MATRIMONIO, FAMIGLIA, SINODO SULLA FAMIGLIA. UN LIBRO DI DANILO CASTELLANO CERCA DI FARE CHAREZZA.

16 Aprile 2019 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici di Stilum Curiae, oggi vorrei presentarvi un libro molto interessante, “Matrimonio, famiglia, sinodo sulla famiglia” di Danilo Castellano e Daniele Mattiussi, per i tipi delle Edizioni Scientifiche Italiane (140 pag, 17.00 euro). Quest’opera aiuta a fare chiarezza in un’orizzonte che sembra stia diventando sempre più confuso, anche grazie alle volute ambiguità di testi quali Amoris Laetitia. Pensiamo di fare cosa gradita pubblicando l’introduzione all’opera.

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INTRODUZIONE

  1. Finalità di un’Introduzione

L’Introduzione a un lavoro dovrebbe essere un’illustrazione, sia pure sintetica, della questione o delle questioni trattate nelle sue pagine. In altre parole introdurre alla lettura di un volume significa innanzitutto porre il problema in esso con- siderato. Il lettore, dunque, dovrebbe trovarvi le sue chiavi di «lettura».

Le riforme «civili» riguardanti il matrimonio e la famiglia, che soprattutto gli Stati occidentali (sia europei sia americani) hanno introdotto (o vanno introducendo) nei loro ordina- menti giuridici (divorzio, unioni civili, etc.) e le riforme che la Chiesa (cattolica) ha apportato alle definizioni di alcuni isti- tuti e alle procedure relative al processo per l’accertamento della validità del vincolo matrimoniale (anche sotto la spinta della «cultura» egemone), evidenziano che stiamo vivendo un momento storico delicato, comunque significativo. Lo si è visto anche nel corso dei lavori del Sinodo sulla famiglia, voluto da papa Francesco.

  1. La nuova metodologia adottata dal Sinodo e i problemi da essa sollevati

Innanzitutto va registrata la lunga durata dei lavori, intro- dotti da una relazione del cardinale Walter Kasper al Conci- storo (febbraio 2014), proseguiti con il Sinodo straordinario (ottobre 2014) e conclusisi con il Sinodo ordinario (ottobre 2015). Il lungo tempo dedicato alla questione è segno della sua complessità e, allo stesso tempo, della necessità di un suo adeguato approfondimento. Nel corso dei lavori sono emerse, però, molte disparità di vedute, qualche disorientamento dottrinale, preoccupazioni pastorali che hanno indotto a pren- dere posizioni diverse, talvolta opposte fra loro. I lavori, in altre parole, hanno evidenziato una crisi di pensiero; hanno manifestato approcci differenti, di difficile composizione, alle questioni (approcci dovuti alle diverse, contrastanti Weltan- schauungen che la cultura «cattolica» ha fatto proprie da tempo); hanno reso evidente la secolarizzazione penetrata a fondo nella Chiesa, recti4s negli uomini di Chiesa e in molti cristiani del nostro tempo.

Va registrata, poi, l’adozione di una metodologia nuova per l’analisi, per l’esame e per la valutazione dei problemi, sostanzialmente «sociologica» ma con caratterizzazioni ideologiche come si vedrà nelle pagine che seguono. Questa metodologia ha rivelato, inoltre, a posteriori di essere stata adottata non solamente con finalità conoscitive. Essa, infatti, è stata assunta ed applicata principalmente a scopo «normativo». Cer- chiamo di spiegarci. Nel novembre 2013 la gerarchia cattolica ha condotto un’indagine nelle parrocchie e tramite le parroc- chie al fine di conoscere aspetti della pratica religiosa dei fe- deli; rectias al fine di conoscere le opinioni dei fedeli su ta- lune delicate questioni in materia di fede e di morale. Nulla di strano se l’indagine fosse stata condotta per avere una rap- presentazione «realistica» della situazione in cui versa attualmente la Chiesa militante. Strana, invece, sarebbe questa indagine se fosse stata fatta al fine di «adeguare» il magistero alla contingente effettività. La «cosa» va rilevata soprattutto perché alcune (un tempo) autorevoli riviste avevano pochi mesi prima proposto una singolare (anche se vecchia) spiega- zione/interpretazione circa il «sentire con la Chiesa». La civiltà cattolica del 19 settembre 2013, per esempio, aveva an- ticipato che il «sentire con la Chiesa» non significa «sentire» con la sua gerarchia ma essere in sintonia con il «popolo di Dio», quello che «cammina» nella storia e con la storia. In altre parole la dottrina che la Chiesa è tenuta a insegnare sarebbe il risultato del suo continuo «aggiornamento» storico dato dal dialogo fra la gente e 1 Vescovi e il Papa. Solamente questa Chiesa sarebbe infallibile e assistita dallo Spirito Santo. La gerarchia sarebbe chiamata non a insegnare ma a «moderare», cioè a interpretare, riassumere e applicare quanto emerso nella comunità e dalla comunità sia pure esercitando un ruolo di animazione della stessa. Non sarebbe «custode» e trasmet- titrice della verità ricevuta (cioè rivelata), immodificabile an- che se sempre approfondibile. Sarebbe, al contrario, «garante» della ricezione delle novità anche quando esse sono contrarie al magistero precedente.

La secolarizzazione penetrata nella Chiesa, lungi dall’essere una conquista dovuta alla maturazione individuale degli uomini e dei cristiani, si rivela prodotto di un’assurda assunzione: l’uomo sarebbe da considerarsi «maturo» perché riuscirebbe ad imporre la sua volontà non regolata da altro che dalla volontà (l’«autenticità» come immediatezza istintiva). Il senso comune definisce questa «autenticità» «immaturità». Tanto che sul piano giuridico non viene (giustamente) rico- nosciuta la capacità di agire a chi è incapace di essere com- pote di se stesso e, quindi, responsabile delle proprie azioni. All’incapace e al minore, in particolare al minore che non ha raggiunto l’età della ragione (per il Diritto canonico l’età di sette/otto anni, per gli ordinamenti giuridici civili generalmente i quattordici anni), non vengono riconosciute né responsabilità né imputabilità. Il «nuovo» umanesimo nichilista rivendica, invece, il diritto all’irresponsabilità: l’importante è essere «autentici». Solo, così, — si dice — verrebbero ricono- sciute all’uomo dignità e libertà. La regola è quella di non avere regole. Per la qualcosa il peccato si ridurrebbe, in ul- tima analisi, all’inautenticità e il reato a violazione di una re- gola convenzionale ritenuta indispensabile solamente per la convivenza (il bene giuridico diventa, così, la norma in sé, non un bene tutelato dalla norma).

La questione è rilevante. Come si vedrà nelle pagine che seguono, nel dibattito che ha animato il Sinodo e i suoi lavori preparatori è stata sostenuta la tesi secondo la quale la stessa Chiesa (cattolica) dovrebbe abbandonare ogni rifer mento a doveri ed obbligazioni e lasciare spazio alla «per- sona» (è la coerente — benché assurda — dottrina del personalismo contemporaneo). La normatività, erroneamente confusa con il normativismo, sarebbe una «violenza» all’uomo. Per questo esso mai dovrebbe vincolarsi definitivamente (né con voti né con promesse). Anche nel caso del matrimonio, per esempio, l’uomo dovrebbe legarsi solamente se e fino a quando «sente» un’attrazione fisico/psicologica per il coniuge. Esso, pertanto, dovrebbe essere lasciato libero di rimanere unito ma non gli si dovrebbe imporre tale condizione. L’indissolubilità riguarderebbe i coniugi fino a quando sussistono 1 presupposti della «coppia», vale a dire fino a quando le parti «vogliono» (perché «sentono» istintivamente di) stare insieme.

L’adulterio, alla luce di questa dottrina, non è né peccato né reato. Al contrario, peccato è «costringere» qualcuno a una fedeltà non «sentita» e, pertanto, considerata disumana.

Sul piano sociale normativa diventa, così, l’effettività, non l’ordine delle «cose». La metodologia «nuova», adottata per i lavori preparatori del Sinodo, privilegia il «dato di fatto», non il «principio», cioè la realtà ontica delle «cose». È la prassi che giustifica la teoria, non la teoria regola della prassi. In- tendiamoci: il primato della teoria è primato dell’intelligenza, non imposizione di un’ideologia, di un punto di vista. Sola- mente sulla base del primato della teoria è possibile la scelta concreta, il «discernimento» del caso, la valutazione dell’atto umano. Chi ritiene di poter affermare il primato della prassi nega, in ultima analisi, e la libertà e la stessa possibilità della morale. Per fare questo è costretto a contraddirsi: ogni affer- mazione (anche quella negativa) presuppone e afferma il pri- mato del pensiero sull’agire, dell’intelligenza sul fare, della teo- ria appunto … sulla prassi. Anche coloro, poi, che sosten- gono lo storicismo e il relativismo affermano la verità e dello storicismo e del relativismo. Ed è per questo che è sorprendente la Relazione Kasper e sono sconcertanti alcune tesi sostenute durante i lavori del Sinodo e a conclusione degli stessi.

Sulla questione metodologica ritornano con reiterata insistenza le pagine di questo lavoro. Essa è questione impor- tante, nodale, sotto il profilo filosofico-teoretico, teologico- dogmatico, morale e pastorale. Confidiamo che il volumetto la metta nel dovuto risalto e la ponga in termini chiari. Ognuno trarrà le sue conclusioni anche in rapporto al ruolo da lui esercitato nella società civile e nella Chiesa.

  1. Il matrimonio: finalità, applicazioni sbagliate, definizioni erronee

È opportuno anticipare alcune indicazioni e qualche os- servazione a proposito di un secondo tema considerato nel presente lavoro: quello del matrimonio. Sulla sua natura, sul suo fine, sulle sue caratteristiche si soffermano il Capitolo I e il Capitolo II e cenni rilevanti si trovano nel Capitolo III. Il matrimonio viene considerato sotto il profilo essenziale, vale a dire prestando attenzione alla sua natura. Va sottoli- neato che, a tal fine, è di aiuto un pensatore antico, sicura- mente non influenzato, né per adesione né per avversione, dal Cristianesimo. Il riferimento ad Aristotele non viene fatto con il fine di appoggiarsi ad una particolare dottrina e ad un fi- losofo autorevole; non è un tentativo di ricerca di un’autorità. Il riferimento ad Aristotele è fatto unicamente perché egli è stato capace di «vedere» in profondità. In altre parole lo Stagirita osservò ciò che ogni uomo può osservare ma con occhi veramente penetranti. Le sue conclusioni, a proposito di matrimonio e di famiglia, sono autorevoli perché «vere», fondate sull’ordine delle «cose», sul «dato» oggetto dell’espe- rienza intellettuale. Aristotele, infatti, condusse le sue analisi in termini razionali, non fideistici e non ideologici. Non fece ricorso alla fede, sia pure pagana, negli dei falsi e bugiardi del suo tempo e non accettò acriticamente il costume della sua epoca. Ciò sembra molto significativo. La natura delle «cose» non dipende dai tempi, dalla contingente cultura, dalle mode di pensiero. Anche il matrimonio, per quel che attiene alla sua essenza, non è prodotto delle scelte umane, non è prodotto delle mani dell’uomo, non è costruzione delle imposi- zioni giuridiche delle società e degli Stati. Esso non dipende né sotto il profilo essenziale né sotto quello finalistico da un’«opzione» del legislatore, che taluni autori contemporanei (Norberto Bobbio, per esempio) giudicano idonea alla sua «costituzione». Non si può affermare che la natura delle «cose» sia data dall’interpretazione delle «cose» medesime, come fa ogni forma di relativismo il quale rivela così la sua natura nichilistica.

Anche in assenza di teorie nichilistiche circa il matrimonio e pur in presenza di sue definizioni (almeno parzialmente) fondate offerte da autorevoli pensatori (si pensi ad Aristotele, per esempio) e da autentici giuristi (si pensi, per esempio, a Modestino), esso è stato molto spesso regolamentato in ma- niera errata. L’intelligenza umana ha rivelato, così, ripetuta- mente i suoi limiti, talvolta dovuti alle passioni. Persino in presenza della Rivelazione il «cuore» dell’uomo si è rivelato «duro», cioè incapace di comprendere la natura e il fine del matrimonio. Non solo in caso di ripudio; non solo in caso di divorzio; non solo nel caso della poligamia. Ciò è avve- nuto anche in casi apparentemente opposti, vale a dire in casi nei quali — sia pure sulla base di presupposti diversi, qualche volta opposti — si è legiferato e consentito di operare per con- seguire una delle finalità proprie del matrimonio: la procreazione. Nell’antica Grecia, in particolare a Sparta, infatti, per conseguire il principale fine del matrimonio, nel caso in cui i coniugi non avessero avuto figli (e ciò a causa del marito) si ricorreva a un membro della famiglia o della tribù per il concepimento. Propriamente parlando, si dovrebbe dire che in questo caso l’adulterio era giustificato legalmente ancorché per una finalità operativa, apparentemente buona e, comunque, ri- tenuta tale. Per conseguire uno dei fini del matrimonio (soprattutto a Sparta, come si è detto) non si esitò, quindi, a «infrangere» il matrimonio, considerando la donna come mero strumento (cosa che, nel nostro tempo, avviene per esempio con la pratica dell’utero in affitto), mettendo nel nulla la to- tale e reciproca donazione fra coniugi (richiesta dal matrimonio ed esplicitata dalla sua concezione cristiana, perfeziona- trice della sua concezione naturale), trasformando il matri- monio in una «officina procreativa», talvolta nell’interesse della Polis. Oggi, si assiste alla legalizzazione di una «officina pro- creativa» simile e, forse, peggiore di quella dell’antica legislazione greca. La fecondazione artificiale (legalizzata dallo Stato e praticata in diversi casi a sue spese) risponde, infatti, alla ratio secondo la quale il figlio sarebbe un diritto. Rectius alla pretesa, trasformata in diritto soggettivo, secondo la quale ogni desiderio dell’individuo andrebbe soddisfatto. Non si considerano nemmeno lontanamente le finalità del matrimonio: la donna (non, dunque, i coniugi) avrebbe diritto al figlio. Tanto che anche la donna senza marito o senza partner maschile può — secondo la legislazione attualmente vigente in diversi Paesi — ricorrere alla riproduzione assistita. Ciò vale anche nel caso si debba parlare al plurale, cioè nel caso in cui 1 coniugi condividano questa pretesa e la rivendichino come diritto. Il matrimonio anche in questi casi è vanificato nella sua essenza, nelle sue caratteristiche, nelle sue finalità sull’altare dei diritti soggettivi moderni e con la pratica della fecondazione artiti- ciale.

Come si vede anche solo da questi due esempi il matri- monio è stato (e viene) spesso «letto» in maniera sbagliata. Si invocano, talvolta, le sue finalità per calpestarlo. Per questo è opportuno individuare la sua essenza che è normativa sia per gli esseri umani sia per 1 legislatori. L’essenza del matrimonio è normativa anche per la Chiesa: né il Papa, né i Concili, né il «popolo di Dio» possono modificarla. Perciò, non è con- sentito ad alcuno considerarsi padrone della morale.

  1. Modelli storici ed essenza del matrimonio

Il matrimonio può essere contratto con riti diversi; può avere diverse configurazioni organizzative. Come, del resto, la famiglia. Basterebbe pensare al matrimonio romano, quello cioè regolamentato nell’antica Roma, per comprendere la sua diversa fenomenologia, la pluralità dei suoi riti — taluni dei quali sopravvissuti (almeno in parte) fino ai nostri giorni —, la diversità dei suoi effetti. La storia dell’istituto matrimoniale rivela, poi, che esso è da sempre presente nella storia e che da nessuna società è stato (ed è) ignorato. Il termine con il quale questo istituto è tuttora denominato è di derivazione romanistica. Gli antichi Romani, infatti, ritenevano (fondata- mente) che il matrimonio fosse coniuntio maris et feminae, consortium omnis vitae, divini et humani inris comunicatio ed avesse una precipua finalità: liberorum creandorum causa. Lo affermarono rispettivamente in termini molto chiari il grande giureconsulto Modestino (II sec. d. C.) e il censore Quinto Cecilio Metello Macedonico in una orazione del 131 a. C.. Esso è un negozio giuridico. Come tutti i negozi giuridici ha contenuto e forma. La forma, pur essendo — come dice la parola — sempre rituale, può cambiare e può produrre differenti effetti giuridici, specialmente in materia di eredità.

Del resto anche il matrimonio cristiano ha subito nel corso dei secoli un’evoluzione, conservando, però, la sua immodificabile essenza e la sua naturale finalità. Ciò che qui interessa rilevare è il fatto che il sacramentum del matrimonio sempre sottolineò che esso comporta un obbligo permanente, sul quale in occasione del Sinodo si è ritenuto di sorvolare. Anzi, ta- luno ha polemizzato contro questa concezione del matrimo- nio e, in particolare, del matrimonio sacramento. Si è scam- biata (erroneamente) l’obbligazione con la coercizione e si è fatto così dell’obbligo procurato, liberamente contratto, una camicia di forza entro la quale sarebbe stata e tuttora ver- rebbe imprigionata la persona. Da qui la necessità di «libe- rarla», aprendole gli orizzonti della moderna «libertà nega- uva».

  1. L’accompagnamento

In occasione del Sinodo, soprattutto a Sinodo concluso e per scelta linguistico-concettuale del Sinodo medesimo, sembra diventata attuale la parola «accompagnamento». Accompagnare non significa assecondare. Tanto meno assecondare qualsiasi opzione, favorire la realizzazione di qualsiasi desi- derio, aiutare a realizzare qualsiasi proposito. Fra i suoi molti significati, infatti, non è individuabile per la parola «accom- pagnamento» quello che, alla luce della dottrina del persona- lismo contemporaneo, sembra essere il suo primo e più im- portante significato: quello di far sì che ogni persona possa realizzare le sue insindacabili scelte, qualsiasi scelta, con il so- stegno e con l’atuto di altri: nel caso considerato dal Sinodo, con il sostegno e con l’aiuto della Chiesa, della sua gerarchia e, comunque, della comunità cristiana. L’adultero, per esem- pio, non può rivendicare né moralmente né giuridicamente il «diritto soggettivo» all’adulterio, trasformandolo da trasgres- sione etica e da violazione giuridica in bene. L’omosessuale, ancora per esempio, non deve pretendere che il suo orienta- mento si trasformi in diritto riconosciuto dall’ordinamento giuridico e trovi, perciò, applicazione «protetta» con effetti legali socialmente rilevanti. Il cleptomane o il sadico non possono rivendicare il diritto a realizzare impunemente la loro inclinazione. L’ordine etico e quello giuridico non si fondano sulla volontà della persona; al contrario essi trovano fonda- mento e norma nella natura delle «cose», la quale non è nella disponibilità di alcuno.

L’«accompagnamento» che si va via via imponendo e che sembra rappresentare la stella polare della nuova pastorale, è la coerente applicazione della teoria che sta a monte della nuova metodologia adottata per i lavori sinodali. Esso, a ben osservare, è una inversione a U dell’insegnamento della Chiesa. Non più dottrina, non più norme, non più Comandamenti. Tutto ciò sarebbe di ostacolo alla realizzazione della persona e del suo «vitalismo». Quello che Benedetto XVI denunciò come emergenza educativa e, cioè, come problema della Chiesa militante contemporanea e della società civile del nostro tempo, sarebbe una falsa questione. Anzi, un errore di valutazione e di prospettiva. Il «vitalismo» andrebbe applicato fino in fondo. Il «vero» cristiano sarebbe quello «autentico» e, in quanto tale, liberato da dottrine (l’insegnamento del Catechismo sa- rebbe, in ultima analisi, un errore e una violenza), da leggi (come reclamò insistentemente Lutero), da obbligazioni (per esempio, il matrimonio non dovrebbe essere né eterosessuale né indissolubile), da vincoli (voti e promesse, per esempio).

La differenza rispetto all’insegnamento di Lutero starebbe nel fatto che l’individuo non solo dovrebbe essere lascito libero di fare quello che vuole ma dovrebbe essere aiutato in ciò: la solidarietà viene così trasformata in complicità, proposta (la complicità) come bene e, quindi, — contraddittoria- mente — come dovere.

Siamo all’assurdo; un assurdo proposto da cattedre e pulpiti e divulgato da pubblicazioni che si autodefiniscono cattoliche, raccomandate e vendute, talvolta, nelle chiese.

L’«accompagnamento» — è evidente a questo punto — è ter- mine che indica un programma di azione sbagliato. Lo usa frequentemente anche la cultura laica. Eluana Englaro, per esempio, (che non può essere fatta rientrare nella schiera di coloro che scambiano le pretese con i diritti) si disse che fu «accompagnata» alla morte. Dunque, anche la cultura laica preferisce usare un linguaggio metaforico. Così qualcuno, per esempio, può essere «accompagnato» alla pratica e nella pra- tica dell’eutanasia o del suicidio assistito. È un linguaggio non violento, quasi soave, che consente di raggiungere risultati im- morali e antigiuridici senza particolari provocazioni formali.

Anche il Sinodo sulla famiglia ha fatto questa scelta? La risposta non è facile. L’equivoco che i lavori sinodali hanno mantenuto a questo proposito non consente di affermare con certezza se l’«accompagnamento» degli adulteri, dei concubini, degli omosessuali, di cui parla il Sinodo, indica un «assecondamento» delle loro scelte e della loro prassi o se impegna la Chiesa a un loro «recupero».

Per «recuperare» le persone e portarle sulla retta via è ne- cessario avere chiaro che cosa sia bene e che cosa sia male; è indispensabile conoscere il diritto naturale; sono da conside- rarsi indicazioni preziose per la conoscenza dell’ordine natu- rale i Dieci Comandamenti. In breve è necessaria l’intelligenza della volontà di Dio, scritta nella natura e manifestata dalla Rivelazione. È necessario, inoltre, conoscere le obbligazioni naturali ed essere disposti a onorarle. Nel caso non venissero rispettate o — se assunte — si volesse misconoscerle, è indi- spensabile l’intervento dell’autorità (sia ecclesiale sia civile), la quale, però, deve sapere quale è la via retta e quale è quella sbagliata. Il recupero richiede un’applicazione prudenziale del «principio», non l’abbandono all’effettività.

Sulla questione «prendono posizione» le pagine che seguono, insistendo opportune, importune, come insegnò saggiamente san Paolo.

  1. Conclusione

In tempi di forte disorientamento e di diffusa decadenza morale sarebbe stato (e sarebbe) opportuno parlare chiara- mente. In tempi di confusione, infatti, soprattutto chi ha re- sponsabilità di governo (sia ecclesiale sia civile) ha il dovere di evitare gli equivoci del linguaggio e di intervenire sulle que- stioni importanti, toccando in particolare quei temi che non sempre incontrano il facile consenso delle persone. Soprat- tutto la Chiesa è chiamata a ciò, essendo madre e maestra. Per questo ci si sarebbe aspettati dal Sinodo prese di posi- zione anticonformiste. Non per scelta aprioristica, ma per fe- deltà alla verità che è sempre benefica. Dobbiamo riconoscere che questo non è avvenuto sebbene diverse «cose» buone siano state seminate come riconoscono anche 1 saggi raccolti in questo volume.

Nessuno vuole essere profeta di sventura. Degli errori, però, bisogna prendere atto anche per potere porre rimedio alle loro conseguenze e per poterli evitare in futuro.

L’incoraggiamento, poi, va riservato solamente alle scelte buone, soprattutto quando in ballo è il bene comune (terreno) e la salvezza (eterna) delle anime.

Il Sinodo ha considerato una questione che non riguarda esclusivamente la Chiesa, ma anche la società civile. Matrimonio e famiglia, infatti, sono materie «miste». Per questo, sotto certi aspetti, più gravi di altre: esse ipotecano il futuro, orientando le nuove generazioni.

I contributi al dibattito sulla questione oggetto dei lavori del Sinodo sulla famiglia qui raccolti, non vogliono essere (e non sono) interventi inutilmente «polemici». Intendono, piuttosto, essere di aiuto per l’approfondimento (che richiede innanzitutto di individuare la strada che porta alla soluzione) del delicato problema. Essi, pertanto, debbono essere definiti «dialettici» (intendendo la dialettica nel senso classico) e, per- ciò, hanno una finalità costruttiva che gli autori si augurano venga colta ed apprezzata.


Oggi è il 232° giorno in cui il pontefice regnante non ha, ancora, risposto.

Quando ha saputo che McCarrick era un un uomo perverso, un predatore omosessuale seriale?

È vero o non è vero che mons. Viganò l’ha avvertita il 23 giugno 2013?

Joseph Fessio, sj: “Sia un uomo. Si alzi in piedi, e risponda”.


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16 commenti

  • Nicola B. ha detto:

    Per Catholicus….Qualcuno con le corna e con la coda starà facendo clap clap clap clap clap con le mani al calduccio dopo questa intervista….comunque anche io che ho una certa età ho sentito cose simili tipo ” finalmente ci siamo liberati di questa idea di Dio che castiga…” oppure :” Dio trova il modo di salvarci anche se impenitenti…..trova Lui il modo…..” . Tutta questa mentalità non l’ha creata Papa Francesco ma era presente ormai da decenni nella Chiesa….quando non si crede più…..

    • deutero.amedeo ha detto:

      Ma Papa Francesco il 19 febbraio a Santa Marta ha fatto una riflessione di ben altro tenore su Dio Padre che ha dei sentimenti e a volte si arrabbia e bastona. Forse don Paolo Squizzato è squizzato fuori da qualche altra Chiesa…..

      PAPA FRANCESCO
      MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
      DOMUS SANCTAE MARTHAE
      I sentimenti di Dio
      Martedì, 19 febbraio 2019
      http://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2019/documents/papa-francesco-cotidie_20190219_isentimenti-didio.html

      Ecco, allora, «i sentimenti di Dio: Dio padre che ci ama — e l’amore è un rapporto — ma è capace di arrabbiarsi, di adirarsi. È Gesù che viene e dà la vita per noi, con la sofferenza del cuore, tutto». Ma, ha insistito Francesco, «il nostro Dio ha dei sentimenti. Il nostro Dio ci ama col cuore, non ci ama con le idee, ci ama con il cuore». E «quando ci carezza, ci carezza col cuore, e quando ci bastona, come un buon padre, ci bastona col cuore, soffre più lui di noi. Abbiamo pensato a questo?».

    • deutero.amedeo ha detto:

      –La nuova metodologia adottata dal Sinodo e i problemi da essa sollevati–
      Mi pare proprio questo il punto cruciale. La pianificazione dal basso, addirittura partendo dal pubblico, dal mercato, è una strategia di marketing che va bene per le aziende.
      Per l’ “agenzia di Dio” questa strategia è addirittura contraria al buon senso. –L’uomo propone, Dio dispone– era un dettame della saggezza atavica del vero popolo di Dio. Vogliamo salvare un edificio come Notre Dame de Paris ma non ce ne frega niente di mandare al macero secoli di pensiero.

  • Catholicus ha detto:

    Il teologo don Paolo Squizzato, intervistato sa da TV2000, ha affermato con la massima tranquillità, fra le altre bellissime cose, che l’Atto di dolore è “una preghiera assolutamente non cristiana”, “una tremenda preghiera” che, “purtroppo”, viene ancora recitata in molte chiese. Da non credere, ma le sue parole non lasciano dubbi :
    “Noi, parlo di Chiesa, Chiesa ufficiale, la Chiesa dei preti, abbiamo credo infangato molto il termine e concetto di peccato; l’abbiamo pensato anzitutto come una trasgressione, come infrazione a una norma, a un comandamento e quindi come un’offesa fatta a Dio. Tutto questo è rimasto in quella tremenda preghiera che purtroppo viene ancora usata, so, da alcuni catechisti, che è l’Atto di dolore: “perché con il peccato ho offeso Te, infinitamente buono, e per questo merito i tuoi castighi”. È una preghiera che non ha nulla di cristiano perché Dio non si può offendere e poi Dio non castiga, perché Gesù è venuto a rivelarci un altro tipo di Dio, di Padre”.

    http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/teologia-per-un-nuovo-umanesimo/7460-maciullato-dalle-belve

    Ho già avuto occasione di udire simili parole durante l’omelia domenicale (in particolare nel commento al passo evangelico dell’invitato a nozze gettato fuori, legato mani e piedi, perché presentatosi senza l’abito nuziale) per cui non mi sorprende adesso questo tale Squizzato, che non oso però definirlo sacerdote, per non offendere le schiere di veri sacerdoti, santi, martiri di due millenni di civiltà cristiana.
    Ma allora, mi chiedo, ma allora come la mettiamo con l’Ave Maria? Rottamiamo anche quella, perché recita “prega per me peccatore” evidentemente per ottenere il perdono da Dio e non essere castigato, altrimenti per quale motivo chiederemmo a Maria SS.ma di pregare per noi? E l’Incarnazione, che senso avrebbe avuto senza il sacrificio espiatorio (ripetuto nella S. Messa, non certo una memoria, una cena: balle!) di Cristo Redentore, che ci evita a tutti il castigo della dannazione eterna? Ma che stiano dando fuori di testa questi preti modernisti?

    • deutero.amedeo ha detto:

      Allora rottamiamo anche il Salmo 50 (51) Di Davide.

      [2] Quando venne da lui il profeta Natan dopo che aveva peccato con Betsabea.
      [3] Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;
      nella tua grande bontà cancella il mio peccato.
      [5] Riconosco la mia colpa,
      il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
      [6] Contro di te, contro te solo ho peccato,
      quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto;

      • GIORGIO VIGNI ha detto:

        Il teologo, recte cacoponerologo, Sqizzato (non è un refuso) suscita una questioncella: il Galileo era un masochista , amante dei chiodi e degli scudisci. Masoch santo subito . Il solo pensare all’abominevole abisso cui porta questo pensiero, nei confronti del Padre, mi terrorizza. Siamo ben oltre la bestemmia, voluta e consapevole.
        Sono sempre più convinto, in termini matematici, che l’infinito sia incapiente per la turpitudine e l’imbecillità. Anche con gli alef ci sarebbero difficoltà.

        G.Vigni

    • Adriana ha detto:

      Adesso abbiamo il peccato ” climatico “! Ma per questo non occorre chieder perdono a Dio , basta chiederlo a Greta .( E , in aggiunta , ai ” migranti climatici ” . ) Nella religione unica tutto è semplificato . Allegriaaa !

  • Elisa ha detto:

    Cosa ne pensate della nuova democrazia cristiana, come partito? Perché sto cercando un partito che mi identifichi ma non l’ho ancora trovato. Mi sembra che sul tema famiglia, favorisca quella tradizionale, ma non riesco a capire bene il pensiero nel modo completo delle DC.

    • Enrico66 ha detto:

      Perché, esiste una nuova Democrazia Cristiana? Per favore, dia maggiori informazioni in proposito
      Le dico subito che, però, se si tratta del partito dei vescovi CEI, non mi interessa minimamente.
      La politica ai laici.
      (Lasciamo perdere il ricordare don Sturzo, davvero un grande. Sacerdote, ma non vescovo).

      • Elisa ha detto:

        Sì esiste, basta cercare in internet nuova democrazia cristiana. Non credo che sia quella legata alla CEI. Ma non ho molte informazioni, per questo motivo chiedevo a voi se eravate più informati di me. Comunque esiste.

        • giemme ha detto:

          si esiste in via S. Marta, Città del Vaticano
          ma non si chiama Democrazia Cristiana, ma
          Nuova Democrazia Islamica bacia-piede🤢 🤮
          Nuovo statuto stilato da: Vertice Neo-Chiesa C9
          ciao!

    • LucioR ha detto:

      Se il nuovo partito si è dato il nome della vecchia Democrazia Cristiana, evidentemente intende ispirarsi ad essa. E allora bisognerebbe sapere qualcosa di cosa fu quel partito e come influì sulla svolta della società italiana del secondo mezzo secolo scorso.
      Ci sarebbe molto da dire, ma mi sembra che un’idea ce la si possa fare dal brano che espongo sotto, tratto da una recensione di Omar Ebrahime al libro di:

      AA. VV:, “Dal ‘centrismo’ al Sessantotto”, Ares, Milano 2007.

      Riferendosi alle elezioni del 18 Aprile 1948, In cui la Democrazia Cristiana riscosse un largo successo contro i socialcomunisti (grazie soprattutto – bisogna dire – alla capillare propaganda anticomunista dei famosi Comitati Civici di Luigi Gedda, ben sostenuti da Pio XII), Ebrahime dice, citando anche l’autore che sta recensendo:

      «il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi [Capo della DC] non indosserà le istanze dell’Italia ‘profonda’, emersa in quella storica occasione, ma preferirà gestire “l’enorme potere ricevuto in dote lasciando aperta la porta alle forze laiciste”».

      E da quella porta “lasciata aperta”, anzi spalancata, dice Ebrahime (ma il testo è molto lungo),

      «attecchiranno infatti le rivoluzioni giuridiche che hanno minato in Italia istituti secolari e consolidati come il matrimonio e la famiglia. Lo dimostra con una dettagliata ricostruzione Brienza che, nel suo intervento (Le origini della disgregazione della famiglia italiana negli anni ’60), analizza il processo rivoluzionario descrivendo origini e sviluppi di tre leggi che ne costituiscono altrettanti passaggi decisivi: quella d’introduzione del divorzio (“Baslini-Fortuna” del 1° dicembre 1970), quella che ha stravolto il diritto di famiglia italiano d’impronta romanistico-cristiana (legge del 19 maggio 1975) ed, infine, la “legge” di depenalizzazione dell’aborto, la famigerata 194 [del] 22 maggio 1978 […]. È significativo notare che le tre leggi erano parte di un disegno e di un pacchetto unico come dimostra il fatto che “il promotore e relatore governativo in Parlamento fu unico, nella persona dell’on. Maria Eletta Martini, deputata toscana democristiana…”».

      Per chi intende votare per la democrazia Cristiana… auguri!

  • DAVIDE ha detto:

    Mi sembra che, attualmente, siano più interessati all’Amazzonia… sic !!!

  • Enrico66 ha detto:

    Interessante, molto interessante. E questa lezione magistrale è solo l’introduzione del libro.
    Lo cercherò in libreria x acquistarlo.