tavola imbandita. non so se è stato un gran guadagno. per il resto mi taccio le differenze tra il prima e il dopo sono davanti agli occhi di tutti coloro che ancora hanno occhi per vedere e, mi pare, gridino vendetta,
non disapprovare il cvII mi pare bestemmia.,,,e la teologia della continuità mi pare una raffazzonata dell’ultimo momento,,, ma magari sono io,
però, cosa vuoi che ti dica,… sollazzo dei migranti… non so… non mi convince
Chiedo scusa al dr. Tosatti e a tutti. Commento accalorato e un ‘po prolisso.
Le ho contate le parole del post del Cardinale. Con l’aiuto di Word le ho contate: 4211 parole, 27602 caratteri.
Giudizio finale insindacabile inappellabile: Una sbobba eruditina con la immancabile budinosa chiosa finale che fa appello alla “modestia, pazienza, correttezza e amore fraterno”. Velleitariamente giustificativa del fracasso del CVII. Se poi vogliamo negare che il sole illumini…
Cara Eccellenza, se Lei si mette allo specchio e si legge la sua allocuzione anche la sua immagine le direbbe: “Ma tu ci credi?”, “Vuoi fregare gli svegli frequentatori di questo blog?”
Cara Eccellenza, so che questo blog e molti altri simili vi sono “fastidiosi” perché risaltano il FALLIMENTO del beneamato CVII e la sua “incarnazione” ed è per questo che voglio porle alcune domande impertinenti (sperando che Le giungano):
1) Se il CVII è “normale” perché vi sentite in colpa e cercate sempre di farci digerire la sua “continuità dottrinale”?
2) Lei dice: “Se perfino le affermazioni dottrinali infallibili di un concilio o di un papa possono definire la verità rivelata .. e mai cogliere la pienezza della verità divina”, perché PRESUMETE di aver riempito la “conchiglia” con il CVII?
3) Se nei documenti del CVII non avete “incollato” con lo sputo alcune citazioni della Tradizione perché vi rodono le nostre critiche quando le nominiamo?.
4) Se il rapporto CVII-Tradizione è idillico perché avete scomunicato FSSPX, poi l’avete assolta un pochettino ed ORA larvatamente vi tormenta?
5) Se il “depositum fidei” era già COMPLETO perché si riunirono in un Concilione 2440 dottoroni? Solo per ADEGUARNE la pastorale ai “nuovi” tempi storici e produrre 1135 pagine di decreti che – lo ammetta – quasi nessun parroco e fedele ha letto in questi ultimi 60 anni?)
6) Se la NUOVA PEDAGOGIA del CVII era ed è NON CASTIGATIVA e NON TERRIFICANTE perché ORA la gente vi ignora o vi beffeggia? Perché dopo 60 anni ZERO FEDELI, ZERO FEDE?
7) Se il criterio della prassi pastorale è la “storicizzazione culturale, spirituale” (sono parole sue, cara Eccellenza) perché San Paolo quando predicava ai greci non si adeguava alla cultura di quell’uditorio e non farsi prendere per idiota? La Chiesa di Cristo va a rimorchio dell’uomo e delle società che EVOLVONO?
8) Se l’attuale scenario “storico-culturale-spirituale” è cambiato rispetto agli anni ‘60 non le pare che “a squadra perdente” è necessario cambiare giocatori, allenatore, tattica di gioco? La superbia, l’amor proprio non è peccato mortale?
9) Io ricordo certe maledizioni di Gesú (il fico sterile, i vignaioli omicidi, “… Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche”…). Io le ricordo. E Lei? Che cosa “dialogherete” con il Giudice quando vi presenterete con le mani vuote? Che avete fatto un CONCILIONE e che dopo 60 anni ancora ve lo coccolate?
Ammazza aho! Antonio Cafazzo ha inquadrato spietatamente nel suo mirino il cardinale birbaccione che ha impiegato 4211 parole per dire che “va tutto bene” e ha dato ad intendere che per quanto lo riguarda non si muove una paglia.
Quindi, mettiamoci l’anima in pace. Comandano “loro” e basta.
Il card. Brandmueller ha fatto un’ottima esposizione, e non ha detto che va tutto bene.
Ma un lefevriano intenderà sempre quello che gli pare.
Il peccato grave di Lefebvre è stato di superbia e quindi di disobbedienza.
Tuttavia io non per questo penso di essere migliore. Infatti saremo giudicati sulla carità, che noto sparire improvvisamente quando si parla di Chiesa, Papi, Concilio.
Anche Boanerghes intende quello che gli pare.
Oppure egli è il super-interprete che sa veramente come stanno le cose?
Se è così, papa subito, e già che ci siamo santo subito.
Enrico, tu non sei cattolico, io si.
Che stai a discutere e litigate in questo blog?
Tu non ami la chiesa cattolica, che per quanto disastrata è pur sempre la chiesa e sposa di Cristo.
Ti dico le parole di S. Francesco: Vai per la tua strada, frate mosca.
Domando scusa; Brandmuller risponderà sicuramente alle Sue domande, ma non lo coinvolgerei su questioni che riguardano questo blog. L’allocuzione è stata fatta in altro luogo ed è stato il titolare del blog a decidere di pubblicarla qui.
Vero. Se il depositum fidei era completo, ed era da farsi solo qualche adeguamento (tecnico) ai tempi, il CVII è stato come andare a pescare con una portaerei. 🙂
Chiedo scusa del bombardamento ma davvero la valanga ha raggiunto proporzioni enormi e velocità inarrestabile
https://www.radiospada.org/2020/06/inghilterra-petizione-per-ridisegnare-la-medaglia-di-san-michele-ricorda-lomicidio-floyd/
.
Due frutti mari marci dello “spirito del concilio.
http://blog.messainlatino.it/2020/06/messico-vescovo-celebra-una-messa-pro.html
http://blog.messainlatino.it/2020/06/verso-la-beatificazione-del-vescovo-e.html
@ Hierro1973
Caro signore, lungi da me sostenere che i lefebriani siano la causa di tutti i mail. E’ ovvio che non è così e quando li guardo è più con compassione che con inimicizia che li considero.
Mi duole dover smentire quanto da lei detto: Dignitatis Humanae si limita a dire che lo stato non ha un potere proprio/nativo/indipendente a regolare la vita religiosa, se non nei limiti in cui la vita religiosa può interferire con ciò su cui lo stato a competenza diretta. Non dice, invece, che sia giusto abbracciare ed esercitare qualsiasi culto, né che la Chiesa non ha diritto di intervento sulla vita religiosa, né che la Chiesa non può delegare compiti allo stato in materia religiosa, né che lo stato non possa essere confessionale. Queste sono balle che i lefebriani e affini raccontano, ma sono semplicemente balle.
Ora, i lefebvriani sono troppo colti per non sapere di dire balle, quindi la spiegazione della loro ostinata opposizione a Dignitatis Humanae è l’ideologia di cui sono da sempre imbevuti: ideologia di estrema destra che predica e spera lo stato totalitario, padrone anche della vita religiosa (e questo spiega anche la facilità con cui disubbidiscono alla Chiesa). I legami tra Mons. Lefebvre con gruppi come l’Action Francaise sono noti, così come è noto che è nella FSSPX (non a Bose) uno dei vescovi era un nazista negazionista della Shoah. Questi è stato cacciato dopo che la notizia è scoppiata sulla stampa (dopo la rimozione della scomunica misericordiosamente concessa da papa Benedetto), ma continua ad agire nella galassia del mondo “tradizionalista” come importante punto di riferimento. E’ peraltro agevole supporre che se c’era almeno un vescovo nazista, c’erano anche preti e fedeli che la pensavano come lui.
Per quanto riguarda il suo “ce ne fossero di Lefebvre”, mi permetto di osservare che la sua ermeneutica del concilio è la stessa dei modernisti: rottura. Se un modernista ha bisogno di dimostrare che il Concilio rappresenta uno strappo con la tradizione,Lefebvre lo aiuta ed è il miglior testimone perché sicuramente non amico. Chiaro?
Ora, il modernista è eretico perché modernista. Il lefebvriano è eretico perché pensa che un concilio presieduto dal Papa possa formulare affermazioni eretiche, ma ha anche l’aggravante di essere un alleato dei modernisti perché ne condivide e difende l’ermeneutica di fondo.
Dopo tanta esibizione di cultura… mi insegna “che cosa posso supporre “a proposito di Bergoglio?
Domanda indirizzata a Silvano .
Non risulta che Bergoglio abbia scritto i documenti del CV II. Come può ben vedere da sola, stavamo parlando di quelli. Comprendo la sua necessità di scrivere sciocchezze per mancanza di argomenti meno sciocchi; d’altra parte si tratta del leit motiv di quasi tutti i suoi interventi.
Silvano ,
la ringrazio per quel ” quasi ” prezioso. Meglio che faccia parlare al posto mio E. M. Radaelli ( quello vero ) https://www.chiesaepostconcilio.blogspot.com/2018/09/amerio-tanto-dogma-tanta-chiesa-niente-dogma-niente-chiesa/
Provi a rispondere alle sue ” sciocchezze ” sul Concilio , tenendo presente che anche Bergoglio agisce nella cosiddetta ermeneutica della continuità ( dal Concilio ).
Che Bergoglio agisca nell’ermeneutica della continuità, lo dice lui. Ma è ovvio che non è così e quindi criticare Bergoglio per criticare tutto quello che viene prima e specialmente il CVII, non è corretto.
Proprio oggi, il monaco Silvano del Monte Pathos mi ammonisce così:
“Enrico, se vuoi che nessuno ti accusi, evita tu di accusare per primo: (a Mario) non gli avrai scritto che è un eretico, ma dicendo che parla da luterano nella sostanza lo hai fatto. Santa Madre Chiesa ha ordinato, 500 anni fa, di evitare accuse, quindi fai il piacere di obbedire a Santa Madre Chiesa.
Ora, a questo santo monaco l’aria sopraffina del Monte Pathos deve provocargli come minimo un giramento di testa, che però gli fa rivelare quello che è: uno che predica bene e razzola male.
A parte la sua dubbia “compassione” per i lefebvriani, ecco la Santa Perla della Coerenza del santo monaco Silvano:
“ il modernista è eretico perché modernista. Il lefebvriano è eretico perché pensa etc, etc”.
Quindi, lui, Silvano del Monte Pathos è un tipetto a posto, un tipetto del centro, dell’equilibrio, con le pieghe ai pantaloni e la camicia stirata, mentre i modernisti e i lefebvriani sono eretici. Però, evidentemente, il sottoscritto che dice a Mario che parla da Luterano è uno che accusa, mentre lui che spara anatemi a destra e manca è … che cos’è? La risposta è talmente scontata che non vale la pena di scriverla.
Caro Enrico, è perfettamente inutile che ironizzi sul mio nome (posto che Silvano del Monte Athos, pur non cattolico, è stata una figura di tale santità che dovresti sciacquarti la bocca prima di nominarlo) ed è altrettanto inutile che cerchi l’attacco ad hominem perché da surrogato di lefebvriano ti sei sentito in qualche modo toccato dalle oggettive considerazioni di cui sopra. In altra sede ti sei preso una giusta scoppola, perché ti sei messo a dare del luterano ad un utente, rispondendo da pelagiano e, per quanto riguarda il resto della nostra breve discussione, hai dimostrato una profonda ignoranza dei fondamentali e un’attitudine alla disobbedienza agli ordini di Santa Madre Chiesa (ordini impartiti 500 anni fa e non dal tuo odiatissimo Bergoglio). Devo dirti con franchezza che la tua ignoranza è tale che se fossi un lefebvriano mi vergognerei di averti tra gli ammiratori.
Silvano carissimo,
sei un formidabile arrampicatore sugli specchi.
Ti ho pizzicato sul tuo predicare bene e razzolare male e ti brucia un sacco, ma proprio un sacco!
E la tua reazione (che balle co ‘sti levebvriani e pelagiani!)
lo dimostra in-con-fu-ta-bil-men-te.
Ritengo che Silvano abbia fatto una buona argomentazione. Chi si arrampica sugli specchi, o altro, è chi continuamente batte sullo stesso chiodo e cioè che la Chiesa cattolica fa schifo e propone come nuova Chiesa cattolica il movimento di Lefebre. Perché non vi preoccupate di vivere bene a casa vostra?
“E’ peraltro agevole supporre che se c’era almeno un vescovo nazista, c’erano anche preti e fedeli che la pensavano come lui.”
Ed è quindi agevole supporre che tanti preti e fedeli la pensino come don Mercedes, e che tanti altri la pensino come don Euro, e chissà quanti la pensano come i tanti preti pedofili!
Ma che bel ragionare, non fa una piega.
Ossequi.
Riprendo una frase dell’abbé Barthé
«Il concetto di “spirito del Concilio” conferma la specificità innovativa di questa assemblea, perché “non c’è mai stato ‘lo spirito del Concilio di Nicea’, né ‘lo spirito del Concilio di Ferrara-Firenze’, né tanto meno ‘lo spirito del Concilio di Trento’, così come non c’è mai stato un ‘post Concilio’ dopo il Laterano IV o il Vaticano I».
Riporto ora da https://www.ilgiornale.it/news/bergoglio-ed-concilio-nel-mirino-dei-tradizionalisti-1872044.html
«Il dottor Claudio Anselmo, che ha scritto molto sul Concilio e sulle sue sfumature, ha chiarito a IlGiornale.it cosa si debba intendere con questa storia dello “spirito” conciliare: “…esso è una specie di superdogma con il quale si possono anche negare i dogmi, è uno slancio che va al di là del testo e lo trascende, per cui sono avvenute le cose più incredibili”. Anselmo ha continuato: “Rimaniamo in ambito liturgico. Il concilio, nella costituzione sulla liturgia Sacrosantum Concilium , ha espressamente detto che “L’uso della lingua latina sia conservato nei riti latini” e che “La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana ; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale”. Per la gran maggioranza dei liturgisti, l’uso del latino o del gregoriano nelle celebrazioni sarebbe contrario allo “spirito del concilio” che avrebbe – secondo loro – rivoluzionato la liturgia con l’abbandono della lingua della Chiesa, quando invece il concilio afferma esattamente il contrario”».
La piaga, dunque, è lo “spirito del concilio”. E questo spirito potentissimo, visto lo sfacelo che è stato capace di provocare, da chi è insufflato?
Forse è il caso di rendersi conto che ci troviamo abbacinati da una turlupinatura diabolica.
E’ lo spirito di Berlicche che ci presenta i documenti ufficiali della Chiesa, dei quali si serve per distruggere la Chiesa.
Discutere il Concilio in tempi di apostasia bergogliana pandemica è un alibi per codardi.
quindi,se ho capito…forse:
– il CVII è stato solo un concilio pastorale,non dogmatico tipo Concilio di Trento,ergo i documenti prodotti possono:
– essere interpretati a seconda dello Spirito del tempo
– sono comunque documenti che non errano nel contenuto ( =infallibili), ma però alcuni vanno contestualizzati, in quanto le intenzioni del redattore del tempo possono non essere più valide per il momento odierno
A dire che è un bel calderone,ove ognuno puo trovarvi qualcosa di ancora valido, di nuovo o di obsoleto, un concilio democratico “non muri ma ponti”, un concilio politically correct, ….
E se così ,il rischio maggiore a mio avviso che ne può derivare è il tradimento che nega lo spirito di verità a favore dello spirito della menzogna.
Gent.ma Donna,
Pastorale non Dogmatico significa in parole povere che avrebbe dovuto riguardare il modo di proporre ai popoli la Dottrina Cristiana Cattolica, e il modo di rapportarsi con le altre religioni, ma non il contenuto sostanziale della dottrina stessa.
NB: nei primi anni 2000 nella parrocchia cui appartengo fu progettata e realizzata una serie di serate dedicate alla conoscenza del Concilio Vaticano II a partire da riflessione tenute da esperti (e Testimoni del Concilio) sulle quattro Costituzioni.
Ebbene : ci fu un sacerdote sulla trentina che candidamente e pubblicamente confessò di non averle mai lette prima. Su basi di conoscenza di questo genere di che cosa vogliamo discutere?
Infatti. È un modo di procedere che, consapevolmente o meno, sprona i fedeli a farsi un’idea personale, malleabile, e alla fine *comoda* di ciò che la Chiesa afferma.
Brandmüller ha cercato di illuminare l’oscurità del concetto “ermeneutica della continuità” senza però vincerla (ammesso sia possibile farlo).
La mia personale impressione riguardo all’intervento del card. Walter Brandmüller è senz’altro positiva. Si tratta di una esposizione svolta con metodo, partendo da dati incontrovertibili per giungere attraverso uno sviluppo logico a conclusioni perlomeno verosimili.
Con questo non voglio affermare che sia tutto giusto : qualche sbavatura ci può senz’altro essere ma questo si può dire dopo una lettura attenta e meditata, che, per un testo di tale lunghezza e complessità, richiede tempi lunghi e non può essere effettuata in pochi minuti. I commenti precipitosi hanno sempre un alcunchè di sanguigno e puzzano di pregiudizio. Per questo cerco di evitarli.
Un plauso al card. Brandmuller e un grazie a Tosatti per aver ospitato questo contributo che fa piazza pulita di decenni di critiche pelose nei confronti del Vaticano II, tanto da destra quanto da sinistra. Il Concilio va visto per ciò che è stato, ossia rinnovamento nella, non contro nè tantomeno oltre, la tradizione – secondo l’ “ermeneutica della continuità” di cui parlò Benedetto XVI nel memorabile discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 – ciò che corrisponde alla legge dell’et-et propria del cattolicesimo (legge, beninteso, che non è affatto sinonimo, come sostiene qualche sprovveduto, di cerchiobottismo; essa significa piuttosto che alla luce della fede tutto si tiene, anche i contrari; l’esatto opposto insomma della logica dell’aut-aut, tipica non a caso dell’eresia, ma distante anni luce anche dalla logica del “sì, ma” propria di certa teologia situazionista oggi di nuovo in auge, che spesso e volentieri si traduce in una sorta di “gattopardismo rovesciato” – non cambiare nulla per cambiare tutto – le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti). Concilio rispetto al quale dunque entrambe le letture prevalenti, quella tradizionalista che lo vede come un evento di rottura rispetto alla “vera” Chiesa – con ciò intendendo quella tridentina – e quella progressista che, all’opposto, lo interpreta anch’essa come discontinuità ma in questo caso positivamente intesa come apertura alla modernità, peccano di miopia. Se è fin troppo facile dimostrare come durante e dopo il Vaticano II ci furono sbandamenti, eccessi ed errori, è altrettanto vero che ciò accadde non a causa del Concilio ma nonostante il Concilio e sulla base di una precisa interpretazione del Vaticano II, che poi è quella che storicamente ha prevalso, sviluppata in primis dalla Scuola di Bologna che lo ha interpretato a mo’ di cesura col passato. E’ sulla scia di questa lettura che più d’uno si è sentito autorizzato a vivere e pensare la chiesa come se il Concilio fosse l’anno zero, in nome del quale si potevano (e forse si dovevano) mutuare acriticamente categorie e forme della modernità per stare finalmente al passo con i tempi. I risultati li conosciamo bene e non vale la pena di stare ad elencarli. Ma un conto è denunciare gli errori, altro è buttare il bambino con l’acqua sporca, come fanno i seguaci di un tradizionalismo anacronistico che sembra misconoscere che la storia si divide in prima e dopo Cristo e non in prima e dopo Trento; o come chi, partendo da una prospettiva opposta, ancora non ha fatto i conti col fatto che la Chiesa ha una natura sacramentale e non democratica vagheggiando addirittura un Vaticano III per riprendere e sviluppare le istanze riformatrici all’insegna del “vero” spirito del Vaticano II. Checcè ne dicano i suoi detrattori il Concilio resta un evento straordinario dove lo Spirito Santo ha realmente parlato alla Chiesa suscitando un’azione di riforma che in parte ha recepito le istanze del rinnovamento biblico, liturgico e teologico degli anni precedenti, in parte ne ha suscitate di nuove, il tutto cristallizzandosi nei documenti finali dell’assise conciliare che andrebbero riletti magari con un occhio più attento a quello che dicono che a quello si vorrebbe dicessero. Grazie al Vaticano II è stata rimessa al centro della vita dei fedeli la Parola di Dio (Dei Verbum); è stata varata una riforma liturgica (Sacrosanctum concilium) dove la Messa è partecipazione attiva, personale e allo steso tempo comunitaria al Mistero Pasquale di Cristo (concetto questo, sia detto per inciso, in grado di esprimere di più e meglio la redenzione operata da Cristo che non una visione meramente sacrificale dell’Eucarestia); è stata riproposta, tornando alle fonti, un’ecclesiologia (Lumen Gentium) dove la Chiesa è Corpo di Cristo e popolo di Dio, all’interno della quale ciascun fedele, in virtù del battesimo, partecipa all’unico sacerdozio di Cristo, col risultato di de-sacralizzare la figura del prete – cosa questa che ancora oggi, e non per pochi, è “il” probema – e di affermare al contempo il ruolo del laicato non più semplice comparsa o braccio secolare ma protagonista attivo nella vita della Chiesa. Una riforma che, pur non avendo tolto nulla al sacerdozio ministeriale che era e resta imprescindibile, sicuramente non è stata gradita dai tanti nostalgici dell’era pre-conciliare, e che dopo oltre mezzo secolo tanti prelati (e non solo) fanno ancora fatica a digerire fermi come sono ad una visione del sacerdozio più come potere che come servizio. Tre riforme – biblica, liturgica, ecclesiologica – che non solo non hanno scalfito di una virgola la Tradizione (altro sono “le” tradizioni, quelle sì suscettibili di cambiamenti), ma anzi hanno posto le premesse perché il cristianesimo entrasse nella vita concreta, umana ed esistenziale delle persone. E senza dimenticare che proprio in quegli anni lo stesso Spirito che soffiava nella basilica di S. Pietro era all’opera per suscitare nuovi carismi laicali dove molte delle istanze del Concilio hanno trovato attuazione, e dove decine di migliaia di uomini e donne hanno potuto riscoprire la fede, e altrettanti hanno potuto incontrare Cristo per la prima volta.
Non solo. Come aveva felicemente intuito S.Giovanni Paolo II di fronte alle sfide di oggi, prima fra tutte l’apostasia dilagante in Europa (e non solo), occorre riprendere e attuare il Vaticano II, quello vero. Il che significa innazitutto tradurre in atteggiamenti concreti quello che il Concilio ha detto, cioè vivere in prima persona quell’arricchimento – categoria con cui Wojtyla intese riassumere il significato più profondo dell’evento conciliare – sia come approfondimento dei contenuti della fede sia come arricchimento della vita del credente, in senso cioè soggettivo, umano, esistenziale. Ciò che a sua volta implica mettere al centro di ogni pastorale l’annuncio del Vangelo cercando di “accordare” con un linguaggio nuovo, più esistenziale, meno astratto e moralistico le verità di sempre sulla lunghezza d’onda degli uomini del proprio tempo, in linea con quella “nuova evangelizzazione” che, divenuto papa, S. Giovanni Paolo II lanciò nel 1985 e per la quale si spese in prima persona fino all’ultimo giorno della sua vita terrena. Per rispondere alle sfide attuali la Chiesa ha già dove attingere, senza inventarsi nulla. E’ vero, i tempi sono cambiati, e la Chiesa deve stare al passo con i tempi. A patto però che questo non significhi adeguarsi allo spirito del tempo, né tanto meno alle mode o alle tendenze del momento. E avendo ben chiaro, come recita il Codice di Diritto Canonico, che la suprema lex della Chiesa è la salvezza delle anime.
Continuo a sentire la solita lagna del pre e post Tridentino senza mai affrontare il tema del perché si tenne il Concilio di Trento. Forse perché poco prima c’era stata la riforma luterana? Si accusa di considerare il Tridentino come dogma quando fate lo stesso con il Vaticano II. Viene citata poi la Sacrosanctum Concilium senza tuttavia specificare che mai dalla lettura si evince che la messa sarebbe dovuta essere una cena protestante come di fatto avviene attualmente. Che brutta la Chiesa pre-conciliare moralista e intransigente: o forse solo Cattolica???
Ringrazio il dott. Tosatti e, dietro di lui don Nicola Bux, per aver condiviso questo documento che spazza via il pattume anticonciliare che ho avuto la tristezza di dover leggere in quest’ultimo periodo.
Solo tre chiose:
1) tutto quanto detto dal Cardinale è stato già da decenni portato a conoscenza dei cd. Tradizionalisti: Lefebvre stesso ricevette 50 pagine di risposta alle sua lamentele su Dignitatis Humanae, pagine vergate dal Prefetto Ratzinger e che dimostrano l’inconsistenza di quelle censure quasi bambinesche. Da lì i lefebvriani non hanno fatto alcun passo in avanti, per la semplice ragione che sono invischiati in un’ideologia politica di estrema destra (action francaise, in primis) che vuole lo stato totalitario e quindi rifiuta l’idea che non competa allo stato un diritto/potere proprio di farsi arbitro delle questioni religiose;
2) non condivido quanto affermato circa i Padri che non potevano prevedere le critiche; invece, leggendo gli atti preparatori, emerge un grande scrupolo nel prendere in considerazione ogni possibile critica. Il carteggio relativo a Dignitatis Humanae è esemplare: l’ si trova tutto quanto occorre per verificare gli sforzi di rendere il testo compatibile con Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII. I Lefebriani e affini continuano ad ignorare ciò che emerge dalla carta;
3) non sono d’accordo nel vincolare troppo al “momento storico” le affermazioni preconciliari e conciliari: in realtà, una lettura attenta e testuale dei documenti preconciliari (comprensiva di aggettivi e avverbi, quali “mostruoso” et sim.), mette ben in luce che il CV II non ha affatto introdotti “novità” che contraddicono quanto criticato/condannato in epoca precedente. Quanto preso di mira prima non è la stessa cosa che il Concilio ha sostenuto.
Comunque grazie al Card. Brandmuller, che è stato un grande aiutante di Benedetto XVI nel lavoro sulla ermeneutica della continuità, unica regola che può qualificare una lettura cattolica e non eretica del fenomeno conciliare. Grazie.
Visto che il Male di tutto sono i Levebvriani: sulla Sacrosanctum Concilium ha nulla da dire? Magari ce ne fossero oggi di Lefebvre! Altro che ideologia di destra!!!
Sento lo stridore delle unghie sullo specchio….inutile arrampicarsi, si scivola giù; come ormai da 50 anni a questa parte…..
io che sono un vecchietto da coroncina giornaliera che vuole bene a Gesù e a sua Mamma tutto sto discorso non dice nulla, aumenta solo l’insofferenza a sto papato di …..
Brillantissima esercitazione… sofistica.
1 – Parte dall’ipotesi che tutti i concili sono infallibili. No: nel presente contesto della conferenza, questa è semmai la TESI DA DIMOSTRARE.
2 – Particolarmente assurdo è sostenere che il concilio è ortodosso perché i documenti post-conciliari ne danno un’interpretazione ortodossa!
Sul piano logico, è del tutto equivalente a sostenere l’opposto, cioè che sono eterodossi perché Kasper&C ne danno un’interpretazione eretica!
All’atto pratico, la conferenza si risolve in un assist a Bergoglio&C, quali che siano le intenzioni del monsignore. Basta vedere che parla in modo ricorrente di “tradizionalisti”…
A questi cardinali leggo il terrore negli occhi ogni volta che si accingono a disquisire su queste cose…
Mah!
Insomma, il cardinale viene a dire che il vaticano II va bene e che andiamo avanti così.
Ma allora il “li riconoscerete dai loro frutti” a chi si riferisce?
risposta a Enrico: all’intestino di bergoglio
Frutti marci…non disprezziamoli ! Certi insetti , la drosofila per es. , ne sono golosi …
Leggo che il suo nome scientifico è Drosophila melanogaster, che significa «amante della rugiada». Ma non è la rugiada ad attrarlo, ma i lieviti in fermentazione presenti nella frutta.
Ora, a parte l’interessante assonanza fra rosa e ros (rugiada), essere “amante della rugiada” dovrebbe indicare l’amore per ciò che la rugiada simboleggia, ovvero, tra l’altro, il dono divino:
«Roráte coeli désuper, et núbes plúant Jústum».
Ma allora perché prevale l’attrazione per i lieviti in fermentazione?
Dov’è la rugiada della “primavera del concilio”?
Nel nero ” gaster “.
Riguardo al riconoscerli dai loro frutti, si potrebbe fare, senza urtare la sensibilità di alcuno, l’esempio di Medugorie.
Ci sono fatti iniziali, ed altri, tutti documentati, che non sono per niente positivi.
Io stesso, pur essendoci andato già i primi tempi, ho tuttavia sospeso il giudizio.
È però indiscutibile che a migliaia abbiano avuto benefici e conversioni, e si è quindi parlato di frutti buoni di Medugorie.
Riguardo il CVII , fatta salva l’esposizione del Card. Brandmueller, si può invece parlare di frutti negativi dello stesso.
A mio avviso ciò va ricercato soprattutto in una grande quantità di teologi e vescovi, che hanno spinto in una certa direzione, e direi deriva.
Ora si può dire: ma il Papa, quel cardinale, etc etc, non potevano impedire tutto questo?
È a mio avviso difficile dare una risposta, perché il Papa ha il governo e la responsabilità di tutta la Chiesa e vedendo contrasti e divisioni, cerca di fare il possibile per mantenere l’unità.
Ora però, con Bergoglio, questa grande parte della Chiesa che non segue la sacra Tradizione, è venuta allo scoperto.
A meno di un intervento divino di enorme portata, non vedo vie di uscita
Si riferisce agli uomini e in particolare ai profeti, non ai testi.
Mt7, 15-16 ss.
Ma scusate, un evento così determinante come può esserlo un Concilio, ha bisogno di essere interpretato? Forse che il primo Concilio, quello di Gerusalemme, è stato interpretato? “ABBIAMO DECISO lo Spirito Santo e noi” fu detto. Poi, che con l’aria che tira, quell’ABBIAMO DECISO sia stato ultimamente trasformato in “è parso bene allo Spirito Santo e a noi…”, come se lo Spirito Santo tentennasse, è tutto un dire… Ma questo è tutto un altro discorso.
Nessuna parola sul cambio degli schemi.
Pastorale, unico nella storia, a cui si deve lo stesso assenso degli altri precedenti dogmatici?
La mia personale confusione resta immutata.
NOSTRA SIGNORA DI ANGUERA – REGINA DELLA PACE
…
“Cari figli, sono la vostra Madre Addolorata e soffro per ciò che viene da voi. Piega le vostre ginocchia in preghiera. Quello che vi dico non è per mettervi paura. Io vi amo e voi sapete quanto una madre ama i suoi figli. State andando verso un futuro doloroso. Vi chiedo di mantenere accesa la fiamma della vostra fede. Confidate in Gesù. In Lui è la vostra vera liberazione e salvezza. Cercate ciò che è di Dio e allontanatevi dal mondo. Non permettete al diavolo di vincere. Voi appartenete al Signore e solo Lui dovete seguire e servire. Restate con Gesù. Qualunque cosa accada, non allontanatevi dalla verità. Avanti con coraggio.”
Se vuoi leggere tutto:
https://reginadelcielo.wordpress.com/2020/06/24/nostra-signora-di-anguera-regina-della-pace-89/
Per leggere il Concilio in continuità con la Tradizione Apostolica e il Magistero della Chiesa:
“Vaticano II 50 anni dopo”
don Enrico Finotti
Editore: Fede & Cultura
Anno edizione: 2012
Una sola parola: ineccepibile intervento.
Ma i detrattori ci sono sempre, purtroppo.
Un passato che non vuol passare. Nel frattempo si continua a guastare la Chiesa e anime si perdono.
Perfino Mons. Brunero Gherardini ha detto, che poiché non vi era intenzione di definire, i passi novatori del Concilio non hanno forza dogmatica quindi non sono infallibili. E ha supplicato il Papa (allora Benedetto XVI) di chiarire una volta per tutte la questione per il bene della Chiesa e della anime.
Non chiariranno mai i testi conciliari vaticano secondisti, era già tutto scritto: Pio XII si guardò bene dal convocare il Concilio: semplicemente sapeva.
Condivido la previsione di Amerio: la corrente modernista della Chiesa, oggi maggioritaria, si dissolverà nel mondo fino a sparire, come ha fatto il protestantesimo nel Nord Europa. I cattolici saranno un pugno di vinti, Amerio (e con lui McLuhan) arrivò addirittura a ipotizzare che la Chiesa sarebbe sopravvissuta in aree remote e arretrate.