BENEDETTA DE VITO: SALVARE LA FARMACIA DI SAN MARCO.

16 Giugno 2020 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Benedetta De Vito, che conoscete per il bel libro di cui abbiamo parlato tempo fa, ci ha mandato un suo contributo sulla storia e la bellezza della Farmacia di San Marco, a Firenze. Buona lettura!

§§§

Se, con la macchina del tempo, potessi tornare a ritroso nei secoli passati, mi piacerebbe fare una capatina a Firenze, quando era Capitale, mettiamo in un mattino del 1869, per il gusto di vedere gli austeri piemontesi, ministri del Regno, ad esempio Quintino Sella oppure Giovanni Lanza, in redingote, barba o baffi, papillon e cappello a cilindro, rendere omaggio, nella bella sala del Coccodrillo, agli Alchermes, agli Elixir o ai Liquori domenicani della Farmacia di San Marco, allora viva e pulsante e che  si trovava, guarda caso, vicino alla sede del ministero dell’Interno che è oggi il Palazzo Medici Riccardi.

Mi nasconderei dietro allo stipite di una porta per osservare il viavai festoso delle belle signore in abito lungo e parasole, per ascoltare il ragionare verboso dei politici d’allora, e perdermi nel daffare dei frati nelle loro lane bianche, e osservar la conta del denaro che scivolava da una mano all’altra, il toscano volando nel piemontese e diventando tutti quanti italiani. A una cert’ora della sera, andando ancora indietro di qualche decennio, vedrei, nella stessa sala dove, legato al soffitto, nuota il feroce rettile, i “neopiagnoni”, cioè Niccolò Tommaseo, e altri meno noti, farsi una bevutina dai frati e invitar lì persino Alessandro Manzoni, quasi uno dei loro… Ma potrei anche, girando al contrario la manovella fin alle corde, tornare al Cinquecento e di nuovo vedrei la Farmacia allegra e vitale, tutta in esercizio per fornire al Magnifico Lorenzo i deliziosi alchermes che serviva alla sua corte, compreso il giovanissimo Michelangelo. E poi…

E poi, con un sospiro, poiché non si possono fare più di tre giri alla volta in quella macchina del sogno, dovrei tornarmene all’oggi, un oggi triste, che vede il portone della Farmacia sprangato, l’attività chiusa e tutt’intorno un deserto e una rovina. Dentro, restano lo splendido bancone per la vendita, gli armadi, il laboratorio, la sala del Coccodrillo e, nei sotterranei, il laboratorio antico con la torre alchemica, gli alambicchi e i forni per la distillazione multipla.

Prima di rispondere a qualche perché, il percome, cioè, di questo inglorioso finale, occorre sapere che fin dal Quattrocento, quando fu fondato il Convento di San Marco, grazie a una donazione di Cosimo il Vecchio e all’opera dell’architetto Michelozzo, fu aperta la Farmacia, dove i domenicani producevano e vendevano medicamenti, profumi, saponi, creme, tisane, sciroppi, lenimenti e altro ancora. Tanto valeva, in termini d’introito all’Ordine, la Farmacia che, oltre a dar da mangiare ai frati e a finanziare le opere caritatevoli,  provvedeva per i restauri del Convento e della Chiesa. Entrando nella Basilica di San Marco, infatti, a naso all’aria potrete verificare di persona poiché la gloria di San Domenico, come si legge tutt’attorno al tondo, fu pagata da Giovanni Gualberto Minghi, speziale della Farmacia di San Marco. Per anni e secoli, la Farmacia, ma anche la Fonderia, lavorarono di buona lena e alcuni frati inventarono elisir, alchermes, un’acqua antisterica, e un profumo elegante che portava il nome  evocativo di “Calendimaggio”. Nel 1700 fu prodotta un’acqua di rose miracolosa e anti-rughe… Nella sala del Coccodrillo, che diventò nell’Ottocento una specie di bistrot, un caffè, ci avreste visto passare pressoché tutti i fiorentini.

Ora non più. L’abbandono abita le stanze e mi dicono che, durante un temporale, i vetri si sono rotti e sono ancora rotti adesso che di mesi ne sono trascorsi molti e che l’incuria la fa da padrona.  Ignoti, poi, così mi è stato detto,  si sono intrufolati nel silenzio e si sono portati via i vasi speziali produzione Doccia Ginori e gli orcioli policromi che erano colore e luce posati sulle brune armadiature. Per alcuni anni, e fino a Novecento inoltrato, la Farmacia ha resistito, non più vendendo, pian pianino, le sue chicche domenicane (vietato per legge produrle e venderle a meno che non si fossero fatti adeguamenti ad hoc ma troppo cari per le tasche dei figli di San Domenico). Così vivacchiò, la Farmacia, messa in divisa italiana, pur nella bellezza unica delle stanze in cui abitava e che la freddezza della modernità non riesce neanche più, quasi, ad apprezzare. Poi Via Cavour, che è la strada sulla quale si affaccia il bel portale della Farmacia, divenne pedonale e i clienti si ridussero al lumino. I conti in rosso, il bilancio o sbilanciato nel meno o, quando andava bene, in pari. La concorrenza, poco distante, troppa. Una farmacia valeva l’altra. Quella di San Marco, o meglio dire l’esercizio commerciale, grazie a un provvedimento comunale, traslocò a Novoli e ancora oggi vende la sua merce in Via Carissimi. Ma, di certo, Quintino Sella, redivivo, non avrebbe ragione di spingersi fin là. Busserebbe, invano, alla porta di San Marco. E anche noi.

Ma la storia è amara e, per ora, non dà scampo. Gli ultimi frati domenicani che resistevano in Convento sono stati trasferiti e nessuno più si cura di nulla, a quanto pare…

E pensare che la gemella di San Marco, ossia la Farmacia di Santa Maria Novella, funziona a meraviglia e va a gonfie vele. Perché quella, stupenda, di San Marco no? Abbiamo girato la domanda chi ne sa più di noi ed è nostra fonte fedele. Qualcuno, tra i religiosi, aveva trovato, faticosamente, la strada per riaprire la Farmacia, producendo le antiche ricette, inventandone di nuove, unendo visite guidate alla meraviglia rinascimentale e negozino per comperare un ricordino. Magari in forma di una certa crema per il viso che, a quanto mi hanno rivelato, farebbe miracoli.

Aveva trovato un imprenditore capace, volenteroso, che si sarebbe accollato anche i lavori di ristrutturazione. Era tutto pronto, in bozza ovviamente. E la gloriosa Farmacia di San Marco sarebbe risorta a nuova vita e avrebbe portato un fiume di denaro anche all’Ordine dei Predicatori e alle loro opere di carità. Invece nulla. Da qualche parte, nella catena gerarchica dell’Ordine, è arrivato lo stop. Senza appello. Vorrei quasi riprendere la mia macchina volante e fuggire in là, avanti nel futuro, in un mondo dove la Farmacia fosse di nuovo aperta e cuore di Firenze, un mondo dove il bene è bene e il male non lo è…

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16 commenti

  • don Egizio ha detto:

    …e lasciamo perdere l’eccellentissimo arcivescovo, che appunto si presta alle pagliacciate ecumeniche del chiarissimo Melloni, noto esperto d’arte.. che raggiunse il massimo della competenza artistica nel trasportare un’icona russa nel battistero di San Giovanni e far produrre su tal colpo di genio una costosa e inutile pubblicazione della Treccani (di cui era…). Il tutto con gran celebrazione presieduta dall’eccellentissimo Betori.
    Ci siam persi anche Firenze, ohimè che arcivescovi abbiamo…
    Qualche frate Predicatore colto invece ancora c’è, raro ma c’è.

  • don Egizio ha detto:

    e allora appelliamoci al reverend,mo p. Luciano Cinelli OP, che in queste cose qualcosa può.
    Al peggio si inserisca la farmacia nel percorso museale di San Marco; le competenze sono diverse, ma dato che la farmacia non può essere toccata per vincolo della sovrintendenza, e dunque non se può fare uso commerciale diverso, si faccia una convenzione (che magari preveda una piccola percentuale dei biglietti all’Ordine). Basta volere.
    don Egizio Salomone

  • P. Luis Eduardo Rodrìguez Rodríguez ha detto:

    Oggi nel 128 anniversario vi faccio conoscere questi prodiggi dell’ Addolorata di Campocavallo, dove per grazia di Dio sono stato accolto per giorni dai Francescani dell’ Immacolata, che lo custodiscono; approffito salutare il caro amico P. Giovanni, parroco li, che segue con tutti i fratti Stilum Curiæ. Una storia traordinaria questa, e molto simile ai fatti pure qui in questa Straordinaria America, anzi, Sudamerica, come a Quito, in Ecuador, con una immagine dell’ Addolorata il 20 aprile 1906, nel “Colegio dei Gesuiti” le lacrime della Santa Madonna.

    https://www.santuariocampocavallo.com/il-prodigio/

  • Iginio ha detto:

    Uffaaaa. Quando Firenze era capitale d’Italia, non governavano i piemontesi…. Mai sentito parlare di un signore di nome Bettino Ricasoli? Non era proprio l’ultimo arrivato. E non era nemmeno ateo e massone.

  • Januensis ha detto:

    Qui a Genova, tra Piazza della meridiana e Via Cairoli , nel palazzo della Meridiana, restaurato da un privato imprenditore che lo Aveva acquistato dal Comune in condizioni pietose, e successivamente frazionato in appartamenti poi venduti a privati, è stata aperta una profumeria che vende, in una esclusiva eleganza i prodotti fiorentini di santa Maria Novella. Carissimi per le mie tasche. Ma se finora ha resistito vuol dire che una certa clientela fa acquisti lì.

    • Marco Tosatti ha detto:

      Mia, semu nei caruggi…

      • Iginio ha detto:

        Una farmacia di questo tipo c’è anche a Genova: è quella dei Carmelitani a Sant’Anna. Io, non vivendo a Genova, compro spesso loro prodotti on line. Incoraggio anche Tosatti e altri a farlo 🙂 Anzi, Tosatti magari c’è stato di persona.

        • Januensis ha detto:

          Volevo semplicemente dire che, se c’è una profumeria a Genova dedicata ai prodotti della farmacia di santa Maria Novella, vuol dire che questi prodotti hanno un mercato. E quindi lo avrebbero anche i prodotti della farmacia di San Marco. Ma, poiché non c’è più l’obbligo, per gli esercizi commerciali di vendere solo un tipo di prodotti, nella farmacia potrebbero essere venduti anche libri relativi ai monumenti fiorentini e in particolare al Beato Angelico.
          Riproduzioni delle icone conservate al museo dell’Accademia. E bisogna aggiungere che non ho visto né gli Uffizi, né il Museo del Duomo. Sperando però che a qualcuno non venga in mente di vendere orribili riproduzioni del campanile di Giotto o del Davide che c’è al Museo dell’Accademia.

  • stilumcuriale emerito ha detto:

    E dire che l’Unione Fiorentina si è inventata una (fasulla) casa di Dante Alighieri!!!! Perchè non si è fatta in quattro per salvare simili tesori?
    Dalla Chiesa ,in questo senso c’è poco da aspettarsi. La Curia è piena di gente di origine sudamericana, lo stesso Papa è figlio di gente scappata dall’Italia nel 1928 ( non vi suggerisce niente? ) che è convinta che l’Italia è piena di “roba vecchia” e basta. Di discorsi di questo genere purtroppo sono stato testimone.

    • Iginio ha detto:

      Beh, l’illustre Betori è un intellettuale, no? Lasciando da parte le sue traduzioni penose della Bibbia e la sua storiografia in salsa melloniana.
      Il punto è che questo convento dipende dall’Ordine dei Frati Predicatori, non dalla Diocesi. Chi è che comanda tra i domenicani?
      Invece è interessante la citazione che lei fa sui sudamericani che ce l’hanno con le cose vecchie. A parte il fatto che anche il Sudamerica ha le sue cose vecchie, evidentemente in costoro agisce la tipica mentalità americana da “mondo nuovo”. Però agisce anche una massiccia e robusta ignoranza. Che se ne vantino non può purtroppo stupire. Sarebbe però il caso di farglielo notare, sia pur caritatevolmente, e di far loro capire che il passato non è roba vecchia.
      Persino Bergoglio qualche volta ci arriva vicino, anche se strumentalizza il discorso per dire che si deve cambiare.

    • Valentina ha detto:

      Eh no, STILUMCURIALE EMERITO, Lei mi punge nel vivo. I miei nonni, entrambi ingegnerei, sono andati in Argentina con tanti sacrifici perché dovevano avere chi in loco garantisse per loro ma, soprattutto, un contratto di lavoro. Questi “scappati dall’Italia”, inviavano il denaro guadagnato alle mogli e ai figli rimasti indietro, che a loro volta spendevano quei soldi in Italia. Quindi, prima di parlare di loro, si sciacqui la bocca perché non solo i soldi inviati in Italia sono serviti a muovere l’economia del post-guerra, ma hanno poi creato delle aziende fiorenti in Argentina, dando lavoro anche a tantissimi “peones” che senza di loro non avrebbero saputo come cavare un ragno dal buco.
      E per restare sulla questione “roba vecchia”, io ho visto le lacrime agli occhi dei “vecchi italiani”, morti poi lontani dalla loro amata Italia (che ormai parlavano un misto di italo-spagnolo tutto loro), ma una dignità e una fierezza di quel genere, non sono mai riuscita a trovarla in un solo italiano da quando nel 1990 mi sono trasferita nella patria dei miei avi.
      Ho la doppia cittadinanza, ma per poter essere italiana, sono dovuta andare presso il Consolato Italiano di Buenos Aires e dichiarare che volevo esserlo difronte al Console in persona. Altrimenti nisba…altro che Ius Solis a gratis!
      Quindi Le suggerisco amichevolmente di non riferirsi agli italiani partiti con una mano davanti e una dietro, come “gente scappata dall’Italia” che considera “l’Italia piena di roba vecchia” perché Lei offende tanti Suoi connazionali dai quali dovrebbe andare solo fiero.
      Bergoglio e la sua ciurma di venduti al Nemico, fanno fede per loro stessi e nessun altro (per altro tanti di loro sono invece discendenti di spagnoli).
      PS: come nota aggiuntiva, La informo che io non non ho fatto le scuole in Italia, eppure penso di cavarmela piuttosto bene, proprio perché degli “scappati dall’Italia” hanno mantenuto viva la loro cultura nei loro figli/nipoti. Non sono l’eccezione, mi creda.

      • Iginio ha detto:

        In Argentina evidentemente no, meno male, ma p. es. negli Usa provate a trovarlo un discendente di italoamericani che sappia parlare italiano o sappia qualcosa dell’Italia… A differenza dei discendenti, per esempio, di greci, che invece sono attaccatissimi alle loro tradizioni (un filmetto di anni fa ci rideva sopra ma è vero).

      • Sebastian A ha detto:

        Molto vero, sig.ra Valentina. Grazie agli europei l’Argentina poteva essere una gran paese, solo che per voler andare al passo con la storia non è riuscita a crescere, assumendo presto le idee rivoluzionarie e illuministiche che l’hanno portata a una continua purilità. Le manca il Medioevo, l’età eroica. E questo non solo è successo all’Argentina, ma a tutti i paesi del Nuovo Mondo. Le Idee progressiste sono entrate presto abbandinando l’eredità spagnola.

        • Valentina ha detto:

          Certo SEBASTIAN! L’Argentina è un paese al quale non sono particolarmente affezionata, ma con una storia decisamente recente (9 luglio 1816, Dichiarazione dell’Indipendenza dalla Spagna). Il 60% circa della popolazione è italiana, per il restante la fanno da padrona la Spagna e qualche piccola comunità di inglesi/tedeschi/francesi. Se non ricordo male, la Comunità Italiana più numerosa è quella del Venezuela. Non posso parlare per altri paesi Nord e Sud americani, ma trovo curioso che mentre in Sud America non sia arrivata la mafia (ai tempi ormai debellata in Italia), nel Nord è riuscita a proliferare indisturbata. Per capirne qualcosa, potrebbe essere di aiuto la storia di Santa Francesca Saverio Cabrini, e vedrà come erano trattati in Nord America gli italiani; cosa che non accadde in Sud America (e qui si apre la parentesi della “cultura” anglosassone e di quella Latina).
          Detto questo, l’eredità di cui Lei parla è, ancor prima che spagnola, dell’Impero Romano, di cui i monaci curarono, preservarono, studiarono e insegnarono le opere degli antichi che altrimenti sarebbero andate perdute. Da qui nasce l’Occidente così come lo abbiamo conosciuto fino a ieri.
          Senza le connotazione tipicamente Romane, il Cristianesimo non avrebbe avuto la possibilità di civilizzare l’Europa fatta principalmente di tribù di energumeni: prima, per vastità di territorio ma non secondo, il fatto che i Romani hanno intuito la portata di tale Nuova Religione.
          Quindi, direi che anche così, dell’Italia bisogna essere solo e che fieri, e se solo una stilla di questa fierezza scorresse ancora nelle vene degli italiani…

          • Per Valentina e gli altri. ha detto:

            In Sudamerica abbiamo due diversi tipi di immigrazione: una come quella dei suoi nonni ed anche di un cugino di mia madre, ovvero di tecnici inviati da grosse imprese a costruire infrastrutture, l’altra di gente laggiù emigrata proprio alla ricerca di un mondo nuovo. Se i primi cercavano di conservare e promuovere la cultura italiana, per i secondi non era certo così. Nel Nordamerica dei nostri tecnici non avevano bisogno. Pertanto la manodopera importata era costituita da manovalanza spesso molto ignorante. Cattolici in Argentina e Brasile, protestanti in Nordamerica le classi dominanti.

          • Valentina ha detto:

            @PER VALENTINA E GLI ALTRI. Un po’ riduttiva come sintesi, ma se dobbiamo ridurre a sintesi, preferirei parlare di una prima ondata di fine 1800 e una seconda di metà 1900.
            La prima era costituita per la maggior parte di meridionali (infatti in Argentina gli italiani sono accomunati sotto l’appellativo di “tanos” -finale di “napoli-tanos”); mentre la seconda di settentrionali.
            In Nordamerica erano trattati come manovalanza per il semplice motivo che erano Cattolici, e come tali, disprezzati dai puritani protestanti.
            In merito alla mano d’opera qualificato e non, ho conosciuto invece muratori di sconfinata ignoranza che con il loro paziente lavoro di spazzola e cazzuola hanno costruito imperi; rimanendo ignoranti ma soprattutto umili (i miei due nonni non sono stati inviati da nessuna grossa azienda, le hanno fatte loro; ed uno ha anche trovato il tempo di fondare la Cattedra di Elettrotecnica all’Università di Buenos Aires).