STILUM CURIAE PER I FAN DI MUSICA SACRA: I GRADUALI DI SANTA MARIA DI CAMPAGNA, A PIACENZA.

3 Giugno 2018 Pubblicato da

Marco Tosatti

 

Abbiamo ricevuto qualche giorno fa da un amico piacentino, Luigi Swich il testo di una conferenza che ha tenuto nel refettorio del Convento su un tema che certamente interesserà i lettori di Stilum Curiae appassionati di musica sacra. Il tema è: I GRADUALI DI S. MARIA DI CAMPAGNA, e si riferisce al ricco patrimonio musicale conservato nella chiesa. Eccolo:

Il convento dei Frati Minori Osservanti o Francescani di S. Maria di Campagna, come noto grazie al catalogo pubblicato nel 2003 da Marco Ruggeri, custodisce un ricco fondo musicale costituito tra la fine del Settecento e tutto l’Ottocento prevalentemente a cura di Padre Davide da Bergamo (1791-1863).

Questi, arrivato nel 1818 nel convento piacentino, nei suoi 45 anni di permanenza in questa comunità religiosa cambiò volto alla vita musicale della basilica operando di fatto anche come attivissimo maestro di cappella. Figura che fino ad allora non era mai stata presente dato che, dalla costruzione dell’organo in cornu epistolaead opera del bresciano Giovanni Battista Facchetti nel 1528 (forse servito da modello per la celebre tarsia del coro della chiesa abbaziale di S. Sisto, ill. 1), l’unico musicista regolarmente stipendiato fu soltanto l’organista.

È appena il caso di ricordare che nel 1622 la chiesa di S. Maria di Campagna – caso unico a Piacenza – fu dotata di un secondo organo in cornu evangeliidel parmense Michelangelo Rangoni, successivamente caduto in disuso per l’estinzione della prassi di suonare a due organi e nel 1778 definitivamente smantellato per accondiscendere a esigenze di comodo dell’allora attiguo convento francescano.

Può pertanto dirsi che in S. Maria di Campagna la cura del culto sotto il profilo musicale era prevalentemente basata sul canto gregoriano e sull’organo, mentre la musica cosiddetta figurata o polifonica veniva ritenuta necessaria solo in sporadiche occasioni (quaresima, Quarant’ore, anniversari di canonizzazione di santi francescani, festa dell’Annunciazione, celebrazioni legate alla casa regnante dei Farnese), per le quali anziché ricorrere a un musicista fisso e stabilmente remunerato si preferiva ingaggiare un maestro di cappella della città, per lo più della cattedrale, con relativi strumentisti.

Ma non si pensi affatto a un livello qualitativamente basso.

Come ricordano anche i sussidi informativi della “Salita al Pordenone” all’origine di questo evento collaterale, la chiesa di S. Maria di Campagna fu eretta dal 1522 al 1528 per volontà dell’intera città: a governarne la cosiddetta fabbricafurono infatti stabiliti dieci rettori o governatori eletti ciascuno da altrettante istituzioni laiche ed ecclesiastiche piacentine: la Comunità (cioè il Consiglio degli Anziani), il Collegio dei Giudici, il Collegio dei Notai, il Collegio dei Mercanti, il Vescovo, il priore di S. Vittoria, l’abate benedettino di San Sisto, l’abate di San Benedetto (alias di Sant’Agostino, dei canonici regolari lateranensi), il priore domenicano di S. Giovanni in Canale, il Guardiano francescano di S. Maria di Nazareth. Di fatto la fabbriceria fu composta dagli esponenti della nobiltà e delle famiglie piacentine più ragguardevoli per censo e professione. Nei verbali delle adunanze ricorrono sovente i nomi, tra gli altri, degli Anguissola, degli Scotti, dei Landi, dei Malvicini Fontana, degli Arcelli, dei Casati, dei Nicelli, dei Crollalanza. Come scrisse Oscar Mischiati nel 1980 nel suo studio sul restauro dell’organo Serassi (1825-1838) di Padre Davide, la chiesa di S. Maria di Campagna “riflette bene l’idea che il ceto nobiliare italiano ebbe della propria funzione sociale durante il Rinascimento e l’età barocca: una costante ricerca di alta qualificazione culturale perseguita innanzitutto promuovendo e patrocinando non meno le attività artistiche che il decoro urbano”.

Ecco quindi che anche la comunità francescana piacentina ritenne opportuno e necessario, per la preghiera quotidiana collettiva, dotarsi di grandi codici pergamenacei manoscritti destinati sia ai canti dei salmi nella liturgia delle ore – ovvero le otto ore canoniche nella quali ogni comunità monastica e conventuale si ritrovava in coro per pregare cantando: mattutino (prima dell’alba) [«Gli uomini e le donne che pregano nel silenzio, nella notte e nella solitudine, sono le colonne portanti della Chiesa di Cristo», Robert Sarah, La forza del silenzio-Contro la dittatura del rumore, Siena 2017, p. 51], lodi (all’alba), ora prima (6.00), ora terza (9.00), ora sesta (12.00), ora nona (15.00), vespri (al tramonto) e compieta (prima di coricarsi) –  denominati antifonari sia ai canti della messa. In quest’ultimo caso i codici prendono il nome di graduali, in quanto contengono sia le parti fisse (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Benedictus, Agnus Dei e Ite missa est) che le parti mobili (Introito, Graduale, Tratto, Alleluja, Offertorio, Communio).

Da una prima selezione di n. 6 graduali e di n. 7 antifonari pervenuti, è stato deciso di esporre oggi tre graduali e altrettanti antifonari, risalenti a un periodo ricompreso tra il 1639 e il 1853.

I graduali più antichi, ovvero seicenteschi, testimoniano di una prassi liturgico-musicale ortodossa e aderente al repertorio gregoriano più maturo, tradizionale e consolidato, scritto sul classico tetragramma di quattro linee: messe per le maggiori festività come Pasqua (comprensive dell’antifona per l’aspersione nell’ottavo modo gregoriano “Vidi aquam egredientem de templo”) e Natale (con l’introito nel settimo modo “Puer natus est nobis, et filius datus est nobis”), messe per le festività mariane (ove ricorre l’introito appropriato nel secondo modo “Salve sancta Parens, enixa puerpera Regem”), messe comuni (precedute dall’antifona per l’aspersione nel settimo modo “Asperges me, Domine, hyssopo, et mundabor” e, non a caso data la nota devozione mariana dei Francescani, contenenti il melismatico offertorio nell’ottavo modo “Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum”), sequenze per il Corpus Domini (“Lauda Sion Salvatorem”, su testo di san Tommaso d’Aquino) e per la memoria di Maria Addolorata del 15 settembre (“Stabat Mater dolorosa”, su testo attribuito a Jacopone da Todi).

A differenza del repertorio appena descritto, tre graduali rispettivamente del 1715, 1810 ca. (non esposto) e 1853 attestano decise e sistematiche deviazioni dai canti fermi consolidati in favore di melodie apparentemente gregoriane ma composte ex novoe che, dall’astratta modalità, tendono a modellarsi sul bilanciamento tonica-dominante e quindi a farsi sempre più tonali.

Questi codici sette e ottocenteschi utilizzano il moderno e tuttora in uso pentagramma a 5 linee e tradiscono una talvolta accentuata espressività che si manifesta in vario modo: ampi intervalli che raggiungono l’ambito di ottava, segni di fraseggio (legature), indicazioni agogiche (Andante, Adagio, Allegro, Allegro maestoso) e di tempo (3/4), valori di durata inferiori alla semiminima ovvero di croma e biscroma, alterazioni in chiave (fino a 3 bemolli e 2 diesis, corrispondenti alle triadi maggiori su Fa, Do, Sol, Mi bemolle e Si bemolle favorite dal temperamento inequabile dell’organo Serassi ripristinato con il restauro del 1980), indicazioni di alternanza concertante (Tutti/Soli/Organo).

Tutto ciò convive con la tradizione musicale del passato come, ad esempio, indicazioni secondo l’antica prassi della c.d. “mano guidoniana” (ill. 2) (“Organo Alamire 3. Maggiore; o B fa maggiore” a evidenziare che l’organista deve trasportare un tono e mezzo o un tono sotto un canto notato in do; “Org. G sol re ut” a significare che il brano, in sol, non deve essere trasportato dall’organista in quanto va cantato in tono).

La convivenza di nova et veteradiventa opportunismo e adulazione allorché i cattolicissimi frati minori arrivano ad adattare il mottetto per antonomasia dell’Ancien Régime “Domine salvum fac Regem et exaudi nos in die qua invocaverimus te” – tratto dal Salmo XIX e musicato da illustri compositori come Lully, Lalande e Couperin per i re francesi della casa di Borbone – al nuovo regnante con il seguente testo: “Domine salvum fac Imperatorem etRegem nostrum Napoleonemet exaudi nos in die qua invocaverimus te”. Salvo poi – dopo la caduta del figlio di quella Rivoluzione che aveva ghigliottinato il re Borbone – oscurare il nome “Napoleonem” (con una forse gradita e desiderata damnatio memoriaeche richiama alla mente la nota abrasione beethoveniana della locuzione «Intitulata Buonaparte» sul frontespizio della terza Sinfonia «Eroica») lasciando l‘interpolazione “Imperatorem”, in omaggio all’imperatore d’Austria Francesco I che, dopo il Congresso di Vienna, tenne una guarnigione nel Ducato a protezione della figlia duchessa Maria Luigia.

Un atteggiamento al quale non fu estraneo lo stesso Padre Davide, il quale riuscì con candida disinvoltura a comporre e ad eseguire pubblicamente, riscuotendo pari successo, dapprima la reazionaria “Sinfonia col tanto applaudito inno popolare” – brano composto per l’offertorio della messa sulle parole “Dio conserva Ferdinando[Ferdinando I d’Asburgo, 1835-48] salva il nostro Imperator” e sul tema di Haydn tratto dal secondo movimento del Quartetto Op. 76 n. 3 in do maggiore, cosiddetto Kaiserhymne “Gott erhalte Franz den Kaiser”, in seguito divenuto inno nazionale tedesco – e subito dopo, più patriotticamente, “Le sanguinose giornate di marzo ossia la Rivoluzione di Milano”: un brano descrittivo, una sorta di poema sinfonico ante litteramche fa uso della campana battente e descrive la battaglia, le sofferenze dei feriti e la commemorazione dei caduti concludendosi con un tripudiante allegro bandistico che accompagna la vittoria dei milanesi sugli austriaci al termine delle celebri Cinque Giornate del marzo 1848.

È proprio il caso di dire con Enrico IV, primo re Borbone di Francia, che “Parigi val bene una messa”.







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3 commenti

  • La Samaritana ha detto:

    Forse sarebbe bene aggiungere, per completezza storica, che Enrico IV divenne cattolico per poter essere incoronato, egli, infatti, era un nobile ugonotto, da qui la celebre frase : Parigi val bene una messa. Come frase suona alquanto cinica, e se non fosse che della fede di ognuno è Dio solo che può giudicare, si potrebbe dubitare della fede di Enrico IV,che però a viste umane fu un buon re, dato che in un quadro politico europeo ed interno, riuscì a ricostituire la Francia molto provata anche da 30 anni di guerra civile.

  • Alessandro2 ha detto:

    Intanto stamane proprio a Piacenza prime Comunioni in Duomo, a “Messa alta”, con: canzoncine sessantottine, liturgia stanca e sfilacciata, segno della pace interminabile e confusionario nonostante la Cattedrale quasi vuota, cellulari a go-go e applauso finale durante la benedizione solenne (solenne?). Tre bambini distratti e scarsamente impreparati, al punto che ridevano e scherzavano fra loro pochi secondi dopo la loro prima Comunione! Sacerdote che ha parlato più volte del Santissimo come “simbolo”.
    Mistero eucaristico nella festa del Corpus Domini: non pervenuto.

  • Cesaremaria Glori ha detto:

    Bellissimo articolo dal gusto antico che non si limita alla descrizione tecnico-musicale, peraltro necessaria per comprendere il livello artistico sia dei personaggi richiamati alla memoria sia degli strumenti musicali, ma spazia sulla storia locale per meglio lumeggiare l’elevata cultura delle élite e di una popolazione niente affatto digiuna di gusto musicale a artistico prodotto e sviluppato nel territorio stesso, segno che la classe che governava ambiva a corrispondere con gente non rozza ma educata al bello.