CREPALDI: DOPO IL CORONAVIRUS. LA STRADA DELLA VERA LIBERTÀ.

17 Giugno 2020 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, oggi l’Osservatorio Van Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa pubblica una riflessione del vescovo di Trieste. mons. Giampaolo Crepaldi, sulla stagione che si apre, dopo l’emergenza imposta grazie al Coronavirus. È un intervento che segue a quello del 19 marzo 2020, che potete trovare a questo collegamentoBuona lettura. 

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Dopo il coronavirus: la strada della vera libertà

Appunti

+Giampaolo Crepaldi

 

Qualche settimana fa, in piena emergenza coronavirus, ho avuto modo di rendere note alcune mie riflessioni, condotte sia come vescovo sia come convinto promotore della Dottrina sociale della Chiesa, sulla nuova situazione sociale creata dall’epidemia. Come ricordavo in quella occasione, questa esperienza richiede di essere valutata prima di tutto in chiave spirituale e nella visione di una teologia della storia umana segnata dalla caduta e dalla redenzione. Scriveva infatti Leone XIII nella Rerum novarum che «le cose del tempo non è possibile intenderle e valutarle a dovere, se l’animo non si eleva ad un’altra vita» (n. 17). Così la Chiesa aiuta gli uomini ad affrontare anche la presente crisi: «La crisi ci obbliga a riprogettare il proprio cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno» (Caritas in veritate, n. 21). Tenendo conto di questa prospettiva, vorrei ora continuare quelle osservazioni interrogandomi più direttamente su alcune direttive di azione, che assieme ai principi di riflessione e ai criteri di giudizio, fanno parte della proposta della Dottrina sociale della Chiesa.

La vera libertà

Il prossimo futuro dovrà essere una fase della vera libertà, ricordando che «la libertà è pienamente valorizzata soltanto dall’accettazione della verità» (Centesimus annus, n. 46). Durante l’emergenza abbiamo vissuto alcune legittime limitazioni della libertà insieme ad altre meno legittime. I dati scientifici non sempre sono stati utilizzati secondo verità, le restrizioni e le sanzioni talvolta non sono state applicate con buon senso, sono emerse anche nuove forme di autoritarismo politico. Il prossimo futuro dovrà essere di vera libertà, non per rivendicare una libertà assoluta, ma per riappropriarsi della libertà da viversi nelle varie realtà naturali, dalla famiglia all’impresa, dal quartiere alla scuola. C’è una grande occasione per superare una libertà artificiale e costruire una libertà reale e naturale, espressione della vera essenza della persona umana e dei fini autentici della comunità politica.

Il ritorno dello statalismo

Per dare concretezza storica ad una vera libertà, bisognerà porre attenzione ad evitare un nuovo statalismo. Certamente lo Stato deve fare la propria parte per garantire la sicurezza nel settore dell’economia e per sorvegliare sulla giustizia. Bisogna però ricordare che un nuovo statalismo potrebbe forse distribuire risorse di tipo assistenzialistico ma difficilmente sarà in grado di promuovere una giusta ripresa economica e sociale (cfr. Centesimus annus, n. 48). Lo Stato dovrà intervenire sui grandi nodi infrastrutturali, ma le risorse dovranno essere messe a disposizione per investimenti e produttività, per la creazione di lavoro vero e non di lavoro assistito. Anche questo fa parte della verità della libertà, in questo caso della libertà economica. Da questo punto di vista ipotesi come il reddito di emergenza, la regolarizzazione in blocco degli immigrati irregolari, le massicce assunzioni nel pubblico impiego condotte senza reali motivi funzionali dovrebbero essere evitate.

Un sistema sanitario sussidiario

Da molte voci si chiede una riappropriazione del sistema sanitario da parte dello Stato centrale. La Dottrina sociale della Chiesa propone a questo riguardo il principio di sussidiarietà: «una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla  a coordinare la sua azione con quella delle altre» (Centesimus annus, n. 48). Credo quindi che la sanità dovrebbe essere ripensata non con il criterio del ri-accentramento ma in chiave sussidiaria, fondandola sul principio di responsabilità sia delle amministrazioni locali sia dei corpi intermedi. L’accentramento in quanto tale, infatti, può deresponsabilizzare. Serve una sussidiarietà responsabile e coordinata, con la partecipazione anche del privato, delle fondazioni, delle istituzioni religiose aventi una vocazione sanitaria e delle comunità locali.

La libertà di educare

Gli aspetti ora visti sono espressione di vera libertà, la libertà organica e non individualistica indicata da sempre dalla Dottrina sociale della Chiesa. Dello stesso tipo è la libertà della scuola, fortemente penalizzata durante la pandemia. Ancora una volta si è seguito l’uso di astratte disposizioni dall’alto incapaci di tenere conto delle diversità sociali e territoriali e dei protagonismi da valorizzare nel Paese. Le scuole paritarie sono state messe in seria difficoltà e questo nuovo statalismo laicista ha suscitato una positiva voglia di scuola parentale veramente libera dallo Stato, che produrrà nel prossimo futuro i suoi frutti. In Italia ci vuole una vera libertà di educazione a tutti i livelli, condizione necessaria per la stessa ripresa economica e civile. Anche in questo caso l’accentramento va superato, mentre occorre dare spazio alle famiglie naturali e alle famiglie spirituali della società civile.

Demolire la macchina del  Leviatano

Nel nostro Paese il centralismo statalista si concretizza in un sistema burocratico molto rigido. Durante la pandemia si è fatta notare la differenza tra i lavoratori del settore privato, in apprensione per il loro futuro, e i lavoratori del settore pubblico. Nella macchina pubblica, così garantita, ancora una volta si sono dovuti registrare errori e lentezze. Infermieri e medici hanno dato il massimo di sé, ma ciò è avvenuto nonostante i difetti del sistema, anzi a loro compensazione. Da decenni la riforma della burocrazia è all’ordine del giorno e mai risolta. Per farlo serve una nuova visione sussidiaria e incentrata sul bene comune. La realtà non è fatta di singoli cittadini, di anonimi uffici pubblici e dallo Stato, come Grande Individuo. Nella società organica di oggi ci sono soggetti dotati di un grande know-how che non trovano spazio per agire, sia in campo economico che educativo che produttivo. La riduzione della burocrazia richiede una grande riforma capace di ripensare il servizio pubblico, distinguendo tra loro i concetti di pubblicoe di statale.

La vera libertà fiscale

La vera libertà per cui bisogna combattere in questa fase di ripresa è anche quella fiscale. Non solo una patrimoniale è da evitare, ma anche il mantenimento di una fiscalità di Stato esosa e oppressiva. Il sistema fiscale va commisurato alle imprese e alle famiglie, non agli individui. Il fisco deve ritrovare i suoi criteri di moralità: deve essere usato per il bene comune e deve essere proporzionato. Già la Rerum novarum auspicava: «la proprietà privata non venga oppressa da imposte eccessive» (n. 35). Durante la pandemia le tasse sono state solo rinviate, bisogna che vengano radicalmente diminuite in concomitanza con la ristrutturazione dell’apparato burocratico e i suoi costi. Per aiutare le famiglie e le imprese non bisogna dare sussidi a pioggia, bisogna abbassare le tasse, riscoprendo il significato fiscale e sociale del diritto naturale della proprietà privata.

Meglio un prestito nazionale

È stato ormai deciso che la ripresa avverrà con un forte aiuto finanziario dall’Europa. Non si tratta di un aiuto gratuito e a fondo perduto, né finanziariamente né politicamente. Dal punto di vista del bene della nazione e del principio  di sussidiarietà sarebbe stato da preferire l’idea caldeggiata da diversi economisti di un prestito nazionale. Ciò non sarebbe stato in contrasto con la critica all’accentramento statalista vista sopra, perché avrebbe riguardato il reperimento delle risorse e non il loro utilizzo. Sussidiariamente parlando, la prima scelta da attuare è di fare da sé e da questo punto di vista l’Italia avrebbe potuto fare da sé, stante la cospicua entità del risparmio privato. Se consideriamo l’ordine naturale delle cose, la famiglia e la nazione vengono prima dello Stato e delle istituzioni sovra-statali. Bisognerà evitare che dietro ai finanziamenti per il dopo-coronavirus si faccia valere nuovamente un europeismo ideologico che schiacci la nazione condizionandone la vita e la libertà.

Nuovi poteri all’orizzonte

Un altro pericolo per la nostra vera libertà e al quale porre molta attenzione nel prossimo futuro è la possibile emergenza di nuovi poteri sovranazionali motivati dalla necessità di fronteggiare le emergenze. Il coronavirus è stato un esperimento mondiale. È possibile che, sulla scorta di questa esperienza, si producano in futuro nuove emergenze, magari di tipo ecologico e ambientalistico, per motivare una stretta delle libertà e per instaurare forme di pianificazione centralizzata e di controllo uniformato. Le forze che spingono per un nuovo globalismo fondato su un “nuovo umanesimo” e anche durante la pandemia ne abbiamo avuto prova.

La libertà o è vera o non è libera

Infine sarà impossibile percorrere la strada della vera libertà senza la libertà di nascere una volta concepiti, di essere procreati e in modo umano, di nascere sotto il cuore di una mamma e di un papà, di non essere costretti a morire per volontà altrui facendoci credere di morire per volontà nostra, senza la libertà vera di poter educare i nostri figli. L’uscita dalla crisi della pandemia ci faccia riscoprire che «oggi il fattore decisivo è sempre l’uomo stesso» (Centesimus annus, n. 32) e non le strutture, e che «lontano da Dio l’uomo è inquieto e malato» (Caritas in veritate, n. 76).

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6 commenti

  • Tonino T. ha detto:

    [IT] 🇮🇹
    17 Giugno 2020
    ▶️ CREPALDI: DOPO IL CORONAVIRUS. LA STRADA DELLA VERA LIBERTÀ.
    https://www.facebook.com/groups/1240854762763713/permalink/1533345826847937/

  • Fabio ha detto:

    Giusto e diametralmente opposto alle tesi bergogliane

  • Antonio Cafazzo ha detto:

    La “Nuova normalità” del Post Covid (post un corno!!! … aspettate… aspettate).

    In “un’ottica spirituale e di teologia della storia (caduta – redenzione – fine del tempo)” dai PASTORI della Vera Chiesa di Cristo e non di quella attuale che sappiamo ben ben dove gli batte il cuore (e la lingua) mi aspetto:

    1) Evitare di ripetere come pappagalli l’ultimo mantra: la “nuova” normalità. Teologicamente, la Normalità dell’uomo è sempre la stessa: PECCATORE da REDIMERE per ANDARE in un posto dove non “si suda e si soffre” piú.
    Ma per la neo-chiesa altre sono “le prospettive” (ecologia, sincretismo, solidarietà e balle simili).

    2) Innalzare un TE DEUM per averla fatta franca per ora (visto che dalla Cina arriva una seconda ondata);

    3) Prepararci per una “buona e santa” morte (che ci afferrerà fra ICS tempo ineluttabilmente);

    4) Educarci alla VITA ETERNA.

    Questo mi aspetto dai consacrati e dai VERI PASTORI di anime e non di corpi.

    Ai miscredenti, ai Cesari e ai loro reggi-coda (mediatici e/o clericali) il compito di infatuarsi e infatuare sulle NUOVE NECESSITA’ (economiche, sociali, politiche).

  • stefano raimondo ha detto:

    Non chiedere cosa lo Stato può fare per te. Chiedi cosa ti sta facendo.

  • Maria Michela Petti ha detto:

    Analisi dall’ampio respiro che inquadra i problemi socio-economici e la crisi aggravata dall’emergenza pandemica nei limiti e nei termini ben definiti di priorità ed urgenze. Il tutto alla luce della Dottrina sociale della Chiesa ridotta ad un optional, in tempi recenti, caratterizzati dalla preoccupazione e dall’ impegno a tutto campo per risolvere ( o meglio pretendere di avere a tal riguardo la ricetta magica) problemi di varia quotidianità trascurando bisogni e miserie di natura spirituale e morale, prima ancora che materiale.
    Basterebbe un briciolo di umiltà per rileggere documenti del Magistero e riscoprire, in ambito ecclesiale, competenze proprie e ineludibili che, esercitate in spirito di servizio al bene integrale dell’uomo, contribuirebbero in misura determinante alla soluzione dei problemi- o di parte di essi – che attanagliano l’umanità ad ogni latitudine.