PORFIRI SULLA SISTINA: LITURGIA E MUSICA, DUE REALTÀ INESTRICABILI.

5 Agosto 2019 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari Stilumcuriali, il Maestro Aurelio Porfiri ci ha inviato il terzo articolo delle sue riflessioni e considerazioni storiche dedicato alla Cappella Sistina, che sta vivendo un periodo interlocutorio della sua esistenza, in attesa che venga scelto un nuovo responsabile. Buona lettura.

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LITURGIA E MUSICA, DUE REALTÀ INESTRICABILI

Non c’è dubbio che un coro come quello della Cappella Sistina è un modello che ci richiama alla importante realtà del rapporto fra musica e liturgia. In effetti quando questo rapporto funziona, le due realtà sono inestricabili. La musica sacra nella tradizione della scuola romana ha una simbiosi con la liturgia. Nel senso che le due vanno insieme e sono, in un certo modo, connaturate. Qui penso si debba dipanare un equivoco che, proveniente dalla lettura non corretta di molti documenti anche del Magistero,  e che si perpetua nel corso dei decenni. Il canto gregoriano o romano franco, può essere definito come  modello supremo della scuola romana, così come di tutta la tradizione musicale della Chiesa Cattolica. La polifonia rinascimentale ne è, ad oggi, l’incarnazione più riuscita, non l’unica possibile. Ma com7nque certamente esemplare. Quando si identifica la musica sacra romana esclusivamente con il canto gregoriano e la polifonia rinascimentale, mi sembra non si tenga conto della natura dinamica di questi modelli e delle loro reciproche differenze, modelli che non chiedono un trattamento museale come purtroppo avviene nella pratica di molti musicisti poco preparati sulla complessità della questione, ma chiedono che essi siano fermento di nuove creazioni che devono scaturire sempre da questa fonte pura, che è il canto gregoriano e la sua assoluta identità con il rito liturgico. Questa è stata la pratica di tutti i musicisti romani fino a non molto tempo fa: si componevano polifonie che omaggiavano palesemente i grandi modelli rinascimentali. Questo non era aridità creativa ma dichiarazione di appartenenza, come a dire “anche io mi riconosco in questa Tradizione”. Poi gli stessi musicisti, sapevano come distaccarsi da questi modelli supremi per comporre musiche che alcune volte si allontanavano troppo da quella conoscenza, altre volte la completavano e anche arricchivano. Quindi, non si deve inchiodare tutto al mantra della difesa ad oltranza di canto gregoriano e polifonia in se stessi, ma cercare di capire come essi siano repertori fondamentali per mettersi alla sequela di una Tradizione che sempre si rinnova pur rimanendo sempre la stessa.

Il motto episcopale del Cardinale Ottaviani era semper idem, sempre lo stesso. Ma non possiamo innovare nulla se non ci mettiamo all’ascolto continuo di questa Tradizione, di questo processo lungo secoli che arriva fino a noi, anche se oramai corrotto fino al midollo. Io credo che il motto di coloro che desiderano abbeverarsi alla scuola romana, se ancora ci sono, dovrebbe essere: nemo dat quod non habet, nessuno può dare quello che non possiede. Non si può innovare senza poggiarsi su un fondamento. E se dobbiamo avere un fondamento, perché non scegliere quello provato e forgiato da secoli di studi e pratiche come quello della Tradizione?

 

In questo la pratica tradizionale della Cappella Sistina ci è da buona maestra, perché sappiamo che in essa, almeno nel passato, si custodivano gelosamente le tradizioni, anche guardandosi dal condividere all’esterno i repertori che erano esclusivo appannaggio del coro dei cantori pontifici. Era come dire: se volete abbeverarvi alla Tradizione pura dovete venire qui a Roma e ascoltare. Certo, questo a noi oggi sembra desueto, in un tempo in cui siamo abituati alla condivisione di tutto, al mondo globalizzato. Oggi non sarebbe forse pensabile una cosa del genere. L’esclusività dei repertori oggi viene solo garantita dalle ferree regole del diritto d’autore, che possono essere però superate pagando quello che viene chiesto. L’idea che sta dietro l’atteggiamento di istituzioni come la Cappella Sistina, nel suo agire del passato, è che la Tradizione non è solo qualcosa che si impara leggendo ma soprattutto una esperienza vitale, un flusso vitale in cui ci si immerge. Purtroppo questo non viene compreso e vengono così incensati complessi vocali che si cimentano in musiche della scuola romana solo perché “suonano bene”. Ma ricordiamoci che anche molte contraffazioni commerciali made in China sembrano proprio simili agli originali ma non lo sono. Il grande Gigi Proietti, parlando del teatro, faceva una importante distinzione fra il finto e il falso. Tutti noi sappiamo che un attore non muore veramente quando recita, è una finzione che noi accettiamo per convenzione. Non c’è inganno, siamo tutti d’accordo. Il falso è quando si spaccia per vero qualcosa che non lo è. Ma parleremo del confronto con altre esperienze culturali in seguito.

Questa simbiosi con la liturgia si esprimeva anche con l’attenzione per il testo liturgico stesso. Il compositore di scuola romana va a scavare nel testo liturgico per ritrovarci il potenziale musicale che la sua struttura già possiede, come Michelangelo scavava nella pietra per trovarci la statua che già era lì potenzialmente. I grandi autori della scuola romana hanno tenuto questo principio in mente: il testo prima di tutto. Naturalmente questa era la lezione che veniva dal canto gregoriano che, come ci hanno mostrato gli studi di dom Cardine, è veramente una esegesi del testo liturgico più che una sua sonorizzazione. La musica fatta nella tradizione romana è esegesi. Ecco perché nella Cappella Sistina, nel passato, una delle prove per l’ammissione era quella di saper leggere un testo che veniva dato, saperlo declamare. In questo modo gli esaminatori sapevano capire se il candidato avrebbe avuto quella capacità di entrare dentro il testo per saperne comprendere le risonanze profonde, come compositore e come esecutore. Ma leggere il testo qui non significa incoraggiare quel verbalismo ossessivo che piaga le nostre liturgie, come messo in luce anche dallo studioso Roberto Tagliaferri nel suo libro “La tazza rotta”. La lettura liturgica dovrebbe essere ad un altro livello. Come dice il liturgista americano padre James Jackson, il lettore non interpreta il testo mentre lo legge, ma lo lascia fluire attraverso di lui. Ecco perché la soluzione migliore sarebbe di avere la lettura cantillata, per sottrarla ai pericoli del parlato che è sempre troppo intriso di quotidiano, di lettura dei giornali e del chiacchiericcio da reality show. Ecco perché il latino, almeno per questo, poteva mettere al riparo dalle contaminazioni indesiderate. Quindi la declamazione del testo liturgico per le prove della Sistina era per capire quanto il potenziale cantore sapesse immergersi nella liturgia attraverso le peripezie del testo. Il buon cantare è una declamazione accurata del testo non per scadere nel verbalismo ma per fare in modo che la scorza che protegge lo stesso (il significante) possa infrangersi per lasciare libero il contenuto (il significato). Il canto non è un desiderare ma un considerare. Nell’etimologia di desiderare, c’è il senso di allontanarsi dalle stelle (de-siderare, da sidera). Considerare è mettersi alla scuola delle stelle, del numinoso, del divino. Il cantore prima di cantare ascolta. L’orecchio nel cantore è più importante della bocca. Il teorico rinascimentale Pietro Aaron (o Aron) nel suo trattato chiamato Lucidario afferma: “Ma fra tutte le sorti di ignoranza, quella è grave & noiosa, & che prepondera di gran lunga a ciascuna delle sue parti, quando alcuno stima di saper le cose che egli non sa”. Questo è certamente vero anche per la musica e per il canto, ma lo è soprattutto per ciò che riguarda la Tradizione. Oggi ci sono popoli che si affacciano alla ribalta del mondo e che, in un processo simile a ciò che avvenne nei rapporti tra il mondo barbarico e il mondo romano, vogliono la cultura occidentale ma senza la comprensione di quello che ne è alla base. Specialmente la cultura romana era una cultura fortemente tradizionale e religiosa, come abbiamo visto. Ma come biasimare questi popoli quando all’interno della Chiesa stessa la Tradizione è vista come un impedimento alla vita di fede? Quando si scambia l’evoluzione con la rivoluzione?

Chi vuole capire qualcosa di musica sacra deve partire dalla liturgia. Non è possibile una comprensione al di fuori di questo rapporto. Ma si potrà dire che oggi la liturgia è ridotta veramente male e questo certo spiega anche la crisi della musica. Eppure proprio coloro che hanno tentato una comprensione della liturgia rinnovata su basi solide e non ideologiche, hanno fornito alcune produzioni musicali di grande dignità. Ma rimane sempre irrisolto il nodo del rapporto con la grande Tradizione. Non è importante quello che “ci piace” ma quello che ci eleva. E non ci possiamo elevare da noi stessi.

Aurelio Porfiri

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12 commenti

  • Davide.S ha detto:

    Talvolta lo scritto di Porfiri è di difficile comprensione per i non tecnici, eppure si intuisce l’importanza e l’universalità del tema. Del resto la musica è, tra le arti, quella maggiormente capace di entrare nel cuore dell’Uomo e di donargli cangianti emozioni. Abbiamo, avremmo bisogno di esempi, sia in Chiesa che al di fuori di essa, per poterci elevare ed i nostri tempi offrono ne offrono sempre di meno, schiacciati da una concorrenza al ribasso; ringrazio quindi per aver ascoltato un po’ di musica classica per la prima volta in alcuni famosi spot negli anni settanta che, ha avuto il merito di orizzonti Tecnicamente – ma sappiamo che la Tecnica non è solo strumento, ma diviene essa stessa Sostanza- vedo la fatica, ma forse dovrei dire l’impossibilità, di molte assemblee liturgiche di essere davvero corali, cioè di parlare ad una voce, ricordo invece la coralità, imposta dal canto, della Messa in latino.

  • Iginio ha detto:

    “Non è importante quello che “ci piace” ma quello che ci eleva. E non ci possiamo elevare da noi stessi.”

    Sante parole, ma il problema è che alla maggior parte della gente (la mitica “massa”) di elevarsi non importa un fico secco: vogliono godere e razzolare nel loro campo e basta.
    E’ da ciò che deriva lo sfascio culturale della scuola, dell’università e di tutte le arti. Dal momento in cui si pretende che “tutti siamo uguali”, “tutto è uguale”, “tutto dipende dal punto di vista” ecc. ecc., ne deriva l’esaltazione della mediocrità. Chi ne avverte fastidio viene emarginato, bollato come anormale (!!!) perché non segue la massa, rompiscatole, sfigato ecc. ecc. Il tragico è che questa esaltazione della mediocrità avviene all’insegna dell’esaltazione del cosiddetto “anticonformismo”, che tale non è (dato che raggiunge livelli di massa) bensì è rifiuto della tradizione identificata col “vecchio” (infatti “vecchio” è un’altra etichetta con cui si schernisce un giovane che mostrasse un po’ di buon senso).
    Insomma: il problema esula dai limiti della musicologia o della liturgia ed è invece principalmente psicologico (e filosofico). Andrebbe affrontato seriamente e su molti fronti, ma mancano le istituzioni che lo affrontino, dato che anche gli istituti di alta cultura o le università (in primis quelle cosiddette pontificie o “cattoliche”) patrocinano la mediocrità, benedetta poi da Bergoglio e soci come “esaltazione del diverso che arricchisce sempre” (ma perché? Chi l’ha detto che il “diverso” arricchisce sempre? Volete dimostrarlo una buona volta?)

  • Pier Luigi Tossani ha detto:

    “…Oggi ci sono popoli che si affacciano alla ribalta del mondo e che, in un processo simile a ciò che avvenne nei rapporti tra il mondo barbarico e il mondo romano, vogliono la cultura occidentale ma senza la comprensione di quello che ne è alla base. Specialmente la cultura romana era una cultura fortemente tradizionale e religiosa, come abbiamo visto. Ma come biasimare questi popoli quando all’interno della Chiesa stessa la Tradizione è vista come un impedimento alla vita di fede? Quando si scambia l’evoluzione con la rivoluzione?”

    Grazie, caro Maestro Porfiri, verranno tempi migliori, anche se non è dato sapere quando, grazie al metodo da Lei proposto.

  • Anima smarrita ha detto:

    Magistrale esposizione di una tematica più per addetti ai lavori. Evidenziati lo stretto rapporto fra musica e liturgia e le influenze esercitate dalle reciproche criticità, un’attenta riflessione sull’ excursus storico e sul contributo ineludibile della Tradizione dovrebbe favorire il superamento delle problematiche attuali riguardanti la Cappella Sistina.
    Un ulteriore impulso, auspicabile, potrebbe venire da un rilancio della pastorale liturgica prospettata da mons. Claudio Maniago, presidente della commissione CEI per la liturgia, per accompagnare la pubblicazione della traduzione del messale romano (la cui data resta ancora imprecisata), a vantaggio conseguentemente anche della simbiosi fra liturgia e musica.
    In un’intervista al quotidiano dei vescovi, mons. Claudio Maniago puntualizza che: «Una realtà importante e preziosa come la celebrazione eucaristica non può essere affidata alla fantasia, per quanto fervida, di un sacerdote, di un vescovo, di una comunità ma deve farne emergere l’originalità nell’ambito di una comunione ecclesiale che possa far riconoscere sempre la Chiesa, in ogni celebrazione cui si partecipa».
    Non resta che augurarsi che…l’impegno a far emergere la non meglio definita “originalità” non si risolva in una condiscendenza allo spirito e alle mode del presente e che veramente tutto concorra alla buona pratica del “considerare” che “è mettersi alla scuola… del divino” e a facilitare l’elevazione da noi stessi, andando oltre lo specifico della Cappella Sistina, e prima che le “innovazioni”…nei riti non si riducano ad inviti che non trovino riscontro nella risposta partecipativa dell’assemblea dei fedeli.

  • Davide ha detto:

    @FT
    Mi consenta Dott. Tosatti questo post OT, ma vorrei pubblicamente ringraziare tutti quelli che ieri risposero alla mia richiesta relativa a documentazione sullo scrittore Gilbert Keith Chesterton dandomi moltissimo materiale che approfondirò sicuramente quanto prima.
    Grazie ancora a tutti.
    🙂

  • deutero.amedeo ha detto:

    Oserei dire che questo scritto del Maestro Porfiri, in molte affermazioni, ha un carattere universale, non limitato al campo della musica sacra e della liturgia cattolica. E non riguarda soltanto la musica ma ogni attività creativa dell’uomo. E’ assurdo sia il tentare di fermare i cavalli che trainano il carro della storia ( e della tradizione, che altro non è che un farne continuamente memoria) sia il tentare di staccarli dal carro e mandarli a trottare, se non addirittura a galoppare, liberamente , senza più sapere da dove partono e dove vogliono arrivare. Rileggendo in questa visione lo scritto di Porfiri, direi che si merita un grande applauso.

  • Adriana ha detto:

    Ci sono pagine illuminanti di S- Pio X sulla musica sacra….qualcuno dovrebbe leggerle – ammesso che ancora qualcuno legga e non si smarty …oltre a smarrirsi .

  • Alessandro2 ha detto:

    Necessaria ed indispensabile una riforma della riforma (cit. Card. Sarah). Preghiamo affinché il prossimo Papa ci riporti, oltre che all’ortodossia, all’ortoprassi.

    OT IMPORTANTE che spero venga rilanciato: il giorno 1 agosto Benedetto XVI riceve il prof. Mgr. Melina del Pontificio Istituto GPII in un lungo colloquio, al termine del quale gli garantisce la sua benedizione: https://www.acistampa.com/story/il-papa-emerito-riceve-in-udienza-monsignor-livio-melina-11995

  • Nuccio Viglietti ha detto:

    Con nefasto avvento Frankie sparita completamente musica classica da programmi TV2000…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/

    • Elena Maria ha detto:

      Concordo.
      Tutto ciò che c’era di colto,estetico e santo ….fucilato.

    • Gian ha detto:

      Che sia scomparsa la musica classica dalla programmazione di TV2000 c’è poco da meravigliarsi. Al kapo non piace la musica, è cosa superflua. Appena insediato ha avuto la villania di disertare il concerto a lui dedicato in sala Nervi con l’Orchestra di Santa Cecilia, peggio di un vaccaro, portando la scusa che aveva da fare e che in fondo lui non era un “principe rinascimentale”! Tutto calcolato per costruire quella immagine di rottura degli schemi: come le telefonate alla gente comune, lo shopping dall’ottico e ruffianate varie. Adesso siamo al presto che è tardi e la maschera è caduta, non ci sono più remore né prudenze, tutto spudoratamente alla luce del sole.